I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A GIU | LUG 2020
Editoriale
AI NOSTRI RAGAZZI: GRAZIE
Abbiamo dedicato la copertina di questo numero, che resterà nella storia, ai nostri ragazzi. Abbiamo chiesto loro di continuare a lavorare, pur con la preoccupazione per il rischio del contagio, li abbiamo fatti alzare all’alba per riuscire a gestire due turni con due squadre separate, li abbiamo vestiti come i palombari, con sovracamici, mascherine, visiere e guanti, abbiamo cancellato ferie e cambiato orario di lavoro più o meno ogni settimana. E abbiamo trovato sempre tantissima collaborazione e disponibilità da parte di tutti per cercare di affrontare assieme questo periodo difficile. Grazie ragazzi! Ma abbiamo scoperto anche nuove modalità di lavoro, con i nostri smart workers, e le riunioni su Zoom con i nostri commerciali sono diventate un must che porteremo avanti anche quando sarà finita l’emergenza. Grazie alla digitalizzazione “obbligata”, che ci ha permesso di continuare il nostro lavoro di selezione, riusciamo quindi a proporvi qualche novità importante, come ad esempio l’inizio della collaborazione con La Maremmana. Ma non solo: abbiamo sperimentato dei webinar con Vittorio Castellani e le ricette in diretta sui social con la Peri. La parola crisi deriva dal greco krino, che significa riflessione, valutazione e può quindi diventare opportunità di miglioramento.
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisa Magro, Anna Maria Pellegrino, Elisa Perillo Direttore: Giulia Basso In copertina: Sergio Signorello, Mario Antoniazzi, Elia Bianco, Tomas Granzotto, Alex Dall’Arche, Christian Sacconi, Roberto Armellin, Andrea Colmellere, Fulvio Ferracin Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
Che cosa ti piacerebbe leggere nel prossimo numero del magazine Selezione di Sapori? Scrivilo a marketing@valsana.it
Martina Iseppon VALSANA | 02
SOMMARIO GIUGNO | LUGLIO 2020
Novità da Valsana
VALSANA 1 - COVID 0
04
Viaggio in Toscana
LA MAREMMANA
06
Novità a catalogo
PAROLA D’ORDINE... NOVITÀ
10
Intervista doppia
FOGOLAR / CASA GRAZIANO
12
Chiacchierata accademica
RIAFFERMARE L’ECCELLENZA 14
A proposito di filiere
LA FILIERA DELLE CONSERVE 16
Abbinamenti a quattro mani SEMPLICE NON È FACILE
18
Letteratura tra i fornelli
MARIO SOLDATI: ITALIANITÀ A TAVOLA 20
Come si riconosce?
LA MOZZARELLA
Come si fa
COME SI TAGLIA UN FORMAGGIO?
22 25
Cibo dal mondo
POLPETTE: DA APICIUS AL... FOODBALL 28
Idee per il menù bambini
PASTA CON PEPERONI E BURRATA BY PERI 30
Da abbinare
LA VERSATILITÀ DEL CHUTNEY 32
La cucina di qb
LA MARINATURA VALSANA | 03
33
Notizie da Valsana
VALSANA 1 - COVID 0 Vi raccontiamo come abbiamo vissuto in Valsana questa emergenza, tra tensioni e procedure da gestire, ma anche con tante opportunità su cui riflettere Sono state settimane faticose, con l’ansia da contagio e la necessità di abituarci alle nuove pratiche di distanziamento e sanificazione. Abbiamo passato le notti a leggere DPCM e protocolli, nel tentativo di districarci tra indicazioni che cambiavano di giorno in giorno e con l’incertezza di non sapere bene cosa fare per essere certi di tutelare al meglio la salute dei nostri ragazzi.
Ora che la situazione sembra essersi normalizzata ci fermiamo un secondo per respirare e razionalizzare ciò che è stato, e per andare avanti con maggiore consapevolezza. Il primo pensiero è un forte senso di squadra. Tutti hanno dimostrato tantissima disponibilità a collaborare, adeguandosi a nuove procedure, nuovi orari, nuove modalità di lavoro. VALSANA | 04
I ragazzi che lavorano in magazzino in primis. Sono i nostri ragazzi al fronte, che abbiamo diviso in due squadre separate in modo che le persone di ciascuna squadra non si incrociassero, costringendoli a settimane alterne ad alzarsi all’alba, soprattutto chi abita più lontano e la settimana dopo a lavorare fino a tarda sera. Abbiamo disposto ingressi scaglionati, due persone ogni 10 minuti, per poter misurare la temperatura e non avere più di due persone per volta in spogliatoio. Ogni ora devono essere sanificati pulsantiere e apriporte, carrelli e commissionatori e tutte le superfici con cui più persone sono a contatto, e a fine turno ogni postazione di lavoro. Abbiamo definito procedure rigorose per chi si occupa delle spedizioni e dello scarico, ed è pertanto più esposto a contatti esterni. Così come per i nostri autisti, che inevitabilmente sono a contatto ogni giorno con tante persone. Ma è soprattutto la tensione di poter essere esposti al contagio, assieme al disagio di dover
ridistribuire il lavoro tra metà persone per ogni turno di lavoro ad affaticare l’animo, nonostante l’orario ridotto per il calo degli ordini dovuto alla chiusura dei ristoranti e delle frontiere. Per non parlare dei nostri agenti, nervosi e irrequieti come leoni in gabbia, costretti a stare a casa senza la possibilità di essere vicini ai clienti in questo momento di crisi. “Siamo tra i fortunati che hanno potuto continuare a lavorare” è la convinzione che ci ha accompagnato in questi giorni, facendoci sentire dei privilegiati, e ci ha aiutato a trovare l’energia per andare avanti nonostante le difficoltà. Per quanto riguarda gli uffici abbiamo attivato da subito lo smart working. Scene da trasloco, con i ragazzi che si portavano a casa scatoloni con dentro PC e documenti. Abbiamo definito dei turni in modo da avere un paio di persone a presidiare la sede, ma l’atmosfera era surreale: abituati alla confusione del telefono che suona in continuazione e delle voci che si sovrappongono, il silenzio era davvero inquietante.
Dal punto di vista tecnologico attivare lo smart working è stato facile, eravamo già abbastanza strutturati e in un paio di giorni tutti sono stati messi in condizione di lavorare facilmente da casa. Abbiamo adottato un paio di piattaforme di collaborazione: Teams per facilitare la comunicazione interna e Zoom per le riunioni e la formazione. Un po’ più difficile è stato assestarci con la gestione del telefono e soprattutto trovare le modalità organizzative per lavorare a casa: tanti di noi hanno dovuto riorganizzare spazi e tempi per gestire bambini piccoli o ragazzi che stanno seguendo le lezioni online. Insomma... tanto working e poco smart! Ma è stato difficile anche a lavorare da soli, abituati al confronto continuo con i colleghi. Per questo motivo abbiamo organizzato un paio di contest interni: abbiamo chiesto a tutti di preparare una ricetta con almeno un nostro ingrediente e di mandarci le foto, con un piccolo premio in palio. I concorrenti erano agguerriti, ci siamo divertiti tantissimo a scambiarci le riVALSANA | 05
cette e a ridere di alcune foto. E abbiamo scoperto di avere tanti chef potenziali tra i nostri ranghi!!! L’esperienza più importante, tuttavia, l’abbiamo fatta su Zoom, dove abbiamo organizzato riunioni, momenti di formazione e incontri con i produttori dedicati a tutta la rete vendita: abbiamo scoperto uno strumento che continueremo a utilizzare sicuramente anche a fine emergenza, in primis perchè ci ha permesso di coinvolgere in modo frequente tutti i nostri commerciali, anche quelli più lontani. E anche quelli più avversi alla tecnologia, che dopo qualche resistenza iniziale si sono convertiti di buon grado alle riunioni online. Tra colazioni su Zoom e aperitivi in diretta su Instagram il peggio sembra passato e ora sembra di vedere la luce in fondo al tunnel. Speriamo sia davvero così e speriamo di poterne uscire rafforzati, magari non nei numeri, ma sicuramente nella squadra.
Viaggio in Toscana
LA MAREMMANA Vi raccontiamo un viaggio che, causa Covid, abbiamo purtroppo dovuto riconvertire in una visita virtuale... Sperando di poter andare presto a visitare davvero questa meravigliosa azienda, con cui iniziamo una nuova avventura
Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
di Martina Iseppon
NOVITÀ
MOZZARELLA DI LATTE DI BUFALA Mozzarella di latte di bufala prodotta con latte crudo ottenuto dalle bufale di proprietà e siero innesto cod 21080 | peso 200 g circa
NOVITÀ
BOCCONCINI DI LATTE DI BUFALA Bocconcini di latte di bufala dal gusto dolce e delicato, molto pulito, privo di note animali e con intense note lattiche cod 21081 | peso 250 g circa
Guido l’ho incontrato pochi giorni fa su Zoom, spazio virtuale in cui tanti di noi trascorrono le proprie giornate tra call e riunioni in questo periodo di smart working. Abbiamo organizzato un momento di formazione online con la nostra rete vendita dedicato alla regina dell’estate, la Mozzarella di Bufala. A ciascun partecipante è stato inviato un kit con le quattro referenze che abbiamo in assortimento, che corrispondono ad altrettante realtà produttive, totalmente diverse l’una dall’altra: Rivabianca, LadyBù, Borgoluce e la new entry, La Maremmana. Dopo una degustazione comparativa delle quattro bufale, abbiamo chiesto a Guido di presentare la sua azienda a tutti i nostri commerciali. In realtà Guido Pallini lo conosciamo da un po’ di tempo e La Maremmana la stavamo monitorando da un paio d’anni, dopo esserci incontrati a varie fiere in giro per il mondo, dal Cheese di Brà allo Speciality di Londra: una mozzarella di latte di bufala che non fa parte del consorzio della Mozzarella di Bufala Campana DOP ma che ha una sua personalità e una bella storia da raccontare. “Quando mio padre, alla fine degli anni ‘80, decise di acquistare una cinquantina di capi da un allevamento di Foggia per allevarli allo stato semibrado, all’aperto, sulle colline di Grosseto, tutti gli dissero che sarebbero morti nel giro di pochi mesi. Sono passati più di 30 anni e ora le bufale sono oltre 700”. L’azienda agricola Diaccialone si trova a Capalbio, in una zona collinare in provincia di Grosseto: 400 ettari di seminativi, sui quali vengono coltivati cereali e foraggi per l’alimentazione degli animali, e 600 di bosco, dove vengono allevati allo stato brado anche 150 capi di Maremmane. VALSANA | 06
La Maremmana è una razza bovina autoctona della bassa Toscana e dell’alto Lazio, rustica e molto robusta, dalle grandi corna a lira e dal manto con sfumature grigie. Una razza da carne e da lavoro quasi del tutto estinta dopo la bonifica della Maremma, oggi Presìdio Slow Food, che può essere allevata solo allo stato brado e viene pertanto gestita ancora oggi dai “butteri”, mandriani a cavallo. L’azienda agricola nasce proprio con l’allevamento di questa razza bovina da carne, ma durante la crisi degli anni ‘80 diventa necessario riconvertire l’azienda. Marcello Pallini, papà di Guido, durante un viaggio a Salerno si innamora delle bufale, animali robusti e intelligenti, e decide di reintrodurle in Maremma. Reintrodurle, perchè la Maremma pre-bonifica era un ambiente molto difficile, con molte similitudini rispetto alla Piana del Sele, in Campania, dove i bufali venivano impiegati come animali da lavoro proprio per la loro capacità di adattarsi alle condizioni più difficili. Dopo la bonifica l’allevamento delle bufale è praticamente scomparso dalla Maremma, forse anche perchè ricordava agli allevatori quei tempi difficili. Riprendo i miei appunti di viaggio dello scorso anno. Sono stata in quest’area della Toscana più o meno in questo stesso periodo: chiudo gli occhi e rivedo i casali, i cipressi, le colline, paesaggi millenari che svuotano i pensieri e alleggeriscono lo spirito, soppratutto se accompagnati dal suono che incarna l’estate, le cicale. Bando ai ricordi, questa volta mi devo accontentare di un viaggio virtuale: parto dal sito aziendale lamaremmana.it dove subito sono colpita dalla gallery di foto e video (molto belli), che mi permettono di farmi un’idea abbastanza precisa dell’azienda... oltre ad acuire il rimpianto non esserci potuta andare davvero. Ci rifaremo!
