Selezione di Sapori 2020 05

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A NOV | DIC 2020


Editoriale

PIÙ CHE RESILIENTI, ANTIFRAGILI

L’arrivo della seconda ondata e le nuove misure restrittive adottate in questi giorni ci hanno tolto indubbiamente un po’ di entusiasmo. L’estate ci aveva dato leggerezza, e la speranza di poter vivere l’ultimo trimestre di quest’anno bisesto con un po’ di normalità. Illusione decisamente sfumata nelle ultime settimane. E allora non ci resta che provare a superare lo sconforto e la rabbia che un po’ tutti stiamo vivendo, per cercare di convogliare queste emozioni, tasformandole in energia e spinta al cambiamento. Non si tratta solo di essere resilienti, di resistere, affrontare e superare un periodo di difficoltà. Oggi più che mai ci può aiutare la teoria di Nassim Taleb sull’antifragilità: una persona, un’azienda o un sistema è antifragile quando è capace di migliorare in situazioni di stress e incertezza. Non si tratta dunque solo di resistere alla crisi che stiamo vivendo, ma di riuscire a cogliere le opportunità di cambiamento e innovazione per uscirne più forti. Ci proviamo allora a ritrovare un po’ di quell’entusiasmo che ci contraddistingue, e proviamo a proporvi alcuni nuovi prodotti, idee e progetti per questi ultimi mesi dell’anno, con un’unica certezza: comunque vada, il 2020 sarà sicuramente indimenticabile.

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisa Magro, Anna Maria Pellegrino, Elisa Perillo Direttore: Giulia Basso In copertina: Marino Giannarelli Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Che cosa ti piacerebbe leggere nel prossimo numero del magazine Selezione di Sapori? Scrivilo a marketing@valsana.it

Martina Iseppon VALSANA | 02


SOMMARIO NOVEMBRE | DICEMBRE 2020

Viaggio a Colonnata

MARINO GIANNARELLI

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Novità a catalogo

VOGLIA DI FRANCESI / IL MONT D’OR!

08

Novità a catalogo

BELLA DI CERIGNOLA / IL CASENTINO 10

Novità a catalogo

SILVA / TRADIZIONE A TAVOLA

12

Viaggio fuori porta LE CAPANNE 14 Intervista doppia

LAVIALATTEA / MORO FORMAGGI

Abbinamenti a quattro mani COLTIVARE IL MARE A proposito di filiere

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20

LA FILIERA ITTICA

22

Progetti ESTREMA D’ALPEGGIO

24

Come si riconosce?

LE DENOMINAZIONI

26

Cibo dal mondo

IL DOLCE NATALE IN ITALIA E NEL MONDO 28

Come si fa?

TI FARCISCO PER LE FESTE!

Letteratura tra i fornelli

LUIGI VERONELLI: L’ANARCH-ENOLOGO

Idee per il menù bambini

PASTA CON IL RAGÙ DI LENTICCHIE 34

Tecniche di cucina

L’ORTAGGIO MAGICO 36

30 32


Viaggio a Colonnata

MARINO GIANNARELLI Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

Un vero signore, innamorato della sua terra e del suo lavoro, di quelli che, con stile, riescono a farti riflettere, con delle domande a volte scomode, ma anche a farti sorridere di Martina Iseppon Senza filtri. Marino Giannarelli è così, una persona che dice quello che pensa, senza riserve. O si odia, o si ama, ma non dà l’idea di preoccuparsene. E’ convinto delle sue scelte, innamorato del luogo in cui vive e maestro nel suo lavoro. Ti piace, bene; non ti piace, arrivederci e grazie. Ho incontrato Marino per la prima volta più di vent’anni fa: avevamo organizzato una visita da Giannarelli con la rete vendita, io ero ancora all’Università e davo una mano in Valsana soltanto il sabato. Ne approfittai per organizzare un week end in Toscana in moto con il mio ragazzo dell’epoca, che volle fare il passo della Futa, prima di raggiungere tutti gli altri a Colonnata. Bei tempi.

LARDO DI COLONNATA IGP GIANNARELLI Uno dei più conosciuti salumi tipici toscani, prodotto in modo artigianale, con le mani e il coltello da Marino Giannarelli. Il profumo è ricco di aromi speziati e dolci; il gusto delicato, dolce e finemente sapido. Si consuma ripulito dalla cotenna, tagliato a fettine sottili su pane abbrustolito; da abbinare a pomodoro e cipolla, come usavano fare i cavatori di un tempo cod 82438 baffa da 3,4 kg 82441 porzioni da 500 g

Al primo incontro Marino mi mise davvero in soggezione: così sicuro di sè, così netto nelle sue opinioni. Oggi lo reincontro con piacere, dopo tante occasioni in cui abbiamo avuto modo di conoscerci in questi anni, tra fiere ed eventi vari. Raggiungiamo la sede dell’azienda in via Comunale di Colonnata (MS): uno dei due laboratori di produzione di proprietà. Il luogo è spettacolare: un anfiteatro naturale formato dalle montagne di marmo del bacino di Colonnata abbraccia il laboratorio, proprio sulla strada a tornanti che sale al paese di Colonnata, attraversando un bosco di castagni secolari. In azienda lavora tutta la famiglia Giannarelli: i due figli di Marino, Luca e Alessia; Cristian, marito di Alessia; Anna Giannarelli, sorella di Marino e suo marito, Sandro. “Luca lavora in produzione da sempre; Alessia, dopo la laurea in Chimica Tecnica Farmaceutica, segue la Qualità, mentre mia sorella Anna si occupa dell’amministrazione e suo marito degli acquisti, ma anche della logistica e a volte ci aiuta anche in produzione. Ci diamo tutti una mana, come succede in una piccola azienda dove si va d’accordo”. VALSANA | 04

“Ringrazio sempre mio padre Nestore per avermi sradicato da ragazzo da Sassalbo, in Lunigiana, dove abitavamo (mio nonno faceva il carbonaio), per trasferirci qui vicino, a Bedizzano, a nord di Carrara, nel versante marmifero di Colonnata, dove nel 1953 aprì la sua macelleria-salumeria. Qui iniziò a produrre salumi tipici e, soprattutto, il lardo, companatico principe per i cavatori di quei paesi”. C’è un legame molto stretto tra il lardo, il territorio, il marmo, il lavoro dei cavatori. Un pezzo di pane, uno di lardo, una fiaschetta d’acqua erano il pasto, leggero e nutriente, che portavano con sé quando salivano a sfidare la montagna: il lardo, data la non nobiltà del taglio e l’alto contenuto calorico, era “il cibo dei cavatori”, fin dal tempo dei romani. Una leggenda racconta che fu proprio un cavatore a inventarlo per caso, mettendo dei pezzi di lardo, sale e spezie in una conca di marmo. C’è un legame molto stretto anche tra la gente di Colonnata e le conche di marmo, da sempre presenti nelle case per conservare il lardo. Vengono scavate nel marmo dei Canaloni, una piccola valle dietro Colonnata, che ha una componente vetrina superiore agli altri, è semilucido, non trattato con mezzi chimici e consente un’osmosi ideale con l’esterno. Proprio grazie a questa proprietà del marmo, all’interno delle conche si crea un’umidità naturale, e quindi una salamoia che permette la maturazione del lardo. Le baffe vengono disposte a strati, “come una lasagna”: lardo, sale marino grosso siciliano - in ogni conca vengono messi circa 300 kg di lardo e ben 110-120 kg di sale - aglio italiano, rosmarino nostrale e un mix di spezie, la cui ricetta è custodita gelosamente da ogni famiglia. Una curiosità: le spezie utilizzate nella concia del Lardo di Colonnata sono un’eredità storica degli


scalpellini Greci, che i Romani fecero venire per insegnare a tagliare il marmo e che con quelle spezie condivano il loro cibo e tenevano un legame con la loro patria. Dopo la visita al laboratorio e un pranzo delizioso con i salumi di famiglia, Marino ci accompagna in un piccolo tour dei bacini marmiferi fino alle cave di Fantiscritti, il cuore dei giacimenti marmiferi carraresi. Seguiamo il tracciato della ex Ferrovia Marmifera, passando sui ponti di Vara e all’interno delle suggestive gallerie scavate nella roccia, alla scoperta delle cave, da cui già in epoca pre-romanica si estraeva il marmo bianco di Carrara. Sono più di cento le cave qui intorno, ma non sono più tutte “coltivate” - ci racconta Marino. Dall’età imperiale fino alla metà del XX secolo, quando furono costruite le prime strade di arroccamento, i blocchi erano trasportati a valle con il metodo della “lizzatura”: il marmo arrivava al porto di Luni percorrendo la via Carraia

sopra carri trainati dai buoi. Ma è Michelangelo a creare il mito delle cave apuane, fin dal suo primo viaggio a Carrara, nell’autunno del 1497 e nei viaggi successivi, dove si recava di persona per scegliere i marmi che avrebbero dato vita alle sue opere. Si racconta, tra l’altro, che il Buonarroti fosse un grande estimatore del Lardo di Colonnata e che, nel corso dei viaggi a Carrara, ne facesse enormi scorpacciate. Ci fermiamo in un piccolo piazzale alle pendici del Monte Croce, poco sopra la frazione di Miseglia. Qui si incontrano due storici ponti ottocenteschi (1890) della Ferrovia Marmifera – una tra le più ammirate realizzazioni dell’ingegneria ferroviaria del secolo scorso per il trasporto a valle dei marmi - che collegava i tre bacini marmiferi di Torano, Miseglia e Colonnata attraverso una ardita serie di viadotti, ponti e gallerie. La vista dei Ponti di Vara e delle cave è davvero suggestiva, così come attraversare il Monte Croce nella galleria scavata nella roccia. VALSANA | 05

Da tre generazioni la famiglia Giannarelli produce il Lardo di Colonnata IGP, con la massima attenzione nella scelta delle materie prime e una cura costante per la qualità del processo di lavorazione


LARDO GIANNARELLI Taglio ottenuto dallo strato adiposo che ricopre il dorso di suini italiani pesanti, del circuito DOP di Parma e San Daniele, stagionato almeno 6 mesi nelle conche di marmo con sale grosso siciliano, erbe aromatiche e spezie. Si consiglia di ripulire la superficie dal sale e dalle spezie, tagliare a fettine sottili e servire su crostini caldi cod 82440 | peso 3,5 kg circa

Arriviamo al paesino di Colonnata, frazione di Carrara, abitata sì e no da 300 anime, dove la strada finisce. Marino ci porta in Via Giardino 35, un luogo che ha segnato la storia della gastronomia, perchè qui, proprio nel laboratorio della famiglia Giannarelli, Carlin Petrini ha fondato, nel novembre 1999, il Primo Presidio Slow Food. La Comunità Europea voleva imporre l’uso di vasche di alluminio al posto delle conche di marmo per motivi igienici. Slow Food si oppose e il Lardo di Colonnata divenne il primo Presìdio Slow Food, salvando la tradizione; ad oggi non è più un Presìdio, ma fa ancora parte dell’Arca del Gusto di Slow Food. Qui, in via Giardino, la famiglia Giannarelli ha acquistato negli anni diverse porzioni di un palazzo storico del 1909, riconvertite in laboratorio nel rispetto dell’architettura originaria. E qui, in diverse stanze, il lardo riposa nelle conche. “Solo in via Giardino possiamo produrre il Lardo di Colonnata IGP”, mentre nel laboratorio di via Comunale produciamo il Lardo Giannarelli, VALSANA | 06

la Pancetta e il Guanciale di Colonnata”. Fa sorridere pensare che proprio Marino che, con l’intuito che lo contraddistingue, nel lontano 1996 aveva registrato il marchio “Lardo di Colonnata”, ora non possa più usare questa denominazione per il lardo prodotto nel suo laboratorio di Via Comunale, ma solo per il Lardo prodotto esattamente allo stesso modo e con la stessa materia prima - nella frazione di Colonnata, nel laboratorio di Via Giardino. Nel 2002 il Lardo di Colonnata acquisisce infatti l’Indicazione Geografica Protetta, il cui disciplinare prevede che possa essere prodotto esclusivamente a Colonnata, frazione montano collinare del comune di Carrara. Nonostante la richiesta di alcuni produttori di paesi vicini di poter includere il loro lardo nell’IGP, una sentenza del 2005 mise la parola fine alla “guerra del lardo”, assegnando l’IGP esclusivamente al Lardo prodotto nella frazione di Colonnata. Ecco perchè nella produzione di Giannarelli troviamo sia il Lardo di Colonnata


IGP - prodotto nella frazione di Colonnata sia il Lardo Giannarelli, prodotto in Via Comunale di Colonnata. La materia prima è la stessa: lardo ottenuto da suini bianchi di peso superiore ai 250 kg nati, allevati e macellati in Italia, nella pianura Padana. Le baffe vengono scelte personalmente da Marino, che passa in media 1-2 giorni ogni settimana al macello di Carpi per poter selezionare solo quelle che soddisfano i suoi standard di qualità, perchè provenienti da suini pesanti, alte più di 5 centimetri. Uguale anche la concia con sale marino grosso, pepe nero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e anice stellato, aglio italiano e rosmarino nostrale. Identica anche la stagionatura, che si protrae per almeno 6 mesi, durante i quali grazie al rilascio di umidità e per effetto del sale si crea una salamoia letale per i batteri. Motivo per cui lardo e guanciali sono privi di qualsiasi nitrito o nitrato.

