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“Björk Discografia 1993 - 2017” di Giorgio Ferroni pag
Björk: discografia 1993 - 2017
di Giorgio Ferroni
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Quando il Direttore ha messo in campo il tema Bjork abbiamo parlato in redazione del suo ruolo artistico, che, come quello di tutti gli artisti importanti, suscita molta discussione. Per mettere subito in campo un minimo di dibattito, vorrei partire dall’opinione del giornalista Piero Scaruffi, opinione che non condivido a pieno, ma che comunque ha degli elementi molto interessanti e che consiglio di leggere sul suo sito. Estrapoliamo dunque una sua frase molto forte che potrebbe fare rizzare i capelli ai talebani dell’indie rock e affini e che potrebbe essere un utile stimolo al dibattito. “Madonna è il simbolo dell'alternativa, della provocazione, dell'affronto, e, in una parola, dell'estetica punk, Björk è il simbolo del mainstream, dell'allineamento, della condiscendenza, e, in una parola, del riflusso borghese seguito al punk. Bjork non shocka il pubblico: lo intrattiene.” (Nda la recensione sottolinea anche molti commenti positivi al suo lavoro a partire dall’ovvio apprezzamento per la sua vocalità) Björk si manifesta artisticamente nel mondo della musica indipendente, inizia a incidere con l’etichetta dei Crass, con gli Sugarcubes incide per la One Little Indian, con cui continuerà poi a lavorare anche da solista. La One Little Independent Records è nata per iniziativa dei membri di alcuni gruppi anarco punk sulle ceneri dell'etichetta punk Spiderleg Records; ha pubblicato i dischi di: Kitchens of Distinction, Sneaker Pimps, The Shamen, Skunk Anansie, Chumbawamba e, ovviamente The Sugarcubes e Björk. Credo che il ragionamento complessivo di Scaruffi sia condivisibile solo in parte, nel senso che per quanto mi riguarda intrattenere il pubblico con una proposta musicale che ingloba elementi della musica indie non è un disvalore, perché introdurre nel mainstream elementi di novità è un valore aggiunto che non sta nella facoltà di chiunque; poi la provocazione a prescindere come elemento artistico non mi convince da molti anni e che Björk ha dato prova di essere un carattere forte e fuori dagli schemi, sia personalmente che musicalmente, ma di questo parleremo poi. I primi album della carriera di Björk si collocano grosso modo in un ambito legato alla musica indie/pop del momento, con una forte influenza della scena elettronica indipendente inglese. Con il tempo si sposta poi in un contesto che si stacca da quel mondo, approdando verso una composizione che ingloba alcuni elementi della musica colta e della ricerca, questo anche con l’uso di strumenti e tecniche inusuali. Il tutto in un contesto comunque Popular, che garantisce la fruibilità e la gradevolezza della sua musica. È proprio questo che le permette ad esempio di comporre il tema per le olimpiadi o di essere una vera icona dell’arte contemporanea, non solo musicale. Non è così scontato fare per la prima volta la protagonista in un film e vincere un premio a Cannes, queste cose accadono solo se si ha un talento naturale e Björk ce l’ha... Se dovessimo pensare all’elemento caratterizzante della proposta musicale di Björk è evidente che ci rivolgeremmo alla sua vocalità, che è unica, capace di passare dal sussurro ad un grido selvaggio e al tempo stesso estremamente controllato, è quello che credo si possa definire “Crescendo alla Björk”. Ha una tecnica vocale eccezionale ed un’espressività unica che rende i suoi lavori inconfondibili fin dalla prima nota del cantato. Bjork è dunque una cantante prima che una musicista, non ha una band stabile con cui si accompagna e questo fa sì che il risultato del suo lavoro sia mutevole nella forma e indubbiamente legato alle interazioni con i vari produttori che si sono susseguite negli anni e con le innumerevoli collaborazioni sparse qua e là. Fra queste possiamo citare: Nellee Hooper; Jah Wobble; Tricky; il poeta islandese Sjón; i Matmos; Mike Patton, Robert Wyatt; Timbaland, I Kokono n. 1 e molti altri. Ciò detto possiamo definirla una cantautrice, ma è certamente una cantautrice