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FARE RISTORAZIONE

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PRODOTTI

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L’imbarazzo della scelta

Autrice: Giulia Zampieri

Consommé di finocchio, limone, zenzero e molluschi Credits Hstudio Lo avrete letto, detto, ascoltato, provato. L’imbarazzo della scelta è un modo di dire che spesso ricorre nel nostro settore. In particolare s’infila nelle recensioni, siano esse di guide autorevoli o di semplici clienti che si esprimono dopo essere stati ospiti in un locale. Sta ad indicare l’abbondanza dell’offerta di un ristorante, bar, bistrot o hotel che sia, al punto che la persona, di fronte a cotante opportunità, non sa che scegliere. Una cosa che, fino a qualche hanno fa, poteva essere sinonimo di strategia per alcuni ristoratori, o

sintomo di insicurezza

per altri. E che, in ogni caso, alle generazioni passate piaceva perché l’opulenza dopo gli anni difficili, in cui si era patita la fame, generava puro godimento. Dentro quest’espressione pare esserci oggi una

forte discrasia rispetto agli sforzi che molte attività compiono (o dicono

di compiere) in materia di

Nicolò De Pol e Luca Tartaglia, i fondatori di Pierre Trattoria Sartoriale

sostenibilità e rispetto ambientale. Bisognerebbe chiedersi se nei locali in cui la produzione è copiosa, o in cui circolano prodotti in numero abbondante, vengano rispettati i principi legati all’attenzione all’ambiente, all’etica, allo

gestione e riduzione dello spreco alimentare,

magari annunciati nel sito web, nel menu o in una locandina appesa sulle pareti. Non serve poi un occhio così esperto per capirlo: una lista infinita di piatti, con prodotti non di stagione e quasi esclusivamente esotici, dovrebbe far venire qualche sospetto sui fondamenti che governano la spesa e sul modo di agire di quel ristorante.

Pierre Trattoria Sartoriale a Treviso

Ne abbiamo parlato con Luca Tartaglia, chef di Pierre Trattoria Sartoriale, insegna aperta poco meno di un anno fa in centro a Treviso. Abbiamo scelto Luca perché l’approccio della sua cucina è misurato. In una parola: quotidiano. Ad animare il locale sono in due, entrambi di bell’esperienza se pur giovani; Luca si occupa della cucina, Nicolò De Pol della sala. Propongono un menu a la carte e un menu degustazione alla cieca. Il secondo viene scelto quasi dalla totalità dei clienti, che si affidano alle ispirazioni della cucina al massimo fornendo qualche indicazione su gusti e intolleranze alimentari. “Da Pierre abbiamo poco spazio e siamo solo in due a condurre il locale, ma abbiamo trovato la formula giusta fondata su un approvvigionamento pressoché quotidiano. I nostri clienti sanno che la presenza di pochi piatti nel menu è, nel nostro caso, sinonimo di freschezza delle materie prime. Ogni giorno sentiamo i nostri fornitori, quello del pesce, della carne, delle verdure, per capire quali sono i migliori prodotti che il mercato può offrirci. E quindi, dopo aver valutato, scegliamo. Se troviamo dell’ottima cacciagione non è detto che prenderemo anche il pesce. Se troviamo dei funghi freschi non è detto che acquisteremo del tartufo,

Ortaggi freschi, in cucina da Pierre Trattoria Sartoriale

e così via. Non è la soluzione più semplice perché lavorare con forniture giornaliere, senza una lista della spesa prestabilita, richiede grande adattabilità e creatività. Ma il risultato è spreco inesistente e qualità garantita degli ingredienti impiegati”. Hanno anche adattato lo stile della cucina per facilitare il cliente nella scelta. Ce lo spiega. “Adeguarsi alla clientela non vuol dire snaturare il proprio pensiero, significa capire quali sono le preferenze delle persone e agire di conseguenza. A molti non piacciono l’acidità o il sapore deciso di alcune frattaglie? Non ha senso fermarsi su quel registro se le persone preferiscono sapori più morbidi. Dopotutto, come già stanno dicendo in tanti, la cucina non è esercizio di stile, deve piacere”. Per Luca questa si sta rivelando una bella palestra anche per l’improvvisazione. “Non improvviso nel rigido senso del termine, ma cucino ascoltando le preferenze espresse dall’ospite o, nel caso si tratti di una persona che conosco, proponendogli ciò che gli piace utilizzando i prodotti che ho a disposizione. È proprio da questo concetto che nasce la locuzione trattoria sartoriale, cioè un locale in cui la cucina è cucita sulla persona”. Il metodo di Pierre Trattoria Sartoriale è apprezzato soprattutto dai giovani, più sensibili, probabilmente, ai temi della sostenibilità. “Ammetto che le nuove generazioni sembrano capire di più queste decisioni. Altri pensano, invece, che il menu corto sia un’imposizione, magari dettata dalla pigrizia o dalle scarse risorse del ristorante. I ragazzi, invece, lo apprezzano, e vivono l’esperienza a tavola per ciò che dovrebbe essere: piacere, curiosità, equilibrio, senza eccessi, senza l’esigenza di menu biblici”.

