17 minute read

Il pedone, dal viadotto alle greenway.

Figure architettoniche del suolo per camminare in città, 1960-2015

di Zeila Tesoriere

Advertisement

Fra la ne dell’Ottocento e i primi anni del Novecento abbiamo smesso di camminare. O meglio, abbiamo smesso di camminare spontaneamente in una città pensata per tutti i modi di circolazione. Il pedone e la marcia urbana sono da allora all’attenzione costante del pensiero sull’Architettura della città e, sempre di più, elemento centrale delle politiche di trasformazione urbana. La Rue de l’Avénir , l’imponente trottoir roulant realizzato in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 1 , è rappresentativa, sia nel nome che nelle pratiche che introdusse, della proiezione sul pedone di un immaginario collettivo in cui interagiscono l’idea di progresso, i modi di fabbricazione e consumo degli spazi urbani, nuovi orizzonti politici e di investimento economico. Mai più dissociata dal pedone, questa proiezione simbolica ha segnato più di un secolo di progetti e proposte, ed è certamente possibile leggere le fasi successive dell’architettura della città europea del Novecento attraverso il rapporto fra il pedone e la strada. In questa prospettiva, l’articolo pone l’ipotesi che la peculiare condizione contemporanea di tale rapporto non sia un’integrale novità, ma l’aggiornamento di un tema indicatore dell’evoluzione del ruolo della maglia viaria, infrastruttura di base dei fatti urbani. Centrando l’attenzione sull’inizio della pedonalizzazione, nei primi anni Sessanta, l’articolo discute in un’ottica comparativa e genealogica gli aspetti fondanti del metodo e delle scelte formali dei progetti apripista di Jan

1 Su progetto degli architetti Joseph Lyman Silsbee e Max E. Schmidt Schmidt, il marciapiede mobile di Parigi, ad alimentazione elettrica, su viadotto a 7 m dal suolo, lungo un circuito di 3,5 Km, su tre livelli e a tre velocità diverse, riprendeva il primo progettato dagli stessi autori alla World Columbian Exposition di Chicago del 1893. La piattaforma più veloce, a 8 km orari, completava il perimetro dell’Esposizione in 26 minuti. Le cronache dell’epoca riportano che nel pomeriggio del giorno di Pasqua del 1900 la rue de l’Avenir trasporto più di 70.000 pedoni.

The pedestrian, from viaduct to greenway. Architectural ground designs for walking in the city, 1960-2015

by Zeila Tesoriere

Like every street, a pedestrian street is an infrastructure that references the collective imagination, in which the idea of progress, construction methods and the spaces of urban landtake, new political horizons and economic investment all interact.

Within a framework in which the next phase in the architecture of twentiethcentury cities may be read through the relationship between pedestrian and street, the article contends that the contemporary condition of this relationship updates a theme indicative of the evolving role of the street grid. Focusing attention on the onset of pedestrianisation in the early 1960s, the article relies on a comparative and genealogical approach to discussing the pioneering projects of Jan Gehl in Europe and Lawrence Halprin in the United States, illustrating the innovative gures of architectural design they introduced, following the architectural styles of the 1950s. Shifting the focus to particularly signi cant contemporary projects, the article shows how they update these architectural gures. In conclusion, the paper discusses the as-yet unexpressed potential of the rst era of pedestrianisation, and the disciplinary themes it implies.

Nella pagina a anco, in alto: la Rue de l’avenir, marciapiede mobile meccanico ad alimentazione elettrica, Parigi, Esposizione Universale, 1900 (Fonte: Bibliothèque Nationale de France_BNF); in basso: Paul-Henry Chombart de Lauwe, « Cartographie des déplacements quotidiens d’une étudiante dans Paris (géométrie existentielle) », 1952 in : Introduction à Paris et l’agglomération parisienne.

1 - Jan Gehl, mappaggio delle pratiche di seduta, attesa e stazionamento lungo la strada di Strøget, Copenhagen, febbraio 1968. (Fonte: https://gehlpeople.com/

2 - Studenti del corso di Landscape Architecture, University of California, di Lawrence Halprin e Robert Perron, Partitura (score) del tragitto da San Francisco a Sausalito, 1962, in Cities , pp. 208209.

