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Giuseppe Marotta

Stadium intervista l’Amministratore Delegato Area Sport FC Internazionale Milano

di Alessio Franchina

Dalla gavetta nell’oratorio del CSI alla dirigenza sportiva nel calcio d’eccellenza: storia, valori, sogni e progetti di una vita dedicata alla passione per lo sport e il calcio.

Potresti condividere con noi una breve panoramica della tua carriera nello sport, i momenti chiave e le sfide che hai affrontato lungo il percorso fino a diventare una figura così influente nell’ambito calcistico? Sappiamo che da giovane hai anche giocato nel CSI: come hai iniziato?

Ho iniziato proprio da un oratorio del CSI; il primo approccio con un sistema ludico-sportivo organizzato è stato quello dell’oratorio di un paesino di Varese che si chiama Avigno, dove ho frequentato le scuole elementari e medie e visto nascere il desiderio di ricoprire in futuro il ruolo di dirigente. Questa aspirazione parte proprio da ragazzino all’interno dell’oratorio, dove, accanto all’aspetto ludicosportivo del gioco, il sogno del dirigente sportivo ha iniziato a mettere radici. Un’altra circostanza favorevole ha coinciso poi con la vicinanza dell’oratorio allo stadio di Varese, dove, in quel momento, la squadra di calcio e quella di basket giocavano ad altissimi livelli. La squadra di calcio era in Serie A e la squadra di basket era ai vertici del mondo della pallacanestro. Questo insieme di elementi ha fatto sì che proprio da lì iniziasse la mia attività dirigenziale nel mondo del calcio, perché, dalla gavetta nel Varese Calcio, sono poi passato a ricoprire vari ruoli fino ad arrivare ad essere direttore generale ed iniziare la mia carriera

Tra l’altro questa carriera dirigenziale è iniziata che eri molto giovane, a 19 anni appena compiuti. Cosa ti ha spinto a dedicarti al mondo dello sport?

Diciamo che c’era innanzitutto una forte attrazione verso il mondo dello sport. E poi ovviamente c’era una grande passione, se vuoi in alcuni casi definita anche un “bacillo”, cioè una malattia, quella devozione che nutri nei confronti della tua squadra, nel mio caso il Varese, che mi coinvolgeva emotivamente perché sapevo di poter far parte di una squadra che rappresentava il mio territorio.

Essendo partito dall’oratorio, immagino tu abbia potuto vivere e assimilare dei valori che poi ti hanno accompagnato in tutta la tua carriera.

Certo. E credo che alcuni valori siano alla base di tutto, anche di questo mondo sportivo che mi ha sempre affascinato. Uno dei miei princìpi ispiratori è stato la passione. Pertanto, è del tutto naturale che qualsiasi cosa facciamo, se vogliamo farla bene, debba essere intrisa di passione.

Oltre a questo, la perseveranza riveste un ruolo fondamentale tra i miei valori. La perseveranza è un potentissimo stimolo, attraverso il quale si superano le inevitabili cadute lungo il percorso. Ci possono essere momenti in cui inciampi e devi rialzarti, e può anche accadere più di una volta.

La perseveranza è il valore che ti spinge a non arrenderti, a non mollare mai, permettendoti di rimanere sempre coinvolto, ma in modo positivo, in tutto ciò che fai.

Quali sono state le esperienze che ti hanno influenzato maggiormente nel corso della tua carriera?

Io penso che nella vita, qualsiasi attività tu intraprenda, ci siano delle circostanze e degli incontri favorevoli.

Probabilmente l’aver incontrato le persone giuste al momento giusto non ha fatto altro che valorizzare questa mia passione. Inoltre, ho trovato, da parte di quelli che in quel momento rappresentavano il “potere decisionale”, la volontà di darmi fiducia, e la fiducia è un’altra componente fondamentale in questo tipo di attività lavorativa. C’è stato quindi l’incontro con la persona giusta, che ha intravisto in me un ragazzo a cui dare fiducia. Da lì è partita la mia vita, nel corso della quale a mia volta ho ricambiato dando questa fiducia ad altri.

