Selezione di Sapori | 2020 04

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A SET | OTT 2020


Editoriale

ESTATE, TEMPO DI ALPEGGI

Tempo di alpeggi per le gite fuori porta, ma tempo di alpeggi anche per la produzione di formaggi di malga, a latte crudo, prodotti con cura, come piacciono a noi. Ecco perchè abbiamo voluto dedicare la copertina di questo numero alla famiglia Curto, che da quasi vent’anni gestisce Malga Mariech. Siamo stati a trovarli tantissime volte e ogni volta è sempre un incanto. Abbiamo “dato in pasto” il loro Stravacco a Matteo ed Enrico, chiedendo loro di suggerirci alcuni abbinamenti. Ma parliamo di alpeggi anche nell’articolo delle filiere, con un focus sull’Asiago Pressato Dop - Prodotto della Montagna. Tempo anche di novità, che causa Covid, abbiamo dovuto posticipare in questi mesi. Vi presentiamo innanzitutto una nuova collaborazione con un’azienda che stavamo corteggiando da tempo: la Gastronomia Marcolin, con un tris di Baccalà. Tantissime però anche le novità distribuite in tutto il magazine: la Proibita di Capitelli, il Riso Arborio di Cascina Oschiena, la Mortadella Artigianquality con pistacchio e due nuovi formaggi: la Mega Capra di Carozzi, e il Bassanese baby di Castellan. Buona lettura!

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisa Magro, Anna Maria Pellegrino, Elisa Perillo Direttore: Giulia Basso In copertina: Italo, Fabio e Stefano Curto con Agostino di Malga Mariech Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Che cosa ti piacerebbe leggere nel prossimo numero del magazine Selezione di Sapori? Scrivilo a marketing@valsana.it

Martina Iseppon VALSANA | 02


SOMMARIO SETTEMBRE | OTTOBRE 2020

Notizie da Valsana

ALPEGGI NEL CUORE

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Novità a catalogo

LA PROIBITA / DUE NUOVI FORMAGGI

Viaggio fuori porta

GASTRONOMIA MARCOLÌN

Intervista doppia

ARTIGIANQUALITY / BONFATTI NEGRINI

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A proposito di filiere

LA FILIERA DELL’ASIAGO

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Abbinamenti a quattro mani LA MAGIA IN ALTA QUOTA

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Cibo dal mondo

IL LUNGO VIAGGIO DEL RAVIOLO

Idee per il menù bambini

IL MAXI SANDWICH DELLA PERI 20

Letteratura tra i fornelli

IL CUOCO “SEGRETO” DEL PAPA 22

Come si fa?

PER DISOSSARE UN CRUDO 24

Come si riconosce?

LA TABELLA NUTRIZIONALE

La cucina di qb

LA CULTURA DEL RISO

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Notizie da Valsana

ALPEGGI NEL CUORE La visita a Malga Mariech, il progetto della Scuola Internazionale dei Formaggi di Montagna e la degustazione di formaggi di malga Ai Pian Estate, tempo di alpeggi. Mai come quest’anno la montagna è stata rivalutata come destinazione per le vacanze o per brevi gite fuori porta. Un riavvicinamento alla natura che diventa sempre più necessario, non solo come momento di evasione, ma come stile di vita.

Anche se malvisto dai puristi della montagna, il turismo che ha invaso le malghe e i rifugi è una risorsa importante per chi in montagna ci vive e ci lavora. Certo, anche il turismo deve essere sostenibile e rispettoso, ma la multifunzionalità, ossia la possibilità di affiancare alla produzione casearia anche l’accoglienza, è la chiave per la sopravvivenza degli alpeggi. VALSANA | 04

I malgari sono i “custodi della montagna”: tengono in vita i pascoli, arginando l’espansione dei boschi, e favoriscono la reintroduzione di razze locali più adatte ai pascoli, garantendo la conservazione della biodiversità, e dei paesaggi. Ma affinchè possa sopravvivere, questo mestiere deve essere economicamente remunerativo, e la sua sostenibilità economica passa anche dal turismo. Ne abbiamo discusso più volte con Fabio Curto, che da anni “fa scuola” con Malga Mariech: un piccolo gioiello sul Monte Cesen, a 1504 metri di altitudine, nel comune di Valdobbiadene (TV). Due casere in pietra: uno ospita lo spaccio dei prodotti della famiglia Curto, l’altra l’agriturismo, con il ristorante al piano terra e cinque camere al primo piano. Appena pochi metri più in alto la stalla, il caseificio e una piccola cantina di stagionatura. La cura, la pulizia, l’attenzione ai dettagli che si respira in ogni ambiente - oltre al paesaggio, davvero meraviglioso - rendono la visita sempre un vero piacere.


“Quest’anno abbiamo dovuto ridurre i posti a sedere sia all’interno che all’esterno dell’agriturismo per il Covid, quindi durante il lock-down abbiamo potenziato il chiosco esterno dove prepariamo panini e altri piatti veloci e abbiamo iniziato a noleggiare coperte da pic-nic, per riuscire comunque a far fronte alle richieste”.

Dopo la laurea in Medicina Veterinaria e alcune esperienze lavorative, Fabio ha preso in mano l’azienda di famiglia ed è riuscito a “innovare la tradizione”, ottenendo anche un premio nel 2017 dal Consiglio europeo dei giovani agricoltori per aver saputo «coniugare ricambio generazionale e innovazione».

Fabio e Stefano sono la quarta generazione di una famiglia dedicata all’allevamento e alla produzione di formaggi. Assieme al papà, Italo Curto, casaro dal 1974, e alla mamma Patrizia gestiscono Ponte Vecchio, un’azienda agricola estremamente moderna a Vidor (TV), nella campagna trevigiana, dove la stalla è del tutto robotizzata sia per quanto riguarda la mungitura che la fornitura delle razioni di cibo alle bovine. Ogni estate però le vacche di proprietà (principalmente di razza Bruna) vengono trasferite al pascolo in Malga Mariech. I formaggi prodotti qui sono identificati da un bollino verde “Fatto in Quota” per distinguere le produzioni invernali di valle da quelle estive di alpeggio.

Capacità imprenditoriale e competenze sono le fondamenta su cui costruire il successo economico di un’azienda, anche in malga. Conoscere il pascolo e gli animali, saper lavorare il latte ma anche avere un quadro della normativa, saper gestire una piccola azienda e raccontare il valore del territorio, sviluppare le opportunità legate all’accoglienza e alla capacità di fare rete. Sono queste le competenze che si propone di sviluppare la “Scuola Internazionale dei Formaggi di Montagna”: un progetto ambizioso, nato dalla creatività del Professor Danilo Gasparini, docente di storia dell’agricoltura presso l’Università di Padova, in collaborazione con il centro di alta formazione profesVALSANA | 05

sionale Cast Alimenti di Brescia, il cui progetto didattico è stato presentato ai sindaci e alle autorità locali lunedì 3 agosto a Malga Molvine-Binot, tra Segusino e Valdobbiadene. Un progetto che Valsana ha deciso di supportare, perchè in questi anni ci siamo resi conto che la professione del “malgaro” sta scomparendo: in tutto l’arco alpino, ma anche sugli Appennini, è sempre più difficile trovare persone disposte a fare i pastori o i casari, e così sono a rischio anche tante piccole produzioni del patrimonio gastronomico del nostro Paese. E, sempre perchè gli alpeggi ce li abbiamo nel cuore, siamo felici di comunicarvi che, ad oggi, salvo nuove ordinanze, è confermato l’appuntamento di domenica 6 settembre presso le Casere Ai Pian, per una degustazione di formaggi di malga, in occasione dell’evento “Malghe tra Miane e Borgo Valbelluna”. Al link di seguito il programma completo dell’evento: valsana.link/malghe2020


Novità a catalogo

LA PROIBITA Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

NOVITÀ

PROIBITA - SPALLA COTTA AFFUMICATA A naso è dolce, con note di caramello e miele, usato nella marinatura. Al palato è solubile, con note dolci e di carne arrosta gradevoli.

Si è aggiudicata una stella all’International Taste Awards di Bruxelles. Vi presentiamo la spalla cotta secondo Angelo Capitelli di Elisa Magro L’ultima arrivata in famiglia Capitelli è Proibita, “un prodotto anacronistico che in un morso riconcilia con le sensazioni ataviche che il corpo umano ha dentro di sé quando pensa alla carne”: così la descrive Angelo Capitelli, il suo autore. La fissazione per le cose buone e la continua attività di ricerca e sviluppo sono i due pilastri su cui si fonda la produzione di Capitelli, che già conosciamo bene per il prosciutto cotto San Giovanni, la pancetta Giovanna e il Nino, il fiocco di prosciutto cotto. “La storia del cotto San Giovanni e della pancetta Giovanna ad esempio sono state storie di ricerca molto lunghe, sulla materia prima e sui processi di produttivi. Con Proibita invece arrivare subito al risultato è stata una gran fortuna!” racconta Angelo.

cod 78047 | 7 Kg circa

Ci è piaciuta perché É profumata, fragrante, morbida e golosa. Fiera del suo colore disomogeneo, dei grassi della carne non censurati ma mantenuti ed esaltati. Una spalla cotta per la quale vale la pena trasgredire! VALSANA | 06

VALSANA | 6

In un momento storico in cui va di moda il magro e il leggero, Proibita arriva come una rivelazione, una sorpresa per sapore, fragranza, bouquet di aromi e consistenza. La materia prima utilizzata per produrla è spalla di suino, il taglio più bistrattato che esista dell’animale. Commercialmente se si parla di spalla oggi, gli addetti ai lavori pensano subito a qualcosa di qualitativamente povero. Proibita va invece fiera del suo colore disomogeneo, dei grassi della carne non censurati ma mantenuti ed esaltati in una spalla cotta che regala davvero inaspettate emozioni al palato. Ottima idea per un antipasto rustico, abbinata a del pane caldo o alla torta fritta, come da buona tradizione parmigiana.


Novità a catalogo

DUE NUOVI FORMAGGI Tra le novità a catalogo non potevano mancare dei nuovi formaggi: ecco le scelte del nostro team di Elisa Magro

BASSANES BABY ∙ Caseificio Castellan

MEGA CAPRA ∙ Carozzi

Il Bassanese, marchio della famiglia Castellan da oltre 40 anni, è un formaggio che matura oltre 60 giorni, dal sapore tipico del buon latte locale: un formaggio che è espressione del territorio Veneto.

È un formaggio caprino a pasta dura, molto simile al grana, stagionato un anno. Tutto ha inizio da una materia prima di qualità: latte di capra 100% italiano. “Ne produciamo solo sette forme a settimana, perché vogliamo un prodotto di alta qualità” ci racconta Aldo Carozzi.

Rispetto al Latteria Bassanese classico, la versione Baby presenta una tessitura della pasta particolare, data dalla semi cottura della cagliata unitamente all’azione dei fermenti scelti, che conferiscono alla pasta un’occhiatura uniforme, appena accentuata e ben distribuita.

La lavorazione prevede che la prima salatura avvenga a secco. Tutte le settimane le forme vengono rivoltate su assi di legno e stagionate a una temperatura di 7 gradi in un ambiente con il 90% di umidità per almeno 12 mesi. Il risultato è un formaggio a crosta liscia con una pasta molto friabile, grassa e scioglievole in bocca, dolce e con delicatissime note ircine.

Il risultato è un formaggio dolce, lievemente sapido, con note piacevoli di burro cotto e nocciola.