Una parola aggiuntiva la merita il sale utilizzato nella marinatura: sale marino siciliano con cristalli di dimensioni importanti, a cui Marino, negli ultimi mesi, ha pensato di ridare nuova vita, nell’ottica dell’economia circolare, lasciandolo asciugare e proponendolo come un prodotto a sè: il Sale di Colonnata. Un sale che ha assorbito, nei mesi trascorsi nelle conche, il sapore delle erbe aromatiche e delle spezie, e che si presta a diventare a sua volta un condimento con un’identità precisa per la carne, ma anche per il pesce. E’ un progetto ancora in corso, che sarà presentato il prossimo anno a Cibus, Covid permettendo. “Anche questa volta ho registrato il marchio, e per ora, per il Sale di Colonnata, non ci sono IGP all’orizzonte” - mi dice facendomi l’occhiolino. “Non si tratta solo di fare business, ciò che conta a volte è l’idea, la capacità di ascoltare e anticipare le richieste del mercato e attraverso le scelte che fai raccontare chi sei”. E lui è indubbiamente riusciuto a farlo. VALSANA | 07

GUANCIALE DI COLONNATA Guanciali ottenuti da suini pesanti italiani, stagionati almeno 4 mesi. I guanciali vengono messi nellle conche di marmo di Colonnata, ricoperti con sale marino naturale grosso, pepe nero e/o bianco, spezie miste, aglio italiano, rosmarino nostrale. Dopo due mesi di stagionatura vengono ripuliti, ricoperti di pepe nero e stagionati ancora per circa tre mesi cod 82444 | peso 1,2 kg circa


Novità a catalogo

VOGLIA DI FRANCESI Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

In questo periodo dell’anno il tagliere si arricchisce di formaggi francesi. Ecco le nostre nuove proposte di Elisa Magro

NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

CAPRINO DA FORNO DELICATO E CREMOSO

DELICE DE BOURGOGNE IN VERSIONE MINI

IDEALI PER UN APERITIVO DIVERSO

VERSIONE “BIANCA” DEL GRES DES VOSGES

CHEVREFOUR

MINI DELICE D’ARGENTAL TRUFFÈ

MICRO-PICS CHEVRE

PETIT GRES CHAMPAGNE

Un piccolo caprino ottimo da riscaldare al forno. Provatelo su un crostino con una spolverizzata di pepe. Il sapore è delicato, ma sarà la sua cremosità a conquistarvi!

Piccolo formaggio prodotto con latte vaccino, e farcito con tartufo nero. Al palato è burroso, dolce, con le note di penicillium e tartufo ben bilanciate.

cod 44478 | 120 g

cod 44036 | 120 g

Deliziosi caprini aromatizzati, ideali per aperitivi e entrée. Il sapore è stuzzicante. Si sposano con vini freschi e frizzanti. cod 44476 | 120 g Disponibili da fine novembre

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Formaggio a latte vaccino a crosta lavata con acqua e Champagne. A naso si avvertono note di fungo, cantina umida, sottobosco. Cremoso al palato. cod 44477 | 120 g


Novità a catalogo

BENTORNATO MONT D’OR! Prodotto per pochi mesi all’anno, da settembre a marzo. Da gustare anche fuso, servito al cucchiaio. Ecco due ricette sfiziose... di Elisa Magro

MINI MONT D’OR È un formaggio prodotto in Francia nella parte montuosa del dipartimento di Doubs, sul massiccio di Jura, nella Franche-Comté. Viene prodotto con latte crudo vaccino, ha la crosta lavata e fiorita. Viene affinato per minimo 21 giorni, avvolto nella corteccia di abete rosso.

MONT D’OR GRATINATO ALLE ERBE

MONT D’OR CON FUNGHI

INGREDIENTI

INGREDIENTI

1 Mont d’Or 1 spicchio d’aglio 3 foglie di salvia 2 rametti di timo 1 rametto di rosmarino 1 bicchiere di vino bianco secco

300 g di funghi misti olio d’oliva 1 Mont d’Or 1 scalogno 1 spicchio d’aglio burro, prezzemolo, pepe e fior di sale

PROCEDIMENTO Avvolgete la scatola in un foglio di alluminio.

PROCEDIMENTO Rosolare 5 minuti a fuoco vivace in poco olio i funghi.

Incidete la calotta del formaggio e versate il vino bianco. Aggiungete le foglie di salvia, timo e rosmarino.

Incidete il Mont d’Or e infornatelo per 20 minuti a 180 °C.

Preriscaldate il forno a 180 gradi e infornate per 20 minuti circa. Una volta tolto dal forno, servitelo ben caldo accompagnandolo con del pane tostato, patate lesse o verdure di stagione.

A naso ha un profumo di sottobosco, di funghi e muschio. Al palato è dolce e delicato.

foto: cooperazione.ch

È un formaggio che può essere anche fuso. Si inforna così com’è nella scatola a 180-200 gradi per venti minuti, e si serve con crostini, patate o verdure di stagione. Prima di infornare, si incide la calotta superficiale per poi rabboccarlo con del Sauvignon blanc. Si può servire con una spolverata di pepe. cod 44470 | peso 350 g

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Rosolate lo scalogno e lo spicchio d’aglio tritati a fuoco medio in una noce di burro. Aggiungete i funghi, il prezzemolo, il pepe, il fior di sale. Togliete il Mont d’Or dal forno e disponete i funghi sul formaggio e servite ben caldo.

foto: elle.fr


Novità a catalogo

LA BELLA DI CERIGNOLA Coltivata dall’Azienda Agricola Fratepietro che garantisce il controllo e la qualità lungo tutta la filiera. Scopriamo cosa la rende così speciale... di Elisa Magro

Cosa la rende così speciale? NON È COLORATA ED È FERMENTATA NATURALMENTE

IL NOCCIOLO SI DISTACCA FACILMENTE DALLA POLPA

È RICCA DI POLPA

La Bella di Cerignola è un’oliva da tavola tra le più grandi del mondo, la migliore da aperitivo. Cresce solo a Cerignola, a sud del Tavoliere delle Puglie, dove il terreno fertile e ricco di minerali, il sole e il vento permettono la crescita eccezionale di questo frutto che arriva a pesare circa 6/7 grammi al pezzo. AZIENDA AGRICOLA FRATEPIETRO CERIGNOLA (FG)

Le olive di Fratepietro hanno il pregio di essere olive non colorate (anche le nere, la cui polpa ha un colore marroncino e non nero pece) e sono fermentate naturalmente, senza acidi aggiunti. Questo è un aspetto importante perchè la fermentazione naturale consente alle olive di sprigionare tutti i profumi e le caratteristiche del frutto, senza forzare i processi produttivi.

Giovanni e il figlio Andrea rappresentano l’ultima generazione di una famiglia che si dedica alla coltivazione delle olive da tavola già dal lontano 1890. Da allora, stagione dopo stagione, le olive Bella di Cerignola vengono raccolte quando raggiungono il giusto grado di maturazione, rigorosamente a mano come una volta, e lavorate immediatamente nell’azienda solo con ingredienti naturali e seguendo le antiche ricette di famiglia. Tutto il processo produttivo è seguito dagli occhi esperti di Giovanni, Andrea e Valentina, che garantiscono il controllo e la qualità lungo l’intera filiera.

Si aggiunga a queste anche la minuziosa selezione delle materie prime, che consente alle olive di essere veramente tutte belle, con una polpa soda e un sapore dolce, con leggerissime note erbacee.

NOVITÀ

Quante olive nel secchiello? CALIBRO “G” CALIBRO “GG”

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OLIVE BELLA DI CERIGNOLA CALIBRO “GG”

OLIVE BELLA DI CERIGNOLA CALIBRO “GG”

OLIVE BELLA DI CERIGNOLA CALIBRO “G”

Tipiche olive pugliesi Bella di Cerignola di calibro GG prodotte con l’antico Sistema Sivigliano.

Prodotte sfruttando l’ossidazione naturale dalla famiglia Fratepietro, che segue l’intera filiera.

Classiche olive da tavola verdi Bella di Cerignola di calibro “G” non pastorizzate, ideali da aperitivo.

cod 93254 | peso sgocciolato 330 g cod 93241 | peso sgocciolato 1900 g

cod 93251 | peso sgocciolato 330 g cod 93253 | peso sgocciolato 1900 g

cod 93256 | calibro G | 1 kg cod 93246 | calibro GG | 1 kg

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Novità a catalogo

PROSCIUTTO DEL CASENTINO Lo conosciamo già nella versione con osso e lo aspettavamo disossato. Selve di Vallolmo ci ha accontentati ed è oggi disponibile a catalogo! di Elisa Magro SELVE DI VALLOLMO All’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, nel cuore dell’Appennino Toscano sorge l’antico borgo rurale Le Selve di Vallolmo. L’azienda nasce dalla forte passione di Claudio Orlandi, che inizia come “allevatore classico” di suini, e alla fine degli anni ’90 decide di ridurre il numero di animali e dedicarsi alla produzione di salumi, scegliendo di aderire a un progetto che vede unite la Comunità Montana e Slow Food per il recupero della razza di suino Grigio del Casentino. L’ALLEVAMENTO DI GRIGIO DEL CASENTINO La famiglia Orlandi alleva circa 60 suini Grigio del Casentino in modo tradizionale. Gli animali vivono liberi allo stato brado, nutrendosi per lo più di ghiande, castagne, tuberi che si trovano in natura a questa altitudine (800 m), mentre durante l’inverno l’alimentazione viene integrata con orzo, favino e mais selezionato ed esente da OGM, somministrato con cura per evitare un eccesso di grassi. La grande qualità della carne di questo maiale è dovuta proprio alla capacità di accumulare grasso di particolare pregio per finezza, consistenza, profumi e capacità di stagionatura. I suini vengono macellati solo nel periodo invernale quando raggiungono un peso compreso tra 165 e 185 chilogrammi e, comunque, mai sotto i 14 mesi di età. IL PROSCIUTTO DEL CASENTINO La stagionatura del Prosciutto del Casentino avviene in un luogo suggestivo, un edificio totalmente realizzato in pietra dove le cosce trascorrono circa un paio d’anni e maturano, donando al palato inconfondibili note di ghianda, frutta tostata e cantina e un’eccezionale suadenza.

SELVE DI VALLOLMO - POPPI (AR)

ISOSSATO

NOVITÀ D

PROSCIUTTO DEL CASENTINO Di colore rosso vivo, con la giusta dose di grasso. Leggermente affumicato con legno di quercia, faggio e ginepro. In bocca è scioglievole e saporito al punto giusto, con note di frutta secca, ghiande e cantina. 78350 | con osso | peso 11 kg circa 78355 | addobbo | peso 9 kg circa VALSANA | 11


Novità a catalogo

SILVA Caciottina a latte crudo di grande effetto che con il suo profumo ci porta dritti nei boschi della Valle Aurina di Elisa Magro NOVITÀ

SILVA Piccolo formaggio vaccino a latte crudo, cinto dalla corteccia di abete rosso raccolta nei boschi del maso dalla famiglia Steiner. Dolce, di leggera sapidità. Caratteristiche le note di resina, di bosco e legno umido. Da provare anche al forno. cod 31605 | peso 320 g Disponibilità limitata

Con le sue caciottine a latte crudo ci ha conquistati. Michael Steiner è il giovane casaro del caseificio agricolo Eggemoa, situato a 1300 metri di altitudine a Selva dei Molini, nella splendida Valle Aurina, in Alto Adige. Qui trasforma il latte direttamente nel maso della sua famiglia, dove si allevano 15 vacche di razza Bruna Alpina. Michael ha frequentato la scuola agraria per poi inseguire una passione che non lo ha più abbandonato: fare il suo formaggio. È durante il tirocinio in Svizzera che ha perfezionato la sua tecnica e iniziato a concretizzare le sue idee. Oggi produce formaggi con il latte crudo del maso e gli ingredienti del proprio bosco, scegliendoli in maniera scrupolosa andando personalmente a raccoglierli. Ad esempio, le cortecce di abete rosso, le prende sul versante all’ombra del suo

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bosco, perché lì crescono le varietà migliori. Ed è proprio tra queste cortecce che Michael fa stagionare il Silva, un formaggio a pasta molle, prodotto con latte vaccino crudo intero. Per sei settimane viene stagionato nella corteccia di abete rosso che gli regala un profumo e un aroma caratteristici. Silva ha una forma cilindrica irregolare perchè le caciottine vengono lavorate e curate a mano, a una a una. La crosta ha il tipico colore rossiccio dei formaggi a crosta lavata. La pasta è di colore giallo paglierino con un’occhiatura appena accennata e irregolare. A naso profuma di sottobosco e di resina, tipici dei boschi di montagna. Dolce e di leggera sapidità al palato, può essere consumato in purezza ma si presta anche a essere cotto al forno.