atipica. Nella composizione si può avere come elemento su cui costruire la canzone la musica su cui si adatta il testo, oppure nel caso dei cantautori si parte dal contesto narrativo del testo su cui si crea un arrangiamento di accompagnamento. Björk nella composizione delle sue canzoni parte certamente dalla sua voce, ma dalla voce intesa come elemento musicale prima che narrativo; la sua voce È uno strumento musicale, unico per timbro e per dinamica ed è il perno su cui costruisce la sua composizione, ovviamente questo è il suo punto di forza e al tempo stesso il suo limite. Nella prima parte della sua carriera manifesta una vocalità unica, selvaggia e spesso al limite dell’urlo primordiale, nell’ultima parte della sua carriera questo lato selvaggio viene ovviamente meno ed emerge anche un certo manierismo che tende a non mettere in campo significativi elementi di innovazione. Non sono certo opere disprezzabili, tutt’altro, compone ed interpreta
sempre brani estremamente curati e con suoni stupendi, ma il guizzo che emoziona manca da qualche anno, anche se ci sono in ogni album ottime canzoni. Bjork ha una discografia ampia e complessa, con molte raccolte e singoli che vengono espansi con varie versioni dello stesso pezzo (vedi “Bacholerette Two” che contiene 7 versioni dello stesso brano e dura circa 37 minuti); ha anche realizzato diverse versioni live dei suoi album in studio (ci sono due versioni live di “Vulnicura” di cui una versione acustica) e ha inciso due colonne sonore (“Selma Song” per “Dancer In The Dark”, di Lars Von Trier nel 2000; “Drawing Restraint 9” nel 2005) e un bel numero di versioni rimixate. Dunque in questa sede escludiamo (in accordo con il direttore) i live, le colonne sonore, raccolte et... tecnicamente Bjork esordisce praticamente da bambina, con un disco del 1977 pubblicato solo in Islanda che comprende standard pop e canti popolari islandesi. Un ultimo avviso importante agli jihadisti del Rock, che in base a questo possono decidere se continuare a leggere o no: in questi dischi non ci sono chitarre elettriche.

L’esordio solista significativo è “Debut” (1993, One Little Indian Rec., CD, UK, TPLP31 CDL) , è un album esuberante che rivela al mondo un’artista che ha un’urgenza espressiva pazzesca che stava stretta nel mondo del punk/indie/ rock da cui proviene. È un esordio che non lascia indifferenti la critica e il pubblico arrivando velocemente nelle classifiche europee e statunitensi. L’album si apre con il singolo “Human Behaviour”, che è un buon manifesto del modo di Björk di intendere la musica, è un brano ritmato e molto percussivo, con i timpani in bella evidenza e con diverse incursioni di elettronica, non ci sono chitarre elettriche; insomma per essere chiari siamo lontani dal rock (questo nell’ipotesi che il termine significhi ancora qualcosa). “Human Behaviour” è cofirmato dal produttore inglese Nellee Hooper così come gli altri brani “Violently Happy”, “Big Time Sensuality” e “Crying” che condividono lo stile collegato al mondo dell’alternative dance (Leftfield et...). “Big Time Sensuality” è anche il singolo ballabile che ha fatto conoscere Björk sul mercato americano tramite il suo video girato a New York. Quando Bjork arriva su MTV la sua immagine unica la rende subito un’icona della musica indie degli anni 90. Anche se lo stile di cui sopra è sicuramente il biglietto da visita del suo esordio bisogna ricordare che Debut è indubbiamente un lavoro articolato con diverse soluzioni musicali, in generale i brani scritti solo da Björk sono più dilatati e meno ritmici: ad esempio il secondo singolo dell’album è Venus as a Boy, in cui il ritmo rallenta e abbiamo un accompagnamento d’archi su una base elettronico/percussiva che sottolinea una Björk che mette in campo tutta la sua dinamica vocale e la sua abilità melodica. Lo stesso mood e le stesse soluzioni le troviamo nella stupenda Come to me. Questo uso combinato degli archi e dell’elettronica sarà anche in futuro uno degli archetipi delle soluzioni sonore di Björk. “Aeroplane” è ancora un brano lento che sostituisce però gli archi con i fiati che danno alla canzone un retrogusto jazz molto riuscito. Abbiamo