NOVITÀ

NOVITÀ

BASSANESE BABY

MEGA CAPRA

Formaggio a latte vaccino pastorizzato e stagionato almeno 60 giorni. Il sapore è dolce con sapidità appena accennata, con note di burro cotto e nocciola

Formaggio caprino stagionato a pasta granulosa. In bocca è dolce, con una sapidità appena accennata. Delicatissime le note ircine e di frutta secca.

cod 30021 | peso 2,5 kg circa

cod 21007 | 1/8 di forma | 2 kg circa VALSANA | 07


Viaggio fuori porta

GASTRONOMIA MARCOLIN Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

Li abbiamo corteggiati per due anni, e atteso con (im)pazienza che la loro linea “Baccalà” fosse pronta per il mercato professionale di Martina Iseppon Li abbiamo corteggiati con metodo e costanza per un paio d’anni, dopo averli incontrati la prima volta al Taste a Firenze nel 2018. Stefano e Andrea ci avevano conquistato con il loro Baccalà, una ricetta di famiglia che nella loro gastronomia di Padova, una delle migliori della città, è un’istituzione. Li abbiamo seguiti, abbiamo atteso con (im)pazienza che la loro linea dedicata ai professionisti fosse pronta e oggi siamo finalmente qui a raccontarvi la loro storia e i loro prodotti deliziosi.

NOVITÀ

BACCALÀ MANTECATO Baccalà mantecato ottenuto semplicemente montando in planetaria lo stoccafisso bollito con olio di girasole aggiunto a filo, a mano. Cremoso e delicato, è il prodotto più richiesto nella Gastronomia Marcolin cod 95850 | vaschetta da 250 g cod 95851 | da 1 kg

Le ricette sono state messe a punto dal papà, Francesco Marcolin, classe 1946. Nella sua famiglia di Veggiano, in provincia di Padova, il venerdì si mangiava di magro, nel rispetto della tradizione cristiana, e tra i piatti di famiglia compariva spesso lo stoccafisso. Amante della buona tavola, Francesco inizia a lavorare come “garzone di bottega” a soli 15 anni. Grazie alla sua intraprendenza riesce a collaborare con diversi negozi di alimentari del territorio, ma è solo negli anni ’70 che riesce a realizzare il suo sogno: quello di lavorare a “Sotto il Salone”, il mercato coperto più antico d’Europa. Un mercato che da più di ottocento anni riunisce le migliori eccellenze enogastronomiche nella galleria al piano terra del Palazzo della Ragione, un edificio di epoca medievale nel centro storico di Padova. Francesco si guadagna la fiducia dei suoi titolari e diventa prima socio della gastronomia in cui lavora, fino a riuscire ad acquisirla nel 1985. Finalmente, nella Gastronomia Marcolin Francesco, può dare sfogo alla sua passione: oltre alla vendita di formaggi e salumi pregiati, si specializza nell’importazione dello stoccafisso direttamente dalle Isole Lofoten in Norvegia. Assieme al figlio Stefano ne cura in prima persona la lavorazione e mette a punto le sue ricette del baccalà mantecato, condito e alla vicentina. VALSANA | 08

E così qui, nel cuore del Veneto, “Patria del Baccalà”, la sua gastronomia diventa un punto di riferimento per gli amanti di questa prelibatezza. Siamo stati a trovarli nella loro gastronomia, un negozio di pochi metri quadrati in pieno centro città, tra Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta. Anche in agosto diverse persone in fila, in attesa di essere servite. Oggi sono i tre figli di Francesco, Chiara, Stefano e Andrea Marcolin a portare avanti l’attività di famiglia. Chiara è stata la prima a seguire il papà, prima lavorando per tanti anni al banco in gastronomia, poi facendosi carico dell’amministrazione. Stefano ha imparato il mestiere aiutando il papà nella lavorazione dello stoccafisso; oggi si occupa della produzione, oltre a seguire il negozio. Andrea invece segue lo sviluppo commerciale dell’azienda; aveva iniziato un percorso diverso, ma il suo destino era già scritto quando, fin da ragazzo, dava una mano nella gastronomia di famiglia. Tre anni fa Stefano ha l’intuizione di poter sviluppare diversamente l’attività, per trovare un mercato più ampio a quel baccalà, per cui così tante persone sono disposte a fare la fila. Convince Andrea a mettersi in gioco e assieme avviano un’attività parallela alla gastronomia, dedicata alla produzione di una linea di baccalà destinato ai professionisti. Nasce così il marchio Baccalà, che identifica le ricette della famiglia Marcolin. Nel 2018, quasi per gioco, provano a inviare la loro candidatura al Taste di Firenze: vengono selezionati e l’evento alla Stazione Leopolda diventa un’opportunità per sondare il terreno e mettere a fuoco il progetto. E’ a questo punto del loro percorso che incontriamo i fratelli Marcolin, e ci innamoriamo del loro Baccalà.


Entusiasmo alle stelle dopo l’esperienza di Taste, Andrea e Stefano investono in un nuovo stabilimento produttivo a Selvazzano Dentro, tra Padova e Vicenza, inaugurato pochi mesi fa. “Non potevamo pensare di continuare a lavorare in una cucina di 30 mq nel centro di Padova”. Da allora sono passati due anni, dedicati a mettere a punto la nuova sede e le ricette, lo studio di shelflife, le etichette. Finalmente, a giugno 2020, è arrivato il bollo CE, semaforo verde per le vendite ai professionisti, il via che stavamo tutti aspettando scalpitanti sulla linea di partenza. “Al momento l’80% delle vendite di baccalà passa ancora dalla gastronomia, ma contiamo di avere delle belle soddisfazioni anche dal nuovo mercato a cui ci stiamo affacciando - confessa Andrea. In negozio il mantecato classico è uno dei prodotti che vendiamo di più”. Come sempre la selezione della materia prima è fondamentale. Almeno una volta l’anno i

Marcolin si recano di persona in Norvegia, nelle isole di Røst, nell’estremità sud occidentale dell’arcipelago delle Isole Lofoten. “Di solito in Norvegia ci andiamo a maggio: la pesca del merluzzo avviene nei mesi più freddi di gennaio e febbraio; il pescato viene poi appeso ad asciugare da febbraio fino ad aprile circa, maggio per i pesci di dimensioni maggiori. Per questo maggio è il periodo migliore per la selezione, perché in questo periodo dell’anno anche i pesci di maggiori dimensioni sono perfettamente essiccati”. Per ottenere uno stoccafisso di qualità il merluzzo deve essere innanzitutto dissanguato quando è ancora vivo, per eliminare la maggiore quantità di sangue; deve essere essiccato solo grazie agli elementi atmosferici, senza aggiunta di additivi; sono fondamentali sia il taglio del ventre, che garantisce una corretta essiccazione sia interna che esterna, sia il taglio delle vertebre dorsali, che favorisce il drenagVALSANA | 09

La Gastronomia Marcolin Francesco è un punto di riferimento per gli amanti del Baccalà in Veneto. Oggi i figli di Francesco - Chiara, Stefano e Andrea - portano avanti l’attività di famiglia con un nuovo progetto imprenditoriale dedicato ai professionisti


NOVITÀ

BACCALÀ CONDITO Pezzettoni del più pregiato Stoccafisso norvegese (Gadus Morhua) bollito e condito con olio extravergine di oliva, aglio e prezzemolo fresco cod 95852 | vaschetta da 500 g cod 95853 | da 1 kg

gio della colonna vertebrale; i merluzzi vengono quindi legati a coppie all’altezza della pinna caudale e appesi alle rastrelliere nello stesso giorno in cui sono pescati. Una volta essiccati, la classificazione viene fatta da un selezionatore, il “Vrakeren”, in base a degli standard ben definiti (NBS 30-01) che tengono conto di molteplici parametri: dimensione, peso, colore, perfino il rumore che fa quando viene battuto, oltre ad altri fattori qualitativi. Lo stoccafisso di prima scelta deve essere privo di difetti, muffe, macchie o danni causati dal gelo, con il ventre ben aperto e il collo pulito; viene suddiviso in 10 categorie: Ragno, se magro e lungo più di 60 cm; Westre Magro (WM) se magro e sottile, senza polposità; per citare solo le prime due categorie della prima scelta. Lo stoccafisso di seconda scelta può avere invece alcuni difetti e viene classificato in altre 5 categorie. Al di sotto della seconda scelta lo stoccafisso è classificato come di tipo B. VALSANA | 10

I fratelli Marcolin acquistano esclusivamente stoccafisso di prima scelta: Ragno, Westre Magro (WM) oppure Westre Ancona (WA). Il pescato arriva nel loro magazzino a fine agosto o inizio settembre, in balle di iuta da 50 kg. “Quello che noi acquistiamo è stoccafisso, non baccalà” - precisa Andrea. Spesso si fa confusione tra i termini stoccafisso e baccalà, ma si tratta di due diversi modi di trattare lo stesso pesce, il merluzzo: lo stoccafisso è il merluzzo essiccato, mentre il baccalà è il merluzzo conservato sotto sale. “In Veneto chiamiamo baccalà lo stoccafisso”, ma è una “licenza poetica”, un errore che si trascina da secoli, legato forse al fatto che la parola “baccalà” è più affine alla nostra parlata veneta, rispetto a stoccafisso”. La lavorazione inizia con la battitura. Lo stoccafisso viene innanzitutto “battuto” con una macchina speciale, cimelio di famiglia dei Marcolin. “Prima gli si spacca la schiena e poi lo si appiattisce, in modo da rompere le fibre e


permettere allo stoccafisso di assorbire meglio l’acqua”. E’ un processo fondamentale nella lavorazione, un’attività di cui, in famiglia, si occupa solo Stefano. Dopo la battitura lo stoccafisso resta in ammollo per due o tre giorni a seconda delle dimensioni, durante i quali l’acqua viene cambiata un paio di volte al giorno. Con l’ammollo lo stoccafisso raddoppia all’incirca il suo peso e aumenta significativamente anche di volume. Quando ha terminato l’ammollo viene ripulito della coda e della lisca, gli viene tolta la pelle e viene spinato a mano. Gli step successivi dipendono dalle ricette finali che si vogliono ottenere. Per fare il Baccalà Mantecato, i filetti vengono semplicemente bolliti e montati in planetaria appena tolti dalla pentola, con l’aggiunta di sale e olio di girasole. L’olio viene aggiunto manualmente a filo e la quantità di olio da aggiungere viene decisa di volta in volta a seconda di quanto ne richiede la materia prima, in modo da garantire una consistenza costante

del baccalà mantecato, che non deve risultare né troppo compatto né troppo morbido. A fine lavorazione viene aggiunto pochissimo latte, soltanto per dare un colore più bianco al mantecato. Il risultato è un baccalà estremamente cremoso e delicato. La ricetta del Baccalà Condito prevede invece che lo stoccafisso, una volta bollito, venga appunto condito con olio extra vergine di oliva, aglio e prezzemolo. Una ricetta leggera, perfetta base per delle squisite insalate con un elevato contenuto proteico. Infine, nel Baccalà alla Vicentina, lo stoccafisso, dopo l’ammollo, viene invece spinato a mano, preparato con farina, olio extravergine di oliva, latte, acciughe e Grana Padano DOP, quindi cotto in forno nelle placche di acciaio fino ad ottenere una gratinatura dorata. Un tris di baccalà già pronto per un servizio veloce ma di altissima qualità, da abbinare a una buona polenta, meglio se di Biancoperla. VALSANA | 11

Reportage fotografico di Beatrice Mancini

NOVITÀ

BACCALÀ ALLA VICENTINA Un secondo piatto della tradizione veneta preparato con stoccafisso, Grana Padano DOP, olio extravergine di oliva, farina, latte e acciughe cod 95854 | vaschetta da 500 g cod 95855 | da 1 kg


Intervista doppia

BONFATTI NEGRINI

ARTIGIAN QUALITY BOLOGNA (BO)

Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

CENTO (FE)

Rosa e rigorosamente bolognese: parliamo di mortadella! Qui ne presentiamo due che vi resteranno nel cuore, entrambe prodotte seguendo la ricetta tradizionale di Giulia Basso

LE RECENSIONI DEI CLIENTI

Orietta Alfonzi | Minimarket Riviera (Fiesso d’Artico, VE) Abbiamo assaggiato la mortadella di Artigianquality a Sapori e ci ha conquistato per il gusto e la digeribilità. Ne apprezzo la naturalità, che si rispecchia anche nel suo colore rosa, molto tenue, che la rende appetibile anche agli occhi. Non c’è da fidarsi quando ti dicono che una mortadella vale l’altra, questa fa proprio la differenza. Clizia Pasotto | Passando per Modena (Padova) Prima di aprire il ristorante abbiamo provato moltissimi assaggi di salumi: la mortadella Bonfatti ci ha colpito per il profumo e il sapore che sprigiona in bocca. E’ una mortadella non troppo grassa, che si sposa benissimo in un tagliere classico di salumi, abbinata con tigelle e gnocco fritto, o nelle tigelle gourmet al carbone vegetale, che proponiamo con squacquerone e cipolla caramellata.

