Alcuni testi - Federico Ghillino (04/2022)

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Alcuni testi

Federico Ghillino

Nelle seguenti pagine:

Ecocup (2016) p3 Poesia d’occasione ambientata al Balla coi cinghiali 2016.

L’unicorno p5 Foodporn p7 da Battuta di caccia (2016) Due testi tratti da una raccolta di sette. Ridiscutono le creature e le atmosfere del mito con l’obiettivo di stanarle e cacciarle, sperando in fin dei conti di capirci qualcosa.

Fratellanza p10 Guardiamoci p11 da Diario di Tobia Fredioce (2016) Due testi di Tobia Fredioce, dedicati rispettivamente all’amico e alla compagna. Tobia e tutti i personaggi che lo circondano sono parte della saga Cronica familiare dei fratelli Miranda e Costante e di molti altri che nulla hanno potuto.

La depressione di Tobia Fredioce p12 da Parabola di Fera Infèri, che volle uccidere ed uccise (2021) Il testo racconta l’amicizia tra Tobia Fredioce e Costante Mai. La Parabola di Fera Infèri è parte della succitata Cronica familiare.

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Ecocup

È un bicchiere di plastica robusta, lo riuso perché voglio bere e bere, ho supersete. Sarà che questa aria di festa mi riempie la testa e gli organi interni: sono liquido, oscillo fluidamente, parlo con domande, risposte e risate per tutti, piovo a grappolo, come una secchiata. Questo bicchiere torna alle labbra, asseconda, dà ragione, scorpora, sublima. Ad un momento sono nella palla, nella bolla dove incrocio, per poco, la mia ex. Non capisco se mi vede oltre la sua vita dopo, cambiata, o se mi guarda oltre, a fondo, dove per me è già troppo sfocato. Sempre caruccia comunque, forse per un secondo la visione è di lei, primo piano, sesso orale: una dimensione olografica, reminiscenza. L'ecocup è riutilizzabile; solo lui però. Lo stringo bene, lo vedo meglio, lo scaglio nel prato, cado per terra, urlo forte di voce propria, trapano il cielo, pianto un fischer, gli altri dicono che esagero ma decido di superarli e mi levo,

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mi isso con un’imbracatura di esperienze difficili da allacciare, scopro una nuova porzione della festa e progetto di esplorarla.

Poi calo inventariando potenzialità ed intuizioni. M’invischio. M’immischio. Progredisco.

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Da Battuta di caccia

L’unicorno

Fu tutto piuttosto normale: scrollandomi forte la testa e frugando fra i loro capelli, trovai dei frammenti del nostro coraggio (un possibile slancio) e senza una strana trovata, così, ne assemblai una granata. – Intanto sentivo qualcosa da fuori, che urgeva, per noi raggiungibile, sì: proiettati: spostai l’attenzione scagliando la bomba. Il muro non resse. Si vide la strada.

(Prima. – la stanza un grigiore –Lui, sul divano, le gambe incrociate e tutto macchiato, oscillava tra «Forse è da fare.» e «Ormai è troppo tardi, lasciamoci stare…» Lei lo acchiappava dai polsi, faceva «Dobbiamo provare!». Ma glielo diceva col viso di un misto screziato, e lui a testa bassa un fulcro sfumato. Lì mi credevo un baleno, ma ero uno squasso di vuoto tonale, perché pensavamo alla vita diversa che avremmo voluto e che forse sfuggiva. Sentii solo allora un odore di bestia.)

(Poi. – un bagliore –Noi tre ci accalcammo alla breccia. Non lo diedi scontato, ma logico sì, che in fondo ci fosse, di là, l'unicorno. Lì per lì ne rimasi confuso perché non trovavo un buon modo di porci: se, in minore, accostarci già a lui

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o se, in attesa di lui, lo eravamo in potenza. Riscosso da questo pensiero lo vidi com'era: non molto, soltanto un cavallo bianco, col corno, col crine arricciato, un po’ sporco di terra, una bestia che sfugge, alla gente sicuro per nulla abituata, destriero a nessuno, un nulla di che.