Gehl in Europa e di Lawrence Halprin negli USA, mostrando le innovative gure della composizione introdotte da questi progetti, in linea con l’architettura degli anni Cinquanta. Spostando poi l’attenzione su progetti contemporanei di particolare rilievo, l’articolo mostra come essi aggiornino tali gure architettoniche. In conclusione, si argomenta come le potenzialità ancora parzialmente inespresse della prima stagione della pedonalizzazione e i temi disciplinari che esse implicano, evocano o invocano siano particolarmente rappresentative della produzione culturale collettiva con cui oggi l’Architettura si confronta, essendone al contempo in uenzata ed arte ce.

Il ricco guida, il povero cammina

Quando, nel 1961, Jan Gehl iniziò a mappare le abitudini dei pedoni di Copenhagen, a supporto della sua ipotesi di trasformazione pedonale delle arterie carrabili, il contesto di riferimento era, al contrario, vigorosamente orientato al potenziamento continuo dell’automobile in città.

Crescita diproduzione, diffusionee consumo dei beni, accelerazione e spostamenti automobilistici individuali incarnavano l’idea di progresso negli anni del boom economico. La distinzione fra i ussi veloci degli automobilisti e i lenti tratti brevi di chi camminava a piedi materializzava una differenza fra le classi sociali agiate e quelle subalterne che, nello stesso 1961, Lewis Mumford sintetizzava così :“Il ricco guida, il povero cammina” 2

2 “… with the development of the wide avenue, the dissociation of the upper and the lower classes achieves form in the city itself. The rich drive; the poor walk. The rich roll along the axis of the grand avenue; the poor are off-center, in the gutter; and eventually a special strip is provided for the ordinary pedestrian: the sidewalk. The rich stare; the poor gape…” Mumford, Lewis, The city in history: its origins, its transformations , and its prospects, New York, Harcourt, Brace & World, p. 370.

All’incrocio fra gli urban studies e la psicologia dello spazio, il metodo sperimentato da Gehl si fondava su osservazione e rilevamento degli usi comparati nel tempo sugli stessi luoghi urbani. Rapidamente nutrita da riconoscimenti critici e disciplinari, la ricerca di Gehl lo aveva posto già nel 1962 come inuente consulente per le nuove politiche urbane, dapprima in Danimarca, poi in ambito internazionale. Attraverso il suo contributo si giunse in un solo anno alla prima pedonalizzazione europea, quella dell’antica strada di Strøget, a Copenhagen. Nel 1962, tale scelta politica si pose come pioniera, contribuendo ad un progressivo rovesciamento della percezione sociale del camminare in città, dimostrando l’attivazione di dividendo relazionali e di benessere collettivo, oltre a quelli economici legati alle funzioni commerciali presenti sull’asse pedonale.

A lungo consulente della municipalità di Copenhagen, Gehl condusse i suoi studi sugli usi pedonali di Strøget sino al 1968, de nendo quell’approccio come la base dei public space studies

Alla sua prima ora europea, la pedonalizzazione si mostrava come un atto ideologico e di governo, più che di progetto. La chiusura ai veicoli dell’antico asse centrale di Copenhagen si era infatti compiuta prima di tutto attraverso la normativa. Solo molti anni dopo intervenne il progetto, trasformando i materiali del tracciato viario, introducendo nuova segnaletica e arredo urbano.

Annotation : punti, linee, super ci

Orientate all’interpretazione dell’uso dei luoghi, più che alle trasformazioni progettuali, le prime ricerche di Gehl registravano meticolosamente gli spostamenti e i punti scelti dai pedoni per soffermarsi, attendere, sedersi. Le planimetrie si arricchivano di punti, linee, grappoli e rami cazioni, annotazioni che somigliano alle mappe delle derives situationnistes 3 e vanno viste in prospettiva rispetto all’importanza che l’approccio compositivo fondato sull’uomo in marcia aveva svolto nei dieci anni precedenti e per il Team Ten. L’interesse per la geogra a umana e la psicologia urbana negli anni Cinquanta trasfe- risce in Architettura i rilievi diretti dei modi d’uso degli spazi. Le carte psicogeograche di Chombart de Lauwe e poi di Débord avevano tenuto in conto solo l’uomo che camminava nella metropoli, senza alcuna attenzione all’automobile. Annotando le derive, esprimevano con punti, linee e frecce un modo di abitare lo spazio urbano tutto riassunto nella marcia del pedone, mirando all’identi cazione di unité d’ambiance intese come luoghi urbani omogenei per uso e capacità di in uenzare affettivamente chi vi si trovasse 4