ARTIGIANQUALITY

BONFATTI DI NEGRINI

E’ un’azienda nata nel cuore di Bologna da due giovani fratelli, Simona e Francesco Scapin, che hanno fatto tesoro degli insegnamenti del padre Silvio, macellaio da una vita. “Ha iniziato a lavorare in macelleria a 12 anni e poi a 21 ne ha aperta una propria a Bologna: ha passato un’intera vita dietro il bancone del suo negozio, dove ha sempre prodotto ottimi salumi artigianali per la sua clientela” racconta Simona Scapin. “Nel 2014 siamo diventati presidio Slow Food per la Mortadella Classica e la Mora Mora e abbiamo partecipato al Salone del Gusto. A quel punto, spinta dalla richiesta della clientela, che nel mondo delle mortadelle cercava proprio il gusto dei nostri prodotti, e dalla volontà di fare un passo in avanti, ho deciso di staccarmi dal negozio e aprire un’azienda“. Così è nata Artigianquality, che Simona gestisce facendo tesoro di tutti i segreti del mestiere che il padre le ha insegnato. Le mortadelle Artigianquality sono un orgoglio di famiglia, frutto di una lunga sapienza artigianale e una ricetta basata su una filiera corta, materie prime di altissima qualità di provenienza locale, lavorazione artigianale a cottura lenta, nel rispetto della tradizione bolognese e dei canoni di una sana alimentazione. Tutti i prodotti dell’azienda sono privi di farine, latte, lattosio, derivati dal latte, coloranti e polifosfati aggiunti e non impiegano sottoprodotti della carne, come cotenna ed emulsione di cotenna: ciò dona alle mortadelle un’altissima digeribilità.

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Ha sede a Renazzo di Cento, piccolo paese crocevia delle tre province di Bologna, Modena e Ferrara. Bonfatti salumi è un’azienda nata nel secondo dopoguerra, la cui tradizione si tramanda di padre in figlio. “Fu mio nonno, che si occupava della raccolta del latte nelle campagne bolognesi, a iniziare l’attività - racconta Dino Negrini -. Come tutte le famiglie di campagna aveva un’aia dove non mancavano i maiali: da lì partirono le prime macellazioni in casa, quindi in laboratorio. A metà degli anni ’50 mio nonno con i figli avviò una vera e propria attività di macellazione e produzione di prodotti di carne fresca. Quindi all’inizio degli anni ’60 trasferì il lavoro in uno stabilimento, aumentò la superficie produttiva e aiutato da mio padre e dai suoi fratelli si fece strada nel mondo delle produzioni artigianali dell’arte salumiera emiliana”. Più di 60 anni dopo l’attività prosegue grazie al passaggio di testimone alla terza generazione di maestri norcini, che oggi come ieri puntano sull’alta qualità delle materie prime impiegate e su una manifattura artigianale in tutte le fasi della lavorazione. La Mortadella Classica è il prodotto più rappresentativo e storicamente più importante per la Bonfatti. Ma l’arte norcina di Bonfatti ha riportato in vita anche altri salumi cotti locali ormai molto rari, come il Salame Rosa e la Mortadella Lyon. Prodotti per i quali Slow Food ha avviato il nuovo Presidio di tutela dei Salumi rosa tradizionali bolognesi, che va ad aggiungersi a quello già attivo da diversi anni della Mortadella Classica.


Simona Scapin Che ingredienti utilizzate per la vostra mortadella? Utilizziamo spalla, coscia e gola di suini provenienti dall’Emilia Romagna, allevati allo stato semibrado. Sono maiali di razza Large White, con peso fino ai 200 chili. Alla carne fresca aggiungiamo una nostra base aromatica composta da aglio bianco fresco e un mix di spezie. Che tipo di macinatura e come la cucinate? Maciniamo finemente solo la parte magra, spalla e prosciutto. La parte grassa invece, la gola, la lavoriamo a parte, aggiungendola all’impasto dopo la macinatura. Non usiamo nient’altro, tranne le spezie che aggiungiamo nell’impastatrice insieme al sale. Quindi insacchiamo a mano in vescica naturale e facciamo cuocere nella stufa dalle 24 alle 28 ore a bassa temperatura.

Dino Negrini NO

VI

MORTADELLA ARTIGIANQUALITY CON PISTACCHIO Dolce e delicata, con una speziatura bilanciata e un piacevole contributo dato dalla presenza del pistacchio cod 78764 | 7 kg circa

Consigli per la conservazione e il consumo? Quando si estrae dal sottovuoto ha una durata di circa un mese. Come per ogni salume meglio buttare la prima fetta, che si ossida. Se l’utilizzo è quotidiano invece basta capovolgere la mortadella dal lato della fetta aperta su un piano e inserirla così in cella frigorifera o nel banco frigo a 2-4 gradi. Per il consumo consiglio di provarla grigliata: esalta la naturalezza del prodotto.

Carne fresca di maiali del nord Italia oltre i 200 chili di peso. Sono suini al di fuori del circuito Doc Igp che li vuole al massimo di 176 kg. Per la parte rosa usiamo prevalentemente la spalla del maiale, per la parte bianca a cubetti la gola. La concia è preparata con sale, aglio fresco tritato, spezie e pepe. Che tipo di macinatura e come la cucinate? La passiamo in un tritacarne specifico per la mortadella, che macina finemente la carne. Quindi insacchiamo l’impasto in vesciche naturali di bovino e lo cuociamo in stufe in mattone ad aria secca per quasi un giorno. E’ cambiato qualcosa rispetto alla ricetta di un tempo? No, la ricetta è la stessa da sempre, che abbiamo conservato anche dopo il riconoscimento come Presidio Slow Food. Certo abbiamo cambiato nome e marchio per questioni commerciali, ma il prodotto è sempre quello: restiamo ancorati saldamente alle origini.

E’ cambiato qualcosa rispetto alla ricetta di un tempo? Tendiamo a mettere meno sale all’interno del nostro prodotto e non aggiungiamo altro grasso nell’impasto. In altre parole abbiamo eliminato il tritino, ingrediente storicamente utilizzato per fare la mortadella.

Che ingredienti utilizzate per la vostra mortadella?

MORTADELLA CLASSICA Leggera e dolce, dal profumo delicato e con un tipico sapore di carne cod 78736 | 5 kg circa cod 78735 | 10 kg circa cod 78737 | 700 g circa

Consigli per la conservazione e il consumo? Una volta aperta, essendo un prodotto cotto, consigliamo di consumarla in dieci-quindici giorni. Se non si possiede la macchina per il sottovuoto la si può conservare in frigo avvolgendola in un panno. Per quanto riguarda il consumo, si tratta di un prodotto che ha trovato spazio anche in ambito gourmet: ho clienti che la usano sopra una pizza bianca, insieme a provola o mozzarella di bufala e crema di pistacchio.


A proposito di filiere

LA FILIERA DELL’ASIAGO Una grande DOP che raccoglie al suo interno diverse identità: scopriamo insieme la filiera del formaggio Asiago Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

di Alessandro De Conto L’Altipiano dei Sette Comuni è natura, è bosco, è pascolo, è montagna. Matrice originaria di un formaggio storico e di alto profilo: l’Asiago. Formaggio che nella notte dei secoli si chiamava Pegorin in quanto prodotto similmente ma con latte ovino, per passare poi completamente al latte vaccino, poiché più redditizio, solo negli ultimi due secoli.

1095 m altitudine a cui si trova Malga Verde

37 soci del Consorzio di Tutela Formaggio Asiago

130 litri di latte necessari per produrre 1 forma di Asiago DOP Pressato

Successivamente l’evoluzione dei mercati e della domanda, la nascita di una DOP e il crescente interesse per la gastronomia in generale hanno fatto sì che quel territorio (delimitato dai comuni di Asiago, Enego, Foza, Gallio, Lusiana-Conco, Roana e Rotzo) non fosse più sufficiente e che la produzione “scendesse”, anche per facilità logistiche, nella fascia pedemontana. Oggi il territorio entro cui si produce l’Asiago Dop è compreso nelle province di Vicenza, Trento, parte di Padova e Treviso, come da specifica nel disciplinare del Consorzio. Una filiera che trova origine in una terra vocata al pascolo e alle coltivazioni foraggere e cerealicole, fondamentali per la nutrizione dei bovini e la loro produzione lattifera. L’alimentazione con insilati è in ogni caso consentita, eccezion fatta per l’Asiago Dop “Prodotto della Montagna” (PDM). Questo di conseguenza genera un’ulteriore distinzione: il formaggio Prodotto della Montagna non contiene il lisozima, autorizzato invece nelle produzioni di valle.

D’Allevo Mezzano Dop Casello 155, che si occupano esclusivamente di trasformazione casearia e acquistano il latte da stalle limitrofe, come del resto il Caseificio di Vezzena e Lavarone Casello 210, sempre per il Mezzano PDM. Veniamo dunque al formaggio: come è noto ai più l’Asiago DOP non ha un’identità unica, ma si differenzia in almeno due livelli: Asiago Pressato Dop (fresco, stagionato almeno 20 giorni) e Asiago d’Allevo che a sua volta si può distinguere in Mezzano (4-6 mesi di stagionatura), Vecchio (superiore a 10 mesi) oppure Stravecchio (superiore a 15 mesi). Il Pressato è un formaggio a latte intero e pasta semicotta, che fa dell’occhiatura abbondante il suo segno distintivo. Ed è proprio su questo elemento e sul livello di stagionatura che facciamo leva per proporre a catalogo tre prodotti diversi. Il primo è della Fattoria Cortese (Malga Verde), a latte

I produttori con cui collaboriamo rappresentano diverse sfaccettature di filiera: a Malga Verde Casello 119, produttore estivo di alpeggio, che ha tutta la filiera in azienda si alternano il Caseificio San Vito di Povolaro, produttore di Asiago Pressato Casello 154, e il Caseificio Villa di Castelgomberto, produttore di Asiago VALSANA | 14

ASIAGO PRESSATO DOP CASELLO 154 Dolce e con piacevoli note lattiche; il classico è molto occhiato e stagionato 30 giorni circa, il crosta nera matura 45 giorni circa e ha un’occhiatura più timida classico 30801 | crosta nera 30802 peso 12 kg circa


LA FILIERA: quali sono i principali attori?

