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di Massimiliano Stoto pag
L’uscita, praticamente nel 2021, di due dischi diversissimi fra loro nella concezione, uno è una raccolta, “Aliena” di Giuni Russo, e l’altro la registrazione di un concerto, “Empatia” di Antonella Ruggiero, mi dà l’occasione di parlare di queste straordinarie artiste italiane e della loro voce irreale.
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GIUNI RUSSO Un’ indimenticabile aliena
E già, con la voce che possedeva, a molti, Giuni Russo sarà parsa anche più di un’ aliena. E parecchi di quei molti, se la ricordano, esclusivamente ad ogni scoccare d’estate, quando si ritrovano a canticchiare la notissima “Un’estate al mare” perché “Alghero” è già più difficile e meno popolare. L’uscita di “Aliena - Giuni dopo Giuni” è un’altra bellissima occasione per conoscere questa incredibile artista, la sua musica e le sue bellissime canzoni. Per la sua voce ho invece esaurito gli aggettivi. “Aliena” è una raccolta di dieci pezzi, ne presenta sei rimasterizzati e quattro assolutamente inediti. Avviso per i naviganti, il disco non contiene Hit commerciali del suo passato, ma solo brani editi dopo la sua scomparsa nel Settembre del 2004. Dicevo che quattro di questi sono assolutamente inediti e portano i titoli di “Gli uomini di Hammamet”, che vede Pino “Pinaxa” Pischetola alla programmazione di sequenze e ritmi e Marcello Quartarone alla voce narrante per un testo ispirato da uno scritto di Cosimo Damiano Dingeo, il brano viaggia tra ritmi e atmosfere arabeggianti che rendono perfettamente l’atmosfera del testo. “La forma dell’amore” e “Song Of Naples (O sentiero d”o mare), occupano la po-
ANTONELLA RUGGIERO Nel Bazar della “Matta”
Pensi a Antonella Ruggiero e la prima cosa che ti viene in mente è Matia Bazar, il gruppo in cui ha militato per quindici anni, con cui è diventata famosa e ha scritto canzoni memorabili. Quando al fans medio “indie-rock”, viene in mente Antonella Ruggiero, l’associa a “Ti sento” e si ricorda di aver ascoltato quel pezzo e di non averlo apprezzato poi molto….ma poi, dopo che i Pet Shop Boys ne han cantato le lodi….bè in effetti...ragiona….e pensa: “è un grande pezzo”. Inesorabilità italiche. Antonella Ruggiero da Genova, studentessa d’arte, appassionata di grafica e cantante per diletto, incontra i Jet, in pratica la prima fase dei Matia Bazar, nel 1974 con cui collabora per un suo 45 giri che uscirà con il nome d’arte Matia, termine che in dialetto genovese significa Matta, e con lo stesso gruppo collabora, non accreditata, al disco “Fede, speranza, carità”. Poi nel 1975 nascono i Matia Bazar. I Matia Bazar con Antonella Ruggiero sono stati un gruppo, molto interessante, negli anni passati insieme hanno presentato dischi più che degni, scritti molto bene, con sonorità che cavalcavano benissimo le mode del momento, passando dal progressive al free rock, dalla canzone pop a quella melodica e raffinata, assorbendo sonorità sintetiche e dance. Un percorso, anche commerciale per certi versi,
sizione tre e quattro nella track list. La prima è arrangiata da Stefano Medioli con alla chitarra Riccardo Onori, è una canzone melodica con un drumming sostenuto e slanci liberatori della voce. Questo pezzo è anche presente in una versione demo come ghost track al termine del disco. La seconda è una canzone in dialetto napoletano, dedicata a Pietro, il padre di Giuni Russo. E’ un pezzo atmosferico e sognante dove inevitabilmente la voce ha un ruolo assoluto e con leggerezza sale sul sentiero del mare. Per ascoltare l’ultimo inedito bisogna saltare alla track 10, dove troviamo “Pekino” una serie di vocalizzi che non sono altro che sensazionali improvvisazioni eseguiti nella lingua dell’antica “Opera di Pechino”, che è “solo” patrimonio dell’Unesco. Tutto il disco però ha un taglio “world” che sposa benissimo lo spirito e il canto libero di questa donna aperta a mille