3 Nel 1952 viene pubblicato Introduction à Paris et l’agglomération parisienne , in cui Paul-Henry Chombart de Lauwe restituisce la socialità relazionale di una metropoli (Parigi) attraverso le carte psicogeogra che. Cfr : L’Espace social dans une grande cité , 1952-1964, Paris, PUF, 1952.

Già dal 1951, con il progetto di concorso per Golden Lane a Londra, e per i quasi vent’anni successivi, Alison e Peter Smithson espressero una nuova idea di architettura urbana a partire dall’idea del pedone in movimento. In cammino su ballatoi sopraelevati, l’a- bitante in marcia inscriveva nel progetto il proprio andamento discontinuo e aleatorio attraverso segmenti e punti, che avrebbero dato posizione agli edi ci residenziali. Disposti su impianti a stelo o a grappolo (stem e cluster) 5 , secondo nuovi schemi organici e

4 - Lawrence Halprin, Partitura (Score motation) del movimento dei pedoni in Nicollet Avenue e realizzazione del Nicollet Mall, Minneapolis, 19621966.

5 - Nella pagina seguente: Big, Topotek1, Super ex, Superkilen, planimetria con situazione e dettaglio dei 108 oggetti identitari di arredo urbano. Copenhagen, 2007-2012.

5 Dominique Rouillard traccia la genesi architettonica dello Stem e del Cluster nella teoria e nel progetto degli anni Cinquanta in:“La théorie du cluster : généalogie d’une métaphore”, in Fayolle-Lussac, Bruno; Papillault, Rémi, Le Team X et le logement à grande échelle en europe: Un retour critique des pratiques vers la théorie, Pessac : Maison des Sciences de l’Homme d’Aquitaine, 2008 Disponibile sur Internet : https://books.openedition.org/msha/10255?lang=fr L’articolo sviluppa alcuni temi introdotti in Rouillard, Dominique, Super aperti, gli edi ci vennero posizionati tenendo conto tanto dei tragitti che delle pause e dei cambiamenti di direzioni legati ad incontri possibili, piccoli servizi collettivi, azioni di cura domestica quotidiana.

Il pedone postmoderno dismette quindi la traiettoria assertiva e ininterrotta dei lunghi ponti pedonali della Gro ß stadt funzionalista di Ludwig Hilberseimer del 1924, o del Plan Voisin che nel 1925 Le Corbusier intitola all’industriale automobilistico che ne è ilnanziatore, ma non torna a camminare sul suolo stradale. Nei primi anni del secondo architecture. Le futur de l’architecture. 1950-1970 , Paris, Éditions de la Villette, 2004 . dopoguerra le annotazioni psicogeogra che hanno descritto città solcate da viandanti metropolitani, mentre l’architettura sovrapponeva un nuovo strato sopraelevato alla città sottostante, pensato dagli Smithson come un villaggio brutalista per incoraggiare le relazioni di quartiere, le azioni di prossimità e gli incontri. In nessun caso però pedone e automobile avrebbero dovuto incontrarsi: nessuno di questi progetti immagina di rallentare o ridurre il traffico veicolare che, anzi, è libero di svolgersi al di sotto sempre più intensamente e determinando estensioni sempre maggiori della forma urbana. La città al piano del suolo è pensata per l’automobile, e lo resterà ancora a lungo.