PRODUZIONE DI VALLE •

ogni passaggio deve avvenire all’interno dell’area geografica definita dal disciplinare

ALLEVATORE

PRODUTTORE

ALPEGGIO

PRODOTTO DELLA MONTAGNA • • • •

almeno 600 m di altitudine no insilati nell’alimentazione delle vacche no uso di lisozima produzione e stagionatura in montagna

STAGIONATORE

ALLEVATORE

termizzato, ma prodotto solo nei mesi estivi in alpeggio, a 1100 m di altitudine in Val Lastaro, in prossimità di Conco (VI). La pasta è decisamente distinta, gialla, con un’occhiatura di piccola dimensione, regolarmente distribuita. La gonfiatura del piatto superiore della forma è leggera, ma è in bocca che si manifesta in tutta la sua bontà: il formaggio è grasso, burroso, dolcissimo, con riporti di cotto e prato fiorito. Prodotti tutto l’anno e con latte pastorizzato invece, i Pressati di San Vito, più noto come il “154“, nelle due versioni a crosta neutra e a crosta nera. Oltre che per il colore della crosta, i due pressati si differenziano per stagionatura e sviluppo di occhiatura. Il classico ha circa 30 giorni di stagionatura e un’occhiatura generosa e ben distribuita, con gonfiore accentuato, mentre il crosta nera arriva anche a 45 giorni e la sua occhiatura è un po’ più timida, più chiusa. Al palato si

PRODUTTORE = STAGIONATORE

• • •

le vacche si alimentano solo nei pascoli estivi no uso lisozima produzione e stagionatura in montagna

somigliano e offrono tutta la tipicità di un Asiago fresco, cioè dolcezza e sentori lattici, di burro crudo e yogurt. L’Asiago d’Allevo (d’allevo significa da stagionare), è un formaggio semigrasso, ottenuto generalmente dall’unione di almeno due munte, di cui almeno una scremata. Rientra quindi nella grande famiglia dei formaggi alpini semigrassi, storicamente subordinati alla produzione di burro che aveva importanza commerciale primaria. Due le referenze disponibili a stagionatura mezzana, il casello 155 di valle e il casello 210 PDM. Il sapore è dolce, la sapidità è appena accennata, e a volte piccante, soprattutto quando la stagionatura si avvicina ai 6 mesi. Nella versione di montagna, sono più spiccate le note di fieno ed erba. Mentre il vecchio si attesta attorno all’anno di stagionatura, è l’Asiago Stravecchio DOP

ALLEVATORE = PRODUTTORE = STAGIONATORE

la punta di diamante della nostra selezione, prodotto rarissimo, a latte crudo, stagionato almeno 18 mesi, Presidio Slow Food. Il nostro è quello di Malga Verde, una produzione di alpeggio che richiede sacrifici di gestione e manutenzione del prodotto. Motivo principale per cui la sua produzione negli anni si è ridotta sempre più. Da anni, dopo ogni estate, cerchiamo di incoraggiare il produttore appartando già un certo numero di forme che ritireremo solo da lì a 15 mesi circa; per noi è fondamentale che il formaggio stagioni lì dove nasce, tra le mani di chi lo produce. Ora abbiamo disponibili forme di 24 mesi, dal profumo unico di ananas, frutta disidratata, ma anche di tubero, di cantina, di nocciola tostata. In bocca è potente e fine al tempo stesso, con note di pascolo, fiori e di nuovo frutta tostata. Un formaggio mitico, degnissimo termine di una filiera di assoluta qualità.

ASIAGO PRESSATO DOP PDM

ASIAGO D’ALLEVO DOP MEZZANO

ASIAGO D’ALLEVO DOP VECCHIO

ASIAGO D’ALLEVO DOP STRAVECCHIO

Asiago prodotto solo nei mesi estivi in alpeggio, dal sapore dolce, burroso, con note di cotto e di prato fiorito

Asiago d’allevo stagionato almeno 4 mesi; il sapore è dolce, con spiccate note di fieno ed erba in quello di montagna

Asiago prodotto a valle e stagionato almeno 10 mesi; dolce con leggera sapidità e sentori di burro cotto e miele

Presidio Slow Food, prodotto in alpeggio e stagionato almeno 18 mesi; potente ma elegante con note di pascolo, fiori e frutta tostata

codice 30810 | peso 13 kg circa

pdm 31148 | di valle 30860 peso 10 kg circa

codice 30865 | peso 9 kg circa

codice 30879 | peso 8 kg circa


Abbinamenti a quattro mani

LA MAGIA IN

Matteo De Santi è laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Dai 1504 metri di altitudine un formaggio d’autore prodo lo Stravacco Fatto in Qu

di Matteo De Santi

Dal Monte Cesen stanno scendendo da Malga Mariech alcune forme di formaggio che già conosciamo, ma con profumi e colori diversi. Sono le versioni d’alpeggio dei formaggi del caseificio Ponte Vecchio, prodotti a 1504 metri con il latte delle loro vacche brune alpine. Salite a fine maggio, adesso, le vacche si sono abituate a un nuovo pascolo, si sono messe in forma con qualche prato un po’ più ripido e rinfrescate con la nuova brezza montana. Risultato: un nuovo latte, ricco, intenso, più grasso, più profumato, più giallo, insomma un valore unico, firmato 2020, come un vino, ma in continuo cambiamento. Possiamo dire che tra i formaggi di Ponte Vecchio lo Stravacco è quello con un’identità più personale, unica. Frutto dello studio della tradizione, e dell’esperienza e creatività di Italo Curto, il casaro. Si tratta di un formaggio a pasta molle a latte crudo, ottenuto dall’unione di due cagliate, precedentemente sgrondate separatamente, ciascuna nel proprio canestro (da qui la faccia canestrata). Viene poi stagionato per almeno 20 giorni, il tempo necessario per aggiungere la sua “piumatura” sulla crosta. In pratica, con qualche modifica, sarebbe una personale interpretazione del formaggio Morlacco veneto. Se invece pensiamo alla Francia possiamo dire che lo stravacco assomigli per consistenza al Saint Nectaire, con però una crosta bianca naturale e note più intense. L’alpeggio aggiunge le sensazioni burrose, di latte caldo e di fiori, tipiche delle produzioni di montagna. Tutto questo direi, una bella magia.

TORTA SALATA Ormai ne siamo abituati, la scegliamo per le cene in condivisione, la facciamo quando abbiamo qualche verdura non più in forma oppure semplicemente, quando non sappiamo cosa preparare: la torta salata o quiche. Vedrete che lo Stravacco andrà d’accordo con quasi tutte le verdure e aiuterà ad unire gusti e consistenze. Ma se potete, preferite sempre le verdure di stagione!

ZUCCHINE Durante l’estate ne vediamo molte, ma le zucchine difficilmente stancano. Sono estremamente versatili, ottime nei sughi, nelle preparazioni in umido oppure ripiene. Con lo Stravacco vi propongo una versione più inusuale: zucchine a carpaccio. Tagliate per lungo alcune fette sottili di zucchine e marinatele con un’emulsione di olio e limone, condite con sale, pepe ed erbe aromatiche a scelta. Una volta ammorbidite dalla marinatura adagiatele su un piatto e accompagnate con qualche fetta di Stravacco

ALBICOCCHE La stagionalità ci piace e l’albicocca pure, provatela molto semplicemente spaccata in due con una fetta di Stravacco e un filo di miele. Se poi avete anche del pane caldo avete fatto bingo!

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STRAV MORLACCO S

Rivisitazione del famoso prodotto con latte va da vacche di razza Bru Un formaggio dalla pas alle tecniche tradiziona Grappa, dove il Morlacco salatura meno invaden lattiche e leggere no codice 30288 |


ALTA QUOTA

Enrico De Conto è laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

e del Monte Cesen arriva otto con il latte di alpeggio: uota di Ponte Vecchio

di Enrico De Conto

Suggerimento musicale: Rock the Casbah – The Clash Se questo formaggio fosse musica sarebbe sicuramente presente in una playlist da viaggio. Non siate timidi, salite al Monte Cesen, visitate, toccate, annusate. Occorrente: occhiali da sole, braccio fuori dal finestrino e tanta curiosità. Buon viaggio!

VACCO STRAVAGANTE

o formaggio trevigiano, accino crudo ottenuto una allevate al pascolo. sta morbida, che si rifà ali delle zone del Monte o ha origine, ma con una nte, con spiccate note ote floreali e animali peso 2 kg circa

TRENTO DOC BRUT

COLLI TORTONESI DOC 2018

Primo abbinamento della lista che credo possa regalarci qualche attimo di euforia gustativa é quello con un Trento DOC Brut. Rappresentante dei grandi metodi classici italiani, questo vino ben si accompagnerà allo Stravacco di malga, grazie alla sua spiccata complessità aromatica e a un perlage fine in contrasto alla grassezza del formaggio

I profumi di un pascolo che cambia, la sincera sapidità e una grassezza che richiede un giusto contrasto sono solo alcune caratteristiche dello Stravacco. Come secondo abbinamento vi suggerirei un Colli Tortonesi a base di uve Timorasso. Le note di fiori e frutta, ben si sposeranno con i profumi del formaggio. In bocca invece la non eccessiva acidità e la morbidezza smorzeranno la sapidità della pasta.

Zona: Trentino Alto Adige

Zona: Piemonte

Intensità:

Intensità:

LANGHE CHARDONNAY DOC 2018

BIRRA SAISON

Continuando sul filone degli abbinamenti “in bianco”, vorrei suggerirvi anche di affiancare questo formaggio a un calice di Langhe Chardonnay. Un bianco secco e morbido, con aromi di frutta matura e alcuni richiami di vaniglia dovuti all’affinamento in barrique. Abbinatelo anche alla torta salata di Matteo, commuovetevi e sorridete

Al solito, con l’ultimo abbinamento usciamo dal vigneto ed entriamo in un campo d’orzo (o altro). Vi suggerisco una birra Saison, sicuramente una delle regine dell’estate. La sua carbonatazione vi pulirà la bocca dopo un estasiante morso di Stravacco, mentre la sua bassa gradazione alcolica vi aiuterà a dissetarvi con semplicità. Dai, è estate!!!