in scaletta anche una cover, si tratta della canzone “Like Someone In Love” che è stata scritta nel 1944 da Johnny Burke e James Van Heusen per il film “La bella dello Yukon” ed era stata al tempo cantata da Dinah Shore, Björk la riprende con una grande delicatezza facendosi accompagnare da un’arpa. La chiusura dell’album è affidata ad una specie di racconto per bambini che narra del mare: “The Anchor Song”, che è accompagnata solo da qualche inserto di un gruppo di fiati. “Debut” è senza dubbio un ottimo risultato, fra i migliori di Björk ed in generale degli anni ‘90. Fermandoci un attimo a riordinare le idee si nota come in “Debut” ci siano già quasi tutti i riferimenti musicali e in generale artistici che Björk metterà in campo nella sua carriera, come compositrice ed interprete: c’è un forte rimando all’infanzia (il video di “Human B.” fa riferimento alla fiaba dei tre orsi) e ad un immaginario in cui sono sempre presenti i grandi spazi e gli elementi naturali; l’immagine più frequente per descrivere l’immaginario suscitato da Björk è quello della fatina, o dell’elfo, che ha dentro di sé una magia primordiale, questa grande energia ancestrale prorompe attraverso la sua voce che sa sussurrare come la brezza marina o urlare come la tempesta, al tempo stesso la fatina islandese ha saputo però scendere in città per afferrare e padroneggiare le modernità e la tecnologia. Musicalmente c’è un c’è un’attenzione alle novità e alla sperimentazione sonora, ma ci sono anche dei solidi riferimenti alla musica classica ed al jazz. (Björk ha realizzato anche un disco jazz molto interessante nel 1990, “Gling-Gló” accreditato a Björk Guðmundsdóttir & Tríó Guðmundar Ingólfssonar in cui si dimostra un’ottima interprete).
“Post” (1995, One Little Indian Rec., CD, UK, TPLP51 CD) bissa il successo del suo predecessore, anche se complessivamente è un disco un po’ meno riuscito. “Army Of Me” apre il disco ed è una bomba sostenuta da un giro di basso intenso fatto con il sintetizzatore, che sta dalle parti dell’industrial rock, stile NIN, tant’è che verrà coverizzata anche dagli Helmet (ndr una brutta versione). Il secondo brano cambia completamente l’atmosfera, “Hyperballad” è una
bellissima ballata elettronica (“We live on a mountain, Right at the top, This beautiful view , From the top of the mountain), l’atmosfera eterea continua nel terzo brano “The Modern Things”, cofirmato (come “Army Of Me”) dal produttore Graham Massey già membro degli 808 State (gruppo elettronico di Manchester).

La quarta traccia (uno dei singoli più ascoltati e venduti) è “It's Oh So Quiet”, una briosa cover di un brano jazz del 1948, “Und Jetzt Ist Es Still”, eseguito da Harry Winter e scritto da Hans Lang ed Erich Meder interpretato anche da Betty Hutton; è una canzone divertente che gioca sul senso del titolo alternando sussurri ed esplosioni vocali in cui Björk è accompagnata da una vera big band, ovviamente è un po’ decontestualizzata rispetto al suono e all’immagine iper modernista del disco, ma ha il pregio di evidenziare ancora una volta la sua passione per il Jazz e la sua duttilità interpretativa. Dopo questo momento di disimpegno incontriamo ancora un brano che si colloca dalle parti di “Army Of Me”, dal titolo “Enjoy”, anche questa traccia in sede di produzione coglie uno dei trend musicali del momento con l’atmosfera pesante, le ritmiche elettroniche serrate e le voci effettate stile Nine Inch Nails, (“The Downward Spiral” dei NIN è del 1994), qui però ovviamente di chitarre elettriche non c’è nemmeno l’ombra. Da questo clima cupo si atterra poi su “You've Been Flirting Again”, un lento orchestrato con archi e da qui passiamo ad un classico del repertorio “Bjorkiano”, il brano “Isobel”: base elettronica, orchestrazioni, grande interpretazione vocale. Il testo ha degli evidenti rifermenti ad una storia di solitudine vissuta all’interno di una relazione di coppia (“My name Isobel, Married to myself, My love Isobel, Living by herself”). “Post” è un disco molto venduto e di grande impatto da cui si pubblicheranno ben sei singoli, fra cui il lento “Possibly Maybe” e la ritmata “I Miss You”. “I Miss you” ha un