Continuo con una full immersion sui social, in particolare nei profili Instagram e Facebook dell’azienda. Poi, come spesso accade in un viaggio, mi perdo lungo percorsi fuori programma, leggendo le tantissime interviste rilasciate da Guido a diverse testate e organizzazioni. Così scopro che il dott. Pallini, laurea in Economia e Finanza, prima di prendere in mano l’azienda di famiglia ha lavorato nella City, a Londra, in una banca di investimento giapponese: è uno dei giovani coraggiosi che ha deciso di lasciare una professione in città per ritornare alle origini. A commento di questa decisione, leggo in uno dei vari articoli che, oggi, comunque, scegliere la campagna non è più considerato un gesto tanto folle. Magari non folle, ma sicuramente coraggioso. E’ confortante tuttavia scoprire che il numero di aziende agricole guidate da under 35 è cresciuto del 12% negli ultimi 5 anni: ragazzi che spesso hanno fatto esperienze diverse nel
campo della gestione aziendale, del marketing, della finanza, spesso all’estero, e che ritornano a casa portando con sè un bagaglio di competenze, visione e capacità di innovazione da innestare nella tradizione familiare. Come nel caso di Guido, che è riuscito a dare nuova energia a una famiglia che il mestiere dell’allevatore lo fa da 200 anni, quando ancora in Maremma si faceva la transumanza. “L’esperienza finanziaria è stata molto interessante e devo dire che oggi me la ritrovo tutta. È un concetto di vita diversa. Mio padre vendeva il latte senza trasformarlo. Io – continua Guido - ho voluto chiudere il cerchio costruendo un caseificio ricavato all’interno di un antico casale in azienda, dove facciamo tanti tipi di formaggio con il latte di bufala. Trasformare oggi è un passaggio obbligato, perché è quello che dà il valore aggiunto a ciò che si produce”. Oggi il 90% del latte viene trasformato nel caseificio di proprietà, mentre il rimanente 10% VALSANA | 07
Guido Pallini, 33 anni, laurea in economia e finanza alla Luiss a Roma, sei mesi alla Fao in Colombia, tre anni a Londra presso la banca giapponese Nomura, lascia tutto per tornare in Toscana, per gestire la fattoria di famiglia
BRAND DI PRODOTTO La Maremmana
ALLEVAMENTO BUFALE Az. Agr. Diaccialone
STALLA + CASEIFICIO Inno Al Sole
NOVITÀ
TRECCIONE DI LATTE DI BUFALA Treccione di latte di bufala prodotto con latte crudo delle bufale allevate in azienda e siero innesto, dal gusto dolce e delicato, molto pulito, disponibile solo su prenotazione cod 21082 | peso 2 kg circa
viene ancora venduto ad altri caseifici del centro Italia, ma l’obiettivo è arrivare a trasformare tutta la produzione. Il Caseificio “Inno al Sole” è situato a Principina Terra, frazione di Grosseto, nel cuore della Maremma. E’ stato ricavato da un casale del 1800, a 500 metri dalla stalla, ed è affiancato dallo spaccio aziendale, separato dal laboratorio solo da una vetrata per dare la possibilità ai clienti di vedere la produzione. “Nel caseificio utilizziamo esclusivamente latte di bufala del nostro allevamento, oltre alla mozzarella di bufala filata a mano, si producono ricotta, yogurt, burrata e una varietà di formaggi di ispirazione francese”. Il casaro, Francesco Fasulo, è di Battipaglia, culla dell’antica tradizione della mozzarella di bufala. “Abbiamo scelto una persona con esperienza nella lavorazione del latte di bufala per valorizzare il nostro latte, che tutti i nostri clienti ci hanno sempre detto essere di ottima qualità, delicato, con una carica batterica bassa”. VALSANA | 08
Inizialmente la stalla era a Capalbio, dove avveniva anche la mungitura. Nel 2000 abbiamo deciso di trasferire le bufale “in produzione” nella stalla a Grosseto, dove ora risiedono circa 400 capi (150 in lattazione): qui gli animali, allevati a stabulazione libera, dispongono di ricoveri al coperto con le tradizionali lettiere in paglia e ampi terreni recintati dove possono muoversi liberamente. Le bufale nascono quindi a Grosseto e ci restano fino a 6 mesi, poi vengono trasferite a Capalbio, nell’azienda agricola a 50 km circa di distanza, dove rimangono fino a quando raggiungono i 2 anni di età. A questo punto vengono riportate a Grosseto per partorire, e poi “entrare in produzione”. “Questi due anni di vita all’aperto sono molto importanti per le nostre bufale. Il contesto in cui vivono gli animali li rende sani e forti, con un notevole impatto sul loro benessere e di conseguenza sulla qualità del latte, ma anche sulla loro longevità: il nostro record è una bufala di 20 anni con ben 17 figliature”.
Chi visita il Diaccialone a Capalbio resta sempre colpito dagli spazi ampi a disposizione degli animali: 1 ettaro ogni 100 animali. Qui le bufale vivono semibrade all’aperto nelle colline dell’azienda agricola e vengono alimentate con il sistema uni-feed. Attorno alla stalla ci sono numerosi ettari di seminativi dove vengono coltivati cereali e foraggi per l’alimentazione degli animali. L’80% dell’alimentazione viene prodotta in azienda: insilato di mais e di grano, fieno, con un‘integrazione di farina di mais e farina di soia per dare energia e proteine. Ancora una volta ritroviamo il concetto cardine su cui si fonda ogni filiera corta: il controllo dell’alimentazione degli animali è fondamentale per la qualità dei prodotti. Durante l’incontro su Zoom ritroviamo nella presentazione di Guido un altro concetto a cui teniamo molto: il modello produttivo della famiglia Pallini è ispirata all’idea di economia circolare, per massimizzare l’efficienza e la sostenibilità ambientale dell’azienda.
Nei terreni di proprietà vengono prodotti i foraggi per l’alimentazione delle bufale, i cui reflui - assieme a scarti e siero provenienti dal caseificio, colture dedicate e sottoprodotti agro industriali come la sansa - alimentano l’impianto di biogas. Si tratta di un impianto di energia rinnovabile da biogas che produce sia energia elettrica (400kw ora) - usata in parte per l’azienda e in parte immessa in rete - sia energia termica, usata per generare acqua calda per la stalla. Al termine del processo di fermentazione quello che rimane, il “digestato”, è un ottimo fertilizzante, con un alto contenuto di sostanza organica, fosforo, azoto e potassio. Ritorniamo quindi alla terra, secondo una logica circolare millenaria. Un’altra pratica molto importante adottata in azienda è anche la semina su sodo, detta anche semina diretta, un sistema di coltivazione che si basa sull’assenza di qualsiasi tipo di lavorazione meccanica del terreno. È una tecnica di agricoltura conservativa, che rispetto alle VALSANA | 09
forme convenzionali (aratura, fresatura, erpicatura), lascia il terreno indisturbato e contribuisce alla sua naturale strutturazione, all’accumulo di carbonio organico, alla riduzione dei fenomeni di erosione e desertificazione, e alla migliore gestione delle risorse idriche. Con questa finalità è stata introdotta anche l’irrigazione a goccia, un metodo che somministra lentamente l’acqua alle piante, depositandola sulla superficie del terreno contigua, consentendo di minimizzare il consumo d’acqua e ottenere migliori risultati produttivi. Solitamente le mie letture trovano la loro conclusione in un viaggio vero, in un incontro, una stretta di mano. Questa volta si sono concluse con un incontro su Zoom. “Piuttosto di niente meglio piuttosto”, si dice da noi. Ma devo confessare che mi è mancata l’emozione di ascoltare i suoni della natura, di vedere gli occhi brillare nel racconto di una scelta di vita e di respirare il legame profondo con la terra e gli animali di questa famiglia. Speriamo di poterlo programmare presto per davvero...
Novità a catalogo
PAROLA D’ORDINE... Nonostante il periodo impegnativo, il nostro percorso di ricerca e selezione non si è mai fermato
Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana
di Elisa Magro AGRICANSIGLIO: IL PANNARELLO NOVITÀ
AMORE DI CAPRA Formaggio fresco spalmabile, dal sapore acidulo ideale in abbinamento a ortaggi freschi, frutta fresca e confetture cod 21285 | peso 100 g circa
LA RICETTA: TIRAMISÙ CON AMORE INGREDIENTI (per 2 persone): 1 confezione di Amore di Capra 2 taralli pomodori secchi sott’olio qualche foglia di rucola Disponi a strati in un bicchiere da cocktail i taralli sbriciolati, il formaggio fresco Amore di Capra, i pomodori secchi e le foglie di rucola spezzettate. La croccantezza dei taralli, insieme alla sapidità dei pomodori secchi sott’olio, alla dolcezza del formaggio fresco Amore di Capra e al sapore intenso della rucola, regaleranno una piacevolissima sensazione al palato. Ideale come fresco e sfizioso entrée.
Da Agricansiglio arriva un nuovo formaggio fresco, con almeno 10 giorni di stagionatura, perfetto come formaggio da tavola, per arricchire insalate o anche sulla pizza, piacevole e molto versatile. Si caratterizza per la crosta sottile, regolare ed elastica; la pasta, di colore bianco naturale o leggermente paglierino, è morbida, compatta al taglio, con occhiatura scarsa o inesistente. Il sapore, molto dolce e delicato e con spiccate note lattiche, deriva dalla lavorazione del latte intero raccolto nelle province vicine al caseificio e arricchito con l’aggiunta di panna per ottenere una sensazione ancora più suadente al palato. NOVITÀ
LA GIUNCÀ: IL GIANDUIOTTO Aspettavamo il gianduiotto nella versione a latte di capra da affiancare a quello a latte vaccino, e finalmente è arrivato! È un formaggio prodotto con latte caprino intero crudo, raccolto prevalentemente da capre allevate nella Valsesia. Stagionato almeno 60 giorni, è dolce con note leggere, quasi impercettibili, di capra e sensazioni erbacee e profumi di cantina umida. Si caratterizza per la crosta sottile e di colore grigio, con colorazioni dal giallo al rosso legate alla formazione di muffe che si sviluppano nelle cantine umide. La pasta è compatta con occhiatura piccola e rada. La forma ricorda proprio quella del cioccolatino piemontese.
NOVITÀ
PANNARELLO
GIANDUIOTTO DI CAPRA
Formaggio fresco, dolce e delicato, prodotto con il latte vaccino locale
Caprino a forma di cioccolatino prodotto con latte crudo e stagionato in cantina cod 21440 | 7 kg circa disponibile a metà sottovuoto
cod 30604 | peso 5,5 kg circa
VALSANA | 10
Novità a catalogo
...NOVITÀ Ecco le nuove proposte per andare incontro alla stagione e al cambiamento delle modalità di acquisto dei clienti di Elisa Magro MEGGIO: LA LUGANEGA
CORRÀ: LO SPECK
È tempo di grigliate! Vi presentiamo la Luganega fresca del Salumificio Meggio, produttore che conosciamo bene e che ci piace perchè produce salumi di qualità nel rispetto della tradizione contadina trentina.
In questi mesi le modalità di acquisto dei clienti sono cambiate e i preaffettati si sono rivelati un modo veloce e pratico per acquistare salumi di qualità. Ad arricchire questa gamma è finalmente arrivato lo speck Corrà Selezione Verdes, diverso dal Riserva Roen che abbiamo in assortimento.
Fiore all’occhiello della produzione dei fratelli Meggio, la luganega è tradizionalmente utilizzata per accompagnare la polenta, la torta di patate o i crauti, ai quali viene aggiunta durante la cottura. È ottima anche per insaporire i celebri canederli, conditi con sugo o in brodo. Anche se l’ideale per la stagione estiva è cuocerla alla piastra, servita con la polenta o come farcitura di panini.
Preparato con cosce di media dimensione, stagiona più rapidamente, mantenendo i profumi dell’affumicatura e delle spezie Sono proprio l’affumicatura e la speziatura di questo speck ad averci convinti, perchè sono la firma di Corrà per quanto riguarda la concia: ben equilibrate, invogliano a prendere prima una fetta e poi un’altra ancora.
NOVITÀ
NOVITÀ
NUOVO FORMATO
ALICI MARINATE I filetti, dal colore bianco candido e perfettamente puliti, sono disposti a raggiera e conservati in olio di girasole. Il sapore è deciso ma non invadente cod 95806 | peso 200 g (100 g peso sgocciolato)
I MARINATI DI COMACCHIO: ALICI PER GLI AMICI Pescate a Porto Garibaldi freschissime a Comacchio secoli, la marinatura è un conservazione del pesce di valle.
LUGANEGA
SPECK VERDES
Salsiccia non molto grassa e con una macina piuttosto fina. Non lascia in bocca sensazioni di unto eccessivo cod 80118 | 300 g | conf. 2 pezzi cod 80119 | 900 g | conf. 6 pezzi
Uno speck ricco di aromi speziati, profumato, con un’affumicatura equilibrata. Gradevole anche l’umidità della fetta cod 82327 | busta sottovuoto 100 g VALSANA | 11
e lavorate dove, da metodo di mare e di
Lavorate ad una ad una, lavate, preparate, marinate e lasciate riposare un giorno intero, i filetti, disposti manualmente nelle latte, sono compatti e vengono rinfrescati dal tono di aceto presente, che conferisce al pesce quella nota di freschezza che si ricerca nella stagione estiva.
Intervista doppia
CASA FOGOLAR ELI PROSCIUTTI GRAZIANO SAN DANIELE DEL FRIULI (UD) Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017
TIZZANO VAL PARMA (PR)
San Daniele o Parma? Sono i due assi della salumeria italiana, entrambi buonissimi, accomunati dalla materia prima di altissima qualità. Perché sceglierne uno solo quando possiamo assaggiarli entrambi? di Giulia Basso
LE RECENSIONI DEI CLIENTI
Marusia Neynska | Grandfoods (Sofia, Bulgaria) Nel nostro negozio vendiamo solo prodotti di altissima qualità, dai formaggi ai prosciutti: per questo ci troviamo molto bene con Valsana. Ho scelto il prosciutto Fogolar perché offre una stagionatura di 18 mesi, è buonissimo, morbido e dal gusto delicato. Tra i prosciutti preferisco sempre il San Daniele, perché mi piace moltissimo il Friuli Venezia Giulia. Angelo Lieto | La Fenice ristorante-pizzeria (Belluno) Ho provato i crudi di Parma di diverse aziende, ma sono tornato sempre su Casa Graziano, perché è un prodotto con una marcia in più, l’unico che ci garantisce costanza nel gusto. E’ dolce e buono dall’inizio alla fine. Lo usiamo, insieme alla stracciatella pugliese e ai pomodorini confit per preparare la pizza Nuvola, che è il nostro cavallo di battaglia.