Zona: Piemonte

Stile: Belgio

Intensità:

Intensità: VALSANA | 17


Cibo dal mondo

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

IL LUNGO VIAGGIO DEL RAVIOLO Agnolotti, cappelletti, ravioli... Sono solo tre delle numerose specialità di quel filone della pasta ripiena che rappresenta un vanto della cucina italiana. Ogni regione custodisce le proprie ricette tradizionali, ma sciogliere il nodo della loro origine rimane un vero giallo di Vittorio Castellani

Mentre gli esperti sono abbastanza concordi sulle ipotesi di diffusione della pasta negli Stati che precedevano il Regno d’Italia, è piena bagarre per quello che riguarda l’origine di questi deliziosi involucri di sfoglia dai mille ripieni, serviti asciutti con salse o in brodo. Il dubbio è amletico. I vari formati di pasta ripiena che oggi conosciamo rappresentano una reinterpretazione e rivisitazione ispirata ai numerosi dumplings di origine Mongola, Persiana o Cinese? Anche in questo caso il campanilismo la fa da padrone e ciascuno racconta la storia dal proprio punto di vista, citando miti e leggende, talvolta davvero bizzarri. LE ORIGINI CINESI Il più curioso è sicuramente quello che narra l’origine dei più famosi tra i ravioli del nord della Cina, i jiaozi, che sarebbero stati inventati dal medico Zhang Zhongjing, durante l’era della dinastia Han (25–220 d.C.), come un rimedio della Medicina Tradizionale Cinese (MTC). In origine queste squisitezze venivano chiamate jiao’er, ovvero “teneri orecchi” perché si usavano per trattare… il mal d’orecchi da congelamento! Zhang Zhongjing pensò infatti di curare le persone povere che si ammalavano durante il rigido inverno, non avendo vestiti caldi e cibo a sufficienza, con una tazza di brodo curativo, preparato con carne di montone e

erbe e due ravioli a testa jiao’er di carne, aglio e zenzero. La cura durava dal solstizio d’inverno fino alla Festa di Primavera (chūnjié), ricorrenza che segna il Capodanno cinese. Il rimedio si rivelò talmente efficace che ancora oggi le famiglie cinesi preparano insieme, per la più importante festa del calendario cinese, centinaia di ravioli, in segno di buon auspicio per il nuovo anno. LE ORIGINI MONGOLE Leggende a parte è più probabile che il concetto di “raviolo” sia un’invenzione dell’Impero Mongolo e che discenda dai mantou, che troviamo ancora oggi sulle tavole, dalla Turchia con il nome di manti fino alla Corea, come mandu, grazie alla loro diffusione lungo La via della Seta. Secondo questa teoria i jiaozi cinesi ne rappresenterebbero una semplice evoluzione avvenuta nei secoli, per mano degli Uiguri dello Xinjiang, che trasformarono questo “panino” a vapore farcito di carne in un piccolo raviolo ripieno. LE ORIGINI PERSIANE La terza ipotesi è quella che ci riguarda più da vicino e sostiene che anche la nostra pasta ripiena sia stata ispirata a qualcosa di simile, come forma e concetto, sicuramente non come ripieno e salsa di accompagnamento, ai dumplings che si preparavano nell’antica Persia, sotto l’Impero Sassanide (651 d.C.). che si estendeva dal Mediterraneo orientale all’Asia Centrale. La cucina italiana ha il grande merito di aver saputo


PANSOTTI LIGURI | Liguria Per certi versi possono essere considerati l’anello di congiunzione tra Oriente e Occidente, e non solo per la loro forma, assai simile ai dumplings asiatici. Alcuni sostengono che la salsa di noci con la quale vengono serviti sia una rielaborazione della salsa tarator turca a base di yogurt, aglio e noci, che i genovesi avrebbero importato e modificato da Galata Saray, il quartiere genovese d’Istanbul.

appropriarsi nel corso dei secoli di tanti spunti creativi di terre lontane per reinventarli a modo suo, valorizzando materie prime e gusti che ci identificano e ci rendono unici al mondo. Per rendercene conto basterebbe confrontare le forme e la lavorazione dell’involucro di specialità come i culurgiònes sardi dell’Ogliastra, incredibilmente identici ai momo da zuppa nepalesi, o quelle dei pansotti liguri, così simili ad alcuni dim sum di Hong Kong. A PROPOSITO DI RIPIENI Se le sembianze e le tecniche di piegatura sono assai simili a quelle asiatiche, le cose vanno ben diversamente per i ripieni e le salse d’accompagnamento. I ripieni vegetali di cavolo cinese o castagne d’acqua, spesso aromatizzati con zenzero e aglio, lasciano il posto alle patate profumate alla menta, al prebuggiún di erbe spontanee primaverili o alla zucca autunnale, nel caso dei caplaz ferraresi. Le salse allo yogurt, si convertono al burro fuso, magari profumato alle erbe o alla panna da cucina, i ripieni di gamberetti o polpa di granchio, ripiegano sui filetti di cernia, orata o branzino o sui pesci di lago. Se parliamo di carni, condividiamo con la Cina sicuramente quelle di maiale, ma non certo il montone! Al ripieno aggiungiamo il manzo, il pollo, il prosciutto crudo di Parma, del Parmigiano o della Mortadella… e siamo arrivati in Emilia, a parlare di cappelletti e anolini, questioni di taglia. In generale da noi le spezie si attenuano e le aromatiche la fanno da padrone. Il brodo di gallina, cappone o manzo è più presente al nord dello Stivale e ricorda incredibilmente alcune zuppe dello Yunnan, mentre al sud si prediligono i densi sughi aromatici di pomodoro, anche concentrato o stufato con le costine di maiale. Perché no?

DIM SUM | Hong Kong Una leggenda narra che un imperatore cinese, giunto in visita a Hong Kong, dopo settimane di viaggio, arrivato sull’Isola dei Nove Draghi chiese al cuoco locale che doveva occuparsi di lui di cucinargli qualcosa di speciale, in grado di portargli la gioia nel cuore (dim sum), altrimenti lo avrebbe fatto decapitare. Il cuoco andò in fibrillazione e poiché non conosceva i gusti dell’Imperatore pensò di dilettarlo con 100 tipi di ravioli, uno diverso dall’altro. L’imperatore provò la “gioia nel cuore” e da quel giorno obbligò il cuoco a portare in tavola un banchetto di Dim Sum. La sua salvezza divenne la sua condanna.

PROSCIUTTO CRUDO DI PARMA DOP

PARMIGIANO REGGIANO DOP GENNARI

Un Parma dolce e molto profumato, stagionato circa 18 mesi; per i ripieni di solito viene usata la parte del gambetto

L’inconfondibile Parmigiano di Gennari con note di panna, burro e yogurt, stagionato almeno 24 mesi

cod 79010 | peso 11 kg circa anche addobbo e pressato

cod 33050 | peso 38 kg circa disponibile anche in 1/8

VALSANA | 19


Idee per il menù bambini

IL MAXI SANDWICH DELLA PERI Kids foodblogger e autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, Elisa Perillo, conosciuta in cucina come la Peri, si occupa di ricette sane per bambini e tiene regolarmente laboratori di cucina dedicati a loro. Ama usare ingredienti di qualità combinati in preparazioni semplici che incontrino il gusto dei piccoli commensali. periandthekitchen.com Facebook.com/ periandthekitchen Instagram: @periandthekitchen

Il classico panino che amano sia grandi che piccini, in una versione gustosa e sana, adatta proprio a tutti! di Elisa Perillo Il club sandwich è uno di quei piatti che da sempre mi mette allegria: lo associo al tempo libero, le amicizie, le risate a tavola. Da quando mi occupo di ricette per bambini, però, mi sono resa conto di quanto si possa lavorare nella direzione dell’equilibrio e della salute anche in piatti che per tradizione non primeggiano in questo senso. Come? Scegliendo ingredienti genuini e di prima qualità e combinandoli in modo corretto per dare un risultato equilibrato. E’ proprio il caso di questo maxi sandwich di tacchino e verdure. All’apparenza può sembrare un piatto un po’ imponente ma in realtà è assolutamente genuino. Il Tacchino al forno Meggiolaro impiegato in questa ricetta è un prodotto davvero perfetto per i bambini perché è cotto in modo naturale senza alcun conservante né additivo. Dal sapore molto delicato,

TACCHINO AL FORNO MEGGIOLARO Arrosto di tacchino prodotto con la sola aggiunta di sale, spezie ed erbe aromatiche, senza additivi o conservanti. Al palato risulta dolce e molto delicato, volutamente poco sapido. Delizioso tagliato a fette sottili con l’aggiunta al momento del servizio di un pizzico di sale, del pepe macinato fresco e una un filo di olio evo. cod 80858 | peso 3 kg circa

si abbina bene a quelle verdure che contengono un buon quantitativo di acqua come le zucchine e i pomodori. In questo sandwich ho utilizzato la maionese di avocado: si prepara in un attimo e consente di ammorbidire il pane con una crema vegetale dolce e sana, senza ricorrere a salse industriali o più cariche dal punto di vista degli ingredienti. Per completare il mix dei sapori, vi consiglio di utilizzare un pane integrale, semi integrale o ai cinque cereali e di abbrustolirlo bene in modo da avere quella croccantezza piacevole all’assaggio e che ben bilancia la farcitura. Insomma, servire un sandwich effervescente nell’aspetto ma così disciplinato nella sua composizione, non può che far contenti grandi e piccini. Io di sicuro, nel prepararlo e assaggiarlo per voi, mi sono divertita!


iù Più facile è p

buono!

MAXI SANDWICH AL TACCHINO, VERDURE E MAIONESE DI AVOCADO

3

INGREDIENTI PER 2 SANDWICH (4 PEZZI) Alcune fette di Tacchino al forno Meggiolaro (circa 3 a pezzo) 6 fette di pane integrale o ai cinque cereali 2 zucchine 2 pomodori 1 avocado sale e olio extra vergine d’oliva q.b. un po’ di succo di limone

SANE RAGIONI

PER METTERE NEL MENÙ BIMBI IL MAXI SANDWICH AL TACCHINO

Procedimento Tagliate a fettine sottili il Tacchino al forno Meggiolaro e salatelo leggermente. Lavate e tagliate a striscioline le zucchine, grigliatele ai ferri e conditele con un po’ di olio extra vergine d’oliva e sale. Lavate e tagliate a fette anche i pomodori e metteteli da parte per la farcitura. Per preparare la maionese di avocado, frullate un avocado maturo con due cucchiaini di olio extra vergine d’oliva, un pizzico di sale e un po’ di succo di limone, in modo da ottenere una salsa cremosa di colore verde brillante. A questo punto tostate le fette di pane e componete il sandwich: spalmate la maionese di avocado sulla prima fetta quindi create i vari strati con zucchine, pomodori e tacchino. Chiudete la prima fetta e procedete allo stesso modo con le altre.

1. 2. 3.

La Peri suggerisce... Potete personalizzare il sandwich in base ai gusti e alle stagioni, variando le verdure proposte nella farcitura. Al posto della maionese di avocado, potete provare anche con una salsa ai legumi, a base di fagioli cannellini, anacardi e olio extra vergine d’oliva. VALSANA | 21

La ricetta contiene tutti gli ingredienti di un pasto completo e bilanciato: carboidrati, proteine, verdure, grassi buoni Proporre le verdure in modo alternativo aiuta anche i bambini più restii ad assaggiarle Il tacchino arrosto è un’ottima alternativa sana rispetto agli insaccati comunemente impiegati nei sandwich tradizionali


Letteratura tra i fornelli

IL CUOCO “SEGRETO” DEL PAPA Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

I BANCHETTI DI BARTOLOMEO SCAPPI I magnifici banchetti di Bartolomeo Scappi vengono preparati attraverso una concezione architettonica dell’arte della cucina: il cuoco è infatti un giudizioso architetto, il quale, dopo il suo giusto disegno, stabilisce un forte fondamento e, sopra quello, dona al mondo utili e maravigliosi edifizii. Sontuosità, stupore, potere: ma anche gioia di godere dell’abbondanza con occhi golosi e gustare i cibi senza le rampogne di petulanti dietologi. Segno di una civiltà del convito oggi irrimediabilmente perduta.