Novità a catalogo

LA TRADIZIONE IN TAVOLA Due ricette della tradizione veneta accomunate dalla qualità delle materie prime e dall’estro della famiglia Marcolin di Elisa Magro

L’INSALATA RUSSA La Gastronomia Marcolin la prepara artigianalmente con patate, carote e piselli, secondo la ricetta di famiglia. Le verdure selezionate sono fresche, acquistate regolarmente ai banchi del mercato locale, eccezione fatta per i piselli che sono un prodotto surgelato. Patate e carote vengono tagliate per la maggior parte a mano, poi cotte a vapore rispettando i diversi tempi di cottura. Il risultato è un piacevole gioco di consistenze degli ortaggi che sono perfettamente riconoscibili al palato. E poi c’è la maionese che come dovrebbe essere ha un gusto delicato, rispettoso della ricetta e mai prevaricante. Ed è così che l’insalata russa della Gastronomia Marcolin si distingue da quelle prodotte in modo industriale sia per la croccantezza delle verdure che per l’equilibrio dei sapori, proprio come un’insalata russa fatta in casa.

LE SARDE IN SAOR Un grande classico della tradizione culinaria veneta. Sembra che il piatto sia nato proprio dall’esigenza dei marinai veneziani di conservare il pesce durante le lunghe traversate in mare. Le sarde scelte dalla Gastronomia Marcolin, sono pescate nel Mar Adriatico, una provenienza tra le più apprezzate. Vengono preparate secondo la ricetta originale veneziana: eviscerate a mano a una a una, panate e fritte intere in olio di semi di girasole. Il saor è preparato brasando la cipolla in sautè per un paio d’ore, con vino bianco, sale e aceto. In bocca il risultato è una consistenza compatta e un sapore dolce. Il saor di cipolle e uva passa di varietà Jumbo, contribuisce alla loro dolcezza e succosità. Ottimo l’equilibrio agrodolce. Nella comoda vaschetta troverete le sarde ricoperte ognuna con la giusta dose di saor, pronte per essere messe sul crostino e servite.

NOVITÀ

NOVITÀ

INSALATA RUSSA

SARDE IN SAOR

cod 95856 | vaschetta da 250 g cod 95857 | vaschetta da 3 kg

cod 95858 | vaschetta 250 g (13 sarde) cod 95859 | vaschetta da 1 kg VALSANA | 13


Viaggio fuori porta

LE CAPANNE Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

“Benvenuti carnivori” era il titolo di un post su Facebook di Corte Scaligera, che rende l’idea della missione di quest’azienda, un vero paradiso per gli amanti della carne di Martina Iseppon

NOVITÀ

FIORENTINA DI SCOTTONA La classica fiorentina ricavata dalla parte finale della lombata (3 coste), con l’osso a T e il filetto. Confezionata singolarmente sottovuoto in confezioni da 10 pezzi cod 84704 | 1,2 kg x 10 pezzi

NOVITÀ

COSTATA DI SCOTTONA Bistecche con osso ottenute dalla parte anteriore della lombata (5 coste e parte iniziale del 3 coste) cod 84705 | 500 g x 10 pezzi

Il suono, propagandosi nello spazio, mette in moto la medesima vibrazione in un altro oggetto, capace di vibrare con la stessa frequenza: è la definizione di risonanza “per simpatia”. E’ un fenomeno musicale, ma è anche la sensazione che ho provato dopo la visita a Corte Scaligera. La sensazione di essere sulla stessa linea d’onda, di respirare gli stessi valori. Una famiglia di allevatori da 50 anni, che ha unito all’esperienza dell’allevamento la passione per l’ospitalità. Nasce così Corte Scaligera, uno spazio meraviglioso, nel veronese, che è al tempo stesso agriturismo, spaccio e laboratorio, ma anche sala conferenze super tecnologica e location raffinata per eventi. Tutto questo a pochi passi dalle stalle, dove sono allevate le bovine da carne di razza Limousine. Una filiera completa, un’azienda attenta alla sostenibilità ambientale, che vuole ridare valore all’allevamento di qualità, partendo dal rispetto del benessere degli animali fino alla proposta in menù, che offre non solo i tagli più nobili ma anche il cosidetto “quinto quarto”: il diaframma, il midollo, la trippa. Ma facciamo un passo indietro. Alle spalle di Corte Scaligera c’è la società agricola cooperativa Scaligera, che da anni si occupa di allevare bovini di razze pregiate, in particolare Limousine: circa 35.000 capi macellati ogni anno, allevati in 38 stalle tra il Veneto e la Lombardia. Benessere animale e controllo dell’alimentazione sono i due pilastri su cui si fonda l’allevamento della famiglia Fortuna: sono queste le fondamenta per ottenere una carne di qualità. Tutte le stalle sono strutturate con impianti e tecnologie sostenibili per gli animali e per il loro benessere, certificato dal Centro di referenza nazionale per il benessere animale CReMBA. VALSANA | 14

L’alimentazione è per buona parte autoprodotta nei terreni agricoli di proprietà: mais, soia e frumento vengono coltivati direttamente, dalla scelta del seme, all’irrigazione, al momento del raccolto, per garantire la qualità del cibo per gli animali. I capo stalla sono dei professionisti, con una formazione specifica in zootecnia e anni di esperienza alle spalle. La vita degli animali viene accuratamente seguita e registrata. Due volte l’anno vengono organizzati degli incontri con i soci della cooperativa per ribadire le linee guida dell’allevamento, in modo da garantire agli animali uniformità di trattamento in tutte le stalle. La nostra visita a Corte Scaligera risale a gennaio. Dovevamo iniziare a lavorare assieme la scorsa primavera ma poi il Covid ha fermato tutto. Ora proviamo a ripartire comunque. Da Verona prendiamo l’autostrada in direzione Modena. Arriviamo a Mozzecane (VR), Località Le Capanne, in piena campagna. Dal parcheggio raggiungiamo il locale costeggiando alcune vasiere in corten con una ventina di piante officinali. Ci accompagnano nella visita Francesco e Matteo Fortuna, cugini, seconda generazione della famiglia Fortuna, che gestiscono Corte Scaligera assieme a Marco Pasquotto, macellaio e responsabile di produzione: Francesco segue gli aspetti commerciali e di qualità mentre Matteo è responsabile dell’allevamento. Partiamo proprio dalla stalla: qui l’allevamento ha una capacità produttiva di circa 1.000 posti, garantisce ampi spazi vitali per gli animali e l’utilizzo del farmaco è assolutamente controllato e ridotto al minimo indispensabile. “Oltre a produrre internamente la maggior parte dell’alimentazione, l’azienda agricola è dotata di un laboratorio interno per le analisi delle materie prime in tempo reale, cosi da garantire agli animali una dieta controllata ed equilibrata.


Le bovine vengono acquistate in Francia, nella zona di Limoges, e portate in Italia all’età di circa 10/12 mesi. Vengono quindi ingrassate nelle nostre stalle, con un minimo di permanenza di 6 mesi, e macellate a 16/18 mesi. Questa fase è molto importante, è l’alimentazione delle bovine a determinare la qualità della carne, la sua consistenza e la sua marezzatura, e da noi il protocollo di alimentazione è molto severo. Nella nostra etichetta si legge “carne di scottona nata in Francia, allevata in Francia-Italia, ingrassata in Italia, macellata e sezionata in Italia”. Il termine “scottona” identifica una bovina di età inferiore ai 24 mesi che non ha mai partorito, dalla carne particolarmente tenera e succulenta, anche grazie alla marezzatura che la rende un po’ più grassa e quindi più morbida in cottura. Per quanto riguarda invece la razza, la Limousine è una razza bovina francese, dal manto rossastro e di media statura. Proviene dalla

zona di Limousin, da cui prende il nome, una vecchia regione della Francia ubicata sul Massiccio Centrale. Inizialmente utilizzata come razza a duplice attitudine, sia da carne che da lavoro, negli ultimi 150 anni è stata selezionata come razza da carne. La Limousine ha una grana fine, con fibre non troppo grossolane che la rendono particolarmente tenera. I vitelli, quando arrivano dalla Francia, vengono vaccinati secondo la profilassi stabilita dal protocollo aziendale e trascorrono il primo mese in quarantena. Vengono poi trasferiti nelle stalle a stabulazione libera, dove restano fino all’ultimo mese, in cui avviene il finissaggio, ossia l’ingrasso attraverso un’alimentazione specifica che favorisce lo sviluppo della marezzatura della carne. La macellazione - 7/8 capi a settimana nella stalla di Mozzecane - avviene di notte, per ridurre lo stress negli animali. La divisione dei quarti viene fatto direttamente dal macello, mentre il VALSANA | 15

Matteo e Francesco Fortuna rappresentano la seconda generazione di una famiglia di allevatori da 50 anni, che ha saputo unire all’esperienza dell’allevamento la passione per l’ospitalità


NOVITÀ

TAGLIATA DI SCOTTONA Monoporzione per tagliata ottenuta da tagli di noce o fesa di bovini di razza Limousine. Morbida e succosa, è perfetta per una cottura alla griglia, alla piastra o in padella cod 84712 | 250 g x 10 pezzi

sezionamento successivo avviene nel laboratorio di Corte Scaligera. La carne viene quindi raffreddata e portata lentamente da 37°C a 4°C: è fondamentale che il raffreddamento avvenga con gradualità per evitare shock termici. “La fibra è determinata dalla razza, gentile e setosa nelle Limousine, il grasso, così come il colore, sono determinati dall’alimentazione, mentre il processo di raffreddamento influisce sulla succosità della carne” ci spiega Marco. Ci spostiamo nel laboratorio, il suo regno, e qui ci fa una piccola lezione sui tagli della carne, i tagli di coscia ma anche quelli che si ricavano dalla lombata: 8 coste, 3 coste con o senza filetto, 5 coste, cuberoll, costate e fiorentine. La macellazione è solitamente programmata per il mercoledì; il giovedì i primi quarti vengono riportati al laboratorio di Corte Scaligera dove riposano per qualche giorno. Le lombate iniziano quindi la frollatura, che dura da 15 a 25 giorni. La frollatura non è altro che la naturale decomVALSANA | 16

posizione (processo enzimatico) sia delle fibre (lisi delle catene di proteine) che dei lipidi della carne, che viene fatta maturare all’interno di ambienti con temperatura, umidità, ph e altri parametri strettamente controllati, per far sì che si ammorbidisca e diventi più tenera. I tagli utilizzati per la tartare vengono lavorati il lunedì successivo, rigorosamente dal fresco, mai dal sottovuoto, altrimenti la carne prende un gusto sgradevole. Per la tartare vengono utilizzati tagli di coscia, girello, codone e spinacino. Non viene utilizzata la fesa perchè la carne ha due colori e quindi la tartare risulterebbe poco uniforme. Viene utilizzata una macchina apposita con due griglie contrapposte e un’unica lama che replica il taglio a coltello: la tartare non è infatti macinata (come quando viene lavorata con il cutter) ma si presenta a cubetti, come se tagliata a mano. Marco ce la fa assaggiare appena tolta dalla macchina, semplicemente condita con sale, pepe e olio. Deliziosa.


NOVITÀ

TARTARE DI SCOTTONA Monoporzione per tartare ottenuta da tagli di coscia, girello, codone e spinacino lavorati rigorosamente dal fresco; deliziosa semplicemente condita con sale, pepe e olio cod 84700 | 150g x 10 pezzi

Dal laboratorio passiamo allo spaccio, un banco frigo imponente dove fanno bella mostra i vari tagli, alcuni già confezionati sottovuoto. E dallo spaccio passiamo al locale, una sala molto grande con tavoli in legno, cucina a vista, griglia gigante e vetrine frigo che sono in realtà delle celle di frollatura dove fanno bella mostra sia dei lombi interi che sezionati, che vengono fatti frollare per un minimo di 45 giorni. Ci sacrifichiamo e iniziamo la degustazione dei piatti: un tris di tartare, al naturale, con i capperi, con il tartufo; l’osso di scottona alla brace, ripassato al forno con cipolla caramellata all’aceto balsamico; porchetta di scottona con insalatina di nervetti, cipolla rossa; tagliata; e per finire la bistecca della corte, la parte iniziale della lombata, il 5 coste, marezzata e succulenta, cotta alla perfezione. Da bravi carnivori superiamo la prova del pranzo, con i complimenti di Marco!

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NOVITÀ

HAMBURGER DI SCOTTONA Hamburger prodotto unicamente con carne di bovino di razza Limousine, senza aggiunta di altri ingredienti. Si consiglia di non esagerare con la cottura, l’interno deve risultare rosato cod 84702 | 180gx2 x 10 pezzi


A proposito di filiere

LA FILIERA ITTICA Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

5 specie di salmone selvaggio presenti in natura

6.309 navi della flotta da pesca norvegese

1867 anno di fondazione di Yurrita

La qualità organolettica va a braccetto con la sostenibilità: un aspetto sempre più rilevante che non possiamo più trascurare nelle nostre scelte di Alessandro De Conto Credo ciascuno di noi sia cresciuto con la certezza che il tonno buono si dovesse tagliare con un grissino, non certo per ignoranza, ma piuttosto per mancanza di consapevolezza. Quella consapevolezza che in questi ultimi 10 anni è giocoforza cresciuta, prima per un atteggiamento più curioso nei confronti del profilo organolettico di ciò che mangiavamo, poi anche per una responsabilità emergente nei confronti dell’ambiente, nel caso specifico nei confronti degli Oceani. Si perché diciamolo senza timori, il filetto di tonno buono è compatto e il grissino gli fa un baffo! Ma questo è soltanto un esempio, un aggancio che mi permette di introdurre il tema di questa rubrica: le filiere ittiche del mare. E come non cominciare dal salmone selvaggio (Oncorhyncus) del Pacifico (diviso in 5 sottospecie, Red King, Coho, Sockeye, Pink e Chum) pescato al largo delle coste dell’Alaska e del Canada? Questa specie è noto divida la sua vita tra acqua salata e acqua dolce, nasce nel fiume, vive nel mare e poi depone le uova ancora nel fiume, nel punto esatto dove è nato e subito dopo muore. La pesca è fortemente regolamentata nei modi e nei numeri di anno in anno, in base a un censimento del mare attuato da diversi enti controllori, come ad esempio l’ADFG (Alaska Department of Fish and Game), e in base alle dimensioni medie del pescato delle campagne precedenti. In particolare la popolazione di Salmone Red King sta vivendo un momento critico sia perché soffre particolarmente l’innalzamento della temperatura del mare (che si traduce in scarsità di nutrienti e alterazione del ciclo riproduttivo) sia perché fino all’inizio degli anni 2000 la pesca è stata libera e indiscriminata, e ancora la tutela del mare e dei fiumi era assente e si pescavano fino a 4-5 volte le quantità ammesse ora.