incidere quasi tribale nelle sue percussioni etniche a cui nel finale si sovrappongono dei fiati. L’album si conclude con due brani con arrangiamenti minimi e atmosfere lente, per mio conto poco incisivi: “Cover Me” per voce, arpa e clavicembalo; “Headphones” per elettronica minimale, cofirmato da Tricky. Terzo album e terzo centro consecutivo: “Homogenic” (1997, One Little Indian Rec., CD, UK, TPLP71 CD). In questo disco c’è un mood quasi classico in chiave post moderna, a partire dalla copertina che sembra una Madama Butterfly ambientata nella Los Angeles di Blade Runner. È un disco con sprazzi epici, che certamente sancisce una definitiva maturità artistica, le canzoni degli album precedenti erano spesso cofirmate dai vai produttori/artisti di cui Björk si è sempre circondata, tra l’altro scegliendo sempre molto bene le sue collaborazioni. In “Debut” le opere attribuite alla sola Björk erano 5 su 11 tracce, mentre in “Post” erano 4 su 11; le 10 canzoni di “Homogenic” sono per 8/10 scritte da Björk , con la collaborazione del poeta islandese Sjòn nella scrittura dei testi di “Joga” e “Bachelorette” (i due pezzi migliori dell’album con “Hunter”). L’introduzione è “Hunter”, una specie di versione elettronico futurista e cantata del Bolero di Ravel con un testo che parla di come il viaggio/la ricerca non finiscano mai, come Ulisse che dopo essere tornato a Itaca salpa nuovamente verso “una terra dove non si conoscono il mare e le navi e dove non si condiscono i cibi con il sale”. “Joga” è un altro cavallo di battaglia del repertorio, di Björk nel suo classico stile che mischia l’elettronica con gli arrangiamenti d’archi. (“Emotional landscapes, They puzzle me Then the riddle gets solved, And you push me up to this State of emergency… Paesaggi emotivi, Mi lasciano perplessa, Quindi l'enigma viene risolto e mi spingi fino a questo stato di emergenza…”) è una canzone ariosa e anche il suo video clip è una sequenza di panorami ripresi in volo in cui non c’è la presenza umana, una canzone su tutto quello che separa il cielo e la terra. Il terzo brano “Unravel” mantiene questa atmosfera quasi operistica ed è mixato con continuità nella quarta traccia, “Bachelorette”, uno dei migliori brani di Björk di incredibile pathos; una di quelle canzoni che assurgono immediatamente allo status di classico (“I'm a fountain of blood, In the shape of a girl, You're the bird on the brim, Hypnotized by the Whirl”). Nel video clip si sviluppa una storia molto particolare in cui Björk è rappresentata come una scrittrice che ha scoperto un libro che inizia a scriversi da solo, seguendo le indicazioni del libro incontra un editore e si innamora di lui, diventando famosa, ma in seguito il rapporto finisce e le parole del libro si cancellano.

Dopo questa introduzione epica si ritorna in un ambito decisamente più personale ed intimo con “5 Years” (“'Til after five years, If you'll live that longm, You'll wake up, All loveless”) che pare sia stata ispirata dalla fine della relazione con Tricky. Il brano sfuma (anche qui con continuità) in “Immature”, che probabilmente mette ancora in musica il lato privato, e certo non semplice, della cantante (“Come ho potuto essere così immatura? Da pensare che lui potesse rimpiazzare la parte che manca in me. Che incredibile manifestazione di pigrizia, la mia!”). Il ritmo elettronico risale poi con le ritmate “Alarm Call” e “Pluto”. La chiosa del disco è “All Is Full Of Love” che è nuovamente un pezzo lento ed importante, è il singolo del famoso video clip con i due robot femmina che si baciano. Il video è diventato un'installazione permanente al Museum of Modern Art di New York ed ha ricevuto numerosi premi. La particolarità è che il video dovrebbe essere visto al contrario come indicato dallo scorrere dell’acqua nel video stesso, quindi l’epilogo è che i due robot vengono separati e smontati, il testo è dedicato (come ovvio) al tema dell’amore come valore assoluto, ma il video mostra in realtà la fine di una relazione e il trauma della separazione che è uno dei temi portanti del disco; disco che è complessivamente un gran bel risultato artistico a 360°, ricercato e molto ben prodotto.