FOGOLAR DI ELI PROSCIUTTI E’ un’azienda del terzo millennio, gestita interamente da donne. Eli Prosciutti è nata dall’esperienza nell’agroalimentare della famiglia Dalla Bona: “Mio nonno e mio padre erano produttori di Grana Padano nella bassa bresciana dagli anni ’50. Negli anni ’80 per diversificare l’attività iniziarono ad avvicinarsi alla produzione di prosciutti, lavorando a balia in diversi stabilimenti: acquistavano cosce fresche che poi portavano a lavorare e stagionare nei prosciuttifici altrui”, racconta Elena Dalla Bona, amministratrice dell’azienda, che presto verrà affiancata nel lavoro anche dalla figlia. “Nell’88 entrai anch’io nell’attività, mi ci appassionai e iniziai a fare pressioni su mio padre per aprire una produzione tutta nostra. Perciò acquistammo un immobile a Traversetolo (Pr) e diventammo produttori di Prosciutto di Parma. Qualche anno dopo rilevammo anche una piccola azienda artigianale a San Daniele del Friuli, Fogolar, e ci dedicammo alla produzione del San Daniele Dop”. Qui, racconta la “signora dei prosciutti”, la lavorazione è quella tradizionale della zona, ancora manuale in gran parte delle operazioni. La salagione avviene a secco e “a sale saturo”, perché la sua durata è dettata dal peso della coscia. La stagionatura, di almeno 18 mesi, avviene su legno e conferisce ai prosciutti una particolare profumazione. La produzione è artigianale e medio-piccola: ogni anno si lavorano circa 28 mila prosciutti. VALSANA | 12
CASA GRAZIANO Dopo aver lavorato per 15 anni in un prosciuttificio, Graziano, con l’aiuto della moglie Luisa, realizza il suo sogno: costruisce un piccolo laboratorio partendo dalle fondamenta della stalla in cui il padre teneva le mucche e avvia il suo primo prosciuttificio. L’operazione funziona e nel frattempo arrivano i figli Simone e Andrea. “Io e mio fratello siamo cresciuti all’interno del prosciuttificio e abbiamo imparato tutto sulla lavorazione dei prosciutti: quello che all’inizio era un gioco si è trasformato in una passione - racconta Andrea Casa, che dal padre ha ereditato la passione per la norcineria. Quindi nel 2001 ci siamo spostati: nel vecchio laboratorio, ormai circondato di case, non ci si poteva espandere, perciò abbiamo fatto un investimento e costruito lo stabilimento a Capoponte, nel comune di Tizzano Val Parma, dove siamo oggi”. Prima la produzione era di circa 15 mila prosciutti all’anno, poi è diventata di 55 mila. Ma la ricetta per un Parma Dop che si rispetti è sempre la stessa: “Per un prosciutto di prima qualità è essenziale partire da un’attenta selezione della materia prima. I maiali sono per il prosciutto ciò che le fondamenta sono per le case: con una base solida tutto viene meglio”. Oltre alla materia prima grande attenzione viene messa nella lavorazione: la salatura è manuale, si sfrutta l’aria del posto per far “fiorire” il prosciutto e si controlla che il prodotto maturi al meglio in fase di stagionatura, che dura almeno 16 mesi
Elena Dalla Bona
Andrea Casa
La zona di produzione come influenza il prodotto finale?
La zona di produzione come influenza il prodotto finale?
A San Daniele s’incrociano due venti, uno che viene dai monti e uno dal mare, che sfruttiamo per la stagionatura dei nostri prosciutti: quando il tempo è buono apriamo le finestre e usiamo l’aria naturale. Ma l’aspetto che fa davvero la differenza è la lavorazione tipica di questa zona.
Siamo alle porte del Parco dei 100 Laghi, all’interno della Riserva della Biosfera Unesco dell’Appennino Tosco Emiliano, circondati al verde e a 500 metri sul livello del mare. Nello stabilimento abbiamo 64 finestre che usiamo per cambiare aria all’interno delle cantine di stagionatura. Così quando il tempo lo permette ossigeniamo il prosciutto, che assume un profumo particolare.
Qual è la fase più delicata della lavorazione per ottenere un prosciutto d’eccellenza? E’ la prima fase, il cosiddetto “periodo del freddo” che dura circa 120 giorni. Ma per tutta la fase di lavorazione e stagionatura il prodotto va curato come un bambino piccolo: è un lavoro difficile e pieno d’incognite. Com’è cambiata la vostra attività in questo periodo d’emergenza sanitaria? Dal punto di vista della lavorazione non è cambiata molto, perché seguivamo già regole d’igiene molto rigide. Perciò i nostri dipendenti si sono adattati rapidamente a mascherine, distanziamento e sanificazione. Dal punto di vista delle vendite invece c’è stato un calo importante: il Consorzio ha gestito al meglio l’immagine del prodotto, ma la chiusura di ristoranti e locali ha pesato molto. Che messaggio consumatori?
vorrebbe
passare
ai
Li inviterei a mangiare italiano, perché prodotti come il prosciutto di San Daniele e di Parma sono davvero il top: di altissima qualità, garantiti da una filiera controllata e con caratteristiche nutrizionali importanti.
SAN DANIELE DOP FOGOLAR Dolce e leggermente sapido con intenso profumo caratteristico stagionato almeno 18 mesi | peso 11 kg circa
Qual è la fase più delicata della lavorazione per ottenere un prosciutto d’eccellenza? La differenza tra un’azienda e l’altra la danno le piccole attenzioni: selezione della materia prima, salatura manuale e aerazione sono fondamentali per un prodotto di grande qualità, che ancora prima che al palato risulta piacevole alla vista e profumato. Com’è cambiata la vostra attività in questo periodo d’emergenza sanitaria?
PROSCIUTTO DI PARMA CASA GRAZIANO Dolce e delicato, molto profumato, con note di tostato disponibile nelle stagionature 20 | 24 | 30 mesi
In maniera importante: siamo stati fortunati a livello di salute, perché questa pandemia non ci ha colpito, ma dal punto di vista lavorativo abbiamo registrato un calo, anche se abbiamo continuato a lavorare con salumerie, gastronomie e macellerie. Che messaggio consumatori?
vorrebbe
passare
ai
I consumatori sanno che il nostro è un prodotto d’alta qualità, ma vorrei esprimere solidarietà a ristoratori e gestori di locali, che in questo periodo abbiamo cercato di aiutare per quanto possibile. Dobbiamo fare squadra e valorizzare i prodotti made in Italy.
Chiacchierata accademica
RIAFFERMARE L’ECCELLENZA Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
Un’intervista a due cari amici, docenti di Economia e Management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, per cercare di mettere in fila alcune riflessioni sul momento storico che stiamo vivendo di Martina Iseppon Abbiamo approfittato del rapporto di collaborazione ormai consolidato con il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari per “rubare” un’intervista ai due co-direttori Vladi Finotto e Christine Mauracher, professori presso il Dipartimento di Management dell’università veneziana. Ci piaceva l’idea di provare a dare una lettura un po’ più strutturata a ciò che stiamo vivendo, attraverso l’interpretazione di chi si occupa, per lavoro, di studiare le strategie aziendali e i consumi del mercato agroalimentare. Qual è stato l’impatto del Covid-19 sulla filiera agroalimentare? Sicuramente dobbiamo distinguere i diversi comparti della filiera. L’horeca è quello che ha sofferto di più, pur con alcuni elementi di continuità - il delivery prima e l’asporto poi - che hanno permesso di sperimentare nuovi modelli di business, e che probabilmente continueranno a coesistere con la riapertura.
Vladi Finotto è Professore di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e co-direttore del Master in Cultura del Cibo e del Vino
La distribuzione ha sperimentato un duplice impatto: uno spostamento delle vendite dalla GDO ai negozi di prossimità durante la prima fase del lockdown, e un cambiamento dei consumi, legati alla maggiore disponibilità di tempo, con un calo degli articoli time-saving come i piatti pronti e un incremento degli ingredienti di base come farina, uova, lievito. Ma sono cambiate anche le dinamiche all’interno del punto vendita, con una preferenza per il prodotto confezionato e quindi per il libero servizio rispetto alla vendita al banco servito, sia per un’accresciuta percezione del rischio legato al contatto con gli alimenti, sia per ridurre il tempo di permanenza nel punto vendita. L’agricoltura ha avuto un impatto più dilatato rispetto agli altri comparti della filiera: vediamo da un lato aziende in difficoltà per la mancanza di
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manodopera, pur avendo una domanda importante di prodotto, come l’ortofrutta; dall’altro realtà che hanno sperimentato un maggior rallentamento dovuto alla chiusura dei ristoranti: si pensi in particolare al vino. Questa crisi, rispetto a molte altre, è unica: rispetto a quella del 2008, per esempio, non parte dal settore immobiliare o finanziario per trasmettersi gradualmente all’economia reale. Ha impattato direttamente su quest’ultima, determinando la chiusura di molte attività - si pensi ancora una volta ai ristoranti, ai servizi alla persona – che forniscono lavoro a molti. La rapidità con cui la crisi si è tradotta in una compressione dei consumi è inedita. Interi settori da un giorno all’altro hanno dovuto sospendere completamente le attività, e si tratta tra l’altro di alcuni tra i più importati comparti dell’economia italiana: turismo, ristorazione, moda. Il rischio, se non viene garantita la liquidità dei piccoli produttori, è quello che diventino facile preda dei grandi player del mercato. Cosa succederà con la riapertura? Quali scenari vi immaginate nei prossimi mesi? Molto dipende da come si comporteranno le cur-
ve del contagio. Secondo le stime del CERVED, il calo del fatturato delle imprese italiane nel 2020 sarà compreso tra il 7% e il 18%, con un parziale recupero nel 2021 a seconda che l’emergenza finisca entro l’inizio dell’estate o invece a fine anno. Il settore agricolo, tra quelli analizzati, è l’unico a non mostrare un segno negativo del fatturato nel 2020: sia la distribuzione alimentare che la produzione ortofrutticola rientrano tra i 10 settori con le performance migliori. La fase 2 è una fase di transizione, in cui saranno importanti la velocità di reazione e la flessibilità nell’affrontare i problemi tempestivamente. È fondamentale però non ragionare solo in un’ottica di breve periodo: bisogna ritagliarsi degli spazi per ragionare anche sul lungo termine, per capire cosa succederà dopo, magari riflettendo su scenari diversi, visto che l’imprevedibilità della situazione attuale rende molto difficile ogni previsione. È necessario resistere alla tentazione di tagliare tutti gli investimenti in una logica difensiva e sfruttare la discontinuità di questo momento per ragionare su nuovi canali, nuove competenze, nuovi strumenti. Per esempio: si andrà, forse, meno al ristorante ma probabilmente i consumatori saranno disposti ad accettare prezzi più alti a fronte di una maggiore sicurezza, crescerà il delivery a cui ci siamo abituati in questi mesi, cambierà il packaging dei prodotti per garantire maggiore sicurezza alimentare. Queste sono solo alcune delle ipotesi di lavoro su cui gran parte del comparto sarà chiamato a ragionare per rivedere i propri modelli di business. Ci dobbiamo aspettare un ulteriore impatto legato al probabile calo del turismo internazionale? L’assenza di stranieri sarà molto impattante per il fine dining, la cui clientela era in alcuni casi per l’80% internazionale. Sicuramente ci saranno però meno italiani che andranno all’estero, quindi in parte si potrà ripensare l’offerta ritagliandola su una clientela più locale. Ma c’è un altro risvolto da tener presente per l’agroalimentare: il turismo è un canale di promozione fortissimo per il made in Italy. L’ospitalità è un canale fondamentale per far conoscere, attraverso la cucina, l’enogastronomia Italiana. Questo ci mancherà nei prossimi mesi e dovremo essere bravi a continuare a promuovere le nostre eccellenze anche all’estero. L’Italia è il Paese che prima di tutti in Europa si è trovato a dover affrontare questa pandemia e in tanti Paesi è considerata ancora zona rossa, e quindi destinazione turistica sconsigliata. Dovremo trovare le risorse per superare questo stigma, che rischia di intaccare il percepito di qualità da sempre associato al Made in Italy, per riaffermare l’eccellenza dei nostri prodotti. Si parla di “nuova normalità”. Quale sarà la normalità nella fase 2? Dovremo abituarci a convivere con il virus e con
regole nuove di distanziamento, ma anche con Quali sono gli asset su cui dovrebbe investire comportamenti e abitudini nuove che abbiamo un’azienda in questo momento storico? probabilmente acquisito durante il lock down. Abbiamo vissuto in queste settimane un’introduUn aspetto che sicuramente va tenuto in consi- zione forzata del digitale: abbiamo imparato vederazione è una maggiore attenzione alla salute, locemente a utilizzare nuovi strumenti e ci siamo e quindi anche al rapporto tra cibo e salute. La inventati nuovi metodi di lavoro. Sarà opportuno pandemia sembra essere partita proprio dal cibo riflettere sull’esperienza maturata in questi mesi, (i famosi pipistrelli nei wet market di Wuhan) e per consolidarla e strutturare al meglio la coesiquesto non fa che rafforzare l’idea di quanto sia stenza di canale fisico e online, sia nella gestione delle risorse umane che nella gestione delle dinafondamentale il rapporto tra cibo e salute. Ci sarà poi anche una richiesta di maggiore qua- miche commerciali e di comunicazione. Pensiamo lità non solo nel prodotto ma anche nel processo, alle fiere, ai convegni, agli eventi, ma anche alle che dovrà garantire la sicurezza dei consumatori. trasferte e alle riunioni: ora che abbiamo capito Due sono i temi che le aziende, oltre a garantire, che molta presenza si può sostituire, si dovrandovranno saper comunicare: la rigorosità nella ge- no ripensare gli eventi e le occasioni di incontro, stione dei processi e l’attenzione alla sicurezza dei per dare un contenuto di maggiore valore alle attività che richiedono una partecipazione fisica. dipendenti. Essendoci resi conto che tanti contenuti possono Durante il lock down c’è stata una maggiore at- essere fruiti anche a distanza, per convincere le tenzione ai temi della filiera corta e delle produ- persone a fare lo sforzo di spostarsi sarà neceszioni locali. Continuerà anche nei prossimi mesi? sario rendere più efficaci e di valore le attività in Sicuramente il fatto che molte persone abbia- presenza. Va tenuto in considerazione che il food no cucinato di più, facendo ad esempio il pane è un prodotto high touch, dove la possibilità di in casa, potrebbe avere un impatto positivo, in toccare con mano e assaggiare resta fondamentermini di maggiore attenzione nella scelta degli tale: questa reinvenzione degli eventi fisici rapingredienti. L’acquisto di prodotti locali ha avuto presenta quindi una grande opportunità. anche un risvolto sociale in queste settimane: “acChe consiglio dareste a chi cerca di valorizzare quisto da produttori locali per aiutare a sostenele piccole produzioni di qualità del nostro Paese? re l’economia del mio territorio, così come utilizzo Continuare a lavorare molto sulla comunicazione, l’home delivery per sostenere i ristoratori locali”. sulla capacità di raccontare le eccellenze italiane, su tre piani principali: rassicurare il consumatore, comunicando la qualità e la sicurezza sia del prodotto che del processo; ribadire il legame tra cibo e salute e l’importanza di scegliere in modo consapevole; trasmettere i valori legati al cibo di qualità, come prossimità, filiera corta, sostenibilità, inclusività. Parlando del Master, come avete gestito questi mesi di lock down?