Ecco perché da un paio d’anni la disponibilità di prodotto è contingentata e la dimensione delle baffe contenuta, questo vale sia per i Coho (addirittura non disponibili quest’anno) sia per i Sockeye anche se in minor misura. Il salmone pescato prevalentemente in tarda primavera e inizio estate viene subito congelato a bordo e venduto a diversi commercianti che poi si occuperanno della distribuzione su scala mondiale. Friultrota lo riceve a partire dal mese di ottobre-novembre, lo decongela, lo sfiletta, lo sala rigorosamente a secco e poi lo sottopone a più cicli di asciugatura e affumicatura prima di toelettarlo e confezionarlo. Una filiera piuttosto complessa e lunga che ci dovrebbe aiutare a capire il valore del prodotto, anche in relazione alla sua scarsità e all’assoluta manualità del processo produttivo. E pur partendo da numeri e disponibilità decisamente più elevate e temperature delle acque inferiori anche la situazione del

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SALMONE SELVAGGIO RED KING Salmone selvaggio dell’Alaska di grandi dimensioni, pescato all’amo. Al palato è setoso, con una buona solubilità e un gusto intenso cod 94064 | busta | 80 g cod 94055 | baffa intera | 2,5 kg circa


IL MERLUZZO: dove si trovano gli stock e chi li gestisce? 1. MARE DI BARENTS: lo stock più grande al mondo, con una biomassa di 2,5 milioni di tonnellate; è gestito dalla Norvegia 2. COSTA NORVEGESE: anche la consistenza di questo stock ricade sotto la responsabilità norvegese 3. MARE DEL NORD: i merluzzi di queste acque sono gestiti dall’UE sebbene il lavoro di mantenimento dei livelli di stock avvenga in concerto con la Norvegia fonte: cod.fromnorway.com

merluzzo è molto simile, del resto il suo habitat è lo stesso del salmone. È già iniziata una riduzione progressiva del pescato, grazie all’introduzione di quote di pesca e proprio nel dicembre scorso Europa e Norvegia hanno siglato un accordo storico che regolamenta la pesca del merluzzo in acque internazionali e ne tutela la biomassa. Il merluzzo più grosso viene catturato nei mesi invernali con rete a strascico o con rete fissa da posta e poi tenuto a bordo dei pescherecci al fresco: ricordiamoci che ci troviamo nei freddi mari del Nord e non nel Mediterraneo. Arrivato a terra viene subito eviscerato e prende diverse strade, quella che interessa a noi è quella dello stoccafisso, merluzzo essiccato all’aria aperta per circa 60-90 giorni a seconda della dimensione e ripartito in diverse categorie e livelli di qualità. Successivamente riposa in luoghi chiusi per

qualche settimana, poi viene imballato in sacchi di iuta da circa 50 kg e arriva tra fine agosto e inizio settembre presso il laboratorio dei fratelli Marcolin dove viene trasformato in varie ricette che abbiamo da poco conosciuto. E il tonno invece? L’argomento non si può esaurire in poche righe, ma conto di suscitare quanto meno un po’ di curiosità. Conosciamo già bene la situazione del tonno rosso, di cui molto si è parlato negli ultimi 10 anni, ma il tonno Alalunga e il tonno Yellowfin vivono forse un momento più felice? A partire dal 2015 è stata posta molta attenzione sulla sostenibilità della filiera del tonno in scatola, in prevalenza Yellowfin pescato per lo più nell’oceano del Sud-Est Asiatico, quando Greenpeace ha “stimolato” le grandi aziende mondiali produttrici di tonno in conserva a essere più trasparenti nei confronti dei clienti

e maggiormente rispettose degli equilibri del mare e dei protagonisti della filiera. I dettagli sono cronaca. L’Alalunga invece viene pescato nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico del Nord; anche la sua pesca è regolamentata fortemente, ce lo assicura Juan Yurrita che da anni produce il Bonito del Norte in conserva, utilizzando proprio l’Alalunga pescato all’amo nel Golfo di Biscaglia in primavera inizio estate. Portato a riva ancora fresco, questo è fondamentale per determinare la compattezza della carne, viene poi eviscerato, spellato, sezionato e bollito in grandi pentole industriali, prima di essere inscatolato, colmato d’olio e sigillato. La sua carne è molto chiara e la consistenza… beh, prendete un grissino e provate voi stessi!

SALMONE SELVAGGIO SOKEYE

BACCALÀ MARCOLIN

TONNO BONITO DEL NORTE

Salmone selvaggio dalle carni di colore rosso acceso, pescato a rete sotto costa. La carne è compatta e delicata

Stoccafissi di prima scelta proveniente dalle isole Røst, in Norvegia e lavorati secondo le ricette della gastronomia Marcolin

Filetti di tonno Alalunga conservati in olio d’oliva. Al palato risultano piacevolmente sapidi e compatti

cod 94063 | busta 80 g cod 94056 | baffa intera | 600 g circa

mantecato | 95850 e 95851 | 250 g e 1 kg condito | 95852 e 95853 | 500 g e 1 kg vicentina | 95854 e 95855 | 500 g e 1 kg

codice 93687 | vasetto 190 g codice 93685 | latta 1850 g


Abbinamenti a quattro mani

COLTIVARE

Matteo De Santi è laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Dimenticatevi tutto quello che conos sarà il primo passo per cominci della famiglia

di Matteo De Santi

Siamo a Portopalo di Capo Passero, nel Sud della Sicilia e stiamo parlando di tonno rosso, una varietà molto rara da trovare in generale, e nello specifico in vasetti o scatola. Si presta di più per lavorazioni in cucina, riconoscibile dalla tonalità appunto, particolarmente rossa. Il valore però non sta nel colore bensì nella qualità della sua carne. A livello nutrizionale presenta una quantità più che doppia di omega3 rispetto al pinna gialla. Ma ciò che apprezzo di più di questo animale è che per esistere deve essere rispettato, lui e l’ambiente in cui vive. Questo perchè il tonno rosso è molto sensibile all’inquinamento e alla concentrazione salina, quindi solo un comportamento corretto nei confronti del mare e un consumo moderato ne tutelerebbero l’esistenza. I Testa, famiglia di pescatori da generazioni, coltivano il mare. La loro storia gli ha insegnato come convivere con esso e come goderne quando lo permette. Hanno fatto della pesca sostenibile uno dei loro valori: utilizzano tecniche di pesca antica riviste in chiave moderna, come ad esempio quella della lampara nel caso delle acciughe. Il loro tonno rosso, dopo essere pescato a maggio, viene allevato per l’aumento di peso e alimentato solo a pesce azzurro per tre mesi. Passano esattamente 4 minuti dalla vasca dove è cresciuto alla completa macellazione. È un prodotto superiore, privo di carica batterica e soprattutto sostenibile, per natura. I tagli che abbineremo sono quelli più conosciuti (fig. 1): Filetto e Ventresca. Attenzione però, quando si tratta di Testa Conserve non si parla solo del prodotto in sé, ma anche del liquido in cui è conservato. Infatti il mio primo consiglio è di riutilizzare l’olio rimanente del vasetto del tonno, perché di ottima qualità, per fare salse, maionesi o semplicemente nelle ricette. Nello specifico stiamo parlando di un olio di semi di girasole bio di Sicilia spremuto a freddo.

Figura 1: i tagli anatomici del tonno rosso. Fonte: testaconserve.it Filetto

Buzzonaglia

Ventresca

FILETTO DI TONNO ROSSO Versatile e universale. Può accompagnarci come condimento di una pasta semplicemente insieme a una salsa di pomodoro ciliegino. D’inverno invece potreste usare il filetto come ingrediente finale per arricchire una vellutata di ceci. I panini sono un’altra valida soluzione, considerate però che l’ingrediente che state utilizzando non ha bisogno di troppi componenti per essere apprezzato. Meno ma meglio.

VENTRESCA DI TONNO ROSSO Con questa materia prima l’obiettivo è smorzarne la grassezza, premettendo che questo grasso è buono e fa bene all’anima. Può essere anch’esso considerato come ingrediente per una pasta, ma in questo caso vi suggerirei di sfruttare l’importanza del suo sapore magari per una carbonara di mare. Come abbinamento diretto vi suggerisco di utilizzare un sapore dolce/acidulo come un frutto oppure lo zenzero. Un boccone di ventresca con una fetta di arancia potrebbe farvi dimenticare per pochi istanti che il 2020 sia esistito. VALSANA | 20

FILETTI DI TONNO IN OLIO DI GIRAS

Filetti di tonno rosso Mediterraneo, dalle carni colore rosa intenso, tend Il sapore è raffinato, sap lentamente tutta la sua

codice 94196 | pes

VENTRESCA DI TON IN OLIO DI GIRAS

La parte più pregiata del t carni dal colore rosa carico marroni. Il sapore è dolce scioglie in bocca lasciando p piacevolezza del

codice 94198 | pes


ARE IL MARE

Enrico De Conto è laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

e conoscete sul tonno in scatola e ominciare a capire il progetto amiglia Testa

I TONNO ROSSO DI GIRASOLE BIO

di Enrico De Conto

Suggerimento dalla biblioteca: Patagonia Express – Luis Sepúlveda “Il mare chiama il mare”. Quando penso a un abbinamento per il pesce nel mio cervello si materializza spesso questa frase. Attenzione, non una regola precisa, piuttosto uno spunto di riflessione. Andate a vedere dove vengono cresciute le vigne dei vini suggeriti qui sotto: chapeau!

CINQUE TERRE BIANCO DOC

ETNA BIANCO DOC

Vini molto spesso pazzeschi, giocati su quell’equilibrio sottile tra eleganza e sfrontatezza. Abbinerei questo vino al tonno di Testa Conserve per freschezza, sapidità e discreta acidità. Da un punto di vista aromatico poi le note salmastre e di macchia mediterranea andranno a braccetto con la delicatezza del tonno!

I vini dell’Etna sintetizzano nel bicchiere in maniera molto efficace il concetto di energia. Da viti di Catarrato e Carricante coltivate in altitudine nascono vini profumatissimi: note di agrumi, zolfo, mandorle e pesche inebrieranno il vostro naso, mentre una sconcertante acidità pulirà la vostra bocca dalla grassezza del tonno.

Zona: Liguria

Zona: Sicilia

nno rosso pescato nel dalle carni compatte e di tenso, tendente al rosso. finato, sapido e sprigiona tutta la sua piacevolezza

Intensità:

Intensità:

COSTA D’AMALFI DOC

JAPANESE SLIPPER

94196 | peso 190 g

Come ultimo vino non possiamo non pensare a un vino della costa campana. In questo caso avremo un vino prevalentemente a base di Falanghina e Biancolella, con profumi di acacia, note di ginestra e cedro. La sapidità di questi vini andrà in contrasto con la dolcezza del tonno e anche in questo caso la piacevole freschezza del vino aiuterà la bocca a pulirsi. Zona: Campania

Per l’ultimo abbinamento ero un po’ indeciso e per fortuna l’amico Stefano mi è venuto incontro, si fa per dire, con un cocktail. Abbiniamo questi prodotti del mare a un cocktail a base di Cointreau e Midori, leggero e aromatico, in questa versione rifrescato dal ghiaccio tritato e smorzato da una piccola aggiunta di vermouth. Non ci saranno note alcoliche troppo spinte, bensì una piacevole complessità aromatica, guidata dall’acidità dell’agrume e dal melone.

Intensità:

Intensità:

A DI TONNO ROSSO DI GIRASOLE BIO

egiata del tonno rosso, con rosa carico, con sfumature pore è dolce e delicato, si lasciando percepire tutta la volezza del tonno

94198 | peso 190 g

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Intervista doppia

MORO FORMAGGI

LAVIALATTEA BRIGNANO GERA D’ADDA (BG) Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

ODERZO (TV)

Blu italiani per le feste: due golosissimi erborinati vestiti elegantemente grazie all’affinamento con frutti rossi di Giulia Basso

LE RECENSIONI DEI CLIENTI

Ivano Alverà | Latteria di Cortina (Cortina, BL) Ol Sciur è un prodotto decisamente valido e molto particolare, sia perché è realizzato con latte caprino, sia per l’erborinatura e l’aromatizzazione con frutti di bosco. Ha un costo importante, ma è molto apprezzato dai ristoratori così come dai turisti, sempre alla ricerca di prodotti speciali da riportare a casa in ricordo di un viaggio. Klara Neurauter | Neurauter Frisch (Austria) Oro Rosso è un formaggio unico, a partire dalla sua raffinata fattura, con i frutti rossi in cima e il vino Raboso che scorre dolcemente nel suo cremoso interno. I nostri clienti lo adorano per l’esplosione di gusto che sprigiona, mescolando il dolce della frutta e la base saporita del formaggio erborinato. E’ immancabile in un buffet e in un carrello dei formaggi che si rispetti, ma è ottimo anche usato in pasticceria, per creare nuove ricette.