Il ruolo di dirigente sportivo implica spesso delle decisioni difficili da compiere: come si fa a scegliere se prediligere i valori umani o la valenza professionale?

Preciso innanzitutto che il mio è un ruolo in cui la componente “missione” deve essere sempre presente. Intendo dire che non potrei mai essere il manager che si occupa solo di numeri e non tiene conto di quelli che sono i valori umani e i valori che contraddistinguono la convivenza tra le persone. Questo fattore, quindi, lo tengo sempre in grande considerazione. Chiaramente gestisco una società che è inserita in una categoria di alto livello, un calcio d’élite dove il denaro gioca un ruolo importante e, quindi, devo far fronte a decisioni che spesso sono legate non solo ai valori umani, ma anche a delle scelte oggettive, manageriali, imprenditoriali. E questo aspetto un po’ mi duole, mi dispiace. Come si fa a coniugare? È necessario essere capaci di armonizzare quello che ognuno di noi rappresenta come valore umano con quella che è la valenza professionale. Non ho mai incontrato persone con valenze professionali che non fossero accompagnate anche da valenze umane, cioè da valori fondamentali nella vita. Ecco, quindi, che coniugare significa saper scegliere le persone, perché una squadra di calcio è composta da tanti attori, dai dirigenti agli allenatori, dai giocatori agli altri membri dello staff: persone con le quali puoi costruire un modello all’interno del quale tutti apportano qualcosa grazie ai propri valori.

Dopo aver portato la Juventus a vincere sette titoli consecutivi in Serie A, hai svolto un ruolo importante nella rinascita dell’Inter, riportandola al successo nella massima serie. Qual è il tuo segreto?

Il mio segreto è quello di saper costruire una squadra vincente, sul campo e fuori, che non è quella sotto la luce dei riflettori, bensì quella composta da persone che sono estremamente preziose per il raggiungimento degli obiettivi sui quali lavorano quotidianamente. All’interno di un’organizzazione ci sono tante figure, dalle più semplici a quelle che hanno maggiori responsabilità, ma l’importante è costruire una mentalità vincente. E mentalità vincente non significa solo raggiungere un obiettivo vincente, ma saper dare il proprio massimo in qualsiasi cosa uno faccia. Questo è il concetto di squadra, di team, il concetto dello stare insieme avendo sia degli obiettivi sia senso di responsabilità e coscienza.

Nel corso della tua carriera, hai assistito a cambiamenti significativi nel panorama sportivo. Qual è la tua opinione a proposito delle recenti novità?

È stato da poco raggiunto un grande traguardo: finalmente l’attività sportiva è entrata nella nostra Costituzione, all’articolo 33, e questo testimonia il riconoscimento dello sport come un fenomeno sociale fondamentale, che deve rappresentare una palestra di vita e che non costituisce solo una crescita fisica ma anche valoriale. Grazie all’attività di base, possiamo costruire quelli che saranno gli uomini del futuro. Fortunatamente, nel momento in cui l’attività sportiva viene inserita nella Costituzione, diventa normale e obbligatorio che lo Stato debba farla funzionare e investire su di essa. La speranza, quindi, è che si cominci a considerarla importante anche nel sistema scolastico, che venga dato sostegno a tutte quelle associazioni che, come il Centro Sportivo Italiano, sono anche veicolo di aggregazione sociale, che si pensi ad investire anche nelle strutture e nelle infrastrutture, perché non puoi fare sport se queste mancano.

Hai svolto un ruolo di rilievo nella gestione di club calcistici di alto profilo, ma conosci anche molto bene lo sport di base, quello degli oratori, insomma del CSI. Qual è, dal tuo punto di vista, il ruolo di questo mondo all’interno del sistema sportivo italiano?