Christine Mauracher insegna discipline economico-agrarie presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia è co-direttore del Master in Cultura del Cibo e del Vino
Abbiamo deciso di sospendere il Master fino a settembre. È stato portato avanti soltanto il Contamination Lab, di cui Valsana è stata partner, e quindi la parte progettuale legata ai lavori di gruppo, che ci ha fatto sperimentare nuove modalità di lavoro a distanza con i ragazzi. Nel nostro Master le visite alle aziende delle diverse filiere sono parte integrante della formazione, quindi ci è sembrato più corretto rinviare l’attività didattica. Sicuramente usciamo da questo periodo con la consapevolezza che molte attività possono essere gestite da remoto attraverso librerie di contenuti registrati e strumenti di collaborazione molto efficaci, grazie ai quali siamo riusciti ad avere ospiti e testimonianze importanti, che difficilmente avremmo potuto avere in aula. La prossima sfida sarà trovare il giusto trade off tra attività online e attività in presenza, sfruttando l’aula per le attività che richiedono maggiore interazione, ma anche per dare ai ragazzi l’opportunità di vivere appieno la relazione interpersonale tra di loro e con i docenti.
A proposito di filiere
LA FILIERA DELLE CONSERVE Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export
52 ha ettari coltivati dalla Soc. Agr. Trentin
70 soci soci produttori Dani Coop
800 kg capperi raccolti da Marco Maxia nel 2019
La gestione del campo orientata all’eccellenza, la lavorazione da fresco e la coltivazione intesa come cultura: questa è la filiera delle verdure in conserva come piace a noi! di Alessandro De Conto Sono state tra le protagoniste della spesa media degli scorsi due mesi, principalmente per la ragione stessa della loro natura, ovvero la lunga conservabilità. Perfette per essere stoccate nelle dispense a lungo e fronteggiare lunghi periodi di clausura, le conserve sono nate anticamente per due motivi tra loro connessi: far fronte alla deperibilità degli alimenti e garantirsi una riserva di cibo durante le stagioni fredde. Nell’impossibilità di affrontare tutto lo scibile del mondo delle conserve, ci concentreremo qui sul mondo delle verdure raccontando le diverse variabili in gioco lungo la filiera e insistendo sui punti di forza delle aziende che abbiamo selezionato negli anni per questo segmento. Ma facciamo un passo indietro, anzi forse due, e cominciamo dal principio della filiera: il campo, ovvero la terra. Matrice essenziale per una produzione qualitativamente elevata, la terra a volte viene bistrattata al fine di un raccolto quantitativamente elevato. Come? Coltivando intensamente, applicando una lotta agli infestanti senza ritegno nell’utilizzo di prodotti chimici, o ancora concimando senza rispetto per il ciclo naturale e colturale della pianta. Una visione di corto periodo che pregiudica la bontà del risultato finale e il rispetto del territorio (e del consumatore) a favore di un raccolto sicuro e abbondante. Dal canto nostro in questi ultimi anni abbiamo cercato di privilegiare, nella nostra scelta, chi già nel campo dimostrava di guardare all’eccellenza piuttosto che all’abbondanza, cito la Soc. Agr. Trentin (alias I Contadini) in Salento ad esempio, che contrasta gli infestanti con una lotta integrata, somma di rotazione colturale,
azione di insetti antagonisti e scelta di piante forti. O ancora effettua una concimazione organica utilizzando elementi naturali e irrorando i campi efficientando le risorse idriche. E certamente poi dà continuità a una filiera eccellente anche nei passaggi successivi che tra poco vedremo. Perché la filiera, nel loro caso, è tutta inclusa nell’azienda agricola, dal campo al prodotto finito. Molto simile, anche se caratterizzata da una struttura organizzativa di carattere cooperativo, è la filiera del San Marzano Dop seguita da Dani Coop (Gustarosso). L’azienda segue tutto il processo produttivo del pomodoro partendo dai semi, dalla fornitura delle piantine ai soci produttori e assicurando agli stessi l’assistenza tecnica agronomica durante la fase di crescita fino alla raccolta. Il San Marzano è ancora oggi NOVITÀ OP” “DANI CO
ORIGANO Una novità nelle produzioni di Dani Coop che ha da poco iniziato a coltivare verdure e piante aromatiche del territorio, tra cui anche quest’origano molto aromatico codice 93576 | peso 100 g
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LA FILIERA DELLA SOCIETÀ AGRICOLA TRENTIN - I CONTADINI
AGRICOLTURA INTEGRATA
Lotta integrata, concimazione organica, impianti a goccia
RACCOLTA A MANO
Calma, pazienza, cura. Gli ortaggi sono raccolti a mano
coltivato, da disciplinare, in verticale, anche se questo metodo impone la raccolta manuale del prodotto. Coltivare verso l’alto significa far crescere la pianta su 3 o 4 livelli di altezza, i grappoli di pomodori in questo modo ricadono verso il basso, non toccando mai il terreno e restando più facilmente integri. Nelle due aziende descritte sopra, le verdure lavorate fresche subito dopo il raccolto, vengono lavate e avviate direttamente alla produzione del prodotto finito. Questo rappresenta il grande spartiacque tra un prodotto industriale e un prodotto di filiera che potremmo definire artigianale senza alcun dubbio. Infatti la grande domanda che ci dobbiamo porre quando apriamo un vasetto di verdure in conserva è: saranno state lavorate dal fresco o da un prodotto in salamoia? NOVITÀ DINI” “I CONTA
ESSICAZIONE AL SOLE
Essicazione sui graticci, al sole, secondo tradizione
LAVORAZIONE ARTIGIANALE
Taglio e toelettatura sono eseguiti da abili mani femminili
Produrre un antipasto da una verdura in salamoia significa acquistare da terzi una verdura già pre-conservata. Scelta legittima, che tuttavia, a nostro avviso pregiudica il risultato organolettico del prodotto finito. Scelta che molto spesso mette al centro dinamiche di controllo del costo della materia prima e non pone molta attenzione verso l’origine del prodotto. Vi invito pertanto ad assaggiare a confronto un carciofino sottolio industriale e un carciofino de I Contadini, per accorgervi in prima persona delle diverse consistenze (cedevole il primo, croccante il secondo) e dell’intensità del sapore (debole il primo, vivo e persistente il secondo). La stessa prova la possiamo fare con qualsiasi altro sottolio, dal pomodoro secco al peperone, dalla melanzana alle zucchine.
NOVITÀ DINI” “I CONTA
CONSERVAZIONE NATURALE
Sale integrale, limone e aceto di mele sono gli unici conservanti
Inoltre ci piace lavorare con piccole aziende agricole, come quella di Marco Maxia a Selargius in Sardegna, perché si adoperano per far rivivere piante e colture locali, ridandogli vita, come il Cappero Selargino appunto. Se oggi troviamo il cappero selargino sulle nostre tavole, lo dobbiamo soprattutto a Marco e alla sua azione di recupero di una pianta in via d’estinzione fino ai primi anni 2000. Mi raccontava proprio in questi giorni che in 20 anni di lavoro sono riusciti a recuperare il 95% dei campi incolti del comune, un grande risultato! Identità come questa, radicate sul territorio, segno vivo della capacità di un professionista di dare anima a ciò che produce, ci interessano da sempre. Non sono solo storie di coltura, ma anche e soprattutto di cultura.
NOVITÀ DINI” C “I ONTA
“I PELATI” POMODORI GIALLI AL NATURALE
“LA GIALLA” PASSATA DI POMODORO
OLIVE LECCINE DENOCCIOLATE
CAPPERO SELARGINO SOTTO SALE ELITE
Pomodori scottati leggermente, pelati uno ad uno esclusivamente a mano e messi nei vasi di vetro. Sprigionano tutto il profumo dei pomodori freschi!
Passata di pomodoro densa e polposa, prodotta con pomodori gialli lavorati entro 24 ore dalla raccolta. Il gusto è dolce, con bassa acidità
Olive di piccole dimensioni dal gusto dolce e morbido, denocciolate e condite con peperoncino, origano e aglio. Ideali per aperitivo, nelle insalate, con la carne o il pesce
Capperi di calibro molto piccolo, i più pregiati, conservati con sale marino sardo. Dolci e vegetali, leggermente sapidi e dalla piacevolissima consistenza croccante
codice 93891 | peso 1,6 kg
codice 93890 | peso 1,6 kg disponibile anche 250 g e 500 g
codice 93893 | peso 230 g codice 93888 | peso 1,6 kg
codice 94491 | peso 200 g codice 94490 | peso 80 g
Abbinamenti a quattro mani
SEMPLICE NO
Matteo De Santi è laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana
Un roastbeef delicato, se a cui basta solo qualche acc per esprimere il
di Matteo De Santi
La scelta facile è l’illusione che rischia di farvi rimanere in superficie. Nonostante Alessandro Meggiolaro sia un uomo colmo di tante idee, i suoi prodotti tendono alla semplicità intesa come ricerca dell’essenzialità. Semplicità da non confondere con l’essere facile perché un’idea, per quanto buona, non sempre si riesce a portarla fino in fondo senza qualche compromesso. In questo articolo parliamo del Roastbeef di Meggiolaro e l’idea alla base della sua produzione, che è composta così: sottofesa di bovino di buone dimensioni, pochissimo sale, no additivi, no conservanti, cottura arrosto, bassa temperatura e tempo (tanto). Il Roastbeef è un prodotto pronto all’uso che ha bisogno soltanto di qualche piccola accortezza fondamentale per goderne al massimo. E magari anche di qualche suggerimento...
SALE Alessandro diventa molto serio su questo argomento quindi fategli un favore e per carità salate solo al momento del servizio… avete presente Salt Bae? Ecco fate come lui, dopo vedrete che il roastbeef diventa più buono e voi, un po’ più arroganti. Io, per dare un tocco diverso, vi stuzzico con l’idea di utilizzare un sale affumicato.
ASPARAGI Asparagi sì, ma in versione molto fresca ed estiva: accostate qualche fetta di roastbeef a degli asparagi cotti e poi raffreddati, qualche fogliolina di menta e condite con del buon olio, sale e pepe. Se volete, anche qualche nocciola spaccata sta benissimo.
ROASTBEEF M ACETO BALSAMICO Quella dell’Aceto Balsamico, specialmente il tradizionale di Modena, è una cultura super interessante, molte volte sottovalutata. Non si conosce abbastanza e purtroppo risente molto della presenza di prodotto di bassa qualità sul mercato. La profondità nella selezione e nel processo che questo prodotto può offrire è molta e dipende sicuramente dalla materia prima, ma soprattutto dalla mano che la fa e dagli anni che le si dedicano. Quindi, sempre sull’onda del “less is more”, prendetevi un aceto tradizionale e dosate qualche goccia oppure preferite una saba al posto di una crema di aceto balsamico. VALSANA | 18
Roastfbeef di sottofes bassa temperatura solo spezie, senza addi La fetta si presenta piu con una delicata Il gusto è dolce, mol caratteristico
codice 80857 | p
ON È FACILE
Enrico De Conto è laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana
enza orpelli e genuino, cortezza negli abbinamenti l meglio di sé
di Enrico De Conto
Colonna sonora: Love me do – The Beatles Dopo tutto questo isolamento, l’apprensione e la solitudine, il minimo è regalarsi qualche fetta di Roastbeef Meggiolaro annaffiando a dovere.