L'unicorno ci era: figura di noi un po' più in là, ma di poco, ancora incompleti: corretti in postura, andamento e chiarezza. Esercizio meccanico pur sempre inesatto. Una vaga stranezza.)

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Foodporn

Mi accorsi d’improvviso della selva: naiadi pubiche dal pelo chiaro sedevano vicine a bordo vasca; cosce generose; coi piedi in acqua chiacchieravano vivaci, mostrando una certa fluidità; e ridevano. L’oreade dal caschetto color ghiaccio ha invitato tutte a casa, nell’attico in cima al grattacielo; lei ha movenze di grazia e piena urbanità, ha solo il naso un po’ aquilino, però è splendida ha una bellezza montuosa, elegante; (ma io ero mosso da un altro disegno). Vidi la driade frondosa, castani i capelli, gli occhi verdi, vestita della sua rigogliosa nudità; del suo petto era un esubero il seno, fra le braccia un elogio, sgomitante; aveva i piedi un po’ sporchi di terra. L’apostrofai col seguente argomento:

«Signorina, ora mi ascolti con attenzione e sappia che i mutamenti si svilupperanno quando lei sarà distratta da una ninfa. A breve trasmuterò in creatura. Non cada nel panico, è libera di immaginarmi

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con tutta la dovizia della sua fantasia, ma mi conceda l’indefinitezza della forma: è la mia piccola mania estetizzante! Comunque, signorina, che lei riesca a vedermi rinnovato o meno (non è importante), negli istanti seguenti, con un movimento inclusivo della mandibola e la giusta reverenza che comporta la vostra ninfatica bellezza, mi troverò a farvi parte di me, – “inglobarvi” o “fagocitarvi”, se lei preferisce –. Ma non si intimorisca, la consideri una prospettiva di raccolta del dato, non la legga come un barbaro “divorare”: ne avrebbe una visione straniata. In seguito, forse inaspettatamente, con una dilatazione che non sia esuberanza approccerò a questa città e, perché no, al mondo. A quel punto potrò affrontare il riordino volto alla crescita personale ma con punto d’arrivo sconosciuto, o – lo temo, mi creda – una totale dispersione di me e del resto: in realtà un banale “sfuggire di mano” di tutta la situazione. Se considerasse tutto ciò solo una possibilità, beh, le direi che, nel caso, mi permetterei, ma nel concreto dei fatti è certo: mi permetterò. Odierei però risultarle tracotante, la invito a tenere presente, signorina, che la mia sicurezza ha tappe stringenti

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e passa inevitabilmente attraverso di lei.

Lei, che sarà la prima, per pura vicinanza, le assicuro, non è una questione personale, in questa scelta non si misura il suo valore: la sua specificità e quella delle sue amiche è materia da trattare in altra sede.

Mi guardi signorina, non sia pudica e non ancheggi con fare ancillare: il successo di questo progetto si fonda su una sua disattenzione. Ora la nereide la chiama. Inizia il processo. Enchanté, signorina. È stato un piacere.»

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Fratellanza a Costante

Quando tornavamo a casa col mio amico mi stringevo sempre nella giacca.

Lo pungevo dove potevo trovarlo: negli occhi suoi, lucidi tanto che c’erano dentro anche i miei, di sempre, languidi. Mentre lo guardavo lo schernivo: «Ma tu che cazzo fai?»

Lui mi diceva che scalciava e si dimenava divertito. Vivo. «Io scalcio!» E rideva. A me metteva tanta tristezza perché lui ci credeva davvero di scalciare ma in realtà era solo, solo uno che annaspa. E quindi anche io ridevo e lo abbracciavo forte e gli dicevo: «È vero amico mio, ma non preoccuparti, ora è meglio andare a dormire.»

