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“Il canto POPolare di Orietta Berti”. Intervista di Massimiliano Stoto pag

Il canto POPolare di ORIETTA BERTI

Intervista esclusiva

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di Massimiliano Stoto

Una delle voci più pure e cristalline della nostra tradizione canora. Un pezzo unico della storia del bel canto italiano. Uno scrigno di storie, esperienze e canzoni. E’ un orgoglio per le nostre pagine ospitare le sue parole e presentarvi, colei che è una “Professionista e Protagonista” assoluta della nostra canzono popolare. Cari lettori e lettrici: ORIETTA BERTI

Quando in redazione abbiamo sviluppato “il tema” di questo numero, la vocalità femminile, più che la sola Bjork, ho pensato che fosse doveroso parlare anche di qualcuno dei tanti talenti di casa nostra. Il primo nome a cui pensi su un tema del genere è il più irraggiungibile: Mina. Poi hai solo l’imbarazzo della scelta. Volevo però due nomi che provenissero da due mondi distanti, una voce popolare e conosciuta e una più di nicchia, più indiealternative diciamo. Così mi sono buttato su Antonella Ruggiero e Mara Redeghieri e non essendo riuscito a convincere la Sig.ra Ruggiero dei miei intenti, Mara mi ha involontariamente portato a Orietta. E’ stata infatti la loro “Cupamente” a farmi scattare la scintilla e a provare a contattare il suo entourage. Le prossime pagine contengono le interviste a Orietta e Mara e due brevi pezzi su Antonella Ruggiero e Giuni Russo, di cui negli scorsi mesi, sono usciti due nuovi dischi. Quattro angoli diversi per parlare del bel canto italiano. Buona lettura.

WN: Come stati i suoi inizi e come si è accorta di avere particolari doti vocali?

La passione per la musica mi è stata trasmessa da mio padre, era un appassionato di musica lirica e avrebbe voluto diventare un tenore, però allora dovette lasciare gli studi ed andare a lavorare per mantenere la sua famiglia e i suoi fratelli. Cosi decise di trasmettere a me questa sua passione. Fin da piccola mi incoraggiava a cantare e a prendere lezioni di canto lirico. Per lui avrei dovuto fare la cantante a tutti i costi, per fortuna avevo i mezzi vocali. Mi portò a studiare canto lirico a Reggio e a Bologna, allora (fine anni ’50) era un sacrificio non era semplice come può sembrare oggi. Poi durante un concorso di “voci nuove” a Reggio Emilia nel 1962 o 1963 conobbi Giorgio Calabrese (grande autore di canzoni e programmi tv) che da “talent scout” apprezzò la mia voce e si impegnò per farmi fare dei provini a Milano e per farmi ottenere un contratto discografico.

WN: Ha sempre posseduto una predisposizione naturale al canto ma quanta tecnica ha dovuto imparare per indirizzare al meglio il talento?

Lo studio del canto è fondamentale e non si smette mai di studiare e di imparare. Ancora oggi dopo 55 anni di carriera “alleno” la voce attraverso esercizi vocali combinati con il cantare il mio repertorio per almeno 2 ore al giorno. Perché la voce dipende dalle corde vocali che sono muscoli e devono essere “allenate” e curate come un atleta sportivo allena il suo fisico in vista di una gara o di una performance. Ovviamente con il tempo la voce se curata può acquisire anche delle tonalità nelle note più basse, ma allo stesso tempo mantenere la brillantezza nelle note più alte. La predisposizione naturale al canto e le doti possono esserci in ognuno di noi, perché ognuno di noi ha una voce unica però occorre lo studio e la tecnica per controllare e salvaguardare il talento della voce.

WN: La vittoria al disco d’oro e l’incontro con Giorgio Calabrese è stato fondamentale per lei, l’ho può ricordare?

Grazie alla sua fiducia ottenni il contratto presso la Polydor-Philips (oggi Universal Music Italia) e nel 1965 vinsi il primo premio a “Un disco per l’estate” con il brano “Tu sei quello” e da li la mia carriera inizio. A Giorgio sarò sempre grata perché se non ci fosse stato lui ad incoraggiarmi e a convincere mia madre che avrei potuto intraprendere la carriera di cantante…e a perseverare nel trovarmi una casa discografica adeguata, oggi forse non avrei potuto festeggiare 55 anni di carriera nella musica. E pensare che

dopo pochi mesi dalla vittoria del disco d’oro (che in realtà non era d’oro ma di cartone) nel concorso di Voci Nuove dove conobbi Giorgio, il mio papà perse la vita in un tragico incidente stradale. A quel punto decisi insieme a mia madre di intraprendere un’altra strada lavorativa, avrei voluto fare la maestra d’asilo o la disegnatrice di modelli per la moda (allora era una professione molto gettonata). Fu proprio la tenacia di Giorgio, che non si dette per vinto, a convincermi a non mollare e supportarmi nella ricerca di una contratto discografico. Giorgio credeva nel mio talento ed è stato un gesto di generosità che non potrò mai dimenticare.