influenze figlia di una terra, la Sicilia, che è uno storico crocevia di culture. Così le trame arabe le troviamo anche in “Sharazad”, mentre quelle latine le troviamo in “Para Siempre” e “Non voglio andare via”, nei sapori elettronico gregoriani anni 80/90 di “Cercati in me”, nei passaggi esotici di “La sua voce (Come sei bella)” e infine nella canzone italiana melodica all’acqua di rose, ma di livello, di “Tu che ne sai”. Questo progetto è stato prodotto da Maria Antonietta Sisisi, compagna di una vita di Giuni Russo e co-autrice di moltissime canzoni, in collaborazione con l’Associazione Giuni Russo Arte e la Warner Music. Il disco presenta molti dei collaboratori preferiti da Giuni: l’ingegnere del suono Pino Pinaxa Pischetola di cui ho già detto e di cui vale la pena citare solo due nomi con cui ha lavorato, Battiato e Depeche Mode, per misurarne la statura, il chitarrista Riccardo Onori, il violoncellista Marco Remondini, oltre ad alcuni arrangiamenti di Alberto Radius. E’ una raccolta che di minimo offre il piacere di riascoltare la voce di Giuni Russo, i fans conosceranno gran parte dei pezzi e forse per loro il disco sarà un po’ meno sorprendente, ma i neofiti da “Un’ estate al mare” avranno di che sorprendersi. Fra i tipi da spiaggia che mulinano le braccia sugli “ombrelloni-oni-oni” ho avuto il pregio di annoverarmi anche io per anni, poi ho avuto il piacere di scoprire il podcast ma sempre eseguito con stile e ragione d’essere. Un percorso caratterizzato dalla voce inconfondibile di Antonella, capace di cantare praticamente tutto. Ma voglio partire da “Empatia” il disco dal vivo uscito sul finire del 2020 e poi tornare, sul finire dell’articolo, sui Matia Bazar. Da tempo Antonella Ruggiero ha deciso di esprimersi attraverso scelte artistiche coraggiose, la sua uscita dai Matia Bazar oramai trent’anni fa è stata una scelta non comoda, che l’ha messa di fronte a nuove sfide e soprattutto a rimettersi in gioco artisticamente. Tutto quello che esce a suo nome passa da Libera Music un’etichetta fondata in occasione del suo ritorno al canto nel 1996, dopo una pausa di sei anni, con l’album che porta lo stesso nome “Libera”. Per Libera Music è uscito anche “Empatia” che è l’ottavo album live in dodici anni dell’artista, tutti live molto diversi fra loro a dimostrazione della duttilità esaltante della sua voce. L’occasione per ascoltare questa nuova performance è la registrazione dell’ultima esibizione dell’artista prima del lockdown dell’anno scorso. E’ un concerto tenuto a Padova nella Basilica di Sant’Antonio e dedicato al mondo del volontariato, la scaletta presenta quindici brani del repertorio popolare e sacro. La Ruggiero ha presentato in questa occasione unica, l’inaugurazione di Padova Capitale Europea del volontariato 2020, una scaletta che concede poco al “pop” se non qualche disgressione nel repertorio suo e dei Matia Bazar. C’è “Cavallo Bianco” famoso pezzo dei Matia e poi “La danza”, “Il viaggio” e il brano che portò a Sanremo in solitudine “Echi d’infinito” fra i suoi. Il resto sono canti appartenenti a un genere, direi “spirituale”, che abbraccia pezzi di De Andrè “Ave Maria” e “Creuza de Ma”, l’inno latino “Veni Veni Emmanuel”, “Deus Ti Salvet Maria” canto devozionale di origine sarda o “Respondemos” un’ invocazione in latino eseguita da Antonella Ruggiero nell’ambito di un suo spettacolo di rilettura della musica ebraica, eseguito anche nell’unica sinagoga di Berlino sopravvissuta alla Notte dei Cristalli. La registrazione è molto intensa e focalizzata sull’attenzione dell’ascoltatore, in fase di mixaggio gli applausi tra un brano e l’altro sono stati tolti e gli arrangiamenti dei brani sono stati realizzati cercando di evidenziare gli interventi più significativi di ogni strumento, rendendo il più essenziale possibile ogni esecu-