Score Motation: partitura per corpi in movimento

Negli stessi anni in cui in Europa le ricerche di Gehl davano luogo alla prima pedonalizzazione, con la chiusura di Strøget ai veicoli, un’intensa trasformazione culturale era in corso oltreoceano, dove Jane Jacobs condu- ceva già dal 1955 le sue battaglie contro le autostrade urbane sopraelevate e a difesa di una qualità della vita cittadina garantita in primo luogo dalla mixité di funzioni lungo la strada e i suoi marciapiedi 6

In questo stesso contesto, tto di scambi con l’attivismo civico e la psicologia dello spazio, si de nì l’approccio di Lawrence Halprin, che condusse nuovamente il pedone a camminare al livello del suolo urbano in spazi progettati secondo un approccio radicalmente innovativo. Come Jan Gehl fece con la psicologa Ingrid Gehl, Lawrence Halprin de nì il proprio approccio attraverso il sodalizio con la coreografa Anna Schuman. Affiancare Anna nella scrittura delle coreogra e, condividere la scena artistica newyorchese degli anni Cinquanta, partecipare alle perfomance, permise a Lawrence Halprin di sperimentare per un decennio l’importanza del dinamismo nella fruizione collettiva degli spazi urbani e lo iniziò alle modalità annotative della coreogra a, molto vicine a quelle contemporaneamente utilizzate da Jan Gehl in Olanda.

Nel 1963, uno dei capitoli conclusivi di Cities si intitola appunto “Coreography”. Nel volume, riccamente illustrato, Halprin fa seguire i suoi progetti a capitoli dedicati ai modi d’uso degli spazi aperti nelle città storiche e in particolare italiane, e ad alcuni esiti didattici dei suoi corsi di architettura del paesaggio, di cui pubblica le annotazioni ( score ) degli studenti per descrivere i siti di intervento. È il metodo che Halprin usa per i suoi progetti di quegli anni, no all’incarico ricevuto nel 1962 per la pedonalizzazione della Nicollet Avenue a Minneapolis. In questo progetto, l’annotazione del movimento e degli usi lungo la strada esistente ebbe un ruolo determinante nella trasformazione curvilinea del tracciato carrabile al centro dell’asse, lungo otto isolati. Il tema pittoresco del dinamismo della veduta garantito da un pro lo stradale arcuato si unì all’obiettivo di rallentare i veicoli e all’introduzione di molte nuove pratiche dello spazio aperto, a consolidamento dei dati rilevati sulle preferenze dei fruitori per i luoghi di sosta, di attesa, attraversamento. Il progetto prevedeva l’asfalto nella parte carrabile e la pietra lungo i due ampi bordi pedonali. Per la prima volta, le larghe fasce sinuose vennero suddivise in bande contigue, immaginando che la marcia a piedi determinasse un usso pedonale, da svolgersi prospiciente gli ingressi degli edi ci commerciali e di servizio per incrementare la vita di quartiere e gli usi di prossimità, ancheggiata da una fascia per le soste e le altre attività con vegetazione, sedute, fontane, illuminazione e segnaletica, progettate in maniera omogenea e coordinata. L’idea di una strada per pedoni in sede propria ma al suolo, prossima a quella carrabile ma protetta con gli stessi dispositivi usati nei giardini (vegetazione arborea e arbustiva, leggere variazioni di quota, tralicci e oriere trasformati in architetture effimere e dissuasive) evolve in modo particolarmente chiaro nell’opera di Halprin con il progetto dello Skyline park, a Denver (1972-1975). Lungo i tre isolati oggetto dell’intervento la carreggiata è spostata su un lato, ricavando una fascia larga circa 30 m. sul fronte opposto. Questa è trasformata in percorso pedonale attrezzato, impostando il piano di calpestio poco più in basso della quota carrabile e costruendo delle quinte architettoniche di schermatura con gradoni, sedute, vasche e fontane, fondali alberati. Al di là della scelta narrativa di riprendere palette cromatica e specie vegetali delle grandi aree naturalistiche del Colorado, il progetto costituisce un vero e proprio frammento di parco urbano lineare, in cui i pedoni potevano non solo camminare ma, più in generale, fruire di una dotazione di nuovi luoghi urbani per azioni collettive e condivise, dal gioco libero al teatro e al cinema all’aperto.

6 Jacobs, Jane, The death and life of great American cities , New York, Vintage books, 1992 (ed. or. 1961) p. 28. In particolare, tre dei cinque capitoli della prima parte del libro sono dedicati ai modi d’uso dei marciapiedi e all’impatto che questo ha su vitalità e vivibilità delle grandi città.