Per ascoltare il seguito di “Homogenic” occorre aspettare 4 anni, il risultato sarà “Vespertine” (2001, One Little Indian Rec., CD, UK, TPLP101 CD), nel frattempo Björk ha brillantemente debuttato come attrice protagonista in “Dancer In The Dark”, diretto (con tutta una serie di problemi caratteriali fra i due) da Lars Von Trier, del film realizza anche la colonna sonora pubblicata nel 2000 (“Selma’s Songs”). Dopo il successo dei tre album precedenti, “Vespertine” è un disco molto atteso, che lascia alcuni ascoltatori non pienamente soddisfatti, ma per quanto mi riguarda è un disco molto riuscito che va assolutamente ascoltato, da cui verranno estratti tre singoli molto validi: “Hidden Place”, “Pagan Poetry” e “Cocoon”. Anche se Björk ha comunque sempre bisogno di appoggiarsi ad altri musicisti è ormai un’artista matura che ha una sua impronta stilistica che unisce la ricerca sonora e l’elettronica con le orchestrazioni e l’uso di strumenti etnici e/o acustici. I primi due album sono sostanzialmente di musica pop/indie, con diverse hit a volte anche ballabili, ma ormai il suo percorso va verso l’esplorazione sonora e verso musiche non convenzionali e questo va certamente apprezzato. “Vespertine” si caratterizza per la collaborazione con il duo elettronico dei Matmos specializzato in campionamenti di oggetti inusuali che programmerà i brani “Aurora”, “An Echo”, “A Stain” e “Hidden Place”. Altra caratterizzazione è quella messa in campo dalla polistrumentista Zeena Parkins che si occupa principalmente di suonare l’arpa. È un disco che colpisce, un disco più soffuso del predecessore, in cui la musica non prevarica la voce e la sua narrazione, anche perché è piuttosto evidente il volersi rifare alle atmosfere “glitch” di cui i Matmos sono maestri, ma è un disco che nasconde al suo interno una grande intensità narrativa. “Pagan Poetry” è uno dei brani più riusciti e colpisce nel suo contrasto fra il suono soffuso, in cui si distingue un carillon, e un video che mostra scene esplicite di piercing. Nel “Live at Royal Opera House”, pubblicato nel 2002 in DVD, Björk mette in scena un concerto in cui nella prima parte intrepreta le canzoni di “Vespertine” e nella seconda metà i suoi cavalli di battaglia. Qui Björk è accompagnata, oltre che dai Matmos e dalla Perkins, da un’orchestra sinfonica e da un coro di donne Inuit della Groenlandia. Björk è stata la prima artista pop contemporanea ad esibirsi nel prestigioso teatro d'opera londinese. È un video emozionante, assolutamente da non perdere, si trova anche su You Tube e mostra Björk all’apogeo della sua carriera, nel giusto equilibrio fra l’innovazione e il consolidamento di uno stile proprio.