WN: La prima canzone che incise era “Franqueza” di Maysa Matarazzo, grande interprete della bossa nova brasiliana, quindi a casa sua si ascoltava musica a tutto tondo?

Si, mio padre era un grande appassionato di lirica e di musica in generale. Ovviamente nei primi anni ’60 non c’era la disponibilità economica e nemmeno la distribuzione digitale che abbiamo oggi per la musica e per i dischi. Era tutto più complicato da reperire. Però io ero fortunata, perché oltre alla passione che aveva mio padre trovavo tanta musica e tanti dischi anche alla Casa del Popolo di Cavriago, che era un centro culturale (in quel momento storico) nel mio paese. Li si ascoltava musica di tutti i generi, si prendevano anche lezioni di canto e di strumento. “Franqueza” fu una delle mie prime incisioni, una canzone bellissima e la incisi anche perché la traduzione del testo originale in italiano era proprio di Giorgio Calabrese (allora tanti successi stranieri venivano tradotti nella versione italiana, le cover, come anche tantissime canzoni italiane venivano reinterpretate nel mondo nelle altre lingue).

WN: Lei ha venduto milioni di dischi di una musica spesso definita “leggera”. Era un tempo in cui i dischi aveva un senso farli anche perchè avevano un mercato...ma quella etichetta “leggera”, secondo lei non sminuiva un po’ il lavoro di autori, interpreti, musicisti?

Si, diciamo che sono stata fortunata (come tanti miei colleghi e colleghe) a vivere una “periodo d’Oro” della musica italiana, parlo degli anni ’60 ’70 e ’80, dove le nostre canzoni dalla bella melodia italiana andavano in tutto il mondo e venivano reincise come cover da cantanti e gruppi stranieri. Oggi il mercato discografico è in crisi in tutto il mondo, però è anche vero che la produzione discografica (il fare dischi) è fondamentale per la creatività di un artista…inoltre è ritornato di moda il vinile come oggetto di ascolto (non solo per i collezionisti) e non si può immaginare un mondo discografico solo digitale, solo sulla rete. Per quanto riguarda l’etichetta “leggera” che viene data alla musica “Pop” , penso sia una questione storica per distinguerla dalla musica classica, che per definizione è la più importante e che è l’origine della musica leggera e Pop. Se pensiamo alle melodie delle romanze, della classica e alla musica classica napoletana capiamo che la musica Pop viene da li, le sue melodie hanno origine li e vengono interpretate con una struttura differente ma che si ispira a quello. La connotazione che gran parte della stampa italiana pensa di dare alla etichetta “musica leggera” per sminuire la musica è del tutto fuori luogo; spesso pensano che se un brano, un motivo o un ritornello di una canzone ottenga un grande successo tra le masse, tra la gente, un grande successo di pubblico…allora automaticamente debba essere etichettato come “di poco valore o popolare” nel senso di non essere abbastanza “alto e sofisticato”. Purtroppo commettono cosi un errore madornale nel confondere la “semplicità” di una musica (che può arrivare al cuore del pubblico con una forza incredibile) con la “superficialità”…che sono due concetti opposti e distanti tra loro. La semplicità e l’essenza sono due cose difficili da trovare e da produrre nell’arte e quando questo accadde trasmettono nello spettatore (o fruitore) una emozione fortissima… sprigionando una forza comunicativa incredibile. Questo tipo di critica penso sia una sorta di “provincialismo” che in altri paesi non considerano perché rispettano ogni genere musicale…anche se a mio avviso i generi musicali non esistono perché l’unica distinzione che si può fare è tra la buona e la cattiva musica. In questo senso più che sminuire il lavoro di autori, interpreti e musicisti questa etichetta “leggera” (in questi termini) non restituisce il vero valore in termini di rispetto e considerazione al lavoro di chi produce musica leggera. La cosa che mi sento di dire è che nella musica e nel suo processo creativo non bisogna ascoltare la critica, perché se fosse per loro non si produrrebbe mai niente o non sarebbe mai all’altezza. Invece l’artista deve andare sempre oltre…ascoltando solo le emozioni.