COLLI DI CONEGLIANO ROSSO DOCG Un piatto freddo il roastbeef, che chiede però un vino caldo, morbido. Generalmente prodotto come taglio bordolese “arricchito” da Marzemino, questo vino penso possa incontrarsi felicemente con il Roastbeef di Alessandro. I tannini non saranno troppo duri e la morbidezza del vino levigherà anche la lieve nota metallica della carne. Aspettatevi un lungo finale di frutta rossa, cuoio, spezie dolci.
COLLIO MERLOT DOC Tra i vitigni internazionali più conosciuti troviamo il Merlot, il quale ha trovato di certo un’isola felice in quest’area d’Italia. Incontrerete un vino corposo, con un tannino leggero, capace di accompagnare con eleganza la carne. Il fin di bocca, caratterizzato da frutti rossi, note balsamiche e di finocchio vi farà alzare gli occhi al cielo esclamando: “sto bene!”.
Zona: Conegliano e dintorni, Veneto
Zona: Collio, Friuli Venezia Giulia
Intensità:
Intensità:
MEGGIOLARO
COTE DU RHONE VILLAGE AOC
BIRRA PORTER
sa, cotto lentamente a o con l’aggiunta di sale e itivi o conservanti. uttosto rosata al centro bordatura bruna. lto delicato e con un sapore carne
Per il nostro piatto siamo sempre alla ricerca di vini con le spalle larghe, e certamente dal sud della Francia possono darci una mano. Il terreno e la provenienza geografica ci mettono di fronte a vini morbidi e di gran corpo a base Grenache/Syrah. Da non sottovalutare poi l’aspetto aromatico, in bocca la frutta rossa è accompagnata da esplosioni di pepe nero macinato
Birre piene, setose, con sentori di caffè e cioccolato. Questi miracoli brassicoli ad alta fermentazione sconvolgeranno il vostro palato quando abbinati ad un succoso roastbeef. Le leggere note affumicate accompagneranno il boccone, lasciando nel finale un retrogusto amaro appena percettibile. Solo una raccomandazione, non finite la birra prima di iniziare a mangiare!
Zona: Rodano Sud, Francia
Stile: Irlanda
Intensità:
Intensità:
peso 3 kg circa
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Letteratura tra i fornelli
MARIO SOLDATI E L’IDENTITÀ ITALIANA A TAVOLA Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3
Intellettuale poliedrico, primo reporter enogastronomico della neonata RAI e indiscusso punto di riferimento per chi si occupa di italianità gastronomica di Danilo Gasparini LA VITA E LE OPERE Si fa presto a dire Mario Soldati, un’icona della letteratura e del giornalismo del Novecento italiano. Forse anche per quel toscano che pende dal suo sguardo vispo nei numerosi ritratti. E il Monopolio dello Stato gli ha giustamente dedicato una linea di toscani. Lo amo anche solo per questo… ragioni personali. Nasce a Torino nel 1906, piemontese doc e muore nel 1999 a Tellaro, frazione di Lerici in provincia di La Spezia. Per dirla in breve è stato scrittore, giornalista, saggista, regista, sceneggiatore e autore televisivo: una poliedrica figura di intellettuale che ha sperimentato generi e varietà di produzioni. Dopo gli studi classici si nutre di amicizie culturali importanti e si laurea in Storia dell’arte con Lionello Venturi. Comincia a pubblicare pièces teatrali, racconti e si trasferisce alla fine degli anni’30 negli Stati Uniti dove insegna alla Columbia University (l’esperienza ce la racconta in America primo amore). Torna in Italia e inizia la carriera cinematografica prima come ciacchista, poi sceneggiatore, collaborando con Mario Camerini. Da regista firma nel 1941 un film che lo renderà famoso: Piccolo mondo antico, tratto dal romanzo del vicentino Antonio Fogazzaro. Nel settembre del 1943 fugge a Napoli con Dino De Laurentiis. Continua a scrivere e nel 1954 vince il Premio Strega con Lettere da Capri. Nel 1954 nasce la Rai e Soldati si trova pronto sceneggiando e dirigendo il film Le miserie del signor Travet. Con il suo ultimo film Policarpo, ufficiale di scrittura, a cui prendono parte Renato Rascel e Carla Gravina, vince al Festival di Cannes del 1959 il premio per la migliore commedia. Numerosi i suoi romanzi: nel 1970 con L’attore vince il premio Campiello. Valga il giudizio di Natalia Ginzburg: «Fra gli scrittori del Novecento VALSANA | 20
italiano, Soldati è l’unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere. Non il piacere di vivere, ma la gioia; il piacere di vivere è quello del turista che visita i luoghi del mondo assaporandone le piacevolezze e le offerte ma trascurandone o rifuggendone gli aspetti vili, o malati, o crudeli; la gioia di vivere non rifugge nulla e nessuno: contempla l’universo e lo esplora in ogni sua miseria e lo assolve». Insomma, compulsate, senza vergogne o pudori, la ricca voce a lui dedicata dalla nostra amata enciclopedia online, Wikipedia o consultate il sito a lui dedicato e vi renderete conto della prolificità del personaggio e dei premi collezionati e i riconoscimenti ricevuti anche dalle nostre istituzioni come grande e autentico “interprete dell’identità italiana”: il Presidente della Repubblica Scalfaro lo nominò Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica massima onorificenza della Repubblica e la Città di Torino gli conferì la cittadinanza onoraria nel 1991. E IL CIBO? IL VINO? A questo punto vi chiederete: e tutto questo cosa c’azzecca con il cibo, la gastronomia? Con ordine: nel 1954 nasce la Rai con il primo canale, a seguire nel 1957 va in onda Carosello che, per vent’anni, fino al 1977, indirizza e guida i consumi degli italiani coinvolti e a volte travolti dal “miracolo economico”. Nel 1956, a due anni dalla nascita, la Rai affida a Soldati, con un largo e innovativo dispiegamento di mezzi, il primo “reportage enogastronomico”: è infatti l’ideatore, regista e conduttore dell’inchiesta televisiva Alla ricerca dei cibi genuini - Viaggio nella valle del Po, una delle trasmissioni più fortunate e feconde della televisione italiana; considerata un documento d’importanza
VINO AL VINO TAPPA IN VENETO Nel viaggio fatto nell’autunno del 1970, partendo da Bolzano arriva anche nelle provincie di Belluno, Vicenza, Treviso e Venezia. A Fontanelle fa visita all’azienda Marcello del Majno dove assaggia il Cabernet, il Merlot, il Raboso del Piave, il Tocai. Alla stazione sperimentale di Conegliano assaggia l’incrocio Manzoni 2.15. A Scomigo, nell’azienda di Pilade Riello, e a Maser, nella cantina della villa, degusta il Prosecco. Con Italo Cosmo, dopo la visita a Conegliano, vanno a pranzo:
antropologica, e, con il Viaggio nella valle del Po, nasce la figura del giornalista enogastronomico televisivo. Il 3 dicembre 1957 va in onda la prima puntata di 12 previste. Il viaggio di Soldati mise al centro di una narrazione fraterna e popolare genti, usanze, prodotti, ricette e riti di un’Italia rurale ricca di tradizioni culinarie. VIAGGIO NELLA VALLE DEL PO Qui di seguito le puntate disponibili su raiplay.it e i relativi temi, anche se purtroppo l’audio delle puntate 9, 10 e 12 è mancante e, allo stato attuale, introvabile. 1. Tra pesci e cardi; 2. Le specialità di Cherasco; 3. I vini del Piemonte; 4. Il Vermut; 5. Vino, pesce e riso; 6. Il Panettone; 7. La produzione del latte; 8. Tra mostarda e carni… inusuali; 9. La creazione della pasta; 10. Le conserve; 11. Le specialità dell’EmiliaRomagna; 12. Le saline del Delta del Po. È un’Italia in bianco e nero, è un’Italia piena di voglia di ripartire e ieri, come oggi, possiamo dire, si affida al patrimonio enogastronomico, della pianura padana in questo caso, per riproporre un’Italia ancora “genuina”, contadina, rurale con l’industria agroalimentare che comunque bussa. Ed è straordinario il continuo confronto che sapientemente Soldati fa tra le vecchie osterie e trattorie, le produzioni artigianali, le sagre di paese con i grandi caseifici, le moderne industrie enologiche, le “fabbriche” del cibo. Al centro sempre
l’uomo: il contadino, il pescatore, il vignaiolo, il cacciatore, l’enologo…straordinaria l’intervista con Giovanni Dalmasso, icona della viticoltura italiana. C’è molta nostalgia a volte, quasi la coscienza che qualcosa si sta perdendo, sottolineata dalla sapiente e a volte struggente colonna sonora di Nino Rota. Non è solo un documentario, è un viaggio dell’anima di Soldati, che non sta solo dietro alla macchina da presa: interviene, discute, provoca, suggerisce, entra nelle cucine, nelle cantine va nei campi, costruisce le situazioni. Il tutto condiviso con gli italiani attraverso questo potente e nuovo mezzo di comunicazione; questo è veramente uno straordinario prototipo dei moderni e patinati travel food… altro che Linea Verde. Incontrerà poi Luigi Veronelli, i grandi gastronomi e diventerà un punto di riferimento obbligato per chi vuole occuparsi di italianità gastronomica. Ma non finisce qui. Con uno sguardo sempre attento all’identità italiana, il suo viaggiare nel paese confluirà nei tre volumi usciti nel 1969,1971 e 1976, intitolati: Vino al Vino. E così attraversa tutta l’Italia e ce la racconta, con il pretesto del vino e del cibo, con una prosa fluida, colta, da quel grande narratore che era, descrivendo paesaggi e borghi come sapeva fare lui, raccontando aneddoti, storie, uomini… interprete fine dell’identità italiana. A buon rendere Mario: ora mi gusto un toscano… Soldati per l’appunto. VALSANA | 21
«Andiamo a colazione. Cosmo ci invita a Col San Martino, dall’oste Condo. Lungo la strada ci fermiamo, per l’aperitivo, a Pieve di Soligo dal farmacista Schiratti. Schiratti è celebre per la sua passione enologica. Sotto la farmacia, ha una splendida cantina, e un’attigua taverna rivestita di pannelli di legno, con scaffali pieni di bottiglie antiche e pregiate: insomma, un’enoteca. Assaggiamo una dopo l’altra bottiglie di Prosecco di varie qualità: specialmente Cartizze, che è la migliore».
Come si riconosce?
LA MOZZARELLA Perché le mozzarelle sul mercato sono così diverse l'una dall'altra? Comprendiamo insieme le differenze approfondendo ingredienti e tecniche di lavorazione
Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007
di Giorgia Barbaresco Si avvicina la prova costume, che già di per sé è un momento critico, ma quest’anno lo è ancora di più. Questi mesi chiusi in casa ci hanno dato l’occasione per sperimentare nuovi piatti e dedicarci alla preparazione di ricette che poi hanno lasciato il segno. Un po’ per l’aumento delle temperature un po’ per quello dei centimetri in questo periodo molti decidono di modificare l’alimentazione aumentando il consumo di verdure, soprattutto fresche preparando le cosiddette “insalatone” nelle quali spesso uno degli ingredienti irrinunciabili è la mozzarella.
FIOR
DILAT
TE
Oltre il 90% degli italiani consuma la mozzarella almeno una volta al mese, ma nonostante si tratti di un prodotto piuttosto popolare, non sono altrettanto note le diverse tecniche di lavorazione. Fortunatamente, ancora una volta, le etichette ci vengono in soccorso e in pochi istanti possiamo reperire informazioni utili a capire, quantomeno, la grande variabilità di prezzo e tipologie. VACCINA O DI BUFALA?
FIORDILATTE Tipico prodotto molisano prodotto con latte prevalentemente locale, dal gusto dolce e poco sapido, con spiccate note di latte. cod 24800 | peso 250 g
La prima grande distinzione che facciamo è in base al tipo di latte. Un’informazione immediata ci viene data dal nome che leggiamo sulla confezione: •
Mozzarella: formaggio fresco a pasta filata di latte vaccino o bufalino
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Fiordilatte: denominazione utilizzata esclusivamente per il prodotto vaccino, in linea generale dovrebbe distinguersi dalla Mozzarella che è prodotta invece con il latte di bufala. Nel linguaggio comune invece, per “fiordilatte” si intende un prodotto più umido ottenuto a partire esclusivamente da latte fresco. VALSANA | 22
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Mozzarella di bufala: la denominazione completa è Mozzarella di bufala Campana DOP, utilizzata esclusivamente per mozzarelle prodotte secondo un disciplinare di produzione nelle Regioni Campania, Lazio e Puglia e che sono tutelate da un Consorzio
•
Mozzarella di latte di bufala: denominazione utilizzata per le mozzarelle prodotte fuori dai territori della DOP utilizzando latte di bufala
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Mozzarella con latte di bufala: descrive un prodotto realizzato con latte misto vaccino e di bufala
Come altre volte abbiamo detto, la produzione di latte di una vacca è di molto maggiore a quella di una bufala: circa 7.500 kg di latte per ciclo di lattazione prodotti nel primo caso e 2.300 kg di latte nel secondo. LATTE CRUDO, PASTORIZZATO O CAGLIATA? Per produrre la mozzarella è possibile partire dal latte fresco, crudo o pastorizzato, ottenere la cagliata che poi viene filata (a mano o con la filatrice) e infine avviene la formatura (a mano o a macchina). Tuttavia c’è un’altra possibilità, ovvero l’utilizzo di un semilavorato cosiddetto “cagliata”, ottenuto sempre a partire da latte vaccino, ma meno costoso perché prodotto in paesi più competitivi rispetto all’Italia. Questo metodo riduce notevolmente i tempi e i costi di lavorazione, generalmente le cagliate vengono importate da Paesi come la Germania, i Paesi Baltici e la Polonia dove il latte costa meno, talvolta le cagliate vengono congelate per prolungarne la conservabilità.
LE FASI DEL PROCESSO DI LAVORAZIONE DELLA MOZZARELLA ARTIGIANALE Oltre a costare meno le mozzarelle ottenute a partire da queste cagliate sono anche meno “umide”, risultano di più facile gestione nei formati per le pizzerie come filoni o mozzarelle cubettate e la superficie della pizza rimane piuttosto asciutta. Scegliere di proporre pizze prodotte con fiordilatte e mozzarelle di bufala richiede infatti maggiore “gestione” degli ingredienti. Il profilo sensoriale delle mozzarelle prodotte con semilavorati è decisamente povero, il prodotto non ha il sapore tipico di fresco, il colore può tendere maggiormente al giallo e la struttura è meno “succosa”. A volte però l’utilizzo di un semilavorato, magari aggiunto alla cagliata fresca può essere una scelta volta a soddisfare le esigenze della pizzeria. Come si dice “anche l’occhio vuole la sua parte”! Quando la temperatura sulla superficie della pizza scende sotto i 50°C la mozzarella di bufala o la fiordilatte perdono l’aspetto filante e non sempre il consumatore lo apprezza, oltre al fatto che impasti sottili e croccanti sopportano male l’umidità rilasciata da questi due prodotti. Latteria del Molise ha realizzato un prodotto pensato proprio per rispondere alle richieste di questo settore, creando la “Julienne”, una mozzarella sminuzzata prodotta con un 50% di semilavorato e un 50% di cagliata fresca prodotta in caseificio, che soddisfa le esigenze dei pizzaioli che hanno il forno a legna ma soprattutto di quelli che utilizzano il forno elettrico, offrendo un formaggio che mantiene un profilo dolce e fresco di mozzarella riducendo l’umidità e mantenendo l’effetto filante.
Preparazione del latte
Coagulazione
Il latte viene riscaldato e gli viene aggiunto il caglio, quindi si attende la coagulazione (circa 1 ora)
Rottura del coagulo
Si ottengono dei blocchi delle dimensioni di circa 30 cm
Maturazione della cagliata
La cagliata viene lasciata maturare per circa 4/5 ore immersa nel siero, facendo lavorare i fermenti per raggiungere il Ph ideale per la filatura (5,0-5,2)
Test di filatura
Una prova empirica fondamentale per determinare il punto di filatura
Filatura e Formatura
Dopo la formatura e un primo breve raffreddamento in acqua fresca, le mozzarelle ottenute vengono trasferite in acqua più fredda per il rassodamento finale
Salatura
In salamoia per un tempo che varia dalla mezz'ora a un ora
Confezionamento e Conservazione
La mozzarella viene confezionata con un liquido di governo composto da acqua e sale
E’ importante sottolineare che la legge non obbliga a riportare il termine “cagliata”, raramente quindi viene dichiarato in etichetta. ORIGINE DEGLI INGREDIENTI Per il latte e i prodotti a base di latte è obbligatorio dichiarare l’origine. Possiamo trovare in etichetta la seguente dicitura: •
Origine del latte: Italia. Significa che il latte è stato munto e trasformato in Italia
Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono nel territorio di più Paesi, diversi dall’Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture: •
Latte di Paesi UE: se la mungitura avviene in uno o più Paesi europei
Al latte crudo o pastorizzato, vengono aggiunti fermenti selezionati o siero innesto o correttore di acidità
Come si riconosce?
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Latte trasformato in Paesi UE: se queste fasi avvengono in uno o più Paesi europei
Se le operazioni avvengono al di fuori dell’Unione europea, viene usata la dicitura “Paesi non UE”. Ovviamente sono esclusi i prodotti DOP e IGP che hanno già disciplinari relativi anche all’origine della materia prima. FERMENTI LATTICI, SIERO-INNESTO O ACIDO CITRICO? Il processo produttivo della mozzarella prevede, oltre all’aggiunta di caglio al latte, anche quella di fermenti lattici, necessari per creare un ambiente acido. Dopo la coagulazione la cagliata riposa per 3-4 ore lasciando il tempo ai fermenti di agire e al raggiungimento di uno specifico punto di acidità può essere avviata la fase di filatura. Queste mozzarelle si riconoscono perché in etichetta compaiono solo quattro ingredienti: latte, fermenti lattici, caglio e sale.
Tabella 1: quattro mozzarelle messe a confronto per comprendere le diversità in fase di produzione che le rendono così distinguibili l'una dall'altra LATTE CRUDO
Memorizzare queste poche informazioni ci permetterà, quantomeno, di farci delle domande davanti a prezzi molto differenti, nella speranza che riusciate a trovare le risposte leggendo l’etichetta.
SIERO INNESTO
ACIDO CITRICO
CAGLIATA
MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA DOP RIVABIANCA MOZZARELLA PIZZERIA GRANAROLO JULIENNE LATTERIA DEL MOLISE FIORDILATTE LATTERIA DEL MOLISE
Figura 1: etichetta di Fiordilatte di Latteria del Molise
MO
ZZA
REL
LA
In alcuni casi, soprattutto per la produzione della mozzarella di bufala, i fermenti lattici vengono sostituiti con il siero-innesto ottenuto facendo maturare una parte di siero della lavorazione precedente, conferendo al prodotto particolari caratteristiche organolettiche. Tuttavia anche in questo caso esiste un modo più rapido che salta la fase della fermentazione e che permette quindi una contrazione dei costi di produzione e che consiste nell’aggiunta di acido lattico o citrico. Di contro il prodotto rimane poco saporito e si cerca di rimediare con maggiori quantità di sale. La mozzarella prodotta in questo modo si riconosce perché nell’elenco degli ingredienti normalmente si trova anche la dicitura correttore di acidità: acido citrico e/o acido lattico.
FERMENTI
Figura 2: etichetta Mozzarella di Bufala Campana DOP Rivabianca
MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA DOP ∙ RIVABIANCA Mozzarella prodotta con latte di bufala crudo conferito esclusivamente dai soci della cooperativa. Al palato è dolce, leggermente acidula, ricca di sensazioni lattiche e delicatissime note animali cod 25046 | peso 250 g x 4 solo su prenotazione
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Figura 3: etichetta Mozzarella Pizzeria Granarolo
Come si fa
COME SI TAGLIA UN FORMAGGIO? Non è solo una questione di estetica: si tratta di offrire al cliente un’esperienza di gusto a tutto tondo di Giulia Bassetto
Nell’ultimo numero abbiamo parlato di coltelli per formaggi, quindi vien da sé la domanda successiva: come si tagliano i formaggi? Qualche accenno lo avevamo fatto in occasione dell’articolo dedicato ai suggerimenti sulla composizione del tagliere, era settembre 2019. Rieccoci ora e vi chiediamo venia per non aver dedicato più righe all’argomento in quell’occasione, ma necessitavamo dello spazio adeguato e di una doverosa premessa sugli strumenti. Ora siamo pronti.
nel primo caso le porzioni dovranno essere tali da soddisfare le richieste del cliente e da consentirgli al tempo stesso di goderne appieno a casa. Nel servizio al tavolo le porzioni saranno piccole, visivamente piacevoli e bilanciate. Pur cambiando l’approccio resta fermo, però, lo scopo: dobbiamo creare porzioni che permettano di assaporare il formaggio al meglio e in ogni sua parte, dalla crosta al cuore della pasta, così da apprezzarne le differenze di consistenza, profumi e sapore.
Perché è importante saper tagliare bene un formaggio? Perché è parte integrante del piacere della degustazione! Consegnare al banco o al tavolo un pezzo di formaggio tagliato male non permetterebbe al cliente di apprezzarne le caratteristiche, ne disattenderebbe le aspettative e renderebbe la sua esperienza di degustazione insoddisfacente. Come la si metta, prendendo spunto da una canzone di Jannacci, diremmo: povero il cliente... e povero anche il formaggio!
Per svolgere con consapevolezza quest’operazione dobbiamo conoscere il formaggio che andiamo a tagliare e le sue caratteristiche organolettiche. Lo ripetiamo di nuovo: non sarà sufficiente creare delle porzioni uguali in termini di dimensioni oppure avere come unico riguardo l’interesse di salvaguardare il formaggio che resta (pur essendo questo un aspetto da non dimenticare!), bensì assicurare un’esperienza di gusto al cliente servendogli una porzione equa per gusto e consistenze.
Per tagliare correttamente un formaggio non possiamo ricorrere a un galateo specifico (anche perché non esiste!) quindi sarà fondamentale usare molta sensibilità e buon senso!
Dovremo prenderci il giusto tempo per meditare sulla tecnica migliore: il suggerimento è quello di partire a ragionare sulla forma geometrica che ci troviamo davanti e poi scegliere le opportune varianti di taglio in base alle caratteristiche della pasta e alla distribuzione del sapore.
Prima di buttarci nel taglio dobbiamo assicurarci che il formaggio sia correttamente stagionato, dopodiché ci dovremmo chiedere per quale motivo ci stiamo accingendo a tagliarlo: servizio al banco di tranci? Degustazione al tavolo di porzioni singole? La risposta a questa domanda cambierà di molto il nostro approccio:
Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana
Ed è proprio la forma geometrica il criterio che useremo per suddividere in categorie i formaggi e darvi qualche consiglio, dando per scontata la scelta del coltello adatto.
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PROVOLONE DEL MONACO DOP Un caciocavallo senza testa, prodotto in Campania con latte vaccino crudo e stagionato almeno 6 mesi. Il sapore è vagamente piccante, con profumo penetrante, intenso e aromatico. La forma è quella di un melone allungato, quindi da tagliare seguendo i suggerimenti descritti per i formaggi di forma ovale. cod 25220 | peso 5 kg ca
E la crosta?
1 | FORMAGGI A PARALLELEPIPEDO
Sempre al banco. Per le porzioni singole vi consigliamo di lasciarla solo se si tratta di una degustazione. Per il servizio al piatto al tavolo lasciatela solo se commestibile (vedere etichetta o schede tecniche). Ma in ogni caso, sempre ben pulita!
Ad esempio formaggi morbidi, tipo stracchini o Squacquerone. La porzionatura suggerita è sicuramente quella a spatola oppure a fette se la consistenza lo permette. Sempre a fette andrà servito anche l’Abruzzino perché di forma riconducibile a un parallelepipedo. Ascriviamo a questa categoria da tagliare a fette anche la treccia di mozzarella. 2 | FORMAGGI CILINDRICI 1
Un esempio su tutti il Saint Maure: nel taglio si procede a fette (foto 2). Per formaggi che si rifanno alla stessa forma ma dalle dimensioni più grandi ad esempio il Blue de Moncenis, è possibile sezionare la fetta rotonda in spicchi per ottenere le singole porzioni. 3 | FORMAGGI TRONCO-CONICI Sono i piccoli formaggi caprini ma potremmo aggregare a questa categoria per similitudini di forma anche le ricotte. Il taglio si effettua a spicchi verticali (foto 1). 4 | FORMAGGI OVALI
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Parliamo di caciocavalli con testina o meno, ad esempio il Caciocavallo Irpino o il Provolone del Monaco. La forma potrebbe mettere in difficoltà, ma basterà tagliare il formaggio a metà e poi procedere per spicchi (foto 4), come se si trattasse di un arancio. Per ottenere porzioni singole, partendo dallo spicchio si procederà al taglio in modo perpendicolare, ottenendo così delle porzioni dalla forma triangolare. 5 | FORMAGGI QUADRATI
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Per approfondire
Ad esempio formaggi tipo Taleggio per i quali dobbiamo far apprezzare al cliente la proteolisi vicino alla crosta. Suggeriamo di partire dal quarto di forma e quindi procedere tagliando 3 spicchi (foto 3) tenendo come riferimento per il taglio la punta interna che fungerà da vertice dei triangoli. Sconsigliamo il taglio a fette parallele perché porterebbe inevitabilmente a dover gestire il molto scarto presente in corrispondenza dell’ultima fetta. Gli spicchi consentono una gestione decisamente più oculata oltre che equa! Per le porzioni singole suggeriamo sempre di partire dal quarto di forma per procedere a sezionare piccoli triangoli organizzati nel senso della diagonale (foto 7). La stessa tecnica vale per tutti gli altri formaggi quadrati anche se di paste diverse, come Raschera o Grotte del Caglieron. 6 | FORMAGGI ROTONDI DI DIMENSIONI PICCOLE
Trattatello semiserio circa l’arte di tagliare il formaggio: “De Arte Resecandi Casei” di Marco Parenti ed edito da L’Arciere per ONAF.
E’ il caso di Brie, Camembert, piccole tome o robiole. Anche per questi si procede per spicchi (foto 8) come se si trattasse di una torta, così da assicurarsi di servire in parti eque sia parte con crosta che pasta.
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Pentola o orologio Un taglio usato per il Parmigiano o per formaggi grandi e stagionati: la faccia superiore viene rimossa “scoperchiando” la pasta, che verrà poi scagliata e servita all’interno della forma. Un taglio scenografico ideale per i grandi eventi... per i quali, però, dovremo attendere tempi migliori!
7 | FORMAGGI ROTONDI DI DIMENSIONI MEDIE E GRANDI In questa categoria rientrano la maggior parte dei formaggi: tipo latteria, pecorini, caciottone. Nella porzionatura si procede in frazioni via via più piccole (foto 5), fino a ottenere degli spicchi. Per le porzioni singole basterà eliminare la crosta dalla faccia superiore e inferiore dello spicchio, quindi stenderlo e tagliarlo a fette ottenendo dei piccoli triangoli (foto 8). Se i formaggi sono molto stagionati, prediamo a esempio un pecorino, anziché tagliarlo potrete spaccarlo aiutandovi con un coltello a goccia fornito di unghia (taglio a roccia, tipo Parmigiano) così da esaltare la naturale granulosità della pasta. Visto che parliamo di formaggi rotondi medio/grandi non possiamo non citare gli erborinati. Per questi dobbiamo considerare un approccio un po’ diverso a causa della fragilità della pasta e della distribuzione dell’erborinatura. Prendiamo come esempio un Gorgonzola Piccante: con molta probabilità lo riceverete in quarti o ottavi. Per servizio al banco andranno tagliate delle normali fette mentre le singole porzioni si otterranno tagliando a raggiera la fetta ricavando così degli spicchi più piccoli (foto 7). In questo modo vi accerterete di servire a tutti porzioni simili in termini di erborinatura, caratteristica che generalmente si sviluppa di più nella parte centrale della forma. Inutile ricordare che il Gorgonzola Dolce se di consistenza molto cremosa andrà servito al cucchiaio.
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8 | FORMAGGI ROTONDI DI DIMENSIONI MOLTO GRANDI Eccoci a quei formaggi che se fossero andati a scuola avrebbero dovuto prendere posto nell’ultima fila a causa delle dimensioni “importanti”! Partiamo dalle paste dure e granulose, come il Parmigiano. La tecnica che consigliamo è di spaccare il formaggio creando delle fratture sulla crosta e sulla pasta, aiutandosi con i coltelli a goccia, per ottenere frazioni sempre più piccole fino ad arrivare a ricavare tante punte: in questo modo la consistenza della pasta sarà esaltata dal tipo di taglio. Per il servizio delle porzioni singole, invece, si va di scaglie (foto 7). Altra storia per i grandi formaggi a pasta compatta tipo Gruyère o Comté: dalla forma intera si ricavano la mezza, i quarti, gli ottavi e i sedicesimi (che pur essendo frazioni sono sempre di dimensioni considerevoli!), i quali, per il servizio al banco andranno porzionati iniziando a sezionare prima la punta e poi un paio di ulteriori pezzi in sequenza. Ciò che resta andrà tagliato a fette nel senso opposto (foto 6). Dalla fetta quindi si ricavano poi le porzioni singole per il servizio al piatto: dopo aver steso la fetta andranno tagliate un paio di fette (porzioni rettangolari) nel senso dello scalzo mentre le restanti saranno tagliate a raggiera ottenendo dei triangoli così da distribuire a tutti i clienti la stessa quantità di crosta e avendo così anche un occhio di riguardo allo scarto finale.
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Cibo dal mondo
DALLE POLPETTE DI APICIUS AI MONDIALI DI… FOODBALL Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com
Sono migliaia le ricette riconducibili al concetto di polpetta che si possono scoprire viaggiando: piccoli bocconi di carne, pesce, verdure o legumi, stufate in dense salse aromatiche oppure fritte, bollite o grigliate. Spesso si tratta di un pretesto per riciclare gli avanzi della cucina, talvolta, un modo per rendere più appetibili ingredienti “poveri” di Vittorio Castellani
Se volessimo ripercorrere l’evoluzione della polpetta in Italia dovremmo viaggiare a ritroso nella storia della nostra cucina, per risalire fino alla Roma dell’epoca imperiale. LA POLPETTA IN ITALIA Troviamo una serie di ricette con nomi diversi, ma riconducibili a queste specialità, in alcuni libri del De Re Coquinaria di Apicius del primo secolo a.C., in particolare nei volumi Sarcoptes dedicato alle carni e nel Polyteles, sulla cucina romana “gourmet”. Per trovare la denominazione corrente bisognerà però attendere il Libro de Arte Coquinaria del cuoco Maestro Martino, pubblicato nella seconda metà del ‘400. Ecco come ce le descrive: ”Carne de vitello, zioè il pecto davanti è bono allesso, et la lonza arrosto, et le cosse in polpette. De la carne del cervo la parte denanzi è bona in brodo lardieri, le lonze se potono far arrosto, et le cosse son bone in pastello secco o in polpette”. I diversi Stati che componevano la geografia dell’Italia prima dell’unificazione del Regno evidenziano molte influenze dall’esterno. La dominazione araba della Sicilia lasciò in eredità le polpettine di carne macinata riconducibili ai kofte; gli scambi tra la Puglia e la cultura ellenica generarono qualcosa di assai simile ai keftedes, quella spagnola del Regno di Napoli e non solo, le polpettine al sugo albondigas, che già dal nome ci riportano alla loro matrice araba dell’al-Andalus. Come sempre le esplorazioni, le dominazioni e le conquiste si traducono in importanti evoluzioni della cucina, così come i fenomeni migratori. Vale anche per le polpette! Se oggi in Calabria troviamo le polpettine di melanzane è grazie alle migrazioni dei greco-albanesi arbëreshë, che dal XV al XVIII sec. ci hanno deliziato con un piccolo
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souvenir dell’era ottomana. Così come hanno fatto gli ebrei della diaspora, dal 1492, con le loro varianti all’agrodolce e frutta secca, un tratto fondamentale della tradizione gastronomica giudaico-sefardita. Sarà Pellegrino Artusi, nel suo ricettario La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene (1891) a fare la prima mappatura compilativa delle diverse polpette made in Italy, mettendo l’accento sul valore del riciclo in cucina, poiché spesso la polpetta ha rappresentato anche nella nostra tradizione un modo per rendere appetibili gli avanzi, oltre che per includere ingredienti poveri e di scarso valore nella nostra dieta. LA POLPETTA IN CINA Se dalle polpette di casa nostra allargassimo lo sguardo verso quelle degli altri popoli, scopriremmo che qualcosa di analogo si cucinava già nello Shandong, in Cina, quasi in contemporanea con gli antichi romani. A quest’epoca risalgono infatti le Polpette delle Quattro Gioie (Prosperità, Felicità, Salute, Longevità) che ancora oggi si servono come piatto augurale in occasione del capodanno cinese in questa Regione. Da questo prototipo discenderebbero le diverse polpette (wanzi) che si consumano ancora oggi in Cina, come le famose Teste di Leone (shīzitóu), dello Zhenjiang, così chiamate per la loro dimensione che varia dai 5 ai 10 centimetri di diametro! Secondo alcuni studiosi gli antenati delle polpette si sarebbero poi modificati, includendo anche vegetali (bambù, funghi, cavoli, castagne d’acqua) e prodotti del mare (granchi, gamberi, salsa di ostriche), per trovare ampia diffusione dalla attuale Cina, al vicino Oriente, dapprima in Persia e poi nel mondo arabo, attraverso la Via della Seta.
四喜 丸子 SÌ XI WÁNZI | POLPETTE DELLE QUATTRO GIOIE | CINA Si tratta di quattro polpette, con impasti diversificati, a base di carne di maiale, pollo, prosciutto di Tianjin, uova e pane, castagne d’acqua e cipolle, bollite in acqua salata, fritte nell’olio per venire poi stufate in una densa salsa aromatica a base di vino, salsa di soia, zucchero e spezie (pepe, zenzero, anice stellato)
L’anello di congiunzione tra l’estremo e il vicino Oriente e il Mediterraneo potrebbero essere le kufteh tabrizi, della città di Tabriz, in Iran che oltre alla carne e le uova si arricchirono di riso, per tenere insieme il composto, spezie preziose come lo zafferano, erbe aromatiche, legumi per nascondere un cuore dolce di frutta secca: solitamente noci o albicocche. Una vera delizia per i nababbi dell’era Moghul.
POLPETTE DI MELANZANE | CALABRIA Le polpette di melanzane, la “carne” dei poveri, sono un classico esempio di quella cucina contadina di sopravvivenza. Secondo alcuni sarebbero una specialità della cucina turco-ottomana, giunta in Calabria con la migrazione greco-albanese arbëreshë. Come spesso accade quando le ricette “viaggiano” la ricetta originale si sarebbe trasformata, sostituendo alcuni ingredienti: il formaggio kashcaval con quelli calabresi, le spezie, con le erbe aromatiche mediterranee
DI CARNE MA ANCHE VEGETALI Se in origine, e in parte ancora oggi, consideriamo polpette dei piccoli bocconi sferici a base di carne, legati con l’uovo e insaporiti con spezie e aromi, è interessante notare come questa specialità abbia saputo declinarsi in mille versioni per venire incontro ai diversi precetti alimentari (halal, kasher) per conquistare l’universo vegetariano e vegano, in osservanza alle religioni orientali (Buddhismo, Induismo, Sikhismo). Estendendo al mondo vegetale il concetto di polpetta, attingendo dalle mie memorie di viaggio non posso non ricordare la bontà dei falafel e dei foul tamiya di ceci e fave mediorientali, gli acarajé di fagioli bianchi della cucina afro-brasiliana di Bahia, passando per gli accras de morue della Guadalupa, i kakrò di banane plantain del west Africa, i gâteaux piments di lenticchie di Mauricius. E questo è solo un piccolo assaggio…benvenuti nel mondo del food-ball!
PECORINO CROTONESE DOP SEMIDURO Un grande pecorino, prodotto secondo antiche tradizioni. Gradevolmente sapido e leggermente piccante, con sentori di fieno, erbe mature e nocciola tostata cod 31416 | 2,3 kg circa
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Idee per il menù bambini
PASTA CON PEPERONI E BURRATA DELLA PERI Kids foodblogger e autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, Elisa Perillo, conosciuta in cucina come la Peri, si occupa di ricette sane per bambini e tiene regolarmente laboratori di cucina dedicati a loro. Ama usare ingredienti di qualità combinati in preparazioni semplici che incontrino il gusto dei piccoli commensali. periandthekitchen.com Facebook.com/ periandthekitchen Instagram: @periandthekitchen
BURRATA IN BICCHIERE Formaggio a pasta filata ripieno di crema di latte e sfilacci di mozzarella. Il sapore è dolce e fresco con l’aroma caratteristico del latte fresco e della panna e un cuore ricco e cremoso. Ottima così com’è, accompagnata da verdure fresche e ideale per creare dei primi piatti sfiziosi. Provatela anche come ripieno dei fiori di zucchina e nelle bruschette. Speciale sulla pizza cod 24899 | peso 250 g disp. anche in carta: cod 24901 | peso 250 g cod 24900 | peso 500 g
Un piatto per bambini di tutte le età: semplice, dolce, profumato e cremoso di Elisa Perillo
Come si fa a dire di no ad un buon piatto di pasta? Difficile resistere, se poi è dolce e profumata, ancora meglio. In questa ricetta la dolcezza dei peperoni si combina armoniosamente con il gusto più tenace seppure delicato della burrata. I due ingredienti sembrano proprio andare d’accordo: frullati insieme danno vita a un sugo cremoso, gustoso e facile da proporre anche ai bambini. Un’alternativa quindi ai condimenti tradizionali che non disdiciamo, ma che possiamo ogni tanto variare per aiutare anche i nostri piccoli a sperimentare sapori nuovi con ingredienti genuini.
Il mix tra la pasta, i peperoni e la burrata rende questa ricetta un piatto completo dal punto di vista dei nutrienti: il famoso trio “carboidrati, verdure e proteine”. Che dire di questa burrata? Provarla è sicuramente il modo migliore per assaporarne la delicatezza. A produrla è il Caseificio Olanda, essenza dell’artigianalità, situato nel territorio della Murgia pugliese, in provincia di Andria. Lavorano solo latte di due stalle pugliesi, stracciano ancora a mano i fogli di mozzarella che diventano appunto il cuore di burrata utilizzato per creare questa crema.
iù Più facile è p
buono!