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Guardiamoci a Cortana

Che bella questa storia di noi, Cortana. Che tanto piccola è perché tanto piccoli siamo. Così piccoli che in mezzo a tutti: solo noi. Tu cerchi e cerchi ma poi cosa cazzo vai cercando? Che sicuro niente sai, di poter trovare. Allora soltanto siamo, noi, appunto, eccoci. E quindi ci chiudiamo col parlare fitto fitto a fare muro e tu cerchi e cerchi e solo verbi trovi. Tanto tutto è troppo, introvabile, un trambusto di niente, tranne noi. Ma non noi due due, noi soli dico, come viandanti, di notte, persone in una piazza, due per caso, appena arrivati su una spiaggia. Gente inferma. Gente che viaggia.

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da Parabola di Fera Infèri, che volle uccidere ed uccise

La depressione di Tobia Fredioce

Ha dato una svolta letteraria alla sua vita, Tobia. Cortana ha cambiato tante cose in lui, l’uso di “chiaro”, l’intonazione, alcune perifrasi ma soprattutto la voglia di uscire di casa, passare del tempo con gli altri e «non piangere come hai fatto per mesi». L’ha messo in croce la morte di Miledi. A salvarlo Cortana, ma senza volere, è successo per caso e poi la caducità è pur sempre una certezza. È una piccola ragazza che scrive fantascienza, nulla di serio per stare bene, comunque – Firenze si presta alla sua angoscia liturgica, da passeggiate notturne, scrosciando col fiume su un parapetto di pietre a secco. Ha strascritto della moglie, per molto non ha pensato che a lei, ha lasciato una pozza di vomito a terra. Che schifo. Non riesce a entrare in confidenza col suo stato di vedovanza.

Ha conosciuto Costante a Milano Centrale non si parla a nessuno lì se si deve andare ma andare dove poi, lui che ormai non aveva posti nel mondo. In stazione ci ha dormito per giorni, non sapeva perché, non poteva fare altro. In mezzo a tutti che vanno

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ha pregato una spinta. È arrivata. Guardalo rubizzo dal freddo lo sciocco Costante lui che non sa niente e non pretende se non che ci sia ancora qualcosa da sapere. Il suo dramma non è per lo stato, di quello si occupa egregiamente la sorella, dove l’ha portata la sua passione per le armi! Non riusciva a vedersi senza un grilletto da premere. Costante Mai non ci ha riflettuto ma con sua sorella non ha proprio nulla da spartire. Tobia Fredioce trovò un amico Costante un compagno. E via insieme.

Però le cose vanno sempre poco bene se le osservi con riguardo. Loro due parlano e si dicono fratellanze da amici, si perdonano se mai si siano fatti del male. Cortana non c’entra, nemmeno quella pazza di Diletta. Di due sorelle non ne abbiamo una buona. Chissà dove sarà Diletta adesso. Forse pure lei a imbracciare un cannone. Costante, comunque, parte – Firenze S.M.N. ronzio del rimbombo dei megafoni, i treni urlati fanno tragitti stranamente confortevoli. Costante parte comunque, malgrado l’amore di Tobia che gli fa una domanda sola per chiudere, un questione partita a Centrale. «Costante ma tu che cerchi cerchi, e sali su treni e parli a persone e interroghi e ti fai ingannare, e poi ciarli di cose che non conosci nemmeno e vuoi ancora più umanità nell’altro e allora ancora, persone,

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e giri e situazioni e scossoni alle transenne per riuscire a passare, salti ai tornelli e corse a volte fughe ma da chi poi, dalle GALS? Dalle femministe? Non ho ancora capito tu da che parte stai, ma soprattutto, tu che cerchi cerchi, ma infine, ma tu, ma cosa cazzo vai cercando?»

Costante risponde con la mano ma non si capisce bene il gesto. È come se qualcuno lontano salutasse sperando di tornare presto.

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Questa piccola autoantologia è stata redatta nell’aprile 2022.

federicoghillino@gmail.com

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