Il pedone in fuoriscala

I molti anni intercorsi rispetto ai progetti rievocati hanno segnato un letterale capovolgimento dell’accezione e ricezione della pedonalità, tanto come politica che come pratica urbana.

All’incrocio fra le preoccupazioni salutiste, la necessaria riduzione dell’inquinamento da polveri sottili, l’anelato ritrovamento di una dimensione di quartiere anche nelle metropoli, la strada pedonale è oggi investita di simbolismi opposti a quelli sintetizzati da Mumford nel 1961. Nuovo status symbol urbano, indispensabile al riposizionamento delle città come attrattori di popolazione e capitali nell’era della sostenibilità, la strada pedonale si è impadronita di questo ruolo attraverso la contaminazione con la precedente stagione dei progetti strategici di rigenerazione legati ai waterfront, associati ai grandi eventi o trainati dall’ammodernamento delle infrastrutture pesanti 7 . Sempre più difficilmente distinguibile dal parco urbano lineare, la strada pedonale è oggi spesso un progetto complesso per dare sede propria a diverse mobilità lente, che associano al ciclabile i monopattini elettrici e le altre forme di spostamento individuale lento e a emissioni zero. Capace di estendere l’appealing turistico anche ad aree periferiche o periurbane, la pedonalizzazione si è confermata leva di notevole rivalutazione del mercato fondiario e delle rendite nelle aree trasformate, ulteriore fattore a supporto della moltiplicazione di queste occasioni di progetto.

7 Tangente ma sovradimensionato rispetto al presente articolo, l’argomento rinvia almeno alle strategie di intervento affermate in Europa a partire dalla rigenerazione del waterfront di Barcellona città olimpica nel 1992 e, anni dopo, affinate con l’interramento delle autostrade o delle linee ferroviarie urbane, sostituite in quota da parchi lineari per il passaggio all’AltaVelocità. Cfr Trasporti & Cultura nn. 36, 37, 38.

Alcuni caratteri comuni ai progetti contemporanei mostrano differenze signi cative rispetto ai primi esempi, tanto nell’impianto e nella scalarità che nell’approccio e nel metodo compositivo.

Un riferimento eloquente per valutare l’evoluzione del tema è l’opera attuale dello stesso Jan Gehl, che dopo essere stato a lungo esperto della municipalità di Copenhagen 8 , ha fondato nel 1997 Gehl Architects. Grande network di specialisti in politiche urbane di pedonalizzazione, lo studio è oggi il principale interlocutore di tutte le grandi metropoli mondiali impegnate nell’inserimento di fusi pedonali nella propria armatura urbana in un’ottica sostenibile 9 . Dal Brasile agli USA, alla Cina, Gehl Architects affianca le istituzioni nell’individuazione delle aree, degli obiettivi di trasformazione, delle strategie di nanziamento, dei dispositivi e morfologie di progetto. Il gigantismo delle opere, proporzionale a quello dei dossier elaborati, è indicativo degli interessi politici ed economici ormai legati agli interventi.

È signi cativo in tal senso cogliere questo slittamento nella stessa Copenhagen, attraverso alcuni temi posti dal pluripremiato Superkilen 10 , progetto di ciclopedonalizzazione su concorso indetto nel 2007 dalla municipalità e nanziato dal fondo privato Realdania 11 , in partenariato pubblico-privato, con

8 Durante gli anni dell’insegnamento universitario presso la Royal Academy School of Architecture, Gehl ha sempre utilizzato Copenaghen come laboratorio progettuale, fornendo in consulenza le proprie ricerche alla municipalità. Tale dialogo incessante fra Università e Istituzioni ha posto la pedonalizzazione come strategia elettiva di rigenerazione della città per più di cinquant’anni, rendendola un riferimento in Europa. Dal 1962, la super cie pedo-ciclabile di Copenaghen è talmente incrementata che nel 2005 pedoni e ciclisti hanno superato gli automobilisti. Già fra gli anni Ottanta e Novanta, stradeepiazze pedonali sono diventatechiavi di rigenerazione delle aree periurbane, emancipandosi dalla questione della gentri cazione turistica implicata dagli interventi circoscritti ai soli centri storici e intervenendo su sistemi concatenati di spazi in abbandono a cavallo fra aree e morfologie diverse della città.