Medúlla (2004, Polydor/One Little Indian Rec., CD, EU,
9867589) è un disco che vira in modo evidente verso il mondo della ricerca vocale, infatti, fatta qualche eccezione per alcune sonorità elettroniche, il pianoforte accennato di “Ancestor”, qualche percussione, e qualche altra piccola cosa qua e là, il suono si fonda sulla sovrapposizione di vari strati di linee melodiche e ritmiche create direttamente con la voce e/o campionando la voce ed elaborandola elettronicamente. Al disco partecipano anche un coro Islandese e uno Londinese. La voce è stato il primo strumento musicale umano e può essere elemento ritmico oltre che melodico, basta pensare al beat boxing che nasce nell’Hip Hop newyorkese, proprio questa tecnica viene sfruttata nel brano “Triumph Of A Heart” (uscito anche come singolo) che vede la partecipazione dei beatboxers Rahzel dei The Roots, Gregory Purnhagen e Dokak. Il primo singolo del disco “Who Is It” (“Carry My Joy on the Left, Carry My Pain on the Right”) era stato in realtà scritto per l’album precedente ed infatti se si fa un po’ di attenzione si coglie come il sound percussivo glitch della versione pubblicata in “Medulla”, lo distingue in modo abbastanza netto dalle altre tracce. La versione singola che si ascolta nel video clip è diversa perché l’accompagnamento è fatto da una serie di campanelli che (nel video) fanno parte del vestito di scena di Björk e dei bambini che la accompagnano.

Possiamo in sintesi considerare Medulla un lavoro sperimentale sulla vocalità umana. Björk ha sempre messo in campo una grande voglia di sperimentare, soprattutto con il suo strumento principale che è la voce. Se si parla di sperimentazione vocale vengono di solito in mente i lavori solisti di Demetrio Stratos e magari “Vena Cava” di Diamanda Galas; ma, al contrario degli artisti sopracitati, l’approccio di Björk in “Medulla” non perde mai di vista lo scopo di realizzare delle canzoni prima che delle sperimentazioni. È ovvio che realizzando un disco del genere si realizza principalmente un esercizio di stile, anche perché è evidente che se ti autolimiti su un progetto musicale inevitabilmente limiti anche la sua fruibilità, che diventa difficile, a meno che non si sia degli esperti di canto corale. Ciò nonostante l’esercizio di stile funziona molto bene, anche se ovviamente superato l’apprezzamento per l’idea e per la grande maestria nell’assemblare e manipolare le voci attraverso le tecnologie, resta il gesto e l’intenzione, ma l’ascolto in alcuni tratti può diventare un po’ faticoso (“Oll Birtain”, “Sonnets”). Restano in ogni modo dei risultati veramente apprezzabili, che danno un senso all’impegno di un ascolto non immediato. Ad esempio anche la canzone “Where Is The Line” è assolutamente da ascoltare ed è molto significativa della qualità del lavoro di Björk; tecnicamente lo potremmo classificare come un brano a cappella, ma è un coro con un insieme di voci di registri diversi ottenuti anche con l’elaborazione elettronica. “Vökuro” è un altro brano bellissimo dal sapore gregoriano composto da Jórunn Viðar, pianista e compositore islandese, adattato da Björk in una versione per sole voci, mentre il testo è l'ambientazione di una poesia di Jakobína Sigurðardóttir. Il brano “Oceania” è stato scritto appositamente per la cerimonia di apertura della XXVIII Olimpiade ad Atene ed ha avuto una nomination ai Grammy Award del 2005. Hanno partecipato il coro londinese, il beatboxer inglese Shlomo e Robert Wyatt che compare anche in “Submarine”.
“Volta” (2007, One Little Indian Rec.,CD DIGIP., UK, TPLP460CD)
è un album, non apprezzatissimo dalla critica, che rientra in una dimensione un po’ meno concettuale del suo predecessore, è un lavoro certamente di più facile ascolto, ma che mette comunque in campo una serie di soluzioni musicali veramente ampia e non certamente fedele all’ortodossia del pop. Ad esempio, nel singolo “Earth Intruder”, che apre il disco, troviamo una miriade di percussioni di varie tipologie (al disco partecipa il gruppo di percussionisti africani Kokono n.1), queste realizzano un clima quasi tribale per sostenere una canzone sul tema del rapporto uomo natura (che è un classico di Björk). Nella seconda traccia “Wandelast” si nota la presenza di una sezione di ottoni femminile islandese, e questo uso degli ottoni sarà un altro degli elementi caratterizzanti il disco, c’è uno dei consueti usi delle percussioni elettroniche ed è un’ottima produzione musicale, anche veicolata da un video clip che vale veramente la pena di vedere. Altro risultato molto riuscito è la solennità della magnifica terza traccia “The Dull Flame Of Desire” in cui sono ancora gli ottoni a sostenere le voci. Questa canzone è un duetto con il cantante Antony Hegarty in cui le parti vocali sono costruite con un grande lavoro di stratificazione di diverse melodie vocali, un po’ come succedeva in “Medulla”. Il testo è la traduzione di una poesia del poeta russo Fëdor Ivanovič Tjutčev. Antony torna anche nella traccia che conclude l’album, la delicata “Juvenile”. La quarta traccia: “Innocence” è il secondo singolo dell’album ed è stata scritta oltre che da Björk anche da Timbaland che è uno dei produttori del disco (i produttori accreditati sono Mark Bell, Timbaland, Danja e Damian Taylor) è un bel brano elettronico che rimanda un po’ ai suoi cavalli di battaglia degli anni novanta.