Bartolomeo Scappi, la stella della cucina del XVI secolo: la carriera, la sua straordinaria opera e la fama di Danilo Gasparini Per dirla con Tomaso Garzoni, in modo graffiante, autore della Piazza Universale di tutte le professioni del mondo (1586) i cuochi, all’epoca in cui Scappi scrive, erano assurti oramai, nella società del pieno Rinascimento a gloria sempiterna, entrati a far parte dell’“Accademia dei potacchi”. “ E allora i cuochi – scrive, usciti dalle unte cucine - entrarono nelle scuole e drizzando una Academia di leccardia si cominciarono a far conoscere per maestri e dottori”. Un po’ come oggi insomma! Quali le star? Il Platina, alias Bartolomeo Sacchi, Domenico Romoli, detto il “Panunto”, Cristoforo Messisbugo, cuoco e scalco alla corte degli Estensi a Ferrara e lo Scapo, ossia Bartolomeo Scappi, per anni cuoco alla corte pontificia. LA VITA È ignota la data di nascita di Bartolomeo Scappi, sappiamo ora che era lombardo, nato a Dumenza, sul Lago Maggiore, tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI e che è morto il 13 aprile 1577. Non abbiamo informazioni sul suo apprendistato, anche se la varietà regionale delle sue ricette suggerisce che si sia formato nelle regioni del nord Italia. La sua carriera si sviluppa nelle cucine del cardinal Marino Grimani a Venezia e procede a Roma, a cominciare dall’organizzazione del solenne banchetto di Carlo V nel 1536. Nel 1564 è al servizio di Pio IV e dal 1566 è ufficialmente “cuoco secreto di Papa Pio V”, ossia cuoco personale, carica ambitissima nella Roma pontificia, ed è così che si firma nel suo famoso ricettario, Opera, stampata a Venezia nel 1570. Il ricettario si è presto diffuso anche al di fuori dei palazzi papali; infatti Scappi stesso spiega che “essendone così richiesto da persone amorevoli, e giudiciose, le quali giudicandola (la presente fatica) dover essere utile a molti, l’han voluto all’uso commune presentare”. Forse il vero motivo

che lo ha spinto a pubblicare le sue ricette è la volontà di uscire dall’anonimato, data la fatica necessaria per raggiungere quest’alta carica partendo da origini piuttosto umili. Non a caso il suo libro è corredato da un ritratto personale con tanto di stemma (un calice e un levriero tenuto al guinzaglio). L’opera, oltre mille preparazioni, con un’appendice straordinaria di 27 tavole, una vera enciclopedia illustrata della cucina rinascimentale, ebbe un grande successo e venne ristampata regolarmente fino al 1643. Dopo la pubblicazione del ricettario, la carriera di Scappi continuò a progredire: divenne mazziere pontificio (colui che aveva il compito di seguire e assistere il papa), cavaliere del Giglio, un ordine istituito da papa Paolo III e infine Comes Palatinus Lateranensis (Conte palatino lateranense), nomina che in realtà non dava alcuna facoltà di esser chiamato conte ma solo cavaliere, e che è indicata anche in una lapide a ricordo del cuoco all’interno della chiesa di S. Giorgio a Dumenza. Morì il 13 aprile 1577, il giorno dopo fu sepolto nella chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio alla Regola, sede della Compagnia dei Cuochi e Pasticcieri di Roma della quale faceva parte, fondata a inizi del ‘500, una sorta di primitiva FIC (Federazione Italiana cuochi) . OPERA Scappi non fu certo il primo a scrivere un ricettario, e nemmeno il primo cuoco di un pontefice a lasciare traccia del suo percorso professionale. Il De honesta voluptate et valetudine di Platina anticipa Scappi nel delineare le qualità che deve possedere un cuoco, per cui l’Opera non è particolarmente innovativa in questo aspetto. Spesso questa viene esaltata perché sono numerosi i riferimenti territoriali dei prodotti impiegati, corredati da confronti tra diverse


qualità o in base al periodo stagionale; ciò è testimoniato dai numerosi riferimenti alle tradizioni, come quella dei pescatori di Chioggia che secondo Scappi conoscevano il miglior modo per cuocere il rombo in potaggio o i numerosi riferimenti a ricette umili, come minestre di cavoli cappucci o di erbette di campagna, molto diffuse nel basso ceto. Lo dice lui stesso scrivendo di aver dedicato il suo ricettario alle “liste delle cose che si possono servire di mese in mese, le quali generalmente s’usano in Italia et massime nella città di Roma.” Perché Roma? Perché assieme a Milano, Napoli e Venezia rappresenta l’eccellenza italiana della cucina e della gastronomia. L’Opera è considerata un unicum nella trattazione rinascimentale, nonché il simbolo della cucina del periodo. Innanzitutto, è la più completa fra tutte le edizioni di arte culinaria del Cinquecento: è composta da sei libri, 804 capitoli, un migliaio di preparazioni culinarie suddivise per tipologia di alimento e, come si diceva, 27 tavole illustrate, uniche nel loro genere, che ci permettono di capire nel dettaglio come fosse fatta una cucina di corte rinascimentale e quali attrezzature venissero impiegate. Le ricette sono particolarmente dettagliate e precise, dando indicazioni sulla scelta degli ingredienti e soprattutto descrizioni delle tecniche di cottura. Questo aspetto rende l’Opera particolarmente efficace nell’offrire al lettore un quadro gastronomico completo, frutto dell’esperienza diretta dell’autore. L’opera include numerose ricette di pasta, pasta ripiena, torte, compresa quella aperta che è “da napoletani detta pizza”, e altre

preparazioni a base di pasta sfoglia e pasta frolla; il ricettario anticipa molte caratteristiche di quella che diventerà la cucina italiana moderna. GLI INGREDIENTI Per quanto riguarda gli ingredienti impiegati, il trattato di Scappi segna, per esempio, una svolta importante nei confronti del pesce. Quasi un secolo prima, Platina incolpava i pesci di mare di essere poco sani, a causa della loro umidità e viscosità in grado di generare sangue freddo e flemmatico. Scappi invece dedica un intero libro e ben 217 ricette al pesce nell’Opera, segno di una totale rivalutazione di questo alimento. Ed è straordinaria la sua conoscenza! Sulle trote scrive: “quelle di Sora e d’Arpino sono buone, ma tirano al color nero, quelle che si pigliano nel Tesino e nel Tevere son bianche, ma perfettissime, quelle che si pigliano nel lago Maggiore e di Como sono grossissime” e così anche per i gamberi quando cita quelli del fiume “Silo che passa per Trevigi”. E poi ci istruisce sui mercati, sugli usi gastronomici… una sorta di esaustiva lista di prodotti “a denominazione di origine”, che comprende la carne, i prodotti della salumeria, i formaggi, la frutta, i prodotti da forno. Per gli animali da allevamento sono segnalati il manzo milanese o “bove lombardo”, le vitelle trentine, e le romanesche, le “pollanche romanesche” polli - i piccioni di Terni, ma anche le cicogne selvatiche “delle quali io ho vedute molte tra le valli di Comacchio e il Po”. Per quanto riguarda i formaggi, oltre al parmigiano (da grattare o da servire in “fettuccie”,) al “cascio di riviera”, ai raviggioli o marzolini toscani raccomanda il “romagnolo”, (prodotto in forma di “limoncelli”) VALSANA | 23

La copertina e una tavola illustrata di “Opera” di Bartolomeo Scappi, Venezia, 1570

e il “romanesco”; tra i freschi cita le “mozzarelle romanesche”, i caciocavalli napoletani e le “provature” del Sud. Altrettanto interessante è la presenza tutta nuova delle verdure, considerate in passato cibo adatto agli umili e indegno della tavola aristocratica. Nell’Opera invece appaiono numerose verdure in torte, minestre, paste, in molteplici formati, salse, fritti e pasticci, oltre che in contorni leggeri più vicini all’impiego odierno delle verdure. Ne viene fuori una cucina delle grandi città italiane, che esclude però il Piemonte sabaudo, una cucina italiana che respira la campagna, il territorio, il mercato. Grazie Bartolomeo e che qualche ghiottone culinario che pontifica in tivvù ti legga...


Come si fa

PER DISOSSARE UN CRUDO Perché saper disossare? E da che parte iniziare? Queste le domande a cui risponderemo nell’articolo! Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Dove sono le ossa?

PERONE TIBIA NOCETTA

FEMORE

ANCHETTA

PROSCIUTTO VENETO BERICO EUGANEO DOP Un elegante prosciutto prodotto tra i Colli Berici ed Euganei, stagionato almeno 18 mesi. Si riconosce per l’assenza del piedino e per la legatura mezzo corda passata con un foro nel gambetto. All’assaggio risulta dolce, con una sapidità equilibrata cod 79205 | peso 10 kg ca disponibile anche addobbo

di Giulia Bassetto Come si disossa un prosciutto crudo? Ora proviamo a raccontarlo, ma forse prima dovremmo porci un’altra domanda, che sta a monte della precedente e che magari vi darà qualche motivo in più, oltre alla mera curiosità, si capisce, di leggere l’articolo: perché disossare un prosciutto crudo invece di comprarlo già senza osso? Innanzitutto perché saper disossare un crudo vi permette di poter scegliere, tra infiniti prosciutti, quale proporre ai vostri clienti. Questo perché, come sapete, non tutti i prosciutti vengono disossati dal produttore: molto raramente lo sono le lunghe stagionature, praticamente mai le proposte di nicchia. Il secondo valido motivo è che, disossando da voi, con un po’ di pratica, sarete in grado di controllare e ridurre al minimo lo scarto derivante dal processo; un bel vantaggio, soprattutto per chi lavora bene con i crudi! Se siete come San Tommaso che se non vede non crede, vi diamo qualche numero verificato da noi (qui vi dovete fidare però!): abbiamo chiamato Paolo Morosin, titolare della gastronomia Alimentari Morosin a Treviso, per osservare dal vivo il disosso, così con l’occasione abbiamo pesato lo scarto alla fine dell’operazione. In definitiva, su 9,9 kg iniziali di prosciutto lo scarto è stato di 2,4 kg. Insomma, da farci almeno un pensierino! Quello che abbiamo imparato da Paolo, oltre a ciò che troverete nelle righe successive, è che disossare un prosciutto non significa solamente eliminare l’osso, ma anche avere estremo rispetto nel maneggiare il prodotto, essere particolarmente sensibili al problema dello scarto sia per una questione di resa sia perché sarebbe uno spreco di bontà, e infine ricordarsi del servizio al cliente, cercando quindi di rendere il prosciutto disossato e legato bello, ordinato e invitante alla vista. E ora che abbiamo dei validi motivi per prendere in considerazione il disosso, vediamo insieme quali sono i principali passaggi della tecnica che abbiamo imparato da Paolo. 1 | GLI STRUMENTI Saranno necessari due coltelli da disosso con lama dura, uno piccolo per la incisioni attorno alle ossa VALSANA | 24

e uno più grande per l’anchetta e la pulizia della sugna, una sgorbia per facilitarvi nell’estrazione dell’osso, un seghetto per il gambetto e infine delle corde per legare il prosciutto disossato. 2 | PULIZIA Ripulire il prosciutto dalla sugna (fig. 1): è importantissimo asportare solo la sugna, quindi bisogna prestare attenzione a essere precisi e a salvaguardare il più possibile il magro del prosciutto, facendo uno scarto minimo. Il segreto sta nel non tagliare grosse fette di sugna solo per velocizzare il lavoro, ma procedere in modo certosino, facendo piccoli tagli seguendo la forma del prosciutto. Oltre alla sugna sono da asportare anche tutte quelle parti gialle che, oltre a compromettere il sapore, sono anche esteticamente brutte da vedere. Finito di ripulire la coscia dalla sugna, rifilate anche la cotenna sul retro, seguendo il suo andamento originario ad arco. Alla fine delle operazioni di pulitura basterà massaggiare un po’ la carne per ricompattarla e nascondere i segni lasciati dal coltello. In questa fase potete risparmiarvi di ripulire l’anchetta perché sarà da asportare al passaggio successivo. 3 | RIMOZIONE DELL’ANCHETTA Incidere la carne attorno all’anchetta (fig. 2), senza forzare la lama ma lasciandosi guidare dall’osso. Alzare l’anchetta facendo leva con il coltello e recidere l’osso alla base. Pulire bene, quindi, i rimasugli di sugna e rifilare il taglio dell’anchetta affinché risulti più elegante e ordinato. Una dritta: sull’osso dell’anchetta resterà sicuramente un po’ di carne da cui è possibile intuire la consistenza del prosciutto che se avrà ricevuto la giusta salatura risulterà bello compatto altrimenti darà l’impressione di essere leggermente molle. 4 | RIMOZIONE DELL’OSSO CENTRALE Con il seghetto tagliare la parte finale del gambetto. Alcuni preferiscono sfilarlo assieme all’osso centrale, ma per velocizzare un pochino il lavoro è possibile segarlo e rimuoverlo prima di passare a occuparsi del disosso. Si procede quindi con l’incisione: inserire il coltello


all’altezza della testa del femore e praticare un’incisione lungo tutto l’osso centrale (fig. 3) fino a raggiungere il gambetto. Non bisogna forzare la direzione della lama che dovrà seguire, lasciandosi guidare, il percorso dell’osso che si sviluppa con una curvatura. (Attenzione alla posizione: l’ideale è non stare con il corpo nella traiettoria del coltello, nel caso questo sfuggisse alla fine del taglio!) Fare poi una seconda incisione attorno alla testa del femore (fig. 4) e inserire quindi la sgorbia lavorando attorno all’osso per favorire il distaccamento della carne. Finita quest’operazione inserire la sgorbia sotto il femore così che permetta di fare leva dal basso esponendo l’osso, aiutandosi ad aprire le due sezioni del prosciutto facendo forza con le mani (fig. 5) ma prestando attenzione a non tagliarsi con la cotenna. A questo punto, con il coltello, continuare a liberare l’osso dalla carne finché non sarà staccato del tutto. Infine, resteranno da togliere gli ultimi due ossi, più piccoli. Il primo si trova in alto nella parte vicino al gambetto e rappresenta quello che in un umano sarebbe il perone, mente l’altro è la nocetta, un ossicino tondo posizionato nello snodo tra femore e tibia (fig. 6).

1

2

3

4

53

6

4 7

8

Ripulire quindi il prosciutto da eventuali infiltrazioni o zone ingiallite (soprattutto nella zona del gambetto) e rifilare adeguatamente il taglio. Ci saranno dei buchi, ad esempio quello della nocetta, che potrete riempire usando eventuali parti di magro che possono essere rimaste attorno all’osso o sull’anchetta: in questo modo non resterà il vuoto, scomodo, poco gradevole da vedere e pericoloso per l’ossidazione. Infine, asportare una sezione verticale di cotenna dalla zona centrale, di modo che questa non resti all’interno del prosciutto una volta legato: stringendo le legature, infatti, le due sezioni di carne si sormonteranno. Prestare attenzione però a non levare tutto il marchio! 5 | LEGATURA Per la legatura prevedere una chiusura a 4 o 5 corde affinché il prosciutto resti ben chiuso e sia esteticamente bello da vedere. Partendo dalla parte più larga, creare una mezza lunetta sulla cotenna (vedere incisioni sul lato fig. 7) in entrambi i lati in posizione simmetrica, così da non far scivolare le corde. Inserire la corda e fare un nodo scorsoio semplice, o qualsiasi altro nodo scorrevole che permetta di tirare il più possibile la corda. Suggeriamo di avvalersi di uno strumento che permetta di esercitare maggiore forza nello stringere la corda, ad esempio anche la base della sgorbia stessa (fig. 7). Una volta completata l’operazione, bloccare il nodo scorrevole con un ulteriore nodo semplice affinché resti ben saldo. Procedere man mano con le altre legature ricordandosi di accompagnare la carne del prosciutto di modo che risulti ben chiusa e fare attenzione a tenere tutti i nodi a pari livello e sullo stesso lato. Alla fine, rifilare la cotenna e ricompattare l’interno del gambetto così da ostruire il più possibile eventuali fessure. Ora il prosciutto è pronto per essere posizionato sulla macchina e affettato! (fig. 8)


Come si riconosce?

LA TABELLA NUTRIZIONALE Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

Un utilissimo strumento per confrontare gli alimenti così da scegliere consapevolmente cosa mettere nel "carrello": eccovi tutto quello che non potete non sapere! di Giorgia Barbaresco Continuiamo a guardare con attenzione l’etichetta degli alimenti per capire quali altre informazioni utili possiamo trovare: negli ultimi anni, in particolare dalla fine del 2016, abbiamo visto comparire una tabellina che prima era facoltativa e conteneva poche informazioni, e che oggi invece è obbligatoria e più dettagliata. Ancora una volta questa novità è stata introdotta con il già citato Reg. UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni ai consumatori che prevede l'introduzione della dichiarazione nutrizionale come supporto alle politiche comunitarie in materia di sanità pubblica e si pone l’obiettivo di garantire scelte alimentari informate. Per quali alimenti è obbligatoria la dichiarazione nutrizionale?

Figura 1: esempio di una tabella nutrizionale con valori riportati sia per 100 g di prodotto che per porzione. Fate attenzione quando fate il confronto!

Solo per i prodotti alimentari ‘preimballati’ destinati al consumatore finale e alle collettività (bar, esercizi pubblici e di ristorazione, catering, ecc). Anche se nel caso di alimenti destinati alla vendita a operatori commerciali la tabella nutrizionale non deve necessariamente venire stampata sull’etichetta, ma è sufficiente che sia trasmessa al cliente nei documenti commerciali (es. schede tecniche). Sono esclusi i prodotti ‘preincartati per la vendita diretta’ (es. formaggi esposti in banco-frigo, avvolti nella pellicola con etichetta adesiva del supermercato), i mono-ingrediente (es. carne, olio, ecc), gli alimenti venduti sfusi (es. legumi esposti nel sacco per la pesatura fai-da-te) e i cibi somministrati dalle collettività. Sono esonerati dall’obbligo i prodotti confezionati in maniera artigianale, o forniti dal fabbricante in piccole quantità, oppure preparati nei locali che forniscono direttamente il prodotto nel punto vendita. VALSANA | 26

A cosa serve la dichiarazione nutrizionale? Si tratta di informazioni nutrizionali che dovrebbero consentire al consumatore di operare scelte alimentari e dietetiche consapevoli. L’etichettatura nutrizionale è molto importante perché fornisce immediatamente al consumatore le indicazioni necessarie per confrontare un prodotto con un altro e per valutare se risponda, o meno, alle proprie necessità dietetiche permettendogli di scegliere consapevolmente. É fondamentale che le indicazioni sulle proprietà nutritive siano riportate secondo una modalità che aiuti e che consenta il confronto rapido tra diversi prodotti, per questo motivo il Regolamento, oltre a definire quali sono i nutrienti da riportare, definisce anche l’ordine con cui devono essere riportati. La dichiarazione nutrizionale obbligatoria deve indicare: • il valore energetico in chilojoule (kJ) e in chilocalorie (kcal) • grassi • acidi grassi saturi • carboidrati • zuccheri • proteine • sale. La dichiarazione va sempre riferita ai 100 grammi o millilitri di prodotto, ma è possibile trovare anche i dati per porzione. I valori dichiarati sono valori medi stabiliti sulla base di analisi di laboratorio effettuate, o di calcoli eseguiti a partire dagli ingredienti. Cerchiamo di capire perché queste informazioni possono esserci utili.


Il Valore Energetico kcal: la chilocaloria (caloria nel linguaggio comune) rappresenta la quantità di calore necessaria per portare la temperatura di 1 kg di acqua distillata da 14,5°C a 15,5°C. kJ: nel sistema internazionale l'unità di misura del calore non è la caloria ma il joule. Tale valore dev'essere specificato in etichetta per adeguarsi agli standard internazionali. Una caloria equivale a 4,186 joule, quindi per passare da kcal a kjoule basta moltiplicare per 4,186. Il valore energetico di un alimento ci permette di capire se si tratta di un cibo ipo- o iper-calorico magari confrontandolo con gli alimenti dello stesso gruppo.

Tabella 1: confronto delle dichiarazioni nutrizionali di due diversi tacchini al forno; i valori fanno riferimento a 100 g di prodotto

ENERGIA

TACCHINO AL FORNO MEGGIOLARO

PETTO DI TACCHINO COTTO AL FORNO

cod 80858 peso 3 kg circa

cod 78127 peso 2 kg circa

144 kcal

115 kcal

kJ

485 kJ

Attenzione a non confondere le calorie per 100 grammi e quelle per pezzo, per confrontare i valori dei diversi alimenti prendete sempre in considerazione 100 g di prodotto.

GRASSI

3,5 g

2g

di cui acidi grassi saturi

1,4 g

0,7 g

CARBOIDRATI

0,2 g

2,2 g

Grassi

di cui zuccheri

< 0,1 g

0,5 g

I grassi hanno principalmente funzione energetica ma intervengono anche nella regolazione ormonale. L'assunzione raccomandata di grassi è intorno al 25-30% dell'energia totale.

PROTEINE

27,9 g

22 g

SALE

0,3 g

2,2 g

WURSTEL TIPO 'MERANER' BERNARDI

WURSTEL SMARANER VALDIVÙ

cod 81063 peso 350 g circa

cod 82349 peso 250 g circa

231 kcal

365 kcal

958 kJ

1502 kJ

GRASSI

19 g

35,55 g

Carboidrati

di cui acidi grassi saturi

8g

14 g

Sono tutti quelli utilizzabili dall'uomo, compresi i polioli (o polialcoli), un tipo di carboidrati contenuto naturalmente in alcuni tipi di frutta e verdura e usato spesso come dolcificante (sorbitolo, mannitolo, maltitolo ecc.); con la parola “zuccheri”, invece, sono indicati gli zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, saccarosio ecc.) presenti in un alimento.

CARBOIDRATI

0g

1,16 g

di cui zuccheri

0g

0,97 g

PROTEINE

15 g

9,77 g

SALE

1,9 g

1,69 g

Quelli indicati sono i grassi totali, sia quelli presenti naturalmente negli alimenti sia quelli che possono essere stati aggiunti durante la lavorazione. I componenti principali dei grassi sono i cosiddetti “acidi grassi saturi” prevalentemente, ma non esclusivamente, presenti negli alimenti di origine animale e gli “acidi grassi insaturi” prevalentemente, ma non esclusivamente, presenti negli alimenti di origine vegetale. Il contenuto di grassi saturi deve essere obbligatoriamente indicato poiché esiste una stretta correlazione tra il loro consumo eccessivo e il rischio di malattie cardiovascolari. A questo proposito, per prevenirne la comparsa attraverso un’alimentazione corretta, si suggerisce di limitare il consumo di grassi saturi a non più del 10% dell'apporto energetico totale.

I carboidrati hanno principalmente una funzione energetica, rappresentano cioè il nostro combustibile quotidiano. Tuttavia se vengono

Tabella 2: confronto delle dichiarazioni nutrizionali di due diversi wurstel prodotti con carne di suino e bovino; i valori fanno riferimento a 100 g di prodotto

ENERGIA

VALSANA | 27


Come si riconosce? assunti in eccesso, una volta saturate le riserve energetiche, vengono convertiti in grasso. L'assunzione raccomandata di carboidrati è intorno al 50-55% dell'energia totale quotidiana fornita dalla dieta. Il consumo di zuccheri semplici non dovrebbe invece superare il 10-12%. Proteine Nel nostro organismo le proteine ricoprono un ruolo importantissimo nei meccanismi di rinnovamento dei tessuti e sono anche il principale costituente dei muscoli. In alcune condizioni hanno anche una funzione energetica, ma se l’alimentazione è bilanciata questo ruolo è piuttosto marginale. I nutrizionisti consigliano di assumere durante l'arco della giornata una quantità di proteine pari a circa il 15-20% dell'apporto calorico giornaliero, pari a circa 1 g di proteine per kg di peso corporeo. Tale fabbisogno aumenta in fase di crescita, gestazione e allattamento. Sale Anche il contenuto in sale, presente naturalmente nell'alimento o aggiunto, deve essere obbligatoriamente indicato a causa della stretta correlazione tra il suo consumo eccessivo e valori troppo alti di pressione arteriosa; la riduzione di pochi grammi di sodio (presente nel sale da cucina) al giorno determina una diminuzione della pressione del sangue sia per chi soffre di ipertensione sia in coloro che hanno valori normali. Per la popolazione italiana i livelli raccomandati di sale devono essere inferiori a 6-8 g al giorno. Per concludere Le etichette sono il mio pane quotidiano, ma sono consapevole del fatto che per buona parte dei consumatori possano risultare di difficile comprensione; il rischio è che ci si limiti a considerare il contenuto calorico lasciando in secondo piano, e a volte trascurando proprio, la composizione dell’alimento, soprattutto per quanto riguarda i grassi saturi e gli zuccheri. Attenzione quindi a non considerare “buoni” gli alimenti solo in base al loro valore energetico. Chiaramente chi non è in sovrappeso, o non presenta patologie, potrebbe non sentire la necessità di leggere e confrontare le informazioni nutrizionali, ma come operatori dobbiamo conoscere i prodotti che offriamo ai nostri clienti e dobbiamo essere in grado di soddisfare le loro richieste, per questo saper leggere le etichette ci può essere estremamente utile.