9 Cfr. https://gehlpeople.com/ (27.10.2022).

10 Superkilen è stato nalista per il Mies van der Rohe Award, per l’ULI Award of Excellence, ha ricevuto il Red Dot Best of the Best Distinction, l’AIA Honor Award, l’Architect Magazine Urban Design Award, l’International Olympic Committee Gold Award, il BDLA Prize, il Civic Trust Award, l’IEDC Excellence Award, l’ArchDaily Best Design Award e l’Architizer A+ Award.

11 Realdania è un fondo privato danese di nanzia- un budget di 13,4 milioni di euro. L’intervento si situa nell’ambito più ampio della rigenerazione del quartiere periurbano settentrionale di Nørrebro 12 , interessato da questioni congiunte di obsolescenza, degrado sociale, criminalità, caratterizzato da una secolare presenza multiculturale e multiconfessionale, in cui risiedono attualmente abitanti di più di 60 etnie diverse.

Il concorso prevedeva la trasformazione ciclopedonale di una sequenza di spazi aperti e in abbandono, estesa poco meno di un chilometro, per un totale di circa 30.000 mq, con l’obiettivo di saldare la rigenerazione urbana a quella socio-economica e proponendo uno spazio urbano innovativo, di calibro internazionale e di ispirazione per altre pratiche simili 13 .

Opera coordinata degli architetti, paesaggisti e artisti Big (Bjarke Ingells) Topotek 1 e Super ex, vincitori del concorso, il parco è esito di un lungo processo partecipato e ampiamente mediatizzato che ha coinvolto gli abitanti nella scelta di 108 oggetti urbani “identitari”, legati ai loro luoghi di origine e oggi disseminati lungo le tre aree, intese come wunderkammer all’aperto per l’esposizione di una raccolta iperrealista di gadget urbani globali. In effetti, l’operazione sacri ca molto dell’idea del parco inteso come area verde a quella del parco come luogo dell’ urban entertainment . Articolato in tre parti distinte: Red square; Black market; Green park , Superkilen destina solo il 55% delle sue aree al suolo naturale. Il grande impiego del colore e il trattamento dei suoli come super ci gra che o tipogra che ha determinato una forte presenza di asfalto, potenziato con poliuretano e inerti colorati con toni compresi fra il fucsia e l’arancione nella Red square , o dipinto con strisce bianche a contrasto nel Black market . A dispetto dell’estesa divulgazione che lo propone come exemplum, Superkilen sembra indifferente alle evidenze scienti che circa la capacità del suolo naturale a manto erboso di catturare anidride carboni- mento per opere urbane ed architettoniche, derivato nel 2000 dalla fusione della RealKredit Danmark con la Danske Bank. Dotato più di due miliardi di euro in capitale, è in partenariato con la municipalità di Copenhagen dal 2004 ed è stato fra l’altro il nanziatore di Your Rainbow di Olafur Eliasson, The Blue Planet, nuovo acquario di Copenaghen, del polo multifunzionale BLOX, sul sito del dismesso birri cio della città, su progetto di Koolhaas-OMA.

12 Il piano, interamente co nanziato da Realdania, prevedeva inoltre gli interventi di Nørrebrohallen e del DSB Arealet (poi chiamato Mimersparken).

13 https://www.dezeen.com/2008/10/05/suk-projectby-big-architects/ ca in ambito urbano, all’impatto dimostrato dell’impermeabilità dei suoli sulle capacità idrogeologiche dei terreni e sulle isole di calore, alle difficoltà di ambientamento delle specie vegetali scelte nel microclima danese, come le palme windmill della Cina orientale o il cedro del Libano.