Inizio dicendo che purtroppo, in questo momento storico, anche forse per esigenze di sopravvivenza, spesso per fare attività sportiva bisogna pagare. I giovani, anche nel calcio per esempio, se desiderano svolgere un’attività sportiva presso una società dilettantistica, devono corrispondere una quota mensile. Questo rappresenta l’elemento di sopravvivenza per le società. Se prima ci si avvaleva molto dei partner, adesso non ci sono quasi più attività di sponsorizzazione e, per questo motivo, le società richiedono una quota di partecipazione ai bambini. Così, purtroppo, mettiamo in atto una grande discriminazione, perché ritengo che lo sport a livello giovanile, quindi quello della fascia dai 10 ai 15 anni, debba essere garantito e, se possibile, gratuito. Il sistema scolastico può aiutare a sviluppare questa che, ripeto, è una palestra di vita a 360 gradi, cioè un’attività formativa sia dal punto di vista fisico che per i valori che ognuno si porta dentro. Oltretutto, per un ragazzo sano, l’attività di tutela della salute diventa meno necessaria e quindi diminuiscono le spese sanitarie a carico dello Stato. Nell’ottica di quanto detto, quindi, CSI, parrocchie e oratori svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito del sistema sportivo, in quanto una delle loro missioni fondamentali è proprio quella di far sì che lo sport diventi il luogo non discriminante per eccellenza, sia in quanto ad abilità fisiche che in quanto a possibilità economiche. La grande apertura ai giovani e l’attenzione a chi si trova in condizioni svantaggiate sono tra le prerogative del CSI, che, attraverso l’azione delle società e degli oratori, desidera rendere lo sport uno strumento per tutti. Proprio perché alla base di ogni attività sportiva proposta ci sono i valori universali, l’impegno del CSI è importantissimo perché, da sempre, ha come obiettivo principale l’inclusione, ponendo grande attenzione non solo a chi diventerà un possibile campione dello sport professionistico, ma, e direi soprattutto, anche a chi le sue partite più faticose dovrà vincerle nella vita e non su un campo di gioco.

In qualità di Presidente dell’Associazione Italiana Direttori Sportivi, come pensi che il ruolo dei dirigenti sportivi influenzi la direzione dello sport e del calcio in particolare?

La figura del direttore sportivo si è evoluta rispetto al modello di riferimento iniziale, quello del mecenatismo, cioè quello del presidente che non badava a spese per rendere grande il proprio club. Un esempio di questo modello manageriale per me è stato Giovanni Borghi, allora proprietario della Ignis e appassionato di sport, che a Varese ha creato una polisportiva in cui venivano praticati calcio, pallacanestro, ciclismo e pugilato. Nel momento in cui l’imprenditoria del nostro territorio è venuta meno, e quindi sono venuti meno i cosiddetti mecenati a vantaggio delle multinazionali e delle grandi aziende, è normale che il modello di riferimento abbia subìto cambiamenti, diventando un business moderno e legato alla sostenibilità. Di conseguenza, anche la figura del direttore sportivo si è dovuta adeguare a questo fenomeno. Oggi il direttore sportivo che sa solo di calcio non può far strada; deve necessariamente conoscere bene questo sport, perché il business è sempre quello, ma questa conoscenza deve essere accompagnata da una preparazione a 360 gradi, come per ogni altra attività imprenditoriale. Per fare bene questo lavoro adesso servono managerialità e competenze extra-calcio: è quindi necessario capire e conoscere quali sono gli aspetti fiscali, commerciali e legali dell’attività. Acquisire queste conoscenze implica uno sforzo formativo per far crescere dirigenti che conoscano e siano in grado di affrontare tutti gli aspetti della gestione di una squadra di calcio.

Lo sport può avere un impatto significativo nella società, che va oltre l’aspetto competitivo. Come pensi che il mondo dello sport possa essere impiegato per affrontare le sfide sociali, come l’inclusione, l’integrazione e la lotta contro le discriminazioni?