LAVIALATTEA

MORO FORMAGGI

Lavialattea è nata a Brignano (BG) nel 1997, quando Roberto ha comprato le prime dieci caprette e ha iniziato a produrre formaggi per il consumo familiare. Da allora, insieme alla moglie Valentina, ha partecipato a vari concorsi, locali ma anche nazionali e internazionali. “Tutte le volte che portavamo nostri formaggi ai concorsi arrivavamo primi: perciò abbiamo pensato che la strada fosse quella giusta e deciso di far diventare questa nostra passione un lavoro”, ricorda Valentina. Nel 2001 la coppia ha venduto gli animali e scelto di concentrarsi unicamente sulla produzione, con l’obiettivo di dare vita a tanti formaggi quante sono le stelle: da qui il nome Lavialattea. “Siamo partiti studiando le ricette delle produzioni a latte vaccino della zona per adattarle al latte di capra. Quindi ci siamo recati in Francia, patria delle lavorazioni a latte caprino, per seguire dei corsi specifici - racconta Valentina. Quando abbiamo capito che ne sapevamo abbastanza abbiamo avviato una nostra linea, sperimentando con variazioni di diverso genere, dall’aggiunta di zafferano e spezie a quella di petali di fiori. E’ stato un gioco per rompere gli schemi che i nostri clienti hanno gradito molto. Oggi siamo quelli che creano “formaggi fuori di testa”. Proponiamo ben 130 varietà di formaggi sia di capra che di pecora, freschissimi e semi stagionati, paste molli e pressate, fino agli erborinati. In alcuni casi questi formaggi vengono aromatizzati, come l’Ol Sciur con i frutti rossi. E continuiamo a vincere concorsi prestigiosi, come il Cheese Award, che l’anno scorso ci ha visti primi assoluti al mondo tra le produzioni a latte crudo”. VALSANA | 22

Moro Formaggi è nata negli anni ’80 a Oderzo come spin-off della Latteria Moro, grazie alla passione di Sergio e della moglie Susanna per l’affinamento dei formaggi. Oggi l’azienda, che ha saputo coniugare sapientemente tradizione e innovazione, è conosciuta in tutto il mondo: “Siamo allo stesso tempo fedeli alla tradizione, perché per un prodotto di qualità è fondamentale la base di partenza, e seguaci del cambiamento, perché ai nostri formaggi cerchiamo sempre di regalare sapori diversi e attuali, in linea con la naturale evoluzione del gusto - racconta Susanna -. Oggi produciamo più di una ventina di diversi formaggi a latte vaccino: siamo partiti dagli ubriachi, quindi abbiamo iniziato a sperimentare con gli erborinati, circa otto anni fa. Siamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, tanto più che oggi sono entrati nell’attività produttiva anche i nostri figli”. Moro Formaggi lavora in stretta sinergia non solo con i produttori locali di formaggio, ma anche con quelli di vini e liquori. La nascita dei suoi nuovi prodotti è frutto di input di diversi tipi: “Oro Rosso per esempio è nato dalla richiesta di un cliente, che stava cercando un formaggio da proporre in occasione della presentazione, alla Fiera di Milano, della nuova Ferrari. Noi stavamo già lavorando con un erborinato affinato con un vino della sinistra Piave, il Raboso passito IGT: ci abbiamo aggiunto dei frutti di bosco per intensificare il colore e modificarne il gusto e il profumo e l’abbiamo chiamato Oro Rosso. Era il formaggio perfetto per quell’occasione e il cliente ne è stato enormemente soddisfatto”.


Valentina Canò

Susanna Cattai

Che ingredienti usate per il vostro prodotto?

Che ingredienti usate per il vostro prodotto?

Latte di capra di produzione locale, caglio animale, sale e Penicillium roqueforti per ottenere l’erborinatura, che arricchiamo con un mix di frutti di bosco e petali di rosa.

Si tratta di un erborinato, trattato con muffe dal sapore delicato. Ci aggiungiamo vino Raboso passito IGT, frutti rossi come mirtilli e ribes, sambuco.

Come avviene l’erborinatura? Si tratta di un formaggio a pasta molle, per cui l’innesto delle muffe lo facciamo nel latte, quindi prepariamo le forme, che buchiamo dopo nove giorni. E la maturazione? Avviene in celle con temperatura dagli 8 ai 12 gradi per 50 giorni, seguita dall’affinamento: le forme di formaggio vengono immerse in vasche con frutti di bosco, dove rimangono circa una settimana e acquisiscono un profumo caratteristico. Il tocco finale è l’aggiunta di petali di rosa.

OL SCIUR Formaggio erborinato di capra, dal sapore dolce, con piacevoli sensazioni lattiche e un notevole contributo aromatico legato alla presenza dei frutti di bosco cod 21208 | 1/8 | 2 kg circa

Consigli per la conservazione e il consumo? Si abbina con vini passiti e cioccolata. E’ un formaggio non trattato chimicamente, da conservare a 8-12 gradi. Se si formano muffe verdi sulla crosta consigliamo di rimuoverle con un coltellino o con uno spruzzo di grappa, che uccide il micelio della muffa senza alterare il sapore del formaggio.

Vengono iniettate all’interno del formaggio a latte vaccino le spore di muffa, il cui sapore non deve sovrastare il vino. E la maturazione? Lo lasciamo per 30 giorni a ubriacarsi in botte con il vino raboso, quindi lo estraiamo, lo asciughiamo e lo ricopriamo di frutti rossi per dargli più colore. Finisce la sua stagionatura ricoperto dai frutti, che a loro volta sono stati bagnati nel vino passito, per un giorno o al massimo due, quindi è pronto. Perché la scelta dei frutti rossi per aromatizzarlo?

Perché la scelta dei frutti rossi per aromatizzarlo? Quando si degusta l’Ol Sciur si ha un ritorno di aromi e profumi, un ottimo bilanciamento tra l’acidità e la dolcezza dei frutti di bosco che si sposa alla perfezione con il piccante del Penicillium roqueforti.

Come avviene l’erborinatura?

ORO ROSSO

Perché danno un colore ancor più rosso alla crosta. I frutti macerati penetrano all’interno del formaggio e si combinano con il gusto del vino, che è piuttosto dolce, conferendo al prodotto una punta gradevolmente acidula. Consigli per la conservazione e il consumo?

Formaggio vaccino erborinato dolce e cremoso; le note aromatiche conferite dai frutti rossi richiamano il bouquet del Raboso passito, il vino rosso utilizzato per l’affinamento cod 30799 | 2,5 kg circa disponibile anche 1/2

Va avvolto in alluminio o simili, in modo che si mantenga umido, e conservato a 4-6 gradi. E’ perfetto come fine pasto e ottimo anche se usato per preparare un gelato sui generis o un soufflé.


Progetti

ESTREMA D’ALPEGGIO Estrema perchè prodotta sopra i 2000 metri. Solo quattro settimane l’anno. Solo con alimentazione al pascolo di Martina Iseppon La nuova frontiera della Fontina DOP, per dare una scossa al mercato, ma anche alla nostra coscienza. Con la consapevolezza che se non facciamo qualcosa oggi, questi prodotti li perderemo. Perchè è antieconomico produrli, ma anche venderli, perchè la produzione è troppo limitata, perchè nessuno vuole più vivere lassù, perchè nessuno vuole più fare questo mestiere.

Cambiano i nomi: ribelle, dei pastori, estrema; cambiano i luoghi: dalle Alpi agli Appennini alle isole, ma c’è un fil rouge che unisce tutti questi progetti: il coraggio di andare contro la logica del mercato, piuttosto che contro cuore. La voglia di far rivivere dei prodotti che fanno parte dell’identità dei luoghi e che questi luoghi contribuiscono a preservarli, a mantenerli vivi. VALSANA | 24

Il progetto “Estrema d’Alpeggio Fontina DOP” nasce nel 2016 grazie all’ARPAV (Associazione dei proprietari d’Alpeggio), e ai fondi del Gal Valle D’Aosta, dopo uno studio supervisionato dall’Institut Agricole Régional della Valle d’Aosta, che intende valorizzare la Fontina prodotta sopra i 2000 metri di quota, anche con l’obiettivo di proteggere e curare i pascoli di montagna e sostenere il sistema agricolo e zootecnico regionale. L’Estrema d’Alpeggio Fontina DOP è il prodotto caseario d’eccellenza più alto d’Europa: i territori coinvolti sono quelli tra i 2.000 e i 2.700 metri e gli allevatori selezionati sono solo quelli che, durante il percorso di monticazione estiva, alimentano le bovine - tre le razze autoctone valdostane: pezzata rossa, pezzata nera e castana - in maniera totalmente naturale, ossia solo con erba e acqua, senza nessun’altra integrazione. Proprio per questo la produzione è estremamente limitata: tre, massimo quattro settimane all’anno, a luglio.


IL METODO ARPAV Il disciplinare di produzione della Estrema d’Alpeggio Fontina DOP è più severo di quello della Fontina DOP classica. E’ un formaggio grasso a pasta semicotta, prodotto con latte crudo intero di una sola mungitura ottenuto da bovine di razza Valdostana (Pezzata rossa, Pezzata nera, Castana), alimentate esclusivamente al pascolo in alta quota, ricca di omega3, che si ottiene secondo dei criteri molto rigidi: 1. latte crudo intero di bovina di razza Valdostana proveniente esclusivamente dagli alpeggi d’alta quota: tra 2.000 e 2.700 m; 2. alimentazione delle bovine esclusivamente al pascolo senza integrazione; 3. analisi vegetazionale dei pascoli; 4. indicazione degli alpeggi di provenienza.

«Alimentare le bovine solo con erba - spiega Andrea Menegazzi, ideatore e coordinatore del progetto Estrema d’Alpeggio Fontina DOP finanziato attraverso il GAL Valle D’Aosta - senza integrare con altri mangimi, come può accadere in pascoli meno felici dal punti di vista floristico, garantisce un’ulteriore qualità al latte. Di conseguenza, questi aspetti fanno sì che in queste zone e con queste metodologie si possano produrre delle fontine davvero saporite, con le caratteristiche di dolcezza, morbidezza ed elasticità che si richiedono alla fontina. Chiaramente la mano del casaro è importantissima, proprio per questo “Estrema d’Alpeggio Fontina DOP” unisce la qualità dei pascoli e l’esperienza di casari che da anni producono fontina». Quattro al momento i produttori coinvolti nel progetto, con una produzione di 430 forme nel 2020. Ma l’obiettivo del progetto è quello di arrivare a coinvolgere in tre anni una ventina di produttori per arrivare a una produzione di 3.000 forme. In bocca al lupo ! VALSANA | 25

Estrema d’Alpeggio Fontina DOP sarà disponibile in quantità limitatissima dal 23/11. Se ti piace il progetto, chiedi al tuo agente di riferimento come prenotare una forma e quali sono gli incentivi previsti


Come si riconosce?

LE DENOMINAZIONI Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

Figura 1: marchio di Denominazione d'Origine Controllata ∙ DOP, facilmente distinguibile dagli altri per l'uso dei colori giallo e rosso

DOP, IGP, STG, PAT: queste sigle ormai ci sono piuttosto familiari, ma conosciamo davvero quali sono le differenze tra le varie denominazioni? di Giorgia Barbaresco I territori nazionale ed europeo offrono una vasta varietà di prodotti alimentari e quando un prodotto “esce” dalla zona d’origine occupando sempre maggiore spazio “fuori confine”, si trova indubbiamente a scontrarsi con altri prodotti che cercano in qualche modo di sfruttarne il nome per guadagnare terreno. Purtroppo la concorrenza sleale che ne può derivare potrebbe risultare scoraggiante per il produttore e disorientare il consumatore che potrebbe chiedersi quali sono le differenze.

Figura 2: marchio di Indicazione Geografica Protetta ∙ IGP

Nel 1992 la comunità europea ha creato un sistema per tentare di promuovere, e in qualche modo preservare, i prodotti agroalimentari, sono nate così DOP, IGP e STG. L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea, ma vediamoli nel dettaglio: Denominazione di Origine Protetta ∙ DOP

Figura 3: marchio di Specialità Tradizionale Garantita ∙ STG

Figura 4: marchio di Prodotto Agroalimentare Tradizionale PAT

Identifica un prodotto originario di un luogo, regione o in casi eccezionali di un determinato Paese, le cui qualità o caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.

inoltre, deve rispettare rigide regole stabilite nel disciplinare, e il rispetto di tali regole è garantito dagli organismi di controllo. Attualmente sono stati riconosciuti 573 prodotti con la denominazione DOP, di cui 167 prodotti agroalimentari e 406 vini. Per completezza di informazioni, una denominazione che si sentiva un tempo nel mondo del vino è la Denominazione di Origine Controllata DOC che dal 2010 non è più in uso perché per la legge europea è compresa nella sigla DOP, tuttavia l’utilizzo è ancora consentito. Questa denominazione è stata storicamente utilizzata dal 1966 come marchio per i vini di qualità prodotti in aree geografiche di dimensioni piccole o medie, con caratteristiche attribuibili al vitigno, all’ambiente e ai metodi di produzione. Anche la Denominazione di Origine Controllata e Garantita DOCG fa ora parte della famiglia delle DOP ed è attribuita a vini già riconosciuti come DOC e ritenuti di particolare pregio. Indicazione Grografica Protetta ∙ IGP Questa denominazione identifica un prodotto anch’esso originario di un determinato luogo, regione o Paese, alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili caratteri che conferiscono una certa qualità.