della rivista “Blow Up”, nella serie “Ripeschiamoli”, dove Piergiorgio Pardo presentava e spiegava quel capolavoro indiscusso che è “Love Is A Woman”, ovvero l’esordio assoluto su long playing e in lingua in inglese, di Giuni Russo, all’epoca Junie Russo. Ma vediamo cosa c’è stato prima del ‘75. Giuni nasce Giuseppa Romeo a Palermo il 10 Settembre del 1951, ma forse era il 7 o il 6, l’approssimazione in casa Romeo era all’ordine del giorno. E Giuni non la digerì mai. Il padre è un pescatore che fa un po’ di fortuna, la madre fa la casalinga anche perché deve badare a dieci figli di cui Giuni è la penultima. Abitano nel quartiere portuale vicino al Teatro Lirico di Palermo, il Politeama. La madre però ha una grande passione che non potrà mai praticare perché sposa il padre di Giuni appena quindicenne: il canto. Canta sempre in casa, potrebbe essere un soprano lirico dicono in molti e Giuni ne resta abbagliata tanto che fin da piccola dirà sempre di voler fare la cantante. Si iscrisse a un corso di chitarra al Conservatorio e si pagò le lezioni di canto del professor Gaiezza lavorando in un fabbrica di aranciata, riempiva le bustine per fare l’aranciata casalinga. Determinatissima trovò modo di esibirsi ben presto in situazioni di fortuna e all’oscuro della famiglia, ma quando fu scritturata la prima volta per ben tremila lire, dopo aver cantato “Girl” dei Beatles, la farsa finì e ottenuto il beneplacito del padre, la carriera finalmente cominciò. Ebbe inizio con l’auto iscrizione al Festival di Castrocaro del ‘66, nella sezione “Voci Nuove”, si comportò benissimo ma non potè partecipare alle finali in quanto troppo giovane. L’anno dopo vinse a mani basse e ottenne un contratto con la EMI. Quando arrivò a Milano nel Dicembre del ‘67, era la terza volta che arrivava in continente, c’era da preparare Sanremo ‘68 e Giuni Russo, all’epoca Giusy Romeo, si mise senza batter ciglio nelle mani dei discografici che scelsero per lei una canzone “No amore” firmata dal duo Intra/Pallavicini ma che in realtà fu proposta da Paolo Conte. Abbinarono la giovane siciliana a Sacha Distel, a quel tempo al Festival si partecipava a coppie, più noto per essere il ragazzo di Brigitte Bardot che per le sue doti canore. La canzone era troppo sofisticata per il pubblico di Sanremo, molto “francese e jazz”, e così Giuni venne eliminata. Nell’estate di quell’anno però si smazza zione. In questo concerto Antonella è accompagnata da Roberto Colombo (vocoder e organo liturgico), Maurizio Camardi autore anche di due brani presenti in scaletta l’iniziale “Nos Padre” e “Armaduk”, lui suona saxofoni, duduk e flauti, e un quartetto di musicisti acustici che si chiama “Sabir” composto da giovani musicisti e che vede Alessandro Tombesi (arpa), Ilaria Fantin (arciliuto), Annamaria Moro (violoncello) e Alessandro Arcolin (percussioni) che nelle bonus tracks eseguono brani autografi. Inutile dire che il concerto e la registrazione è di un livello intenso, chiaramente l’interpretazione esprime una musicalità mirata, altamente spirituale e evocativa, una tecnica pazzesca e poco “divertente”, che necessita di un approccio consono per essere completamente apprezzata e che richiede una predisposizione raccolta e attenta. Non è musica da spiaggia. Ma questo viaggio nella riscoperta della Ruggiero, voce che non poteva assolutamente essere esclusa da un numero tematico sulla vocalità femminile, mi ha fatto scoprire altre cose sulla sua “seconda” carriera. Innanzitutto che la sua vocalità, travalica i confini italici e abbraccia un respiro internazionale che le rende merito e in cui è molto conosciuta e mi ha fatto scoprire un’artista che negli anni non si è mai fermata e ha fatto della ricerca spirituale e musicale una costante della sua arte canora. Mi sono procurato, per avere un riassunto veloce della sua produzione, un cofanetto di sei CD intitolato “Quando facevo la cantante” che in sei sezioni come i CD contenuti, riassume e concentra tanto del lavoro fatto dal 1996, anno del suo ritorno, al 2018. Centoquindici brani che raccolgono registrazioni in concerto e in studio, di brani mai pubblicati finora nella sua discografia. Sezioni che sono divise nelle seguenti categorie: “La canzone dialettale e popolare” che racchiude, tanto per darvi qualche assaggio “Crapa Pelada”, “O mia bela Madunina”, “Tapum” e “Vola Colomba”, “Le mie canzoni” dove ci sono dei pezzi dei Matia con degli arrangiamenti sensazionali p.es. “Vacanze Romane” o “Ti sento” ma soprattutto della sua carriera solista, “La canzone d’autore” dove la Ruggiero prende in carico pezzi come