Tabella 3: confronto delle dichiarazioni nutrizionali di tre diverse ricotte vaccine fresche; i valori fanno riferimento a 100 g di prodotto

RICOTTA FRESCA AGRICANSIGLIO

RICOTTA LEGGERA PERENZIN

I LOVE RICOTTA

cod 21036 peso 300 g

cod 30320 peso 350 g circa

cod 21513 peso 90 g x 2

302 kcal

113 kcal

177 kcal

1264 kJ

468 kJ

749 kJ

GRASSI

29 g

7,7 g

15 g

di cui acidi grassi saturi

20 g

5g

10 g

CARBOIDRATI

3,4 g

3,5 g

3g

di cui zuccheri

3,4 g

3,3 g

3g

7g

7,3 g

10 g

0,5 g

0,3 g

0,5 g

ENERGIA

PROTEINE SALE

Tabella 4: confronto delle dichiarazioni nutrizionali di tre formaggi stagionati circa 15/20 giorni prodotti con latti diversi; i valori fanno riferimento a 100 g di prodotto

CAPRA DI PUGLIA

PECORINO DI PIENZA FRESCO

LATTERIA LA VALLATA

cod 21282 peso 1 kg circa

cod 31510 peso 1,3 kg circa

cod 30565 peso 3 kg circa

caprino pastorizzato

ovino pastorizzato

vaccino pastorizzato

315 kcal

340 kcal

338 kcal

1308 kJ

1407 kJ

1401 kJ

GRASSI

24 g

29,1 g

27,83 g

di cui acidi grassi saturi

17 g

21 g

15,42 g

CARBOIDRATI

0,7 g

3,1 g

1,11 g

di cui zuccheri

0g

2,1 g

1,11 g

PROTEINE

24 g

16,3 g

20,74 g

SALE

0,61 g

1,1 g

1,5 g

Tipo di latte ENERGIA

VALSANA | 28


Tecniche di cucina

LA CULTURA DEL RISO “Se vedi un affamato non dargli il riso: insegnagli a coltivarlo” di Anna Maria Pellegrino Assieme al frumento e al granoturco il riso è una delle coltivazioni che costituisce una base fondamentale per l’alimentazione umana e le leggende che lo raccontano ne parlano appunto come di un cibo donato dagli dei, portatore di fecondità e prosperità. Si dice che il “riso nasce nell’acqua e muore nel vino” quasi a sintetizzare due tecniche di cottura che, declinate lungo tutto il nostro Paese, sono riuscite a trasformare questo ingrediente versatile. Si presta a preparazioni dolci e salate, si può mangiare asciutto o in brodo, caldo ma anche freddo, re del riciclo, declinabile con tutto ciò che il mondo agricolo e della natura mette a disposizione: dagli ortaggi alle erbe selvatiche, passando per la stalla e i recinti, il mare, il lago, la montagna, il bosco. Le varietà più coltivate sono: Originario, Balilla, Vialone nano (anche

nella varietà semifino), Maratelli, Marchetti, Ribe e Sant’Andrea, Arborio, Baldo, Roma e Carnaroli. Negli ultimi dieci anni le proposte gastronomiche hanno iniziato a prendere in considerazione la nutraceutica ed ecco che le versioni integrali e quelle più colorate, come Ermes e Nerone, sono diventate abituali sulle nostre tavole. Analogamente a quelle più esotiche, caratteristiche di cucine orientali, come Basmati e Kome, due risi completamente diversi: uno dal chicco lungo e che resterà sgranato e il secondo conosciuto anche come “riso glutinoso”, indispensabile per un sushi perfetto. Non esiste quindi un riso per tutte le preparazioni, nonostante vadano per la maggiore i risi “parboiled” ovvero quei risi integrali parzialmente cotti. Per un buon risotto, ad esempio, il Vialone nano

Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo

IN ILLE SO U ATO I RI RAT ATA D AL INS VALSANA | 29

restituirà un piatto veneto mentre il Carnaroli un’interpretazione da archichef milanese. Il Roma sarà perfetto per un supplì o un’arancina e l’Arborio vi sorprenderà anche nelle insalate estive. Questo mese il riso diventa il protagonista in: una paella semplificata negli ingredienti, quasi una “Paella de marisco” valenziana, un’insalata di riso decisamente profumata e completa da un punto di vista nutritivo ed infine il re del take-away romano, il supplì! Direttamente dalla friggitrice del mitico “Supplizio”, locale storico della Capitale. Un semplice chicco che riesce a sfamare miliardi di persone semplicemente bollito e che diventa superbo nelle preparazioni che necessitano di più ingredienti e pazienza. Il riso, quindi, come metafora della vita e delle relazioni.


RATATOUILLE IN INSALATA DI RISO (foto nella pagina precedente)

PORTATA: piatto completo, primo o secondo piatto DOSI: per 4 persone DIFFICOLTÀ: semplice PREPARAZIONE: 40’ COTTURA: 30’ circa INGREDIENTI 280 g riso Ermes Cascina Oschiena 1 zucchina 1 carota 1 melanzana 1 peperone rosso 1 peperone giallo 1 cipolla dorata 100 g di passata di pomodoro 100 g di petto di pollo Friultrota olio evo, sale in fiocchi pepe nero macinato pomodorini confit mazzetto di foglie di basilico fresco

Y EAS CE A L L ES PAE NE E P AR DI C

PROCEDIMENTO Monda le verdure e tagliale: a rondelle le zucchine, a tocchetti carote, melanzane e peperoni, sottilmente la cipolla. Rosola la cipolla con un filo d’olio in una casseruola e fai stufare per 10’, aggiungi il resto delle verdure, fai dorare per qualche minuto a fuoco vivace. Aggiungi la passata di pomodoro, un pizzico di sale e continua la cottura per 15’ a fuoco dolce e a tegame coperto aggiungendo qualche foglia di basilico spezzettato con le mani. Nel frattempo cuoci il riso a vapore. Basteranno 20’, ma puoi sempre lessarlo in acqua salata per 35’. Scola e raffredda immediatamente. Affetta sottilmente il petto di pollo, seguendo il “senso” della carne. Componi il piatto: mescola il riso con le verdure e dividi in piatti individuali, disponi il pollo, decora con datterini confit e qualche foglia di basilico intera.

PAELLA EASY DI CARNE E DI PESCE INGREDIENTI 400 g riso Arborio Cascina Oschiena 6 falde di pomodoro I Contadini 10 pomodori ciliegini 200 g di Luganega Meggio 200 g di code di gamberoni 4 gamberoni interi 200 g di piselli surgelati 1 cucchiaio di paprika dolce (anche affumicata, se gradita) 2 bustine di zafferano in polvere 1 litro di brodo di pollo prezzemolo basilico freschi vino bianco secco, 1/2 bicchiere olio evo sale

PROCEDIMENTO Sciacqua i piselli, taglia a julienne le falde di pomodoro, a spicchi i pomodorini. Elimina dai gamberoni il carapace e lasciane qualcuno intero. In una paellera rosola la luganiga sbriciolata. Metti da parte. Nella stessa padella rosola i gamberoni interi e metti da parte. Distribuisci il riso uniformemente, sfuma con un po’ di vino bianco ed aggiungi 400 ml di brodo, nel quale avrai sciolto un cucchiaio di paprika, e le verdure; continua la cottura per 15’. Aggiungi i gamberoni, le falde di pomodoro e continua la cottura per altri 5’, aggiungendo un po’ di brodo se necessario. Porta il forno a 250°. Sciogli lo zafferano in un mestolo di brodo caldo, versa sul riso e mescola bene, unisci il trito di basilico e prezzemolo e inforna 250° per circa 5 minuti. Estrai la paella dal forno e servi la paella caldissima, distribuendo i gamberoni interi.


SUPPLÌ “AL TELEFONO” PORTATA: antipasto, street food DOSI per 6 persone DIFFICOLTÀ: semplice PREPARAZIONE: 30’ COTTURA: 30’ INGREDIENTI 300 g di riso Carnaroli Cascina Oschiena 500 g di salsa di pomodoro 200 g di carne mista tra Luganega Meggio e petto di pollo Friultrota 100 g di Pannarello 50 g parmigiano 10 foglie di basilico olio evo, sale pepe macinato al momento

SUPP LÌ ELEFO NO”

“AL T

PER LA PANATURA 3 uova farina 00 pane grattugiato sale, pepe macinato al momento olio di semi di girasole per la frittura

PROCEDIMENTO In una casseruola rosola con un filo d’olio le salsicce sbriciolate e il pollo tagliato a tocchetti.

ARBORIO

CASCINA OSCHIENA Cascina Oschiena è la prima azienda italiana produttrice di riso a ottenere la certificazione Friend of the Earth per una produzione agricola sostenibile. Aderisce alle misure agro-ambientali per la lotta integrata della Regione Piemonte e infine, nel 2019, è nato il nuovo progetto dell’Oasi Naturale delle Pittime con l’obiettivo di ricreare e mantenere un ambiente naturale ideale per la sosta e nidificazione di uccelli acquatici migratori, come la Pittima Reale, simbolo di Cascina Oschiena.

NOVITÀ

Ottimo per i risotti mantecati e per le insalate. Perfetto per preparare la Paella Valenciana. cod 93819 conf. sottovuoto da 1 kg

CARNAROLI La varietà più amata dagli chef per la sua capacità di restare sempre al dente. Ottimo per risotti, insalate di riso e timballi. cod 93825 conf. sottovuoto da 1 kg

ERMES Riso rosso italiano integrale dal chicco allungato, ricco di fibre, vitamine, sali minerali e proteine cod 93825 conf. sottovuoto da 1 kg VALSANA | 31

Metti da parte e tosta nello stesso tegame il riso; continua la cottura come fosse un risotto utilizzando la passata di pomodoro. Alla fine della cottura aggiungi la carne, il basilico e il parmigiano. Mescola bene e regola di sale e pepe. Stendi il risotto su un piano freddo e, una volta raffreddato, realizza delle palline ovali con le mani inumidite dove inserirai il cubetto di Pannarello, così da ottenere l’effetto della filatura. Passa i supplì prima nella farina, poi nell’uovo e infine nel pangrattato (per una panatura più croccante ripeti i due ultimi passaggi) e friggi a 170-175° per 3 minuti circa: i supplì devono diventare di color noce chiaro. Tampona con la carta per i fritti e servili caldi ma non bollenti, facendoli quindi riposare per qualche minuto.


Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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