Soj a Parma

Ci spostiamo di circa trecento chilometri per confrontarci con un’altra nuova apertura, Soj nel centro storico di Parma. Anche qui sono in due: Eugenio Restivo, di origini siciliane e radici modenesi, e Federico Capocasa, figlio di marchigiani ma cresciuto a Parma. Qui addirittura non c’è personale di sala, ogni volta che un piatto è pronto lo consegnano loro al cliente, a turno, entrambi partendo dai fornelli. Questo è possibile perché cucina e sala si trovano in un unico ambiente, senza muri in cartongesso o vetrate a marcare il confine, e perché il numero di coperti è ridotto (sedici). Nella gestione dell’attività e nella strutturazione del menu Eugenio e Federico hanno scelto una strada poco diffusa tra chi fa ristorazione, almeno da queste parti, ma a pochi mesi dall’avvio dell’attività bisogna dar loro ragione. Lavorano con metodo utilizzando pochi ingredienti scelti da fornitori che conoscono. Al posto del menu con la ripartizione canonica - antipasti, primi, secondi - c’è una lista corta di vivande che spaziano dalla carne di bassa corte al pesce d’acqua dolce, dai vegetali alle paste, per un totale di circa diciotto voci, dolci compresi.

Sarde on saor di rose e spezie Credits treelabagency

Impiattamento sul pass di Soj

Troppo poco per un ristorante in centro città? No, il giusto. Lo testimoniano il locale pressoché sempre pieno, il fatto che non vi sia spreco di risorse, e che la materia prima sia sempre fresca. Non compaiono i classici della tradizione parmigiana, ricorrenti nella stragrande maggioranza delle insegne a Parma, ma proposte curate e godibili. “Ci siamo slegati dai canoni tradizionali per costruire un progetto che piacesse a noi e potesse portare novità in questa città. Abbiamo tolto il menu pur mantenendo i primi piatti, perché crediamo che in Italia non si possano abolire, ma derivano da ispirazioni diverse dai classici e sono posti alla fine della lista. L’idea di fondo è che ogni cliente possa costruire un breve percorso di assaggi nell’ordine che sente più suo, senza pensare a cosa venga prima o dopo, in base al momento, al giorno, alla fame, alla ricorrenza”. - spiega Federico. “In passato molti ristoranti presentavano lunghe liste di pietanze, in alcuni si ripetevano gli stessi identici ingredienti. In altri menu, invece, era evidente che non ci fosse materia prima fresca. Utilizzare pochi ingredienti freschi, mantenendo un’alta rotazione, ci fa ovviare da queste scelte poco sostenibili e garantire una qualità più alta dei prodotti”.

Accade quasi sempre che i clienti di Soj aggiungano, durante la cena o il pranzo, uno o più piatti da condividere. Confermo, anch’io ho rispettato la tendenza, e non perché le porzioni siano scarse. Anzi, le quantità sono ragionate e adeguate a riempire senza appesantire. “Abbiamo pensato a una cucina che sazi con le giuste quantità, ma anche che sia anche golosa. Capita spesso che ci venga chiesto di aggiungere altri assaggi durante il percorso. Molti li dividono solo per la curiosità di provare quel piatto, di assaggiare quel prodotto che magari non hanno mai provato. L’ordine in più è il miglior complimento che ci possano fare!”.

Se esistono realtà come Pierre Trattoria Sartoriale e Soj significa che la ristorazione sta prendendo altre rotte, più vicine alla qualità, più lontane dalle esagerazioni. Merito della dimensione mediatica raggiunta della cucina, sicuramente; merito della sensibilizzazione generale su alcuni temi. Ma il cambiamento del pensiero dev’essere radicale e riguardare tutti, anche chi in questo settore sta dalla parte dei comunicatori.

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