Venezia News n. 250 Dicembre2020/Gennaio2021

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:coverstory Un anno da pinguini

Oggi parlerò una lingua difficile ma il momento è giusto. Incrocerò il viaggio e l’avventura nel mondo con il viaggio e l’avventura nella vita. Qualcuno capirà, qualcuno potrà intuire e qualcuno, solo qualcuno, percepirà anche ciò che si nasconde tra le righe: la musica delle parole che insegue quella della mia esistenza, fantasia. Non ricordo quante volte sono stato nell’Artico e nell’Antartide e nelle mille isole ghiacciate mobili e immobili al di là del circolo polare, ora con lo sguardo a Polaris, la stella dell’Orsa Minore, ora alla volta celeste dell’Orsa Maggiore. A volte fa così freddo che un centimetro di pelle scoperta ti lascia in pochi minuti una cicatrice dentro e una fuori: una sulla pelle e una nell’anima. Il ricordo e forse anche la nostalgia del dolore è un incredibile pacemaker del tempo che passa scandito da piccoli e grandi fatti durante il giorno e la notte, tra luce o buio senza fine. Dolore per non dimenticare, dolore per sentire, dolore in cambio di nulla: ma così è la vita. Così racconterò con immagini, parole e suggestioni, anche diverse, dell’altrove, dell’Antartide.

© Nico Zaramella Worldwide Reserved

Non ci sono digressioni enciclopediche perché tra le immagini e le parole si nasconde anche il mio Antartide: un mondo puro e “quasi” intoccato eppure già graffiato da cacciatori del più grande ed emozionante essere vivente: la balena e che non sazi di strage e sangue rubano in questo Continente perfetto anche il krill, il cibo dei pinguini e dei grandi cetacei. Penso non esista maggiore abiezione di rubare il cibo a chi altro non ha.

di Nico Zaramella Un giorno infinito o brevissimo, sole, neve, ghiaccio e rocce. Ghiaccio sotto e ghiaccio sopra: tempeste di ghiaccio finissimo, uno scrub gratuito nelle più grandi ed indescrivibili “spa” del pianeta. In una piccola barca nella cuccetta di fianco alla mia dormiva John. Alle due, due e mezza di notte, mi diceva nel suo impeccabile e morbido inglese «…Nico... don’t you think it’s time for a cup of tea ???...». Forse era un modo gentile per condividere il mio russare notturno o forse solo l’emozione dell’attesa che non fa dormire. «…Why not ???…» non era certo una sfida ma un atto d’amore. Era sollevarlo da un peso e la voglia di parlare con lui del perché e per come eravamo nell’Antartide, a decine di migliaia di chilometri da casa, e per discutere, almeno per un’ora, di filosofia della fotografia. Si perché dopo, nella notte, in quel buio frustato dal ghiaccio, avremo tentato tra onde più alte di una piramide e vento più duro della pietra di sbarcare proprio lì, lì che ora non si vede, dopo una disperata corsa per due


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