La cover di “Love Is A Woman”
tutti i vari Festival al termine dei quali parte per un tour in Giappone, remunerativo ma stressante. Al ritorno dall’Asia le cose si complicano. Giuni comincia a sentirsi poco valorizzata dalla EMI, il manager che l’ha voluta viene sostituito, anche se la stessa etichetta la manda in tour negli States nell’inverno del ‘69. Il 1970 la vede barcamenarsi a Milano un po’ in depressione e senza tanti soldi, andrà in tour con Albano e Romina, frequenterà delle politicizzate scuole serali e dentro di sé non coltiva più tante speranze di sfondare anche se ha già fatto l’incontro decisivo sia per la sua carriera che per la sua vita, che la sosterrà fino alla fine. Prima della partenza per Stati Uniti e Canada, infatti, in un locale “proibito”, ha conosciuto Maria Antonietta Sisini. Costei era una ragazza sarda che abitava con la madre a Milano, suonava di nascosto la chitarra in un gruppo e fu semplice per le due ragazze entrare in sintonia avendo la stessa passione. Dopo il tour con Albano e Romina, nell’ ambito di un “riassetto aziendale”, la EMI non le rinnova il contratto. Negli anni successivi fa un po’ la corista per Celentano e per Il balletto di Bronzo, torna a cantare in estate in Sicilia dove è richiestissima ma alla fine decide di emigrare in Germania, dove anche Antonietta la seguirà. L’esperienza dura poco e al ritorno in Italia prende la decisione di provare a cantare la lirica e trova un posto nel coro del Teatro Massimo di Palermo. In questo periodo tutti gli studi con il maestro Gaiezza torneranno a galla e verranno affinati ancor di più, anche se il direttore del coro le ripete che “una voce come la sua è sprecata per cantare in un coro”. Le canzoni che Giuni esegue quando “prova” per la prima volta con il gruppo dove suonava Maria Antonietta furono “Save Me” e “Chain Of Fools” di Aretha Franklin. Aretha e Maria Callas,
pur appartenendo a generi distanti fra loro furono sempre due riferimenti importantissimi per la nostra ragazza siciliana e la dimestichezza nell’uso della lingua inglese fu un altro tassello decisivo. Elemento fondamentale nello sviluppo di quel capolavoro che si chiamerà “Love Is A Woman”. Nel 1974, fu il manager che la convinse a tornare a Castrocaro dopo la prima delusione, Pietro Vitelli, a proporre il suo nome a Alfonso Ponzoni della BASF Italia. La BASF produceva i nastri magnetici delle cassette e voleva provare a il mercato discografico. Decisero di azzerare la carriera di Giuni precedente a quel momento, volevano produrre un disco e un’artista dal respiro internazionale, coniarono il “Impressioni di Settembre”, “Parlami d’amore Mariù”, “La sedia di Lillà” e “Auschwitz”. “Canzoni dal mondo” con “Coimbra” un brano appartenente al genere portoghese del Fado, così come la “Balada do sino”, entrambi sono pezzi portati al successo da Amalia Rodriguez , “Alfonsina Y el Mar” riemersa e conosciuta nei miei ricordi in un disco degli Orsi Lucille di tanti anni fa e il classico evergreen “Summertime”. “Il sacro e il classico” con brani che ripercorrono il senso di “Empatia” e infine “Le stranezze” che è l’ultimo cd del lotto e raccoglie registrazioni di brani eseguiti una volta sola in progetti eccezionali e con collaborazioni uniche. C’è “Papaveri e Papere” con la Banda Osiris, “Madredea” che è un pezzo scritto da Mara Redeghieri per “Recidiva” e interpretato in “Recidiva +” con Antonella Ruggiero. Qui è presente in una versione differente. C’è “L’esigenza” con i Radioderwish, “Aleppo” con Arké String Quartet e una cover pazzesca “Luglio, Agosto, Settembre nero” degli Area al Conservatorio a Milano nel 1999. Per la varietà di stili interpretati, per il livello interpretativo quest’ultimo cd è il simbolo che riassume tutta la ricerca e il lavoro svolto da Antonella Ruggiero in quella parte di carriera che è stata meno popolare ma, visto cosa dice nelle interviste che ho letto, ben più soddisfacente. Libertà d’azione e di pensiero questo è la base della ricerca del lavoro di Antonella Ruggiero, con i Matia Bazar le cose vanno a morire perché la consolidata routine disco, tournèè, passaggi televisi ad un certo punto diventa una prigione. Antonella è negli anni ‘70 una ragazza che ascolta Beatles e Kraftwerk, che è ammaliata dal suono cosmico tedesco, è una che vuole osare, e per certi versi lo farà perché in tanti dischi dei Matia Bazar ci sono perle assolute che meritano di essere riscoperte e che nel tempo non hanno fatto altro che vivere nell’ombra degli innumerevoli “greatest hits” e “essentials”. Sono andato a cercare fra queste raccolte, io ne ho una meravigliosa comprata in autogrill, e alla maniera di Kurt Logan e dei suoi dischi assurdi, partoriti da una fantasia che lambisce il trash, ho eliminato tutte le canzoni top che conosciamo tutti, e ne ho scovate undici, una per ogni disco dei Matia Bazar uscito con Antonella come cantante , che vale assolutamente la pena di riscoprire. E’ obbligatorio partire dai “Io, Matia” il pezzo che in origine era il lato B
Maria Antonietta e Giuni
nome Junie Russo. Giuni e Antonietta composero nove delle dieci canzoni, aiutate nella traduzione da Mike Logan, che compone un brano “Every Time You Leave” a completare la track list. E’ un album che non avrà il successo che tutti si aspettavano, da lì a poco anche la BASF Italia chiuderà i battenti e gli ottimi propositi finiranno per perdersi. Ma come nelle più tristi storie un fiore meraviglioso fu il risultato. “Love Is A Woman” è un disco incredibile per quel tempo, coniuga la voce stratosferica dell’interprete, il soul e il rhythm ‘n’ blues che stanno mutando nella disco, il jazz e pennellate di progressive. Un cosa che per il mercato discografico italiano era un improponibile, distante, aliena. Era veramente un operazione dal respiro internazionale e mostrava un’artista ventiquattrenne che aveva una dannata voglia di imporsi e di cantare. Il senso di straniamento che può salirvi al primo ascolto è del tutto giustificato dalla ammaliante title track e quel flauto traverso che svolazza a “Milk Of Paradise” che parte con assolo prog che lancia la voce, e più avanti è viceversa, e fra le parti un piano jazz lega tutto. Fuori di testa. “Every Time You Leave” è una pezzo di alto livello che non centra nulla con i primi due, ambisce ad essere un pezzo di grande caratura e in parte ce la fa anche se mi sembra che sia l’interpretazione a salvarlo, si sente anche che è l’unico non scritto dalla due ragazze. “Carol” parte come un lento da night club ed esplode nei mille colori della voce. “Suddenly I’m Alone” pare un duello fra sax e voce, ma poi il sax s’arrende, i toni qui sono molto black. “Acting The Part” ha venature jazz e refraim killer. “Give One Reason” ha una struttura d’atmosfera che si fa travolgere dalle impennate furiose di Giuni che qui con la voce, sembra fare del prog, quasi senza controllo. “I’ve Drunk My Dream” sembra un blues ruspante dove Giuni ricama le parole con al voce. Un incantevole nenia sognante. In “If You Wanna Really Say Goodbye” la voce viene accompagnata da un bell’arrangiamento d’archi e la voce esprime tutta la sua potenza in diverse moduladel vero esordio di Antonella Ruggiero, che allora si firmava Matia, il 45 giri che ho menzionato all’inizio dell’articolo e che aveva sul lato A “La strada del