L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori della specifica zona produttiva.

Almeno una delle fasi di produzione, per i prodotti che riportano questo marchio, deve essere effettuata nell’area geografica delimitata. Anche in questo caso il produttore deve attenersi a rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione.

Perché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. La produzione,

Attualmente sono stati riconosciuti 251 prodotti come Indicazioni Geografiche, di cui 133 prodotti agroalimentari e 118 vini.

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DOP

DOP e IGP: le differenze La sostanziale differenza fra prodotti DOP e prodotti IGP, sta nel fatto che, nel caso di prodotti DOP, tutto ciò che riguarda la realizzazione del prodotto ha origine nel territorio dichiarato, mentre nel caso del prodotto IGP il territorio dichiarato conferisce al prodotto le sue caratteristiche peculiari solo attraverso alcune fasi della produzione, ma non tutto ciò che concorre al suo ottenimento proviene dal territorio dichiarato (ad esempio, le materie prime). Un esempio è la Bresaola della Valtellina che è un prodotto IGP e non DOP perché ottenuto da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando, nel corso della stagionatura, del clima particolarmente favorevole della zona. Un altro esempio è la Porchetta di Ariccia IGP, nel disciplinare di produzione sono specificate le razze dei suini che possono essere utilizzate ma non è citata la provenienza, sta quindi al produttore, in base al prodotto che vuole realizzare scegliere carni nazionali o meno. Specialità Tradizionale Garantita ∙ STG Caso a sé è la Specialità Tradizionale Garantita STG che non fa riferimento a un'origine, ma vuole valorizzare una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale. I prodotti riconosciuti STG seguono specifici metodi di produzione e ricette tradizionali. Le materie prime e gli ingredienti utilizzati tradizionalmente rendono questi prodotti delle specialità, a prescindere dalla zona geografica di produzione. Attualmente sono state riconosciute 3 Specialità Tradizionali Garantite: la Mozzarella, la Pizza Napoletana e l'Amatriciana Tradizionale. Prodotto Agroalimentare Tradizionale ∙ PAT Per concludere ci sono i PAT Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Questo marchio viene utilizzato solo in Italia per contraddistinguere i prodotti tradizionali e di nicchia con una diffusione così ridotta da non concorrere all’assegnazione di DOP e IGP. È l’unica sigla di qualità che è attribuita dalla Regioni con l’obiettivo di valorizzare le specialità locali ottenute con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura tradizionali. Inoltre... Tutte queste produzioni vengono tutelate appunto dai relativi Consorzi di Tutela o dal Ministero delle

Politiche Agricole e Forestali. Verifiche continue vengono effettuate anche dai Carabinieri, in particolare dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS). Tutti concorrono a preservare i prodotti con i marchi citati sopra dalla contraffazione. Particolare attenzione la si deve fare nell’utilizzo delle denominazioni di vendita perché alcuni prodotti, soprattutto DOP, sono talmente famosi che il loro nome a volte viene utilizzato per definire una categoria di prodotti. È il caso, per esempio, del Gorgonzola: questo nome è specifico per il prodotto DOP e non può essere utilizzato per identificare un qualsiasi formaggio erborinato. Lo stesso vale per il Grana Padano o per il Parmigiano Reggiano, e in questi casi addirittura la denominazione non può essere utilizzata per il prodotto “smarchiato” perché proprio in quanto tale non ha superato i controlli del Consorzio e non soddisfa le caratteristiche che deve avere il prodotto DOP. Anche l’utilizzo del nome di un prodotto DOP contenuto in un’altra denominazione deve essere autorizzato dal Consorzio, ad esempio se vengono preparati dei ravioli ripieni di Gorgonzola e noci potranno essere denominati “Ravioli Gorgonzola e noci” solo previa autorizzazione. Etichettatura e confezionamento infine, per alcuni prodotti DOP, possono essere effettuati solo ed esclusivamente nelle zone di produzione: è il caso ad esempio del Parmigiano Reggiano, della Fontina, del Castelmagno, ecc. In tutti gli altri casi, soprattutto per le porzioni, deve esserci comunque l’autorizzazione da parte del Consorzio. Ovviamente i furbetti ci sono sempre e rispettare i disciplinari ha un costo. È chiaro che acquistare un formaggio frazionato all’origine ha un costo differente rispetto all'acquisto di una forma intera da frazionare in autonomia, anche se non è permesso. Tuttavia insisto nel sottolineare che è responsabilità di tutti noi, per il posto che occupiamo all’interno della filiera, rispettare e far rispettare queste regole che tutelano i prodotti e i produttori dalla concorrenza sleale. Imparare a rispettare il lavoro di tutti ci offre la possibilità di migliorare il territorio in cui viviamo. Ancora una volta quindi, attenzione all’etichetta!

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CASTELMAGNO DOP DI ALPEGGIO Uno dei più famosi formaggi piemontesi a latte vaccino crudo, Presidio Slow Food. Molto profumato, leggermente sapido con note erbacee e floreali cod 31029M19 | peso 5 kg ca

IGP

MORTADELLA DI PRATO IGP Mortadella toscana speziata all'alkermes, Presidio Slow Food. Il sapore è inconfondibile, intenso e con profumi esotici e di spezie cod 78730 | peso 2 kg circa

PAT

FAGIOLO BALA ROSSA Antica verità del Feltrino, appartenente alla famiglia dei Borlotti. Il gusto è intenso con note leggere di castagna cod 93721 | peso 500 g


Cibo dal mondo

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

IL DOLCE NATALE IN ITALIA E NEL MONDO I dolci portano sulla tavola gioia e colore, specie nei giorni di festa. E’ per questo che non mancano mai nella stagione natalizia, quando in tutto il mondo cristiano si arricchiscono di tanti ingredienti, un tempo considerati preziosi come i canditi, le spezie e la frutta secca di Vittorio Castellani

LE TRADIZIONI ITALIANE... Nonostante la sua dimensione, relativamente piccola, l’Italia è probabilmente il Paese al mondo che ospita la più grande varietà di dolci natalizi. Se è vero che siamo universalmente noti per il panettone di Milano e il pandoro di Verona, da nord a sud dello Stivale sono tantissime le specialità che nelle diverse regioni segnano la più importante festa dell’anno. In Trentino Alto Adige l’influenza austro-ungarica e tedesca è evidente nei biscotti altoatesini spitzbuben e lebkuchen, che riprendono anche nella forma personaggi di queste tradizioni, forse meno noti dello zelten e del buchteln farciti con marmellata o frutta secca, ma altrettanto buoni. La frutta secca, lasciataci in eredità dalla dominazione araba, la fa da padrone anche nei diversi pandolci liguri e in altre specialità meno note della Valle d’Aosta e del Piemonte: il mecoulin di Cogne ed il crescenzin, della Val Vigezzo. Spostandoci in Emilia Romagna e Toscana la frutta secca si arricchisce dei sentori delle spezie, con il panspeziale bolognese profumato dalla cannella e dai semi d’anice Panforte senese

o il pampepato ferrarese per trovare la sua massima espressione nel panforte senese. Scendendo dal centro Italia, verso sud prendono piede anche i biscotti. Impossibile elencarli tutti, mi limiterò a citare i ricciarelli un’IGP senese, i caggiuniti abruzzesi, ripieni e fritti, i subiachini laziali, glassati e usati come decorazione dell’albero di Natale, i mostaccioli e i bocconotti, che troviamo con ricette diverse a macchia di leopardo, in varie regioni del sud, dalla Puglia alla Calabria. Le tradizioni si fanno più forti al sud Italia, dove il Natale si festeggia con dolci locali come le zeppole o gli struffoli napoletani. La dominazione spagnola poi ci ha regalato i suoi dolci natalizi preferiti: i torroni, duri o morbidi, così importanti da Cremona a Benevento, ma anche in Sardegna. Tra i dolci più curiosi troviamo le cartellate pugliesi, praticamente identiche alla shebakya marocchina del mese di Ramadan e il panmorrone ligure, di farina di castagne. ... E QUELLE EUROPEE Parlando dell’Europa, molte sono le tradizioni natalizie che condividiamo con alcuni Paesi, specie con i nostri Struffoli napoletani


Christmas Pudding inglese

cugini spagnoli. A parte il turrón, una specialità alicantina che ci ha conquistati nei secoli scorsi, in questo periodo dell’anno le pasticcerie si riempiono di biscotti e dolcetti mazapán a base di pasta di mandorle, alcuni decisamente curiosi come il polvorón che sostituisce lo strutto di maiale al burro dei mantecados. Qua l’eredità arabo andalusa è particolarmente evidente nell’uso generoso delle mandorle e della frutta secca, ma anche nei nomi, come l’alfajor. Nella lingua spagnola infatti le parole che iniziano con il suffisso “al” sono di origine araba. Spostandosi verso il confine francese, lungo la costa mediterranea, le ciambelle candite di roscón de los reyes fanno il verso alla courrone des rois provenzale. Decisamente più ricche e opulente le tradizioni anglosassoni dei xmas cakes, dominate dalla frutta secca, spesso rinvenuta in liquori come l’apricot brandy del christmas pudding o lo scotch scozzese del whisky dundee. Nei paesi scandinavi le spezie come lo zenzero, la cannella e talvolta il cardamomo, sono le protagoniste dai ginger biscuits a forma di omini o di renna alle torte glassate pepparkaka. CHE DIRE DEGLI ALTRI CONTINENTI? I dolci natalizi sono presenti in tutti i paesi di fede cristiana dove si festeggia il Natale. In America latina sono spesso rivisitazioni di grandi classici della tradizione spagnola o portoghese, se parliamo di Brasile, mentre negli Stati Uniti i christmas cakes s’ispirano a preparazioni inglesi o irlandesi ma sono stati ribattezzati fruit cakes. E’ curioso osservare come anche in Asia, la presenza coloniale, specie quella inglese, abbia influito sulla diffusione di dolci europei come l’allahabadi cake indiano o lo sponge christmas cake giapponese, un roll farcito con panna e fragole, che richiama per certi versi un grande classico natalizio francese: la bûche de noël, il tronchetto natalizio. VALSANA | 29

IL PANETTONE MILANESE Tra la comunità ebraica russa di Milano circola una storiella, secondo la quale il panettone milanese che tutti conosciamo, sarebbe frutto di una rielaborazione suggerita dalla tradizione aschenazita. L’indomani della rivoluzione russa del ’17 si rifugiarono nel capoluogo lombardo diverse famiglie ebraico-russe. Dovendo trovare un forno dove cucinare per la comunità il kulich, il dolce tradizionale della Pasqua ortodossa, assai simile al panettone, si rivolsero a un noto pasticcere milanese. All’epoca la forma del panettone era assai simile a quella del pandolce ligure, largo e basso. Il pasticcere osservando la cottura del kulich, alto e stretto, pensò che se avesse dato quella forma al suo panettone, avrebbe potuto sfruttare meglio il piano di cottura del forno per cuocere più panettoni contemporaneamente. Quel pasticcere si chiamava Motta e da allora si dice che il panettone milanese sia diventato più stretto e più alto.


Come si fa

TI FARCISCO PER LE FESTE! Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Ovviamente non è una minaccia, bensì la promessa di rendere ancora più golosi alcuni tra i nostri formaggi preferiti di Giulia Bassetto Specialità del giorno: formaggi farciti. Che meraviglia! Ma aspettate, davvero c’è ancora chi farcisce i formaggi? Questa domanda per farvi capire che il mio primo approccio a quest’argomento è stato un po’ contrastante. Dopo una chiacchierata in ufficio mi sentivo un po’ sballottata tra la sensazione di affrontare da una parte un argomento retrò, alla stregua delle penne alla vodka o del cocktail di gamberi tanto in voga negli anni ‘80, e dall’altra la sensazione che esistesse un mondo gourmand fatto di farciture originali e sapienti combinazioni di sapori. Devo dire che la seconda sensazione era la più corretta: durante la mia ricerca ho scoperto che la tecnica della farcitura dei formaggi non è sorpassata e lo prova il fatto che sono i clienti i primi a esserne attratti, soprattutto nel periodo di feste che si sta avvicinando. Formaggi cremosi, ricche farciture: un vero comfort food per il palato e lo spirito, che tanto ne ha bisogno mentre ci avviamo alla fine di questo 2020. E per levare un po’ di naftalina ad alcune proposte, basta lavorare sull’effetto visivo ed eliminare le decorazioni in stile rococò per ottenere un risultato decisamente più in linea con i tempi.