Il calcio, che si trova alla stregua di tutte le altre discipline sportive, ugualmente meritevoli di rispetto e attenzione, è lo sport più “consumato” e apprezzato dalla gente, quindi è normale che abbia un ruolo fondamentale nel contesto sociale. La peculiarità del calcio poi è che, essendo uno sport di squadra, riesce a coinvolgere bambini, ragazzi e in generale tutta la collettività, veicolando il concetto di gruppo che vince o perde insieme; è quindi anche un allenamento alle fatiche e sofferenze che la vita riserva. La squadra di calcio è forse il primo livello di comunità, quello in cui riesci ad essere parte integrante di un insieme di persone e quindi a condividere, all’interno di questo gruppo, i valori, le cose belle e anche le difficoltà.

Parlo del calcio perché mi riguarda più da vicino, ma penso che i valori descritti, cioè il fare squadra imparando a vincere o perdere insieme, l’allenamento alle fatiche, l’integrazione e la condivisione, siano un comune denominatore che riguarda lo sport in generale e la sua capacità di far fronte alle sfide della società.

I club sportivi possono svolgere un ruolo importante nella formazione dei giovani talenti, così come essere di supporto agli atleti professionisti. Qual è a tuo parere il ruolo dei settori giovanili nei club professionistici?

I settori giovanili dei club svolgono un ruolo fondamentale. A mio parere i grandi club dovrebbero investire sempre di più nello sviluppo di questa attività formativa. Questo significa in primis garantire le strutture adeguate, perché, se mancano le strutture, non puoi fare attività. In secondo luogo, è necessario che coloro che sono preposti ad insegnare abbiano le competenze per farlo, non solo dal punto di vista sportivo ma anche umano, e la competenza la si acquisisce attraverso la formazione e l’esperienza. Dunque, la valenza del settore giovanile in una squadra di calcio è, a mio giudizio, necessaria, indispensabile e obbligatoria.

I valori nello sport sono una componente fondamentale a tutti i livelli. Che importanza hanno nella storia di un grande club come l’Inter?

L’Inter è una società che ha ormai più di 115 anni. Al di là di tutti i cambiamenti che ci sono stati nel corso degli anni, si tratta di un brand che porta dentro valori, emozioni e sofferenze centenarie. La continuità, legata anche all’essere testimoni della propria epoca, deve soprattutto conservare quelli che sono i tratti identitari che hanno ispirato la creazione dell’Inter, i valori che hanno fatto parte dei protagonisti della storia, dei tanti giocatori e allenatori che hanno segnato indelebilmente questo Club. Oggi il compito delle giovani leve è quello di custodire come patrimonio e tesoro non solo il trofeo, ma anche i valori che hanno consentito di conquistarlo.

Siamo in un’epoca di rapidi progressi tecnologici. Come vedi l’impiego della tecnologia nello sport? Credi che possa migliorare l’esperienza dei tifosi e degli atleti stessi?

Lo sport si adegua a quelli che sono i fenomeni innovativi della società. Siamo nell’era della globalizzazione, della digitalizzazione e ora addirittura dell’intelligenza artificiale. Queste innovazioni hanno impattato anche sul mondo del calcio, che sta diventando sempre più scientifico, e la ricerca di dati e informazioni capaci di migliorare le performance di squadra e di ogni singolo giocatore è ormai fondamentale. È questo il calcio 2.0, in cui la tecnologia è diventata imprescindibile per perfezionare le prestazioni sportive. Tra le novità tecnologiche, non possiamo che nominare l’utilizzo di sistemi GPS, che permettono di misurare con elevata precisione diversi parametri relativi agli atleti in allenamento o durante la partita, e quindi di effettuare una valutazione dettagliata del carico esterno a cui il calciatore è sottoposto.