perdono”. Il brano finisce anche sull’esordio dei Matia Bazar, è il penultimo del lato B del 33 giri. Sostenuto da chitarre, organo e lieve percussioni è una sfida impari fra l’armonica e i vocalizzi impressionanti di Antonella che esplodono nel finale. Dal secondo LP “Gran Bazar”, che è un taglia e cuci fra brani dal vivo e pezzi vecchi e nuovi, vale la pena ripescare la cover di “Yesterday”. Se l’arrangiamento sembra un po’ scanzonato, vi lascio immaginare cosa succede quando nella seconda parte del brano è lei a liberare la melodia in un finale in technicolor. Il pezzo “E’ magia” in realtà compare in un lontana raccolta del 1983 uscita per la Oxford ed è un pezzo tratto dall’album “Semplicità” del 1978. Grande atmosfera per un brano cantato quasi tutto in falsetto con una classe superiore. Anche il quarto pezzo scelto, “Ragazzo in Blue Jeans” è presente nella raccolta della Oxford che rappresenta molto bene il primo periodo della band. E’ un pezzo tra la ballata e il melodico che sale di forza quando la voce della Ruggiero si fa aggressiva. In questo pezzo si può paragonare la performance della cantante ligure con l’istinto espressivo della prima Bertè, anche se qui l’interpretazione, anche nelle parti più rock, appare più controllata e calibrata. Sebbene più soft e raffinata del brano precedente, “Una persona normale” estratta da “Il tempo del sole”, si distingue per i vocalizzi della parte finale, che liberano la solita tecnica vocale impressionante. “Stella Polare” tratta dal primo disco “elettronico” della band quel “Berlino, Parigi, Londra” del 1982, presenta potenti slanci melodici e aggressivi, contrappuntati a parti liriche che in un disco pop non è proprio semplice sentire e inserire, né allora e nemmeno al giorno d’oggi, che stilisticamente vale tutto o la copia di tutto. “Tango” il disco che contiene l’epica “Vacanze romane”, è un disco che spiazza. Se non ci credete potete accostare il brano più famoso a “Elettrochoc” e poi mi dite. Da questo disco, fra le misconosciute, estrarrei “Tango nel fango” che ripresenta di fatto lo stesso esercizio anni ’50 di “Vacanze Romane” ma con meno fortuna e più ironia. Un gioiellino. Fra i dischi meno popolari
zioni e parti. “Vodka” esprime la felicità del canto, fra il coro iniziale liberatorio, un assolo acido e la voce free che si libera e riprende il tema principale. Torna lo straniamento iniziale e il finale in libertà è sfumato e sembra durare per sempre. Il disco originale ha prezzi folli sul mercato ma per fortuna è stato ristampato diverse volte negli ultimi anni quindi se vi siete incuriositi vi dico che merita assolutamente l’acquisto e l’ascolto. In finale posso dirvi che non voglio passare per l’esperto di Giuni Russo come nell’epoca di internet verrebbe facile farsi passare, ho conosciuto “Love Is A Woman” nei modi che ho detto, ho letto il libro di Bianca Pitzorno uscito per Bompiani e comprato nel tempo solo, “Aliena” e “Armstrong” il disco che nel titolo omaggia proprio il grande Louis, che al Festival di Sanremo del ’68 regalò il bocchino d’argento della sua tromba dopo un duetto improvvisato nella hall dell’albergo dove risiedevano entrambi. Giuni non se ne sbarazzò mai nonostante le altissime offerte ricevute dai numerosi collezionisti. Offerte che in qualche momento avrebbero potuto anche risolverle qualche problema economico. “Armstrong” è un bel disco, presenta i nastri originali, che girarono a suo tempo illegalmente, di pezzi registrati negli anni’80 prima che Giuni diventasse famosa. E’ uscito in doppio cd con i brani riarrangiati da Stefamo Medioli e mixati da Pischetola e nelle versioni originali. In un numero di WN così impostato non si poteva non parlare della voce di Giuni Russo, la sua storia ha un’infinità di altre sfumature che varrebbe la pena di raccontare e di canzoni da scoprire, magari avrò un’altra occasione per parlarvi della sua voce incredibile e di qualche disco in più.