“Volta” è anche un album dove si sfruttano degli strumenti popolari per un rimando all’ambito della World Music: in “I See Who You Are” si usa la pipa, uno strumento a quattro corde della tradizione cinese, suonato da Min Xiao-Fen; mentre in “Hope” si sente la Kora, uno strumento a corda africano che ha un suono che ricorda quello di un’arpa. Vale la pena di citare anche “Declare Independence” che Björk dedicò al Movimento di Indipendenza Tibetano, causando una marea di polemiche con il governo cinese, è un brano che lambi-


Abbiamo già detto come Björk sia sempre estremamente aperta agli sviluppi e alle possibilità della tecnologia, “Biophilia” (2011, One Little Indian Rec., CD, UK, TPLP1016CD) è in questo senso un album manifesto. È uno dei primi “app-album” (certamente il primo di un artista di grande notorietà) ossia un album musicale inserito all’interno di un’applicazione per smartphone o tablet, che consente all’utente di interagire con il materiale artistico presente o di approfondirne la conoscenza con contenuti speciali e multimediali. “Biophilia” è stata anche la prima applicazione ad essere aggiunta alla collezione permanente di un museo, il MoMA di New York. La scommessa è quella di costruire un album di canzoni realizzate in collaborazione con scienziati ed informatici, prendendo come spunto fenomeni naturali e scoperte scientifiche ed usando nuove tecnologie. Ogni traccia è costruita su un tema specifico, come ad esempio i cristalli, il big bang, i fulmini etc… inoltre per ogni tema c’è l’uso di strumenti inusuali (come la bobina di Tesla) o addirittura creati per l’occasione (il "gameleste", un ibrido tra una celesta e un gamelan). Ogni canzone è scaricabile anche come app ed ognuna ha una funzione diversa, ad esempio quella della canzone “Virus”, oltre a fare ascoltare la canzone contiene anche un semplice videogioco in cui si cerca di impedire a un virus di infettare una cellula. L’associazione delle soluzioni sonore con la canzone non è casuale, ad esempio “Thunderbolt” (fulmine) utilizza una bobina di tesla che è un circuito risonante ad alta frequenza, il sistema può produrre delle fulminazioni che a loro volta producono un crepitio che può essere modulato per essere intonato proprio come uno strumento musicale. Le bobine tesla si possono vedere in funzione anche nei live disponibili su YouTube sul suo canale (il video è bellissimo). Il gameleste è usato nella canzone “Virus” che racconta l’amore tra un virus e una cellula "Si tratta di una sorta di storia d'amore tra un virus e una cellula. naturalmente il virus ama la cellula così tanto che la distrugge”. È ovviamente un lavoro concettuale, dove l’idea progettuale sovrasta il lavoro di composizione, (facendo un paragone con la pittura potrebbe essere un quadro di Pollock), di solito queste operazioni sono da apprezzare più per lo spunto che per i risultati, ma pur nella prevalenza del gesto, c’è anche una storia da raccontare, perché comunque parliamo sempre di canzoni e quindi di storie e molte canzoni sono veramente belle, io in particolare adoro “Cosmogony”. Biophilia è diventato poi anche un progetto di educazione della città di Reykjavík e dell’università islandese, rivolto ai bambini per ispirare la loro creatività attraverso la musica e la scienza ed è descritto nel sito https://biophiliaeducational.org/ .