Scena urbana con pedone altrove

Nel 1962 la trasformazione di Strøgget si era compiuta a costo zero, consistendo nell’eliminazione degli autoveicoli per consolidare usi pedonali spontanei dell’asse stradale, rilevati da un’appassionata descrizione annotativa. Il Nicollet Mall o lo Skyline Park di Halprin affiancavano un nuovo ambiente urbano pedonale e di prossimità alla carreggiata, derivando dispositivi architettonici da comporre alla scala umana del corpo in movimento da un metodo progettuale interessato ai legami fra i modi d’uso e gli spazi. Il confronto con i progetti monstre di pedonalizzazione contemporanea evidenzia, in primo luogo, come oggi essi prescindano dalla dimensione connessa allo spostamento a piedi, per de nire spazi urbani risolutamente orientati ai nuovi imperativi sociali,fra cui spiccano la fotogenia e l’esibizione ritualistica della cura del corpo nel tempo libero. Rappresentativo di molti progetti simili 14 , Superkilen è un lungo asse di attraversamento che il pedone condivide, paradossalmente, a fatica con le altre mobilità lente, in cui la logica della trama di connessione di quartiere slitta in secondo piano e che si pone piuttosto come grande attore nella narrazione mediatizzata della sostenibilità ambientale metropolitana.

Il gigantismo e l’imponenza dei nanziamenti ormai associati a questi progetti di pedonalizzazione mostrano, da un lato, che le strade per i pedoni sono, come tutti i tracciati viari, non aste che connettono poli, ma sempre luoghi urbani capaci di supportare una grande varietà di pratiche, approcci e immaginari. Al tempo stesso, il sovradimensionamento rispetto all’intervallo di spazio e tempo associato allo spostamento a piedi mostra la difficoltà di produrre un reale innervamento trasversale di prossimità delle nostre città con questi interventi.

L’evoluzione delle gure compositive intro- dotte nel tempo dai progetti dà conferma nelle forme del progetto dell’abbandono progressivo di tale obiettivo. Linee, punti, stem , cluster , elaborate negli anni Sessanta attraverso un pensiero fortemente orientato all’esperienza sica del corpo che cammina nello spazio, erano di scala contenuta, con prevalenza di corti segmenti in forte interrelazione, per comporre impianti a stelo grappolo, arcipelago. La trama avrebbe potuto evolversi riportando il pedone al suolo e sovrapponendo una nuova rete capillare e di mobilità pedonale, capace di assicurare percorsi impossibili in automobile. Tali gure si sono invece contratte in un’unica linea continua estesa a scala urbana o addirittura territoriale, in cui si affiancano larghe fasce destinate a varie forme di mobilità. La frequente disposizione di questi interventi in sostituzione di arterie carrabili, linee ferroviarie urbane o lungo i riverfront e i waterfront, senza edi ci ai bordi, non rende praticabile gli usi di prossimità (piccoli commerci, ristorazione, servizi) che incoraggino la fruizione di quartiere su corte percorrenze. Oggi questa proiezione simbolica manifesta l’avvenuta integrazione del rapporto fra pedone e strada nel marketing urbano, unendo di fatto desideri e ambizioni collettivi, relativi al nuovo paradigma del progresso sostenibile, agli interessi economici e di governo che lo intercettano. Lo sportivo e il turista sostituiscono il pedone nei grandi interventi pedonali contemporanei, che paiono trasposizioni delle greenway e parkway, che già negli anni Trenta del Novecento Robert Moses proponeva per i bordi dell’Hudson a New York, in cui le mobilità dolci siano il surrogato di quella veicolare.

14 Sub nota 8, cfr. per esempio in Europa Madrid Rio , (Burgos & Garrido, Porras La Casta, Rubio & A-Sala, West 8), in USA il Rose Kennedy Greenway a Boston.

L’eredità di Halprin e dei primi progetti di Gehl mostra potenzialità ancora esprimibili non solo nella multiscalarità che potrebbe derivare dall’interazione fra gure di grande e piccola scala, linee e segmenti, fusi lineari e trame capillari, ma anche nella forte prevalenza del suolo libero e coperta da manto erboso rispetto alle pavimentazioni, pur drenanti, e dalla capacità di confrontare quest’occasione di progetto con le nuove s de di un’architettura a cubatura zero che rinunci de nitivamente all’asfalto.

© Riproduzione riservata

This article is from: