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Camminare, il marketing del corpo di

Dominique Rouillard

Camminare a piedi in città non è più la causa marginale di pochi attivisti convinti. Nessuna città oggi potrebbe pensare di presentare il proprio futuro senza progettare la marcia a piedi nell’insieme delle mobilità dello“spazio condiviso”, nuova alleanza per riconquistare i centri urbani attraverso una riduzione della velocità. È come se l’abitante - elettore, individuo individualizzato – si trovasse ormai rappresentato più dal pedone che dall’automobilista, essendo così più vicino al vissuto della città, delle sue atmosfere, sensibile alle carreggiate intasate e sporche, pedone che percorre la città e mentre vaga la misura e la consuma, come un nuovo oggetto edonistico del turismo quotidiano. Camminare incarna lo spirito del tempo nell’era del futuro sostenibile, in un equilibrio di marketing ormai consolidato: energia consumata da chi cammina = salute pubblica e risparmio di carburante 1 .

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La marcia a piedi è tornata ad occupare il discorso sulla città. Il “ritorno del camminare “ 2 si inserisce nel più ampio tema del “ritorno del futuro” che si esprime oggi, dopo l’arresto che le prospettive sull’avvenire hanno subito, dalla metà degli anni ‘70 alla ne degli anni ‘90 3 La presa di coscienza ecologista che si delinea nel contesto libertario degli anni Sessanta, ampli cata dalla crisi petrolifera del 1973, portò allora ad un entusiasmo iniziale per il ritorno agli spostamenti a piedi e in bicicletta, contro l’automobile e contro una gestione aggressiva della città. Il fallimento dei prospettivisti e degli altri futurologi urbani portò anche, paradossalmente, ad abbandonare la questione della città come somma di ussi - e con ciò la pratica della marcia in città - che conduce a ritrovare

1 O, come riassunto da Jacques Lévy (2008):“Camminando,combattiamo l’obesità e l’effetto serra allo stesso tempo”.

2 Si veda Offner, 2008; Lavadinho e Winkin, 2008.

3 Si veda Rouillard, 2009; Rouillard, 2011.

Walking as the marketing of the body

by Dominique Rouillard

The article analyses the evolution of the relationship between walking conceived as a speci c transportation mode, architectural culture and urban planning, primarily between the late 1950s and the 1970s.

In the architectural thinking of the 1950s and 1960s, walking inspired a new vision of architecture and then of the city, as an issue that would escape all projection and predetermination, leaving the ground level to the car and distancing the pedestrian by transferring him into a new architectural and urban order (decks, streets in the air, walkways). Walking inspired these great thinkers of (post) modern urban society, as well as another contemporary of the 1950s and 1960s, the British architect Brian Richards, who had brought walking back as a topical theme in the progressive futuristic thinking of an entire generation, revealing the technologies that made it possible to improve the mobility of this new city user, and transform the city itself into uid movement.

The article thus reframes walking as a tool of urban mobility, an index of urgent social mutations, revealing its current status as the spirit of the times for the sustainable future, based on a balance well established by urban marketing.

Nella pagina a anco, in alto a sinistra: 4 a di copertina di New Movement in cities, Brian Richards (Richards, 1966). © Richards.

In alto a destra: “The City“, A. et P. Smithson, 1952. (Courtesy archivi A&P Smithson). In basso: Progetto di passerella pedonale per il South Bank Art Center de Londra, W. Chalk, R. Herron, D. Crompton, J. Attenborough, 1960-67.

la storia, a riconoscersi unanimi rispetto alla tutela (del patrimonio) e alla città come forma architettonica 4 . In questi tre decenni di “blocco del futuro”, il camminare è stato soprattutto la scoperta della“strada pedonale”. Essa è apparsa a Bologna nel 1968 come una delle azioni dello status quo della “crescita zero”: camminare per opporsi alle autostrade urbane e rivendicare il “diritto al centro città”. Darà luogo rapidamente allo shopping in centro città per riconquistarlo di fronte allo sviluppo dei grandi retail e delle loro ampie passeggiate commerciali integrate. Lo spostamento a piedi (una deambulazione urbana) si viveva in modo isolato rispetto alle altre mobilità. L’automobile continua a determinare l’evoluzione della città, pensata da architetti impegnati a ridisegnare piazze, strade, facciate e parcellario.

4 A questo arretramento rispetto alla teoria della città dei ussi e del camminare, si aggiungono i fattori politici e sociali citati da J.-M. Offner: la concorrenza del trasporto pubblico, la preferenza per i centri commerciali, la perdita del monopolio dei servizi di quartiere, la percezione del pericolo negli spazi urbani aperti, che fanno preferire l’auto agli spostamenti a piedi (Offner, 2008).

Lo storico e critico dell’architettura Reyner Banham, che negli anni Cinquanta ha contribuito a situare la cultura popolare all’interno dell’Independent Group con gli architetti Alison e Peter Smithson, sempre schierato dalla“parte giusta”delle contestazioni giovanili (non ha mai smesso di sostenere e teorizzare il lavoro di Archigram), spostandosi su una mini-bici per le strade di Londra quando tutti aspiravano e avevano accesso all’automobile, resta un’eccezione eccentrica e sosticata: la mini Moulton F-frame che utilizzava è un prodotto di alta tecnologia. Lo stesso vale per Brian Richards, giovane architetto londinese, vicino sia al Team Ten che ad Archigram, che lavorava a progetti comuni con queste due generazioni così spesso in contrasto. È pedalando sospeso nel vuoto ( g. 1) o promuovendo lamarciaa piedi e la bicicletta per gli spostamenti in famiglia ( Moving in Cities, 1976), che si presenta questo esperto di ricerca sulla tecnologia degli spostamenti motorizzati in città.

Sopraggiungendo poco dopo il ritorno della bicicletta, la ripresa odierna della marciaquella che si praticava nelle città non motorizzate del passato o quella che si è cercato di realizzare negli anni Settanta - corrisponde a questioni ideologiche ed economiche che vanno al di là del quadro dei professionisti della città e dei trasporti, e riguarda un livello di rappresentazione sociale e simbolica più ampio e più profondo rispetto alla vita della città. Sappiamo che il tasso di “percorribilità” (o “raggiungibilità di prossimità”) di un quartiere in uenza ormai il mercato fondiario perché misura una qualità di convivialità urbana (“sentirsi a casa in città”).

L’entusiasmo frenetico del marketing per gli spostamenti a piedi, ribattezzati “mobilità attiva” per una “mobilità sostenibile” – si veda il ritorno dei “modi attivi” in tutti i settori (la partecipazione degli abitanti è come la bicicletta!) - va quindi collocato nella genealogia recente del suo avvento, nelle marce – al plurale - presenti nelle teorie urba- ne. Camminare secondo i concetti degli anni 1950, 1960 o 1970 – le epoche della sua progressiva affermazione – è stato infatti ogni voltacosadiversa,comeancheècosadiversal’idea degli anni 2000. La marcia si ritrova sempre anche in una difesa dell’“uomo dimenticato nella città”- come analizzava nel 1968 la molto professionale rivista americana Architectural Forum , nella sua indagine su quei modelli urbani del secolo che “avevano trascuravano il pedone” 5 . Camminare esprime dunque una critica di questa città “moderna”, che risale immancabilmente al XIX secolo, quando apparvero contemporaneamente il fascino della velocità e un pensiero della città a rischio e a spese del pedone.

La separazione: allontanare il pedone che disturba

Dall’inizio del XX secolo e dall’avvento della “grande città” intesa come il luogo della densità di una cultura metropolitana, la separazione in verticale tra pedoni e veicoli è stata una costante nelle visioni delle città con autostrade. Si cerca la massima uidità degli spostamenti e dei loro incroci, sulla base dell’argomento, praticamente immutato da quando lo affrontò Eugène Hénard per renderepiù uidoil traffico delle strade di Parigi all’inizio del secolo (Hénard, 1982), se non addirittura Boileau (1666), per contrastare gli ingorghi. Tale uidità permetterà agli automobilisti di sfrecciare in città e ai pedoni di guardarli, a metà fra terrorizzati e stupefatti da questo nuovo spettacolo. Senza raggiungere la dimensione visionaria di Hugh Ferriss, che negli anni 1920 proponeva per New York le Superstreets , ottenute sovrapponendo strade pedonali lungo tutta l’altezza di in niti grattacieli (Ferriss, 1987), l’architetto Harvey-Wiley Corbett pensava contemporaneamente a soluzioni per aumentare la capacità delle strade di New York del 700% (otto corsie di circolazione invece di due nella stessa sezione stradale), eliminando totalmente i pedoni. D’altronde essi sono davvero un impedimento: devono essere messi da qualche parte, su qualche marciapiede a sporto sulle carreggiate, fuori dai portici dove un tempo amavano passeggiare, per fare spazio 6 . Il pedone nella città moderna ‘segue’ l’automobilista, è egli stesso percepito come un usso incessante che cammina, da impilare quindi su altre strade o piattaforme, senza intralciare i suoi movimenti: con il suo titolo esplicito, la Rush City Reformed di Richard Neutra (1928-30) riportava il pedone a una mobilità parallela e sovrapposta a quella delle automobili, sull’equivalente di strette autostrade pedonali duplicate su due livelli, dove panchine, piazzole affiancate, soste sarebbero state d’ora in poi vietate.

5 Si veda l’articolo “L’uomo dimenticato nella città”, Architectural forum , numero speciale Traffic in Cities , gennaio-febbraio 1968, pp. 78-85.

QuandoLeCorbusiercriticaquestepasserelle che posizionano i pedoni in alto, certamente restituisce il suolo ai passanti (grazie ai pilotis), ma li allontana de nitivamente dall’estasi urbana alimentata dalla densità della sovrapposizione di reti o dalla confusione della grande città. Notando che“un quarto d’ora di cammino”separa due edi ci in linea nel progetto di Saint-Dié, Le Corbusier suggerisce una prossimità insospettata e un ritorno al rapporto di scala della passeggiata, secondo il modello del villaggio. Anche il“tracciato di passeggiata e collegamento”della Cité linéaire industrielle viene accantonato: in fondo, si distanzia dagli altri mezzi di trasporto, è una linea ondulata che incarna la passeggiata e ne ha la forma simbolica. La marcia a piedi è associata “all’alloggio e ai suoi prolungamenti” (Le Corbusier, 1972:134). Per le “città giardino verticali”, nella con gurazione di differenti situazioni topogra che, lo schizzo spiega che“i percorsi pedonali condurranno a mete speci che, mentre i percorsi automobilistici saranno separati e indipendenti” (ibid.: 64).

Il pedone, spettatore involontario della città piranesiana futura o camminatore ignaro della vitalità della città moderna nella sua versione dispersa, rimane, in verticale o in orizzontale, ‘separato’ dai ussi stradali e da ogni mobilità meccanica, ma non per questo menovincolatodaessi nei propri movimenti.

La marcia riunisce la comunità

Un’altra gura della marcia a piedi è quella che misura e dà i limiti della comunità. Ebezener Howard l’ha introdotta determinando le dimensioni della città giardino sulla base del camminare: così, 15 minuti sono sufficienti per attraversare la città a piedi. Si sa che gli abitanti sono in numero prede nito (32.000) al ne di rispettare la “cintura ver- de” dei parchi e delle fattorie, e che al di là di questa, una prossima comunità è da creare. Il trasporto pubblico è quindi necessario per gli spostamenti tra le città giardino o per raggiungere la “città centrale”, ma nella città giardino stessa la scala è essenzialmente pedonale, basata su una distanza di tempo che è già all’opera 7 .

Questa scala di comunità trova un’eco particolare oggi in una delle forme estreme del New Urbanism. La nuova pedonalità 8 accresce ulteriormente la privatizzazione, il controllo e la compressione dello spazio, che non osiamo più de nire ‘pubblico’, progetto di comunità incapace di pensare al grande numero, alla grande città, alla cittàfuori dalla città e agli altri. Qualsiasi teoria partecipativa si interseca con questa ideologia del camminare, che dà misura alla scala del raggruppamento, della prossimità, della possibilità di contatto, degli scambi - ed è anche il suo limite. L’estensione della marcia a piedi determina la cerchia di persone che possono essere frequentate.

La marcia genera la città relazionale

Negli anni Cinquanta, l’ideologia della comunità e dell’incontro ispirata al villaggio è stata reinterpretata in una teoria della città moderna, rivista in termini di sensibilità antropologica - casa, strada, quartiere, relazioni. L’ideale dell’urbanistica del dopoguerra è quello del ritrovo e dello scambio 9 , estraneo a qualsiasi interesse per il pedone, sia esso solitario o in gruppo.

La teoria principale di Alison e Peter Smithson mira a risolvere l’apparente contraddizione della riconquista della vita comunitaria (dopo la disintegrazione sociale causata dall’urbanistica funzionalista) senza la costrizione spaziale della comunità (il “ cul de sac della piani cazione ”dei piani sviluppati sino ad allora per contrastarla). Per il concorso di Golden Lane , uno dei progetti critici fondatori del futuro Team Ten , la passeggiata guida la forma degli edi ci residenziali, la loro organizzazione mono-orientata in base alla vista e la loro concatenazione che segue direzioni aleatorie. L’edi cio è una passeg- giata. Gli immobili assumono la forma del percorso pedonale lungo i decks (banchine), un nuovo concetto di strada separata dal traffico stradale. Lo schizzo “ primo diagramma dell’idea ” ( g. 2a) mostra letteralmente quest’idea fondatrice: il pedone cammina: è una linea; si ferma: è un punto (raccolta dei ri uti, piccoli servizi collettivi, “angoli di strada” o scale/ascensori per scendere a terra o al garage); poi riparte in un’altra direzione. Il diagramma illustra questo percorso pedonale guidato dal caso, come se si costituisse attraverso gli incontri inaspettati tra l’abitante e il lattaio all’angolo o con i suoi vicini di deck . La passeggiata “costruita” dagli edi ci residenziali in linea, segmentati e disarticolati, dà all’urbano la sua nuova immagine: “The city” ( g. 2b). Essa offre una forma esplosa del modello cherappresentava allora l’Unité d’habitation di Le Corbusier, attraverso l ‘abbandono dello spostamento imposto lungo la “rue intérieure” (la strada interna): situato al cuore dell’ Unité , si tratta di unospostamentoche priva della vista versol’esterno, verso il paesaggio circostante, e che signi ca non poter sfuggire all’architettura e alla sua linea retta. Nel modello del Golden Lane, l’intreccio dei due sistemi di rete e la loro reciproca indipendenza formale è cosa nuova: le automobili procedono veloci e in linea retta, gli edi ci - o le persone - serpeggiano e formano la “struttura della città” ( g.

7 Sull’apparizione della distanza temporale, si veda Rouillard, 2007: 11-22.

8 Sul New Pedestrianism, si veda il sito web di Michael E. Arth (2008).

9 Si veda Rouillard, 2004: al capitolo “La città relazionale”.

3). Il camminare rimane legato al problema della strada - qui trasportata in aria ( street-inthe-air ) – garanzia del possibile ritrovamento del senso di comunità 10 .

La rete pedonale che si erge sopra Haupstadt Berlin ( 1957) riprende qualche anno dopo l’immagine della sovrapposizione delle reti di circolazione, caratteristica costante delle “metropoli del futuro”, adesso senza più un distacco abissale dal suolo, per riconnettersi con la realtà e con la scala di una densità propriamente urbana. Per presentare il progetto alla commissione di valutazione del concorso, John McHale lo lmò con una telecamera ssa sul usso di una folla londinese, all’altezza dei piedi dei passanti, suggerendo che ciò aveva costituito il modello di concezione di questa rete pedonale mai vista prima (il concorso, perduto, sarebbe stato reinvestito da Archigram nel progetto delle passerelle pedonali del South Bank Art Center di Londra, 1960-67 11 - g. 4). È sorprendente constatare che una delle immagini più stimolanti per la generazione successiva, che avrebbe inventato la megastruttura e la sua colossale scala intercontinentale, è stata prodotta a partire dal diagramma ipotetico di passeggiate pedonali, e dalla sua con gurazione in forma di strato disordinato, elevatosi in modo convincente al di sopra della città esistente.

L’instancabile camminatore di una città in nita

Il pedone è in assoluto all’origine del concorso per Toulouse-le-Mirail, fortemente concettualizzato dall’équipe Candilis, Josic, Woods nel 1960, sulla base di un decennio di ri essioni precedenti per opporsi all’ordine funzionalista del Movimento Moderno: la macchia rosso sangue dello schizzo iniziale, come una pozza che si allarga senza forma od orientamento prestabiliti, mette in gura, quasi intuitivamente, ciò che il concetto di stem riesce a conciliare, realizzando un ossimoro notevole: un “centro lineare” e insieme una città pedonale con l’auto “a due passi”. Si tratta di uno stelo che articola servizi e negozi (il centro), che va incontro agli edi ci residenziali che esso stesso “alimenterà” no alle loro estremità; allo stesso tempo, tale stelo non si riduce a una linea, a una nuova città lineare il cui sviluppo sia in funzione della distanza o del tempo di percorrenza accettabile per raggiungere i mezzi pubblici. La libertà formale dello stelo risiede, al contrario, sia nella libertà con cui il pedone può compiere spostamenti senza vincoli, che in quella che gli spostamenti individuali motorizzati rendono possibili. L’automobile è effettivamente una possibilità dello stem , ma in questo caso essa segue il pedone, e non l’inverso. Il parcheggio si trova “ai piedi” degli ascensori: “l’automobile si ferma dove si deve” 12 ; “la forma degli edi ci è decisa in base all’accesso e al percorso pedonale” 13 ( g. 5 a,b). Lo stem è la città lineare nell›era dell›auto all’unanimità. Il pedone dello stem si immagina come un camminatore instancabile che attraversa una città (un’urbanizzazione) senza ne, trasportato dalla deriva di un centro e dei suoi meandri, e che potrebbe in qualsiasi momento raggiungere un parcheggio(nel quale eventualmentenoleggiare un’auto, scenario non immaginabile in Francia all’epoca 14 . Lo stem è un principio generatore, un percorso di usso pedonale che non ha né inizio né ne. È un villaggio – tutto si fa a piedi – che oltrepassa la questione dei con ni spaziali della comunità. È q uesto che ci dice la scena piuttosto inusuale di un altro schizzo dello stem ( g. 6), una rappresentazione frontale in cui tutti i negozi, la piazza (o le piazze), il mix di attività e persone (a piedi, in bicicletta, a tavola, che fanno acquisti o giocano, con l’auto di anco, vicinissima) sono stati disegnati in verticale, in una prospettiva geometricamente errata: di fatto una piazza continua, in nita.

10 Ripreso dal gruppo di Candilis, Josic,Woods per il progetto dell’ampliamento di Caen: “il centro lineare è il dominio esclusivo del pedone, è servito dall’automobile e ristabilisce la strada come funzione primaria e permanente dell’urbanizzazione”(didascalia di uno degli schizzi della zona pedonale).

11 O nel progetto di rigenerazione del quartiere Fulham a Londra, guidato da Theo Crosby, in copertina del suo libro Architecture: The City Sense (1965).

12 Legenda dello “Schema di traffico veicolare” di Caen. Woods, 1961, in Le Carré Bleu n. 3.

13 Ibidem.

14 Brian Richards illustrerà i progressi tecnologici e gli impegni politici negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone in materia di ricerca e sviluppo per i sistemi di trasporto individuali, condivisi o automatizzati in contesti urbani densi o, al contrario, troppo scarsamente popolati per investirvi massicciamente. Si veda Richards, 1971.

Il camminatore immobile o il pedone accelerato

A partire dalla metà degli anni Sessanta, Brian Richards, che iniziava allora a partecipare alle riunioni del Team Ten 15 , sviluppò un interesse diverso per la marcia. Mentre per gli Smithsons si trattava, attraverso il pedone, di generare la forma nuova delle nuove espansioni, per Richards ilpedone era la base di una ri essione sui modi di“attrezzare”,“migliorare” o, come diremmo oggi, “rivitalizzare” i centri urbani esistenti. Richards inizierà da allora un’esplorazione senza ne di tutti i tipi di sistemi di trasporto nelle aree urbane dense: individuali, semi-collettivi e automatizzati, esistenti, progettati (compresi quelli progettati da lui), dimenticati o sperimentati in tutto il mondo, accompagnati da una ricca invenzione linguistica: urbmobile , Carveyor ,

15 Ha partecipato alle riunioni del Team Ten dal 1965 al 1976, presentandovi regolarmente i suoi studi sulla mobilità urbana.

Dashaveyor , Peoplemover , Minirail , Guide-oMatic train , transit Expressway , teletrans , transveyor , Overground , Gravity Vacuum transit, etc. (Richards, 1968)

L’esplorazione darà luogo a quattro libri su questo stesso tema ( g. 7a,b,c,d), le cui copertine e i cui titoli indicano da soli l’evoluzione della questione: il “movimento” (Richards, 1966), concetto chiave in anni ancora de nibili come progressisti, evolve nello spostamento delle persone, che camminano come alrallentatore (Richards,1976): gli anni Settanta, lo abbiamo detto, sono stati la grande era della “pedonalizzazione” delle città. Nel 1990, il “trasporto” sostituisce il movimento (Richards, 1990): il libro sembra essere indirizzato agli specialisti della mobilità, in un momento in cui gli architetti stanno abbandonando i ussi urbani per occuparsi delle loro forme costruite – d’altronde Richards farà carriera come consulente per i trasporti delle città di tutto il mondo. Inne, con il“ritorno del futuro” negli anni 2000 (Richards, 2001), il tema del “trasporto” non è più legato al problema dell’automobile, ma al trasporto urbano, alla riconquistata mobilità in città - una linea della metropolitana attraversa l’edi cio dell’architetto Frank O. Gehry a Seattle. Tuttavia, in tutti e quattro i libri, la matrice di analisi è costante, e in parte ricorrono gli stessi sottotitoli, tabelle comparative, esempi, ampliati nel corso dei decenni. Richards dice più o meno la stessa cose da quarant’anni, e il tempo sembra avergli dato ragione: l’ultimo libro constata quali applicazioni siano state sviluppate nelle città europee di ciò che è stato inventato a partire dagli anni ‘60 e ‘70, quando i riferimenti erano più americani o giapponesi e sperimentali. Nel suo ultimo libro, Richards identi ca de nitivamente la città del futuro con i trasporti del futuro, in un momento in cui non si immagina più di rifare la città, se non su se stessa.

Per Richards, a partire dagli anni Sessanta, la città futura non cambia né di immagine né di luogo, è solo più efficiente, imbottita di sistemi meccanici di ausilio alla mobilità pedonale, equivalenti a protesi collettive per i pedoni invitati a percorrere la città attraverso edi ci di fatto interconnessi, utilizzando una vasta rete di sistemi di “transito” insospettabili rivelati da tagli nello spessore dell’architettura esistente o, nelle aree da riquali care, con l’ausilio di route- buildings (edi ci-strade) ( g. 8), action buildings secondo Theo Crosby 16 . Il pedone non è più isolato in una zona pedonale; camminare signi ca passare da un sistema di mobilità a un altro, per rivivere la vita nella città:“Dobbiamo proporre un esperimento inaudito: il rinnovamento della vita cittadina, la sopravvivenza dell’uomo sociale” (Crosby, 1965: 83). I nastri trasportatori o marciapiedi mobili ( pedestrian conveyors ) e tutti i tipi di scale mobili sono oggetti tecnologici affascinanti, presenti tanto nella storia del passato (l’Esposizione Universale di Parigi del 1900) o in quella del momento (il progetto di una “città di 10 minuti” con quattro diverse velocità di marciapiedi 17 - Weber, 1965), quanto dall’altra parte del pianeta. Il pedone, secondo Richards, non si muove da sé, è un ideale di immobilità, una sorta di estasi urbana. Non sorprende quindi leggere nelle sue tabelle comparative tra i diversi sistemi di trasporto urbano 18 che andare a piedi sia più veloce del tapis roulant ( pedestrian conveyor o moving belt ): 4,8 km/ora per il primo contro i 2,5-3 km/ ora del secondo. In altre parole, con il tapis roulant si tratta di offrire uno spostamento senza fatica, anche se ciò signi ca spostarsi più lentamente: un’altra visione della vita o del trasporto in città, senza rimpiangere l’automobile (il fenomeno dell’ autoless city core - Richards, 1971); in una parola, il senso del progresso . Non camminare affatto, mentre ci si muove: il movimento lento di un corpo immobile per un utente della città che avrebbe il tempo di guardare lo spettacolo, mentre conversa ( g. 9); la città come esperienza quotidiana o come esposizione universale permanente (dove questi spostamenti meccanizzati hanno spesso visto la luce), da cui l’importanza di posizionare questi sistemi all’esterno, sospesi in aria ma non troppo, e di interrare le mobilità più veloci o le carreggiate ci circolazione stradale 19 .

16 “Ogni edi cio deve essere comodamente servito, trovarsi vicino a un parcheggio e, soprattutto, collegato da una rete coerente di attraversamenti pedonali, ponti e gallerie verso un’area centrale” (Crosby, 1965: 85). Theo Crosby è stato un protagonista decisivo della vita intellettuale londinese negli anni Cinquanta e Sessanta, facendo la connessione fra Archigram, cui ha proposto la loro prima committenza (la mostra“Living City” del 1963), l’ Architectural Association , il Team Ten attraverso gli Smithsons, la stampa e l’editoria architettonica.

17 Su questo progetto si veda Rouillard, 2007.

Il tapis roulant - questo “ horizontal elevator ” ( ibid.) - è particolarmente affascinante: sul piano orizzontale,non condivide con l’ascensore e nemmeno con la scala mobile, un evidente risparmio in termini di fatica: il movimento in piano è il lusso assoluto della città moderna, senza sforzo, senza “dimostratività”; quando ci si cammina sopra, si muove in avanti o accelera. Il tapis roulant, più di ogni altrosistemaditrasporto, si rivolge al pedone di cui rispetta la postura nel marciare. Camminare, e non salire: la foto ingrandita dei piedi immobili del pedone sul tapis roulant a tre diverse velocità di accelerazione descrive la felicità urbana degli anni Settanta ( g. 10). È inoltre evidente che quanto più va veloce il nastro trasportatore, tanto meno il pedone può camminare. Gli utenti della connessione della fermata metropolitana Châtelet di Parigi – che era già un riferimento per Richards negli anni ‘60 - lo hanno sperimentato più di recente, quando è stato installato un secondo tapis roulant più veloce: è diventato difficile camminare, e quindi superare la velocità raggiunta con il sistema precedente, come anche stare in piedi o scendere senza rischiare. L’esperimento è stato rapidamente interrotto. La cosa migliore è lasciarsi trasportare... su un tappeto magico.

18 Il camminare non è presente nel libro del 1966, apparirà a partire dall’edizione del 1976, il che suggerirebbe che lo stem , ad esempio, non è secondo Richards uno spazio per la deambulazione pedonale allo stesso modo delle strade della città esistente - anche se si deve tener conto del fatto che l’operazione diToulouse le Mirail era all’epoca solo un cantiere, il Team Ten lo visitò nel 1972 in forma di inaugurazione. La marcia, assente nelle tabelle del 1966, appare qui più sicuramente come l’indicatore di un cambiamento d’epoca, il passaggio dagli anni progressisti a quelli della crisi e di un’economia che rivalorizza la marcia a piedi.

19 I sistemi di circolazione meccanizzati pedonali o di mobilità lenta ma regolare, secondo Richards, dovrebbero, sostituire le reti stradali in super cie, e non aggiungersi ad esse (Richards, 1971).

Non è infondato accostare la ricerca molto concreta e perseverante condotta da Richards sui sistemi di movimento in città all’immaginario utopico che si sviluppò contemporaneamente intorno al nomade globale. Il cushicle (contrazione di cushion e vehicle , il cuscino-veicolo), progettato da David Greene ( Archigram , 1968), è il più chiaramente dimostrativo di questa ricerca di mobilità estatica: la struttura che trasporta l’involucro e le attrezzature per (sovrav)vivere poggiano su“piedi”che sono cuscini d’aria per spostarsi scivolando; da fermo, una sorta di chaise longue tecnicamente so sticata si dispiega per accogliere al meglio il corpo, che si distende, ascolta musica, guarda la televisione, ecc. Una rappresentazione del cushicle con il suo telaio, senza l’involucro dispiegato, lo identi ca con uno scheletro umano deambulante, dal cranio agli stinchi e alle falangi dei“piedi”, leggermente piegato nello sforzo, che cammina “sulle ginocchia”... ( g. 11a). Il cushicle cammina per l’uomo, è la sua ombra tecnologica e computerizzata e sostituisce tutti i sistemi di trasporto immaginabili. A sua volta, il progetto Supersurface (1971) del gruppo Superstudio consiste nel dotare l’intera Terra di un’infrastruttura di connessione e di approvvigionamento, una supercie piatta, in nita e continua, punteggiata da punti di raccordo. Avendo dei corpi umani essi stessi aumentati, grazie ai progressi della biotecnologia, non resta che camminare e appropriarsi del mondo ( g. 12).

Camminate!

Camminare è un’ideologia, uno stile di vita, una ragione ragionevole, un’operazione di marketing urbano e una falsi cazione. Il camminatore immobile o il pedone accelerato nell’ideale urbano degli anni Settanta sono agli antipodi del ritorno forzato alla marcia a piedi che oggi si impone, per la nostra salute o per una cittadinanza responsabile: camminare è come la frutta e la verdura, ognuno di noi ha bisogno della pro- pria dose giornaliera: “mezz’ora al giorno” (Bengt, 2008: 55-561 20 - g. 13)! Siamo portati a convincerci dei bene ci della marcia, di rinunciare alle scale mobili per riscoprire lo sforzo salutare delle scale, neuropsichiatri e siologi schierati a favore 21 La scala mobile, questa invenzionedel progresso, e il tapis roulant per accelerare restando immobili scompariranno presto... Dal momento che si dichiara che oggi “la mobilità non ha nulla a che fare con i trasporti”, possiamo temere per il futuro e per il comfort del trasporto pubblico. Gli accessori di bordo dell’infomobilità 22 (Lavadinho; Winkin, 2007) - telefono cellulare, walkman, i-pod, i-phone ecc. -, garanzia di autonomia del viaggiatore e passo avanti verso il Trasporto Pubblico Individuale (TPI), hanno sostituito l’armamentario tecnologico indossato dall’eroe“archigrammiano” o l’infrastruttura interrata di Superstudio – i quali si erano a loro volta affrancati dalla consueta tecnologia del trasporto -, realizzando al contempo queste prime utopie di connettività, di collegamento, oggi note come “linkage” (universo della connessione). Il discorso prospettivista di oggi cerca di collocarsi nel “movimento”, un approccio di marketing di secondo livello, ad esempio per riposizionare la RATP francese nello spirito de tempo, ai margini dei suoitradizionali obiettivi di ricerca e innovazione e lontano dalle sue rivendicazioni sociali. Così il pedone urbano della nuova prospettiva non sembra affatto affaticato da una giornata di lavoro, alla ne della quale potrebbe invece apprezzare di lasciarsi trasportare sui marciapiedi magici di cui sognava Richards.Mentre il Cushicle mostrava una silhouette ingobbita e scheletrica, l’eroe urbano di oggi mostra una giovinezza accattivante, tutta muscoli, jeans, scarpe da ginnastica e zainetto. La marcia si connota di una dimensione “ sica”, assente nel âneurs o nei camminatori urbani, che si vede ambientata grazie alla creazione di un vocabolario nel quale risuonano il cambiamento dell’immaginario, la mutazione dei concetti, l’inclinazione individualizzata della tecnologia, verso la sicità e la psicologia della persona: il mover o l’ homobile sono gli attori di una“de-mobilità dell’individuo motorizzato” (ChardonnetDarmaillacq, 2011). Il cittadino ideale e autonomo, percorre una“città di cammini”lungo “sentieri urbani”, punteggiati da fermate di “pedibus”, e di lui si interessa la “pedonalità (pi étonique )” 23 . Un implicito elogio del corpo permette di identi care l’homo mobilis con il turista, attivo, sportivo, curioso, mai annoiato nell’attesa, dato che ormai gli viene annunciato quale sarà il tempo di quest’attesa, e ovviamente sempre connesso a sistemi intelligenti di ogni tipo. È “mobile nel mobile”... i treni possono arrivare in ritardo. Una prospettiva che ponga la marcia come “cellula staminale della mobilità” (Amar, 2010) soffre di una forma di giovanilismo e rischia di raggiungere attraverso una stessa critica gli scenari di vita alternativi delle “eco-città” del futuro, che non riuscirebbero a concepire uno sviluppo sostenibile alla portata di tutti i suoi abitanti.

20 O Georges Amar, responsabile dell’ Unité Prospective et de Conception Innovante della RATP (Amar, 2010).

21 Si vedailColloquio“Cognition etMObilité_Marche urbaine et transport publics: espaces, aptitudes et santé publique », Espace du centenaire de la Maison de la RATP, Parigi, 10.2.2011. Si veda anche Lavadinho, 2010. 22 Amar aggiunge come accessori all’uomo urbano mobile e autonomo: la valigia trolley, lo skateboard, lo zaino, le scarpe da ginnastica, il panino.

Sotto tutti i punti di vista, il camminatore urbano di oggi si contrappone al pedone motorizzato di ieri, la sua marcia è regressiva rispetto al pensiero urbano del secolo scorso. L’alternativa all’automobile, attraverso sistemi di trasporto pubblico individualizzati, capaci di soddisfare le esigenze di spostamento tanto delle aree urbane dense che delle periferie diffuse, è stata teorizzata e sperimentata ad altissimo livello negli anni Sessanta e Settanta dai più grandi laboratori di ricerca, principalmente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone, comprendendovi e includendovi anche l’informatica, ( g. 14), immaginando reti di interconnessione (intermodalità) di diversi tipi di trasporto urbano, a loro volta duali (la transmodalità della metropolitana bus-ferrovia, l’antecedente dimenticato di Curitiba 24 ), dove la marcia a piedi, al di là degli spazi pedonali, è già ciò che permette di collegarli. Che ne hanno fatto questi progetti? Quali sono le condizioni più favorevoli perché la marcia - e il suo simbolismo “responsabile” che vale per tutte le softstructures - siano ascoltati e difesi? L’emergenza ambientale?

23 Disciplina dedicata al pedone, teorizzata da Yo Kaminagai, direttore del design della RATP, essa permetterebbe di istituzionalizzare la marcia a piedi come modalità di spostamento attivo e di supportarne la familiarizzazione presso gli utenti.

24 Su Curitiba, si veda G. Amar, che attribuisce a questa città del sud del Brasile l’invenzione della “contaminazione bus – metro”. Il principio era già operativo negli anni ‘60 negli Stati Uniti e viene descritto in “Tomorrow’s Transportation. New Systems for the Urban Future”(US Departement of Housing and Urban Development, 1968: 32-36).

Questa preoccupazione era già quella di ricercatori, protagonisti e intellettuali della globalizzazione, da Buckminster Fuller negli anni Venti con il suo piano mondiale AirOcean (Aria-Oceano), a Paul Otlet e il suo Monde (1935), e a suo modo Richard Neutra con il suo Survival through Design ( sopravvivere attraverso il Design) (1954), no ai ricercatori del Club de Rome, che si interrogavano sui “Limiti della crescita” (1972) e che avevano messo in moto tutti i computer IBM per sfuggire alla situazione in cui oggi ci troviamo.Ridare oggi la giusta considerazione a questi autori 25 signi ca riconoscere il valore delle loro analisi di allora, constatando al tempo stesso che, avendo dovuto lottare per più di trent’anni per farle accettare, si ritrovano, ora che la loro causa è stata compresa, senza proposte efficaci per un’azione reale.

Nella sua economia, la marcia fa parte del momento ideologico attuale, che richiede un’inevitabile “transizione energetica” 26 (Rojey, 2008). Comprendiamo che, questa volta, questa transizione avrà maggiori possibilità di successo se le lobby delle industrie dell’energia andranno nella direzione di un mercato aperto al grande pubblico, ma anche se tale transizione, come è successo con la marcia a piedi, sarà compresa e accettata come un cambiamento necessario di comportamenti e stili di vita.

Il futuro della città non è più solo quello del progresso (dei trasporti e delle tecniche) - se siamo ancora disposti a dargli credito come elemento capace di risolvere l’impasse energetica o climatica. La rivalutazione della marcia indica questo, non solo in quanto mobilità di un’infrastruttura dolce, ma anche perché camminare rievoca l’invenzione romantica di un comportamento individuale per ciascuno. Il futuro ha lasciato la loso a della storia per il romanzo, attribuendo un ruolo importante ad un lavoro di autoconvincimento implicito con una parte signi cativa di un lavoro di autoconvincimento di fondo, che passa dalla tecnologia dei trasporti (lo spostamento) all’individuo (in marcia). Nel 1968 gli autori del rapporto dello Stanford Research Institute sul trasporto urbano scrivevano:“Gran parte della pianicazione urbana odierna non riesce a riconoscere il potenziale del trasporto come guida al cambiamento e al miglioramento della condizione urbana... i sistemi di trasporto a venire sono costruiti come una profezia che si autoavvera, spingendo le tendenze ancora più in là” 27 . La profezia che si autoavvera di ieri è l’autoconvincimento di oggi, essa opera attraverso le parole di tendenza che il mondo dell’urbanistica fa circolare e, per la marcia, attraverso un marketing del corpo.

25 Dennis L. Meadows, ricercatore del MIT nel 1970, è uno degli autori del“Report sui limiti alla crescita”, promosso dal Club di Roma e che ora porta il suo nome (“Report Meadows”). È stato l’ospite d’onore del seminario di ricerca interdisciplinare nell’ambito del programma “Ignis Mutat res. Penser l’architecture, la ville et les paysages au prisme de l’énergie”(Ministère de la Culture et de la Communication, BRAUP) nel novembre 2011.

26 Bisogna senz’altro interrogarsi sul suo carattere di urgenza, senza per questo minimizzare i fattori ambientali. Si veda Tertrais, 2011.

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Nota

Ed. or. La Marche, le marketing du corps , in « Marche et espace urbain de l’antiquité à nos jours » Clara, 2013/1 n. 1, Bruxelles, Editions de la Faculté d’Architecture La Cambre Horta.

Traduzione dal francese e adattamento editoriale di Zeila Tesoriere

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27 Rapporto dello Stanford Research Institute sul trasporto urbano (1968), citato in Architectural Forum , gennaio-febbraio 1968, editoriale.

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