Pensiamo inoltre alla match analysis, che ha dato vita a una vera e propria nuova professione, oppure per esempio ai droni che riescono a riprendere tutti gli allenamenti e permettono di studiare in seguito le immagini e correggere eventuali errori di posizionamento negli schemi durante le riunioni tattiche degli staff tecnici. Siamo parte di un mondo che si sta evolvendo e non possiamo essere presi in contropiede, dobbiamo adeguarci.

Hai avuto esperienze sia nel calcio maschile che femminile. Qual è la tua opinione riguardo all’importanza dell’empowerment femminile nello sport?

Oggi si parla molto di parità tra uomo e donna, ed è evidente che lo sport, che – come detto prima – è un fenomeno principalmente sociale e di aggregazione, debba essere utilizzato come forma ludica di crescita anche dalle donne. Rientra poi nei doveri dei dirigenti aiutare questa crescita. Per quanto riguarda la mia esperienza, nel periodo in cui con il mio collaboratore Stefano Braghin ero alla Juventus, abbiamo avviato il progetto del settore femminile che ancora oggi è uno dei più importanti in Italia. Quando sono arrivato all’Inter, ho avviato lo stesso processo di crescita del movimento femminile nerazzurro e da allora lavoriamo costantemente per potenziare il settore ogni stagione. Oggi siamo orgogliosi di vedere come, accanto ad una prima squadra fatta di professionismo, c’è tutta la filiera di giocatrici che parte dai 7 anni di età e che conta centinaia di tesserate.

Quali sono le differenze principali che hai notato nella gestione di queste due realtà, maschile e femminle?

C’è sicuramente una differenza nella gestione delle due realtà: gli sforzi fisici sono diversi e diverse sono le preparazioni, ma l’approccio e la mentalità sono i medesimi, con gli stessi valori che servono per vincere.

C’è qualche progetto specifico, magari nel mondo dello sport, che desideri realizzare? Cosa ti entusiasma di più riguardo al futuro?

Ad oggi sono una persona felice di quello che ha fatto fino a questo momento. Sono però eternamente bambino, quindi mi pongo sempre dei sogni nuovi. Tra i sogni nel cassetto, mi piacerebbe rendermi più disponibile nel territorio in cui ho messo le mie radici e dove sono cresciuto, per poter mettere la mia esperienza a disposizione del territorio e della comunità.

Come ultima cosa, ti chiediamo un consiglio da lasciare ai giovani, magari proprio pensando al Giuseppe Marotta, appena diciannovenne, che inizia la carriera come dirigente sportivo, o magari ai giovani che ambiscono a diventare atleti professionisti.

La prima cosa che mi sento di sottolineare è l’importanza di avere dei sogni. Bisogna poi avere la capacità di trovarne sempre di nuovi, quando raggiungiamo i nostri obiettivi. Tutto deve però partire da una grande convinzione, una grande umiltà e una grande perseveranza in tutto quello che si fa. Se si applicano queste regole, che sono delle regole di valori, credo che nella vita si possa diventare un vincente da tutti i punti di vista, o comunque una persona positiva ovunque si arriverà e qualsiasi cosa si farà. Alla base, dunque, ci dovranno essere umiltà, perseveranza e coraggio.

Ho iniziato proprio da un oratorio del CSI; il primo approccio con un sistema ludicosportivo è stato quello dell’oratorio di un paesino di Varese che si chiama Avigno
Il mio segreto è quello di saper costruire una squadra vincente, sul campo e fuori, composta da persone che sono estremamente preziose per il raggiungimento degli obiettivi sui quali lavorano quotidianamente
Ad oggi sono una persona felice di quello che ha fatto fino a questo momento. Sono però eternamente bambino, quindi mi pongo sempre dei sogni nuovi
L’impegno del CSI è importantissimo perché, da sempre, ha come obiettivo principale l’inclusione, ponendo grande attenzione non solo a chi diventerà un possibile campione dello sport professionistico, ma anche a chi le sue partite più faticose dovrà vincerle nella vita e non su un campo
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