WN: Orietta Berti è una artista POP, una voce e un marchio famoso in Italia e in molte parti del mondo, c’è il comune pensiero che essere troppo popolari non è sinonimo di qualità (io non la penso così) lei cosa ne pensa al riguardo?

Essere popolare significa essere amato e rispettato da tanta gente, significa che l’emozione che hai trasmesso è arrivata, è stata compresa ed è stata condivisa da un pubblico ampio. Tutto questo può essere solo un bene, un privilegio per l’artista. Il mio caro amico Tommaso Labranca, com-

pianto scrittore e geniale autore tv, mi ricordava sempre che tutto è connesso, che “L’alto” ed “il basso” nella cultura sono sempre legati, è solo una illusione o meglio una distinzione che alcuni vogliono fare per sentirsi “elite” o per distinguersi, ma in realtà la musica e le emozioni non si possono scindere ne classificare in una gerarchia elitaria. L’emozione struggente può essere trasmessa con un brano dalla larga melodia suonato con una orchestra di 80 musicisti su un palco prestigioso, ma allo stesso tempo si può emozionare altrettanto intensamente con un brano leggero dal ritornello simpatico casomai accennandolo al pianoforte in un programma tv; perché la musica evoca ricordi, emozioni, vissuti della vita delle persone e li lega a se con una magia che è inspiegabile e a volte indescrivibile. L’emozionare è l’unica qualità da considerare nel valutare la musica. WN: Ha interpretato tanti brani che parlano della condizione femminile. Perché secondo lei certi temi fanno parlare solo se vengono interpretati dall’artista impegnato e non da quelli di “musica leggera”, la differenza

la fa veramente solo la canzone?

Perché a volte si vuole costruire intorno all’artista impegnato un’aurea particolare, come se avesse l’esclusiva su alcuni temi e fosse l’ unico ad avere una visione sul mondo che ci circonda, ma non necessariamente è cosi. La sensibilità dipende dalla persona, dall’interprete che esegue il brano…non dal personaggio che gli è stato costruito addosso. Nella mia carriera ho sempre interpretato anche brani dai testi impegnati o comunque dal “sotto-testo” audaci ed ironici, soprattutto i brani scritti dai grandi Daniele Pace e Mario Panzeri avevano liriche che sembravano “facili” da comprendere invece tra le righe si nascondevano critiche alla società e ai cliché di quel momento storico. Penso che indipendentemente dalla critica siano stati apprezzati dal pubblico e dai miei fans, quindi per me questo è fondamentale. Ovviamente il successo di una canzone dipende da tanti fattori e sicuramente la promozione e l’appoggio della stampa può essere di grande aiuto. Diciamo che il clamore che si può “costruire” intorno ad una canzone o ad un personaggio può creare interesse, però se poi il pubblico non apprezza o non si emoziona questo clamore si spegne rapidamente.

WN: Nel 1986 andò a Sanremo con il brano “Futuro” di Balsamo-Raggi. La canzone è stata con il senno di poi una prova di grande coraggio artistico, sintetizzatori e drumming sostenuto la caratterizzavano, e magari ha infranto anche il tabù che certi artisti suonino e cantino se stessi senza aggiornarsi mai e senza stare al passo con i tempi.

Si, “Futuro” ebbe un grandissimo successo di pubblico e anche il caro Lucio Dalla mi scrisse un bellissimo telegramma di congratulazioni perché anche a lui era piaciuta tantissimo. Come ripeto la critica in quegli anni era un po’ prevenuta nei miei confronti e nei confronti di altri miei colleghi. Ma nella mia carriera, grazie anche ai collaboratori che ho avuto, ho sempre cercato di “sperimentare” e cambiare senza mai stravolgere la mia personalità vocale e musicale. Dalle canzoni d’amore dalla grande melodia, alle canzoni ironiche di Pace e Panzeri, alle canzoni Folk (incisi 3 dischi negli anni ’70), alle sigle tv, alle sonorità elettroniche anni ’80, alle canzoni d’autore, agli omaggi alla musica Latina e Swing…fino alla musica napoletana. Il pubblico questo lo ha sempre apprezzato e dovrò sempre ringraziarlo per l’affetto e gli stimoli che sempre mi trasmette per rimettermi in gioco.

WN: Sempre su “Futuro”…. si classificò 6° ma fu un po’ snobbata dalla critica, il testo parla delle preoccupazioni di una madre sul futuro politico e sociale che aspetta ai propri figli, c’è la paura del nucleare, il Sud Africa in subbuglio ma so-

prattutto c’è la frase “oggi è tempo di stare attenti e non parlo dei delinquenti, questa volta no c’è Pilato…è andato via”. Nella stessa edizione Sting canta la celebre “Russians” che tratta gli stessi temi e la critica lo sta applaudendo ancora adesso. Che cosa determina questo scarto nel comportamento secondo lei? È solo pura e semplice “esterofilia”?