ma.st. ma più belli dei Matia Bazar, c’è “Aristocratica”, un disco impostato dall’inizio alla fine in maniera elettrosynth-pop. Un treno di canzoni che hanno un suono e sono modellate su questo standard. E’ molto difficile trovare uno dei pezzi di questo disco nei greatest hits sull’A1, io vi propongo il brano che apre il disco “Sulla scia” un brano con reminiscenze arabe dove la Ruggiero passa dall’improvvisazione al ritornello pop con la leggerezza di una farfalla. “Melancholia” del 1985 è il disco aperto da “Ti sento”, qui rispetto al disco precedente il suono si perde un po’ e c’è più varietà negli stili dei brani proposti. Da questo disco non brillantissimo non si può non menzionare le modulazioni vocali di “Angelina”, dopo “Ti sento, il brano più complicato vocalmente della raccolta. Introdotto dagli standard classici “Noi” e “Mi manchi ancora” l’album “Mèlo” del 1987 ci offre un gruppo con un suono più robusto. In questo disco non si può prescindere da “Oggi è già domani...intorno a mezzanotte” che non è nient’altro che la cover di “Round Midnight” il famoso pezzo jazz degli ‘40. Eseguito strumentalmente senza fronzoli con un arrangiamento all’altezza, è letteralmente esaltato dall’interpretazione della vocalist. E Infine dall’ultimo disco dei Matia Bazar cantato da Antonella Ruggiero, ossia “Red Corner” non posso che estrapolare “L’era delle automobili”, il pezzo che chiude il disco. Un sogno, un canto, una liberazione che riassume un percorso artistico che ora si può dire compiuto. La ragazza minuta che cantava per diletto e che, almeno all’inizio, è stata autodidatta ha imparato tecnica a iosa, e ora è pronta a camminare da sola. Molto umilmente mi sono immerso nella musica di un gruppo che da ragazzo ho amato molto, e che negli anni ‘80 non potevi “popolarmente” non amare o non conoscere. Un gruppo che ha espresso, questo l’avrete capito, una delle voci più trasversali e uniche della musica italiana di sempre.
ma.st.
...dal n°53 - I POSSIBILISTI: Ancora NICK CAVE !!!
In merito al quesito che ponevano nella rubrica “I Possibilisti”, sul numero scorso, e sul fatto che Nick Cave con tutte le sue menate sulla Bibbia, le sue bestemmie, il peccato originale e quant’altro ci ha preso in giro per anni, ci ha risposto Padre Ralph prete irlandese traferito per insubordinazione a Gillanbone in Australia, dove a suo dire, ha incontrato e stretto amicizia spirituale con il nostro caro Nick fin dai tempi della sua tarda adolescenza. Ebbene le parole di Padre Ralph non sono riproducibili interamente in quanto molto violente. Nella sua lettera si scaglia contro la nostra redazione invocando la punizione divina per noi e addirittura la morte per Kurt Logan. Motivando tale reazione violenta come sacrosanta risposta “alla vostra ipotesi che Nick Cave usi nell’interpretare e parlare dei testi sacri e di Dio, una leggerezza banale e oramai stancante”. “Parole distanti galassie dalla spirito della nostra Chiesa”, queste le parole arrivate in nostro sostegno dal vice sostituto vescovo Jean-Peter Posthelvite della diocesi di Maitland-Newcastle, aggiungendo anche che “lo sanno tutti che Padre Ralph dopo aver ereditato 13 milioni di sterline e aver visto Maggie cresciuta non ci ha capito più una mazza.” Abbiamo comunque incaricato il nostro avvocato di procedere per vie legali e denunciato il fatto presso le autorità.