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Le mille strade
di Giandomenico Amendola
La strada è da sempre il mezzo per spostarsi da un punto all’altro della città ma anche e soprattutto è lo spazio pubblico per eccellenza. È il luogo destinato come la piazza ad incontri, contatti, conversazioni e trattative. È la strada la protagonista della famosa satira “ Ibam forte Via Sacra… .”in cui Orazio racconta il suo incontro con uno scocciatore avvenuto mentre percorreva la Via Sacra. Luogo di incontri ma anche, e da sempre, spazio per attività commerciali, per botteghe artigianali per punti di ristoro. Ancora oggi molte sono le strade delle città storiche europee che portano nei loro nomi i ricordi delle attività commerciali che ospitavano: via dei guantai, degli ore ci, dei fabbri o dei calzolai solo per citarne alcune. È a partire dal Rinascimento che molte strade vengono programmate sulla base delle loro funzioni. Vi sono, per esempio, quelle realizzate più ampie per le carrozze o volute così anche per motivi estetici e simbolici visto che ancheggiano palazzi importanti. Sono le strade considerate monumentali anche per la loro immediata capacità di narrare il potere, la ricchezza o la fede. Nasce la gerarchia viaria ancora oggi perno delle città e delle metropoli contemporanee.
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È nell’Ottocento che la strada subisce una radicale trasformazione: è quando appare la “città nuova”, prodotto e simbolo della modernità. La città si ingrossa e si trasforma sotto la spinta dell’immigrazione e di una esponenziale crescita demogra ca, della comparsa della fabbrica e soprattutto del progresso scienti co. Con Haussmann, l’inventore della nuova Parigi, simbolo indiscusso del nuovo secolo, uno degli imperativi che guida il “piccone creativo” del prefetto della Senna riguarda la strada. C’è in primo luogo quello di assicurare la mobilità in una metropoli che con la propria crescita ha creato le periferie dove ha di fatto deportato gli abitanti delle case abbattute nei quartieri centrali trasformati. La metropoli sempre più grande non può vivere senza adeguati stru-
The thousand streets
by Giandomenico Amendola
The street has always been the means to move from one place to another of the city, but it has rst and foremost been the public space par excellence. A meeting ground and since time immemorial, a space for commercial activities, artisan workshops and refreshment spots. Many streets in historical European cities still carry in their names the memory of the commercial activities they once hosted. In the nineteenth century, the street underwent a radical transformation: cities swelled and were transformed by the pressure of immigration and exponential demographic growth, by the advent of factories and above all scienti c progress. With Haussmann, the inventor of new Paris, one of the imperatives guiding the “creative pick-axe” of the Prefect of the Seine was the street.
In the new city, the street was not a mere means of mobility: it was mainly a concentration of the new world of consumerism, leisure and wealth. The Impressionists chose the street as a theme, in representation of the bourgeois point of view, who sought comfort, pleasure and status symbols in his modern metropolis. The gure of the âneur , who wanders slowly through the new city to explore it, appears in literature starting with Baudelaire.
In the mythological image of Paris in the mid-1800s, the rst department store, Le Bon Marché, makes its appearance. And so the street, with its shop windows lled with objects, contributed to the emancipation of women, who could now walk down the streets alone, stopping at the shop windows to enjoy them freely, as a âneuse.
menti per la mobilità. Le strade diventano più ampie per fare spazio al crescente trafco di cui è nuovo protagonista l’omnibus a cavalli, sostituito alla ne del secolo dal tram e a Chicago nel 1883 dal Loop, la ferrovia urbana. La nuova rete viaria esprime la razionalità incarnata nella città e fa sì che l’ingegnere prenda progressivamente il posto dell’architetto. Altro obbiettivo è quello di fare delle nuove grandi strade e dei boulevard il precipitato visibile della ricchezza e del fascino della nuova capitale voluta da Napoleone III.
Nella città che acquista velocità in una continua trasformazione non è facile seguirne i mutamenti. La strada va vissuta ed osservata con attenzione perché in essa è possibile scorgere il concentrato del nuovo mondo. La strada e la sua gente diventano nell’Ottocento privilegiati campi di osservazione e ri essione.
La strada della città nuova, infatti, non è solamente mezzo di mobilità: essa è soprattutto il concentrato di un nuovo mondo fatto di consumi, loisir, ricchezza. La grande pittura francese della seconda metà del secolo la sceglie come tema perché è nella strada che la ricchezza diventa visibile. Ciò che della città nuova l’Impressionismo trasferisce sulle tele è soprattutto l’esperienza del borghese che della nuova città è protagonista. Lo sguardo degli Impressionisti, da Manet a Degas e Caillebotte, è quello del borghese che nella sua moderna metropoli, assorta ormai al rango di mito, cerca confort, piacere e simboli di status. Il famoso quadro di Gustave Caillebotte, Un giorno di pioggia a Parigi esalta il carattere monumentale delle nuove arterie della Parigi di Haussmann. Uno dei questi straordinari personaggi di strada è il âneur che vaga lento per la cit- tà nuova che gli si offre come spettacolo e come luogo di incontro e di stimolo. Gli“altri” o la folla – l’accresciuta varietà umana della metropoli – sono oggetto della sua curiosità. Il suo sguardo attento diventa un prezioso strumento di lettura e di analisi della Parigi ottocentesca – de nita da Aragon “teatro della mitologia moderna” - in costante e dinamico bilico tra il passato storico ed un futuro che sta costruendo. È con lo sguardo mobile del âneur di Baudelaire, riletto mezzo secolo dopo da Walter Benjamin, che Parigi, città del mito e della modernità per eccellenza, scopre se stessa. Ciò che la ânerie delle pagine di Baudelaire e Poe offre agli studiosi contemporanei è un prezioso strumento di ricerca che Balzac nella Physiologie du mariage de nisce come una sintesi di empiria, creatività e scienza. Approccio insostituibile perché pone al centro della ricerca l’esperienza di chi vive la città, reagendo ad analisi troppo spesso schiacciate da letture olistiche top-down . Il âneur , ottocentesco o contemporaneo, diversamente dagli urbanisti,il cui obbiettivo è quello di mettere ordine nella città nuova e di portarla sotto controllo, cerca di scoprirla e di trovarne i signi cati spesso nascosti. Scrive Baudelaire“per il perfetto âneur , per l’osservatore appassionato, è un’immensa gioia eleggere domicilio tra la folla, il uttuante, il movimento, tra il fuggitivo e l’in nito “. E Walter Benjamin “la strada diventa un appartamento per il âneur che si sente a casa tra le facciate degli edi ci come il borghese tra le sue quattro mura”. Il âneur , l’esploratore urbano di Baudelaire, non si limita a scorgere ed a narrare ciò nelle strade della grande Parigi è immediatamente visibile e addirittura enfatizzato. Egli vede ciò che il piani catore nasconde o ignora; camminando con occhi nuovi egli scopre la marginalità frugando negli interstizi della città dove vengono lasciati i ri uti umani e sociali. Riesce a comprendere l’esperienza dei poveri deportati in periferia da Haussmann ed ormai invisibili agli occhi della borghesia.
Ne Lo spleen di Parigi Baudelaire fa propri“Gli occhi dei poveri” e con essi vede in maniera nuova la Parigi del Secondo Impero. Il camminare curioso ed indagatore del âneur diventerà con Benjamin una pratica sovversiva ed emancipatrice.
Storicamente, la donna la città ha potuto solo immaginarla come hanno fatto Christine de Pizan con la sua La città delle dame scritta all’inizio del‘400 o Madame de Scudery che nel ‘600 insieme alle sue amiche parigine immaginò per il suo romanzo Clelie “La Carte du Pays de Tendre” , la cartogra a di uno straordinario paese segnato e disegnato dalle emozioni. Di un territorio, cioè, nel quale le donne si sentivano a proprio agio e del quale potevano anche ssare le regole per viverle al meglio.
Con il consumo la donna, borghese, spezza alcune delle sue catene ancora presenti quando nell’Ottocento l’Europa, investita dai processi di modernizzazione e di industrializzazione, si stava radicalmente trasformando. La donna deve, perciò, prestare attenzione a come camminare in strada, di qui le rigide norme dell’etichetta che valgono tanto nella Londra Vittoriana che a Parigi. Soprattutto quando essa è, eccezionalmente, sola dal momento che, di norma, la signora deve sempre essere accompagnata. Se lo chaperon manca, alla donna dabbene si chiede di camminare a un passo sempre costante afnché non dia segni di essere attirata da distrazioni che, essendo pubbliche, non possono, per de nizione, che essere sconvenienti. La nuova vetrina, piena di merci destinate ad un pubblico principalmente femminile, impone, invece, al passo della donna un ritmo diverso richiedendo rallentamenti e soste. La strada con le sue vetrine colme di oggetti che si presentano all’occhio come fantasmagorici contribuisce all’emancipazione della donna. La donna consumatrice non ha più bisogno di uno chaperon che l’accompagni. Può percorrere da sola la strada fermandosi davanti alle vetrine che esplora liberamente da âneuse .
Nell’immagine mitologica di Parigi, un posto di rilievo è occupato dal grande magazzino, apparso nel 1852 con Le Bon Marché , teatro della felicità e precipitato del sogno, che porta sulla scena la donna facendone un nuovo attore che, con accresciuta soggettività, entra da protagonista nella moderna società urbana anche grazie alla nuova cultura del consumo. Se la âneuse esiste, essa è nata con i grandi magazzini parigini all’alba del consumo di massa.
Nel Novecento la città è dominata dal traffico motorizzato per cui, come scrive nel 1920 Le Corbusier “la strada è un demonio che bisogna controllare”. La risposta del razionalismo nelle sue varie versioni – che comprendono anche il futurista Sant’Elia - è di riprogettare la strada-canyon, divenuta atroce, rumorosa, polverosa e pericolosa, spostandola verso l’alto e facendone solo un mezzo per una necessaria e veloce mobilità.
La nostra città ha però bisogno della strada non solo per la grande mobilità ma anche e soprattutto come indispensabile spazio pubblico di incontro e di socializzazione.
Un forte movimento organizzato e guidato da Jane Jacobs, una giornalista senza alcun background accademico, blocca il progetto di Robert Moses – planner sovrano di New York - di una grande arteria, la Lower Manhattan Expressway che attraverso SoHo e Little Italy avrebbe tagliato e di fatto snaturato il Greenwich Village. Nel suo decisivo The Death and Life of Great American Cities ( Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane , del 1961) la Jacobs sintetizza lo scontro tra la visione e la pratica della città intesa come sistema che deve tendere alla funzionalità e la difesa dell’esperienza del cittadino e del capitale sociale dei quartieri. Ciò che della città è più prezioso, afferma la Jacobs, in uenzando almeno due generazioni di urbanisti, sono la vita dei suoi quartieri, i marciapiedi affollati, la tta rete di relazioni ed il senso di sicurezza che solo la gente può dare.
Oggi, la strada è tante cose insieme. Serve per spostarsi e per manifestare (in Francia nel ribollente ’68 si poteva scrivere“ Le gouvernement ne cédera pas à la rue ”), per incontrare e per fare compere. Nella strada si può anche sognare visto il progressivo diffondersi del modello della Main street di Disneyland. La strada può essere, come scrive Sansot, metafora di una nuova maniera di vivere ed affermazione di libertà in una città sempre più lontana dai nostri desideri.
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