PASTA CON CREMA DI PEPERONI E BURRATA
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INGREDIENTI PER 4 PORZIONI 2 peperoni rossi grandi 1 burrata in bicchiere Caseificio Olanda 1 spicchio d’aglio sale e olio extra vergine d’oliva q.b. 80 gr circa di pasta corta a porzione
SANE RAGIONI
PER METTERE NEL MENÙ BIMBI LA PASTA CON PEPERONI E BURRATA
Procedimento Pulite e private i peperoni del picciolo e dei loro semi. Spennellateli esternamente con un po’ di olio extravergine d’oliva. Cucinateli in forno a 200° per circa 15/20 minuti. Riponeteli quindi almeno 5 minuti in dei sacchettini chiusi (di carta o per freezer): il vapore che si crea vi aiuterà a spellarli più agevolmente. Tagliateli a striscioline e completate la cottura su una pentola antiaderente per circa 5/10 minuti con un po’ di olio evo e uno spicchio d’aglio. A fine cottura regolate di sale. Frullate i peperoni insieme al ripieno della burrata e circa metà della parte esterna (tenete da parte anche un paio di filetti di peperoni per l’impiattamento). Condite la pasta con la crema ottenuta, spadellandola appena. Completate il piatto con del basilico fresco e qualche cubetto di peperone e burrata.
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La Peri suggerisce... In generale, la pratica di frullare gli ingredienti per accompagnare un primo piatto può essere una buona tecnica da adottare quando abbiamo a tavola dei bambini, che potrebbero dimostrarsi restii ad assaggiare alcuni cibi nella loro “veste” naturale: lo possiamo fare con le verdure, ma anche con i legumi! VALSANA | 31
Questa ricetta rappresenta un piatto unico nutriente e invitante Il peperone è famoso per la sua alta concentrazione di Vitamina C Il fatto che i due ingredienti siano proposti sotto forma di crema aiuta il loro consumo anche da parte dei commensali più piccoli
Da abbinare
LA VERSATILITÀ DEL CHUTNEY Quanto suggestivo può essere un chutney? Scopriamolo con gli abbinamenti a salumi e formaggi creati proprio qui in Valsana con Alessio Brusadin. E poi i suoi piatti: creativi e stuzzicanti... di Elisa Magro glassate verdure , o t s o r r a ta i agnello e e men Coscia d elanzan m , s a n di ana chutney
Finger fo
od con
prosciu tto cott o affum y di pe sca, sca icato, logno e mando rle
chutne
Capesa
e aglio, andorle m i d a m on cre eperone rrosto c ango e p m Polpo a i d y e e chutn chorizo
mele, c
nte, cet
hutney
riolo m arinato all ’acet di frago o di le, cetr iolo e m enta
PESCA SCALOGNO E MANDORLE | cod 93832
MANGO, PEPERONE E BASILICO | cod 93835
È il chutney più versatile di tutti, grazie alla sua raffinata combinazione di dolcezza e acidità. Perfetto su tartare, sia di carne che di pesce, su deliziosi panini, con carni bollite o carni bianche alla griglia. Ideale con formaggi dolci e burrosi come la Tuma di Fobello. Ottimo anche con prosciutti cotti e porchette
Chutney perfetto con il pesce cotto e crudo in particolare crostacei. Da provare anche su carne bianca alla griglia. Fresco e profumato, è ottimo sulla mortadella di Grigio Casentino di Selve di Vallolmo o su formaggi freschi. Piacevolissimo con la Mozzarella di Bufala Campana DOP
ANANAS, MELANZANE E MENTA | cod 93839
ALBICOCCA, ZENZERO E MIELE | cod 93838
Combina la parte esotica dell’ananas e quella mediterranea della melanzana, il tutto rinfrescato dalla menta. Si abbina bene a piatti freddi di pesce, a pesci affumicati, crostacei e molluschi. Promosso abbinato a Tartare di trota e Trota allo Chef di Friultrota. Piacevole con il Pecorino di Pienza fresco del Caseificio Cugusi e la Coscia di Agnello cotta di Karl Bernardi.
Chutney dal sapore importante, cremoso, ma con la leggera piccantezza dello zenzero. Tende a coprire, quindi necessita di formaggi dal gusto molto marcato come il Formadi Frant o formaggi molto stagionati in genere. Ottimo anche su prosciutti cotti affumicati o in abbinamento a Comtè e Gruyère.
FRAGOLA, CETRIOLO E MENTA | cod 93837
FRUTTI DI BOSCO E CIPOLLA ROSSA | cod 93831
Chutney molto delicato da abbinare a formaggi freschissimi come caprini o ricotte, delizioso per guarnire carpacci o tartare di pesce e crostacei. Lo abbiamo provato con queste specialità Friultrota: Carpaccio di Pesce Spada, Trota Regina di San Daniele, Tartare di Trota, Salmone affumicato. Curioso anche con il Petto di pollo affumicato e lo speck d’oca o anatra.
Chutney fresco e molto profumato che bilancia l’acidità del frutto di bosco con la dolcezza della cipolla rossa. Perfetto per carni stagionate e affumicate come speck, e coppa. Perfetto anche per abbinamenti a formaggi a pasta molle come il Casolet della Val di Sole, Cayo, caciotte e caprini freschi.
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Tecniche di cucina
LA MARINATURA Tanto cara ai popoli mediterranei, la marinatura è l’arte di ammorbidire gli ingredienti, insaporirli e precuocerli di Anna Maria Pellegrino La marinatura è una tecnica di cottura trasversale nel senso che si marina da sempre e in tutto il mondo. Per cinque fondamentali motivi: per ammorbidire gli ingredienti, per modificarne l’odore intenso dovuto a una data di scadenza dimenticata, per sanificarli, per insaporirli e per contribuire a conservarli. Lo scopo della marinatura è quindi quello di ammorbidire e insaporire pollame, manzo, selvaggine e pesce. La scelta è ampia, ma in generale le marinature sono specifiche per i diversi tipi di alimenti: alcune sono adatte a carni rosse e selvaggina, altre a carni bianche, altre ancora a pesci e frutti di mare. Si può aggiungere qualche cucchiaio della rispettiva marinata alla salsa per la selvaggina, per esaltarne il sapore, o alla teglia dell’arrosto per dar corpo all’aroma del sugo.
In nomen omen verrebbe da dire. Il termine “marinata” deriva dalla salamoia, la marinatura più antica e che il mare ha sempre generosamente offerto. Tuttora il nome continua a essere legato al mare, nonostante l’aggiunta di un elemento acido, come il vino o l‘aceto, in quanto ci si rese subito conto che avrebbe limitato la proliferazione batterica. Senza ombra di dubbio, quindi, si tratta di una tecnica nata in Italia o in quel Mediterraneo dove tuttora si marina nel modo più classico: vino, aceto, olio, scorze di agrumi e aromi. Nel resto dell’Europa, invece, la marinatura nei secoli non fu mai del tutto indispensabile: si usava, certamente, per quei grandi pezzi di carne coriacea, che comunque si potevano sempre frollare o affumicare, visto che il legno non costava
poi così tanto, risolvendo egregiamente il problema dei lunghi tempi di cottura. Ma in altre parti del mondo, come in Cina, dove fin da subito si dovettero trasformare boschi in campi coltivati per nutrire la popolazione in grande crescita, fu necessario individuare diverse tecniche per la conservazione e la cottura dei cibi. Non leggeremo mai, infatti, una ricetta cinese, in cui grandi pezzi di carne, dopo un’immersione lunga in vino e aromi - come per esempio per il nostro meraviglioso Brasato al Barolo - verranno cotti in cocotte di ghisa per tante ore a fuoco dolcissimo. Troppo tempo, troppo combustibile. Vedremo, invece, gli ingredienti ridotti in piccoli pezzi e cotti velocemente nel wok a fuoco molto intenso.
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Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo
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Diventa così fondamentale precuocere, ammorbidire i cibi e la marinatura diventò assolutamente fondamentale. Quindi si iniziò a marinare qualsiasi cosa. Il mondo dell’alta cucina, a distanza di secoli, ha iniziato a marinare come non era mai accaduto prima, non certo per allungare la data di scadenza degli ingredienti ma per insaporire e per intenerire, così da ridurre i tempi di cottura: consapevolezza molto importante nella corretta gestione della cucina di oggi. E si marina in molti modi, affidandoci sia alle tecniche nostrane e cinesi che a quelle più moderne, in cui il sottovuoto e l’uso di essenze e oli essenziali consente delle marinature “espresse” a caldo e a freddo, restituendo con uno spruzzo un’emozione olfattiva unica. Qui ho cercato di giocare quasi con gli stessi ingredienti della marinatura classica (agrumi e vino), per presentarvi piatti completamente diversi e molto profumati, che hanno in comune tempi velocissimi di cottura.
CEVICHE DI PESCE CON ZENZERO E BERGAMOTTO (foto nella pagina precedente)
PORTATA: secondo piatto DOSI: per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ più il riposo INGREDIENTI PER IL PESCE 240 g di pesce bianco freschissimo 16 asparagi verdi 120 g cipolla rossa 240 ml leche de tigre sale in fiocchi essenze: coriandolo, bergamotto INGREDIENTI PER IL LECHE DE TIGRE 3 lime 3 limoni 1 spicchio d’aglio 1 bicchiere di vino bianco 1 cucchiaio di tabasco sale in fiocchi essenze: pepe nero, zenzero
ZUCCHINE, UOVA DI PESCE E ANETO PORTATA: antipasto DOSI: 6 bicchierini DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 20’ INGREDIENTI 300 g di zucchine 100 g di uova di pesce 100 g di ricotta 100 ml di panna fresca 1 cipolla di tropea brodo vegetale sale essenze: pepe nero e aneto PROCEDIMENTO Monda le zucchine e tagliale a rondelle sottili, affetta la cipolla. In una casseruola stufa le verdure con 50 ml di brodo vegetale: 5’ a tegame coperto. Lontano dal fuoco unisci la ricotta e frulla con un mixer a immersione. Regola di sale e profuma con l’essenza di pepe nero. Copri con pellicola e lascia riposare. Porta a bollore la panna, spruzza l’essenza di aneto per tre volte e copri, lasciando raffreddare. Componi le cocotte in bicchieri bassi: la mousse, le uova di pesce e servi con la panna aromatizzata a parte.
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PROCEDIMENTO In una ciotola mescola tutti gli ingredienti per il leche de tigre e spruzza le essenze: due volte per lo zenzero e tre per il pepe nero. Copri e lascia riposare per 10’. Monda gli asparagi e sbollentali per 3’ in acqua salata. Taglia il pesce in cubetti regolari. Disponili in una teglia bassa di vetro (no metallo!) insieme agli asparagi e condisci il tutto con leche de tigre, sale e due spruzzate di essenza di coriandolo e di bergamotto. Aggiungi nella stessa ciotola la cipolla rossa tagliata sottile. Lascia riposare per 15’, coperto. Sgocciola gli ingredienti e disponili nel piatto di servizio: le punte degli asparagi affettati, i cubetti di pesce bianco, decora con qualche falda di cipolla, qualche foglia di coriandolo e termina con l’essenza di may chang, a gusto (2-4 spruzzate). Come fosse un dipping del Maestro Marchesi.
INSALATA DI POLLO AGLI AGRUMI CON CETRIOLO E MENTA PORTATA: secondo piatto DOSI: per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 15’ + risposo COTTURA: 10’ INGREDIENTI 600 g di petto di pollo diviso in tre parti 2 limoni bio 2 pompelmo rosa un bouquet garni con dragoncello, coriandolo, basilico 80 g di spinacino 200 g di cetrioli 80 g di mandorle tagliate grossolanamente e tostate 50 ml di yogurt neutro un cucchiaio di senape di Digione olio evo sale in fiocchi essenze: pepe nero, menta, pompelmo PROCEDIMENTO Ottieni il succo da un limone, da un pompelmo e marina il petto di pollo per 15’, rigirandolo ogni tanto. Sbuccia il cetriolo e affettalo finemente. Lava e taglia a rondelle il limone restante e a vivo il pompelmo. Componi il bouquet garni. Porta a bollore un litro d’acqua, tuffa il petto di pollo, il mazzetto e le fette di limone. Continua la cottura per 5’ dopo la ripresa del bollore. Toglilo dalla casseruola, spruzza tre volte l’essenza di pompelmo e lascia riposare coperto da carta alluminio per 15’. Affettalo e condiscilo con un cucchiaio d’olio, regola di sale e pepe. Nel frattempo lavora la salsa di accompagnamento: emulsiona lo yogurt con un cucchiaio di senape e un paio di cucchiai di olio evo (se vuoi ottenere una crema più fluida usa un paio di cucchiai del brodo di pollo). Regola di sale e pepe, spruzza l’essenza di menta per due volte. In ciotole individuali distribuisci le foglie di spinacino appena condito, il petto di pollo, le fette di cetriolo, le mandorle e il pompelmo: gocciola la salsa e servi con del farro a vapore se desideri un piatto completo.
ZENZERO BIO
MENTA BIO
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98225 da 50 ml
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98245 da 15 ml | 98216 da 50 ml
ANETO BIO
BERGAMOTTO BIO
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98201 da 50 ml
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98241 da 15 ml | 98205 da 50 ml
PEPE NERO BIO
CORIANDOLO BIO
POMPELMO BIO
Dosi consigliate: 0,2%- 0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98246 da 15 ml | 98219 da 50 ml
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98208 da 50 ml
Dosi consigliate: 0,2%-0,7% a freddo e 1%-1,5% a caldo cod 98221 da 50 ml
QUINTESSENZE PRIMA BIO Essenze naturali per alimenti a base di oli essenziali estratti da spezie, erbe aromatiche, semi o agrumi, certificati biologici. Possono essere utilizzate sia per preparazioni a freddo sia a caldo, infatti sono stabili in cottura fino a 300 °C. Sono diluibili in acqua e facili da utilizzare grazie ai dosaggi consigliati.
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