CAMEMBERT AOP LA PETITE NORMANDE Camembert prodotto in Normandia, dal gusto leggermente sapido, con note di frutta tostata, frutta matura e funghi. cod 44056 | peso 250 g

E allora penso ai formaggi farciti pronti all’uso che abbiamo a catalogo, su tutti Brie al Tartufo (cod 44047), G&emma - Gorgonzola e Mascarpone (cod 20982) oppure Dolce Paradiso al Pistacchio (cod 21006). Ideali per chi non ha la possibilità di lavorare i formaggi personalmente, ad esempio i negozi che non possono fare trasformazione. Chi invece la trasformazione può farla, potrà dare sfogo a estro e fantasia. Magari prendendo spunto dai vicini colleghi europei che in questa pratica sono qualche passo avanti a noi! Anch’io ho fatto così e per scrivere quest’articolo ho chiesto dei consigli a Thassia Koster di VALSANA | 30

L’Amuse (Amsterdam) che è stata gentilissima e ci ha aperto virtualmente le porte della formaggeria per darci qualche dritta. Per quanto riguarda i formaggi da utilizzare, sono da preferire quelli a pasta grassa, in grado di assorbire facilmente i profumi e gli aromi, e di inglobare fisicamente gli ingredienti. Immaginate di farcire un formaggio che non abbia queste caratteristiche: un bel pasticcio! Gli ingredienti resterebbero divisi dal formaggio e la pasta non acquisirebbe nessun aroma aggiuntivo. Inoltre, quando scegliete il formaggio valutate se è adatto a una farcitura: ricordate che il formaggio possiede già una sua identità e se i suoi sapori sono complessi e ricchi potrebbe essere una buona idea anche lasciarlo semplicemente com’è! Ora la parte divertente: gli ingredienti per le farciture, e qui si tratta semplicemente di saper abbinare i sapori. Sicuramente quando assaggiate un formaggio avrete delle suggestioni che potrebbero ispirarvi interessanti abbinamenti. Ad esempio un sentore fungino potrebbe suggerirvi una farcitura con porcini oppure delle note erbacee suggerire il ricorso a delle erbe fresche. La sapidità al contrario potrebbe essere bilanciata da un abbinamento più dolce. Insomma, solite regole: abbinamenti per affinità o per contrasto. In generale si va dal tartufo - fresco a scaglie oppure sotto forma di pasta da mescolare con il mascarpone per creare una golosissima farcia - al salmone affumicato, in accoppiata magari con l’immancabile aneto. Come non citare poi la frutta secca, regina nella celebre combinazione Gorgonzola, mascarpone e noci ma anche in mix molto più ricchi che comprendano albicocche, frutti rossi, uvette e semi oleosi; spazio poi di nuovo ai funghi oppure ai pistacchi o ancora alle ciliegie sciroppate per una proposta pensata per il dessert!


Topping Prestate attenzione però ai formaggi a latte crudo: l’aggiunta di ingredienti estranei interferirà con il processo di maturazione e genererà una sorta di risposta nel formaggio. In questi casi, per evitare scolorimenti o altre reazioni nella pasta, è una buona idea usare un mediatore a base di latte, come mascarpone o creme fraîche. Inoltre, ricordate che le aggiunte non dovranno mai essere troppo prepotenti ma dovranno bilanciare con saggezza le note gustative del formaggio. Infine, un suggerimento stupendo che mi ha dato Thassia è “chiediti sempre se il produttore sarebbe contento di quello che stai facendo con il suo formaggio”. Direi che tutto questo si traduce con una sola parola: rispetto. Ed ora mani in pasta, perché con L’Amuse impariamo passo passo come si fa una loro specialità: il Camembert aux cepès, cioè con i funghi porcini! 1 | LA LISTA DELLA SPESA Par farcire 4 Camembert sono necessari i seguenti ingredienti: 12 g di porcini secchi; 1 scalogno; 1 spicchio d’aglio; 1/2 tazza di Armagnac; 350 g di mascarpone; olio, sale e pepe 2 | L’AMMOLLO E IL TRITO Immergete i porcini nell’Armagnac e aggiungete dell’acqua tiepida (non bollente) per coprire completamente i funghi. Lasciate in ammollo almeno 20 minuti, così che i porcini si ammorbidiscano, quindi toglieteli dal liquido (che terrete da parte) e tritateli. Tritate anche l’aglio e lo scalogno. 3 | LA ROSOLATURA Versate un po’ d’olio in una padella e rosolate lo scalogno e l’aglio in modo che si ammorbidiscano e si dorino lentamente. Aggiungete i porcini e scaldate insieme in padella, quindi aggiungete il liquido rimanente attraverso un setaccio e fate bollire il composto fino a quando la maggior parte del liquido sarà evaporata. Dovrete ottenere una salsa cremosa e densa. Mettetela da parte e lasciate raffreddare, quindi riponete in frigo. 4 | ENTRA IN SCENA IL MASCARPONE Quando il composto di porcini sarà ben freddo, aggiungete il mascarpone, amalgamate e aggiustate di pepe e sale a piacere (il Camembert è leggermente salato quindi non esagerate!). Otterrete una fantastica base per delle salse da abbinare a carni bianche o rosse, oppure con la pasta. Ma noi ora ci dedichiamo al nostro Camembert! 5 | LA FARCITURA Tagliate a metà un Camembert, disponete uno strato di composto all’interno e coprite con la metà superiore. Il Camembert aux Cepès è pronto da mangiare subito, ma se volete davvero che i sapori siano completamente incorporati, avvolgetelo in carta da formaggio (preferibilmente) o pellicola di plastica e lasciatelo maturare in frigo per 3 giorni. Ricetta e foto di Fromagerie L’Amuse

Si possono ottenere risultati molto interessanti anche aggiungendo degli ingredienti sulla superficie. Un consiglio adatto soprattutto per i formaggi molto molto cremosi, come il Mont d’Or nella ricetta a pag. 9


Letteratura tra i fornelli

LUIGI VERONELLI... L’ANARCH-ENOLOGO Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

Scrittore, giornalista, editore, filosofo, anarchico: una vita passata a combattere a fianco dei contadini, per difendere il patrimonio enogastronomico del nostro Paese di Danilo Gasparini

FILOSOFO, ANARCHICO, ENOLOGO

Come si può parlare e scrivere di e su Luigi Veronelli. Si è presi da un riverente e imbarazzato rispetto… deferenza. Tanto ha scritto, fatto, promosso che non si sa da dove cominciare e soprattutto è difficile combinare i diversi lati di una personalità che univa pensiero e azione, attività editoriale (intensa e diversificata) e attivismo politico (nel senso nobile del termine), fatto di proposte, iniziative, di battaglie civili per la difesa del nostro patrimonio gastronomico ed enologico, il tutto unito e cementato da una cultura del bello. Basti pensare alla rivista “L’Etichetta-Guida alla vita materiale”, “il periodico più lussuoso e graficamente impegnato” da lui fondata nel 1983 e diretto fino al 1994.

La biografia in breve... si fa per dire! Nasce a Milano, nel quartiere popolare di Isola, il 2 febbraio 1926. Da giovane si interessa principalmente di filosofia: la studia, diventa assistente universitario e si impegna nell’attività politica, avvicinandosi al pensiero anarchico, al quale rimarrà fedele tutta la vita. Memorabile la sua battaglia al fianco dei contadini piemontesi negli anni ’70 per il riconoscimento delle De.Co e contro i nuovi disciplinari che favorivano la grande industria vinicola a discapito dei piccoli produttori. Gli costerà un’altra condanna a sei mesi di detenzione.

“camminando la terra, scopri che il mondo è più ricco di qualsiasi rappresentazione, anche la più completa ed esauriente” (Aldo Colonetti). E in questo si contornerà di amici, tutti a loro modo, anarchici e liberi: fra tutti Mario Soldati e Gianni Brera, con il quale curerà lo straordinario viaggio nel “Mangiarbere in pianura padana”: La Pacciada” (1973). Ogni capitolo, di questo colto e gustoso itinerario è siglato da un aforisma del tipo: “Il popolo rincretinisce negli stenti, i signori si consolano pacchiando anche i pavoni”. E si deve a Gianni Mura, recentemente scomparso, il divertente anagramma di Luigi Veronelli: “Lui orli le vigne”. “FARE FILOSOFIA SCRIVENDO DI CUCINA“

Ha sempre combattuto contro l’eccesso di “ordine” imposto: l’ordine ”alfabetico” era l’unico suo ordine di riferimento, a partire dai vini, dal cibo.

Partendo dall’assunto che “scrivendo di cucina e di vino, facciamo anche filosofia”, la sua attività di scrittore-giornalista sarà intensa, incessante, non disdegnando, anzi, la corretta e colta divulgazione.

Scriverà: “Guardiamo gli Svizzeri, i Ticinesi in particolare, fanno degli ottimi vini, ma tutti fanno lo stesso vino, usano lo stesso vitigno, utilizzano le stesse tecniche di affinamento e di invecchiamento. Di fronte a questo ordine rassicurante e prevedibile, ho voglia di bere un vino che sia diverso da tutto. Ho voglia di anima, anche sporca e imprecisa”.

Ventennale il suo rapporto con Il Giorno (dal 1959 al 1979) e numerose le collaborazioni con riviste e giornali: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, Epoca, Carta, L’Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, Travel e Wine Spectator, ecc. I suoi scritti si caratterizzano per lo stile aulico e provocatorio infarcito di neologismi e arcaismi.

“CAMMINANDO LA TERRA” Veronelli ha sempre combattuto contro le derive delle imposizioni: “Vietato vietare: 13 ricette per vari disgusti”, titola uno dei suoi lavori; contro i disciplinari, perché “vedeva che tutte quelle leggi, norme e codicilli hanno sempre impedito la ricerca e l’innovazione”, là dove, VALSANA | 32

Nel 1990 fonda la casa editrice Veronelli editore “col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell’immenso patrimonio gastronomico nazionale e contribuire ad accrescere la conoscenza delle attrattive turistiche del paese più bello del mondo”. La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo enogastronomico, ma anche i


«L’ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un’anima» Luigi Veronelli 1926-2004

continui viaggi, lo portano alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Scrive numerosi volumi sia come autore singolo (I vini d’Italia, Alla ricerca dei cibi perduti, I cento Menu, Il vino giusto, tra gli altri) sia con Luigi Carnacina maître celeberrimo (La grande cucina, Il Carnacina, La cucina rustica regionale), fondamentali per la codificazione della cucina italiana. Lo stile originale, polemico e provocatorio, lo porta quasi subito alla popolarità. È stato direttore di Vini & Liquori, de Il Sommelier Italiano e di Ex Vinis. Diventa l’esperto/consulente de Conoscere il vino, opera a dispense edita da Fabbri e de I migliori vini d’Italia, collana edita da Hobby & Work.

SUA LA PRIMA RUBRICA DI CUCINA IN TIVVÙ

Fu anche fondatore e a lungo membro della Giuria, del Premio Letterario Internazionale Nonino Risit d’Âur, una giuria che annoverava cotanta sapienza: Elio Bartolini, Gianni Brera, Morando Morandini, Giulio Nascimbeni, Padre Davide Maria Turoldo, con Mario Soldati presidente.

Tocca a lui condurre poi il coraggioso programma, voluto da Folco Portinari, nel 1979, Viaggio Sentimentale nell’Italia dei Vini, che servì anche al lancio del terzo canale televisivo: un’aggiornata fotografia, provocatoria e di denuncia dello stato della viticoltura italiana.

A lui, alla sua vita, alla sue testimonianze dovrebbero ispirarsi tutti coloro che oggi sono dentro a quel circo mediatico e non solo che è diventato il mondo del cibo e del vino.

Nel 1993 poi organizza il Primo Congresso Mondiale degli Scrittori del Vino, assegnando a loro il compito di raccontare questo mondo di contadini e vignaiuoli fagocitati dalla modernizzazione, dall’industria enologica, camminando le loro terre e le loro vigne.

Muore a Bergamo, il 29 novembre del 2004, nella sua Bergamo alta, in quella casa dove accoglieva i suoi amici, dove gustava e studiava i vini, conservati in una sontuosa eno-biblioteca di 400 mq, che ora conserva 40.000 bottiglie.

A ragion veduta e con piena contezza poteva scrivere e sentenziare che “Il vino è il canto della terra verso il cielo”, è la preghiera dei contadini-vignaiuoli che lui ha tanto amato e difeso.

Ma è la televisione a decretarne il successo, una tivvù ancora in bianco e nero. E’ lui a inaugurare la prima rubrica di cucina in tv, “Colazione alle 7”, nel 1971, che diventa poi “A tavola alle 7”, dove a fargli da contraltare nella conduzione del programma, realizzato per sette anni, sul primo canale, furono chiamati dapprima Umberto Orsini, poi Delia Scala. Ma il trionfo arriva con Ave Ninchi, dal 74 al ’76, che si rivelò la compagna ideale, per gustosi e indimenticabili teatrini che sfociavano in discreti e misurati bisticci e battibecchi.

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La Guida Oro I Vini di Veronelli è la prima guida ai vini d’Italia, erede degli storici cataloghi pubblicati da Luigi Veronelli sin dagli anni Cinquanta


Idee per il menù bambini

PASTA CON RAGU’ DI LENTICCHIE Kids foodblogger e autrice del libro “Bimbe e bimbi a tavola”, Elisa Perillo, conosciuta in cucina come la Peri, si occupa di ricette sane per bambini e tiene regolarmente laboratori di cucina dedicati a loro. Ama usare ingredienti di qualità combinati in preparazioni semplici che incontrino il gusto dei piccoli commensali. periandthekitchen.com Facebook.com/ periandthekitchen Instagram: @periandthekitchen

Un piatto unico sano e gustoso, perfetto per aiutare i bambini a prendere confidenza con i legumi di Elisa Perillo Il cuore di questa ricetta sono loro, le lenticchie di Castelluccio di Norcia, assolutamente delicate nel sapore, facili da cucinare e amate dalla sottoscritta anche perché, attenzione attenzione, non richiedono ammollo.

le lenticchie in un gustosissimo ragù con cui preparare un primo piatto: ho scelto un formato di pasta corto così il sugo si distribuisce per bene, ma questo ragù può essere sfruttato anche per condire degli gnocchi, magari di zucca.

Le lenticchie sono uno di quegli alimenti super salutari e consigliati a chiunque voglia sposare i principi della sana alimentazione: sono legumi e quindi fonte di proteine vegetali, ricche di vitamine del gruppo B, fosforo e ferro. In abbinata a un cereale, nel nostro caso la pasta, rappresentano un piatto completo dal punto di vista dell’apporto nutrizionale.

Si prepara come un classico ragù iniziando con una base molto semplice di carota e scalogno per poi proseguire la cottura delle lenticchie con salsa di pomodoro e acqua. Niente di più semplice. Il risultato è un condimento cremoso in cui, in base al livello di cottura desiderata, si può gustare comunque la croccantezza delle lenticchie.

Fin qui tutto bene... ma con i bambini come la mettiamo? Almeno con il mio ho visto che non è poi tanto facile proporre i legumi “così come mamma natura li ha fatti”. Ecco perché in questa ricetta ho trasformato

LENTICCHIE DI CASTELLUCCIO IGP Lenticchie provenienti esclusivamente dai grandi altipiani di Castelluccio di Norcia, nella zona protetta del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Vengono selezionate e ripulite a mano secondo la tradizione contadina umbra. Grazie alla buccia sottile non hanno bisogno di essere messe in ammollo cod 93043 | scatola da 500 g cod 93042 | in juta da 500 g

Per i bambini più piccoli e restii a consistenze che prevedano i famosi “pezzetti”, si può proporre lo stesso piatto frullando il ragù in modo da ottenere una crema in cui le lenticchie si disfano completamente.


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PASTA CON RAGÙ DI LENTICCHIE

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INGREDIENTI PER IL RAGÙ 200 gr di lenticchie di Castelluccio di Norcia 1 carota 1 scalogno 2 foglie di alloro 500 gr di passata di pomodoro 200 gr di acqua olio extra vergine d’oliva q.b. sale q.b.

PER METTERE NEL MENÙ BIMBI LA PASTA CON RAGÙ DI LENTICCHIE

Procedimento Dopo aver pelato la carota e lo scalogno, lavateli e tagliuzzateli a piccoli pezzi. Versate in una casseruola un po’ d’olio extra vergine d’oliva con due cucchiai di acqua calda e iniziate a far rosolare il trito di carota e scalogno. Lavate bene le lenticchie di Castelluccio di Norcia e aggiungetele alla base insieme alle foglie di alloro spezzate, facendole insaporire per qualche minuto. Unite quindi la passata di pomodoro e l’acqua e proseguite la cottura per circa 50 minuti a fuoco basso (togliete le foglie di alloro a metà cottura). Regolate infine di sale e usate il ragù per condire la pasta, aggiungendo un altro po’ di olio extra vergine d’oliva a crudo.

1. 2. 3.

La Peri suggerisce... Vi consiglio di dosare bene i liquidi nella preparazione del ragù in modo tale che il risultato finale sia un sugo che condisca bene la pasta, senza essere troppo asciutto. Se necessario, quindi, potete aggiungere dell’acqua e un po’ di olio extra vergine d’oliva via via che la cottura prosegue.

SANE RAGIONI

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La ricetta può essere una valida alternativa vegetale al classico ragù di carne, tipicamente proposto nei menù dei bambini Le lenticchie sono un’ottima fonte di proteine di origine vegetale: i legumi andrebbero consumati regolarmente in alternanza agli altri tipi di proteine Il ragù di lenticchie, per la sua dolcezza e delicatezza, può aiutare i bambini a prendere confidenza con questo alimento così da favorirne il consumo anche in altre ricette


Tecniche di cucina

L’ORTAGGIO MAGICO “La zucca gialla non canta, non suona e non balla, ma per chi sa cucinarla canta, suona e balla” Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo

di Anna Maria Pellegrino

LA STORIA La zucca è un ortaggio dono che la scoperta delle Americhe fece all’Europa anche se, a dire il vero, già Greci e Romani conoscevano delle varietà di zucca delle quali gli Etruschi erano avvezzi utilizzatori: sia Plinio che Dioscoride ne erano dei grandi estimatori, tanto da definire questo semplice ortaggio “refrigerio della vita umana, balsamo dei guai”. Per i Conquistadores Spagnoli fu una novità, assieme al mais e al cacao, anche se le popolazioni peruviane la conoscevano e l’utilizzavano fin dal 1200 a.C.: rivestiva infatti un ruolo molto importante nell’alimentazione delle popolazioni andine prima e indiane poi, qualità che i coloni europei impararono a conoscere, unitamente agli utilizzi e ai metodi di coltivazione.

CREMA DI ZUCCA Crema di zucca violina semplicemente lessata al naturale, senza conservanti o coloranti. Ideale come base per gnocchi, lasagne, risotti, crespelle, zuppe, dolci, torte salate. Da provare sulla pizza al posto del pomodoro magari abbinata ai funghi porcini e al Castelmagno. cod 96216 | vaso da 290g confezione da 6 vasetti cod 96217 | cremasugo | busta da 600g

LE PROPRIETÀ La zucca presenta un bassissimo contenuto calorico, visto che praticamente non contiene grassi, è molto ricca di vitamine A e C e di oligoelementi fondamentali per l’organismo come calcio, fosforo, sodio, potassio e ferro; la curcubitina presente al suo interno è un ottimo vermifugo, calmante per le infiammazioni dell’apparato digerente, mentre succo e polpa insieme possono essere utilizzati come diuretici. Dai semi di zucca si ricava un olio che può essere utilizzato nell’alimentazione e per curare le infiammazioni della pelle e con la polpa cruda si ottiene un’ottima base per la preparazione casalinga di maschere di bellezza tonificanti e illuminanti. Inoltre la zucca è un ortaggio a “spreco-zero” e della quale non si butta via nulla, come ben sapevano i mercanti dell’antica Roma che riuscivano a trasformarla, una volta svuotata ed essiccata, in un prezioso e resistente contenitore. LE VARIETÀ A parte quelle piccole ornamentali che sempre più spesso troviamo nei mercati

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per arredare la nostra casa in autunno, le varietà di zucca sono davvero molte: Butternut o noce di burro, Big Max, Lunga di Napoli, Mammoth, Montovana, Marina di Chioggia, Pasticcine gialle, Turbante turco e infine la mitica Jack O’Lantern, coltivata principalmente per la festa di Halloween, in quanto si svuota e si lavora molto facilmente per consentire l’alloggiamento di candele e lanterne. In realtà, fin da tempi immemori, era consuetudine in occasione dell’Equinozio d’autunno, e con la conseguente chiusura delle attività agricole in vista dell’inverno, porre alle finestre delle abitazioni, e ai confini con i boschi che circondavano i villaggi, zucche svuotate e trasformate in lanterne così da “indicare la strada” ai cari familiari defunti che avrebbero protetto i campi e i semi durante l’inverno, consentendo splendide fioriture e ricchi raccolti in primavera e in estate. IN CUCINA Naturalmente la zucca sa essere preziosissima anche in cucina e diventare protagonista di moltissimi piatti: pensate ai tortelli mantovani, alla zucca al forno arricchita con uvetta e pinoli della tradizione gastronomica ebraica, ai morbidi risotti, ai profumati sformati, ai colorati gnocchi e alle golose frittelle di zucca fritta. E naturalmente non ci si poteva scordare dell’aperitivo dove i semi di zucca, tostati e salati, diventano un goloso snack. LE RICETTE Il menù proposto oggi è un goloso omaggio alle qualità trasformiste della zucca che, convertita in polpa, diventa una quiche rustica dal sapore autunnale, un’elegante vellutata profumata di mare e un Pumpkin Bread, un pane umido e aromatico, vecchia ricetta del Maine, che non manca mai sulle tavole delle Feste ed è anche usato come piccolo dono da portare quando si è ospiti di amici e parenti.


ZUCCA, FUNGHI, TALEGGIO, MONTASIO: LA QUICHE “WHAT ELSE” PORTATA: secondo piatto o piatto unico DOSI: per 8 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ più il riposo COTTURA: 40’ circa INGREDIENTI PER LA BASE 150 g di Petra 5 150 g di Petra 9 150 g di burro 1 uovo e 1 tuorlo INGREDIENTI PER IL RIPIENO 250 g di crema di zucca DelSanto 180 g di funghi prataioli DelSanto 200 g di Taleggio 150 g di Montasio stravecchio 50 ml di latte 2 uova bio sale (poco) pepe nero macinato al momento semi di zucca per finitura

PROCEDIMENTO Lavora la pasta brisè: nel frullatore mescola il burro con la farina fino a ottenere un composto sabbioso, aggiungi le uova sbattute e lavora ancora per qualche secondo. Forma un panetto con il composto, avvolgilo con la pellicola e fai riposare in frigo per 2h. Nel frattempo prepara la farcia: cubetta il Taleggio, grattugia il Montasio, sbatti appena le uova con il latte. In una ciotola mescola la polpa di zucca e i funghi, aggiungi un cucchiaino di foglioline fresche di timo e 100 g di Montasio, unisci il composto di uova e latte e infine aggiungi il Taleggio. Profuma con il pepe e regola di sale, se necessario. Stendi l’impasto con il matterello e fodera una tortiera di 24 cm, distribuisci il Montasio rimanente e decora con una manciata di semi di zucca, se graditi. Inforna nel forno statico già caldo a 180° e cucina per 40’ o fino alla doratura della superficie.


VELLUTATA DI ZUCCA CON ROLL DI GAMBERONI E LARDO CROCCANTE PORTATA: primo piatto DOSI: per 8 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 15’ più il riposo COTTURA: 10’ circa INGREDIENTI 500 g di crema di zucca DelSanto 100 g di patata lessata e passata allo schiacciapatate da 4 a 12 gamberoni da 12 a 24 fette di Lardo di Colonnata Igp, tagliato sottile (dipende dalle dimensioni dei gamberoni) 30 ml di brandy olio evo Pepe nero di Timut Sale in fiocchi di Cipro Essenza di rosmarino Pri.Ma Bio

PROCEDIMENTO Pulisci i gamberoni, elimina il budello interno, asciuga con carta assorbente, disponili sopra un piatto, spennella con un filo d’olio e profuma con il pepe. Copri con la pellicola e riponi in frigorifero per 15’. Nel frattempo in una casseruola dal fondo pesante scalda 1 cucchiaio di olio evo, tosta le teste e i carapaci dei gamberoni per 5’, sfuma con il brandy, aggiungi un litro di acqua fredda, porta a bollore e continua la cottura per 10’, filtra e metti da parte. Affetta il lardo in fettine sottili ma “maneggiabili”. Avvolgi i gamberoni con il lardo e dora i roll così ottenuti in una padella antiaderente, o in una pentola di ferro molto calda, per 2/3 minuti, aiutandoti con una pinza. Metti da parte al caldo. Nella stessa padella, profumata con il grasso del lardo, scalda la crema di zucca, aggiungi la patata, allunga a piacere con il fumetto di pesce, regola di sale e di pepe, porta a bollore per 1’,mescolando bene. Distribuisci la vellutata nelle fondine, continua con i gamberoni (da uno a tre a commensale), spruzza l’essenza di rosmarino per una volta e servi caldo. VALSANA | 38


PUMPKIN BREAD: IL PLUMCAKE CON CREMA DI ZUCCA SPEZIATA PORTATA: dessert DOSI per 8 persone DIFFICOLTÀ: media PREPARAZIONE: 15’ COTTURA: 1 ora circa INGREDIENTI 290 gr di crema di zucca DelSanto 250 g di Petra 9 250 g di zucchero di canna 120 g di burro 2 uova bio (100 g) 1 cucchiaino di cannella in polvere 1 cucchiaino di fava tonka in polvere (1 fava intera) 1 cucchiaino di lievito per dolci (8 g) 1 cucchiaino di bicarbonato (8 g) un pizzico di sale mandorle a lamelle e zucchero a velo per la finitura

PROCEDIMENTO Porta il forno statico a 190° e ricopri uno stampo rettangolare di 22 cm di lunghezza con carta forno. Mescola la crema di zucca con le spezie. Setaccia la farina con il lievito, il bicarbonato, il sale così che queste si amalgamino bene. Monta il burro con lo zucchero per qualche minuto fino a ottenere una crema morbida, aggiungi la crema di zucca e le uova, una alla volta. Infine, sempre mescolando, unisci la farina, un po’ alla volta. Riempi lo stampo con il composto ottenuto, ricopri con le mandorle a lamelle e cuoci nel forno statico già caldo per almeno 1h o fino alla prova stecchino: i primi 15’ a 190° e successivamente a 170°. Sforna, fai raffreddare sopra una gratella e servi spolverando con zucchero a velo e qualche ciuffo di panna fresca appena montata o panna acida, a gusto.

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Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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