(Ps essendo un insegnante di formazione tecnico scientifica sono naturalmente affascinato da queste operazioni, quindi potrei essere positivamente pregiudiziale…)

“Vulnicura” (2015, One Little Indian Rec., CD DIGIP., UK, TPLP1231CDX) è un album che cristallizza il sound di Björk attorno ad uno dei suoi archetipi, che si potrebbe sintetizzarne la descrizione come: arie d’opera romantiche post moderne cantate su basi elettroniche e arrangiate con l’orchestrazione di una sezione di archi; si fa poi ancora un uso abbondante della sovrapposizione dei suoi vocalizzi, in stile “Medulla”. Il mood del disco è volutamente languido e nostalgico perché il tema è il racconto delle sensazioni di smarrimento provate da Björk dopo la rottura della decennale relazione con il compagno Matthew Barney, da cui ha avuto una figlia, Isadora. Il titolo dell'album fa riferimento alla guarigione dopo il dolore, vulnicura è infatti un neologismo (anche questo uso di neologismi e parole inventate è caratterizzante del linguaggio di Björk) ottenuto mescolando le parole latine "vulnus" ("ferita") e "cura". Dal punto di vista strettamente musicale non è certo una delle opere più riuscite di Björk in una evidente fase di manierismo auto citazionale; più che un disco per il pubblico sembra decisamente una seduta di introspezione
terapeutica, certamente è una delle sue opere più personali in cui rinuncia a raccontare storie e scenari dedicandosi a condividere la sua nostalgia con gli ascoltatori. Proprio per questo motivo è un’opera che può appassionare solo se si crea quel legame speciale fra interprete ed ascoltatore che si trovano a condividere empaticamente il ricordo di un sentimento comune, nel mio caso questo non è accaduto, anche se non si può negare che sia un disco assolutamente intenso nella sua intimità narrativa. “Vulnicura” è un disco scuro e freddo, un lavoro sul rimpianto e sulla necessità di ricostruirsi nella solitudine dopo un addio, basta dare un’occhiata al video clip del brano “Black Lake” per capire cosa intendo. Parlando di video clip vale la pena di vedere anche “Stonemilker” che ha la particolarità di essere stato girato in realtà virtuale a 360°, a sottolineare come Björk non smette mai di confrontarsi con l’innovazione tecnologica e le sue possibilità espressive.

L’album successivo per certi versi sarà il suo opposto, “Utopia” (2017, One Little Indian Rec., CD DIGIP. , UK, TPLP1381CDX) è un disco con atmosfere eteree di cui è buon manifesto il singolo “Blissing Me”, accompagnato da lievi percussioni elettroniche e arpa. Nell’introduzione la voce di Björk lavora su un registro lieve, atipico per la cantante, solo con il procedere del brano si riconosce la sua tipica timbrica. È una canzone dai toni pastello come il suo video clip. Toni che si trovano anche nella title track in cui in un giardino magico Björk canta accompagnata da un gruppo di flautiste. In “The Gate” è una specie di fatina vestita di luce che canta della sua guarigione dalla ferita (“My healed chest wound, Transformed into a gate, Where I receive love from, Where I give love from, And I care for you, care for you”). Così come “Vulnicura” era il disco della ferita da rimarginare per la fine dell’amore, “Utopia” è il disco della rigenerazione dopo la guarigione, quindi in un certo senso sono album gemelli che descrivono due fasi di uno stesso percorso. Dunque in sintesi, pur essendo “Utopia” condotto da un’atmosfera completamente diversa, valgono alcune delle considerazioni fatte per il suo predecessore. Per ora è l’ultimo album di Björk che continua la collaborazione con il produttore Arca, iniziata con il disco precedente. Arca è accreditato come coautore di cinque canzoni sulle quattordici che compongono la tracklist.
In conclusione in una discografia qualche album di Björk non può mancare, se dovessi suggerire degli “imperdibili” sicuramente citerei quantomeno i primi tre con una leggera preferenza per “Debut” e “Homogenic” e con “Vespertine” e “Volta” ad inseguire; consigliando comunque per lo meno l’ascolto anche degli altri.
gi.fe.