Si, penso sia stato determinato da un senso di esterofilia che spesso sia la stampa che per tutta la nostra società ha avuto sia nei gusti musicali che nelle mode dal dopoguerra ad oggi. Inoltre occorre considerare che Sting in quel momento era un ospite internazionale prestigioso e quindi occorreva elogiare lo sforzo che la produzione Rai aveva fatto in termini economici per avere più visibilità a livello di eurovisione.

WN: Negli anni ’70 lei ha inciso 3 dischi dedicati al repertorio folk con brani che rappresentano l’Italia intera e uno “Zingari” che presenta brani della tradizione gitana e zingara, esempi cristallini di contaminazione musicale. In realtà era già avanti 40 anni fa?

Diciamo di sì, perché le contaminazioni musicali che oggi sembrano una novità esistevano già 40 o 50 anni fa. Negli anni’70 con l’avvento dei cantautori, che erano autori dei propri testi e delle proprie canzoni, mise in ombra il successo dei cantanti interpreti degli anni ‘60. In quel momento la mia casa discografica che era la Phonogram-Philips, una multinazionale molto attenta al mercato, volle sperimentare per differenziarsi dai cantautori senza però perdere la visione sulle vendite dei dischi. Così decisero di sviluppare il progetto Folk e il progetto Zingari, ed ebbero entrambi un grandissimo successo di vendite e che, come diceva lei, sono rimasti un esempio di “sperimentazionecontaminazione” di quegli anni. In 55 anni di musica ho visto e vissuto tanti cambiamenti, mode ed evoluzioni musicali…e posso dire che malgrado tutte le contaminazioni del caso…la melodia italiana resta e rimane sempre apprezzata come il bel canto.

WN: Cosa ne pensa di “Merendine Blu”, il brano nato insieme agli Extraliscio e Lodo Guenzi ? Per me la sua voce la potevano “usare” meglio…

Io sinceramente non lo so questo, per me è stato una collaborazione bellissima che è nata dietro le quinte del programma “Che tempo che fa” di Fabio Fazio. Ci incontrammo al tavolo con Lodo che era venuto a promuovere con Lo Stato sociale un loro brano. Conoscendoci è nata subito una simpatica amicizia e ci eravamo ripromessi di fare un duetto insieme. Cosi poi attraverso i ragazzi favolosi degli Extraliscio (Mirco Mariani, Moreno Conficconi e Mauro Ferrara) insieme alla cara Elisabetta Sgarbi, ci hanno proposto questo brano “Merendine Blu” scritto da Pacifico, per incontrare mondi musicali diversi attraverso la chiave del “crossover” ( o “crossovèr” come piace dire a me) su un brano “in levare” della tradizione musicale ungherese. Il risultato è stato favoloso a mio avviso: oltre alla musicalità contagiosa che ti fa ballare, ha quel senso di leggerezza nostalgico che lo rende fresco e trasversale. Poi hanno prodotto un videoclip bellissimo che abbiamo promosso in tantissimi programmi tv in Rai e Mediaset e che rappresenta davvero la volontà di essere EXTRA di questo progetto e di voler sperimentare sempre senza mai dimenticarsi le origini. Poi ritrovarsi tutti a Sanremo quest’anno in gara (io, Extraliscio e Lodo con Lo Stato Sociale) è stato come rivivere quella collaborazione…è stato di buon auspicio per tutti. Viva “Merendine Blu”!

WN: Fra gli artisti giovani ci sono delle cantanti che le piacciono?

Premetto che le cantanti giovani di oggi sono preparatissime e alcune di grandi doti vocali. Si vede come hanno studiato e come hanno sviluppato la tecnica oggi. La nostra generazione ha avuto dei talenti meravigliosi e la tecnica si basava su studi classici lirici per lo più. Oggi una cantante oltre a quelli può vantare studi anche sui generi di musica contemporanea che vanno dal rock, al pop, al rap, alla elettronica, etc. Quello che mi sento di consigliare alle voci più giovani è di trovare una loro personalità e una loro vocalità, che rispecchi l’italianità e non necessariamente volersi avvicinare per forza alle vocalità anglosassoni o straniere. Tra le cantanti giovani mi piacciono molto Arisa, Francesca Michielin di cui sono anche amica, ma trovo molto brave anche Noemi, Malika Ayane, Madame e tante altre.

Un grazio a Stefano Bianchi del Management di Orietta Berti a Otis Paterlini e ovviamente a Orietta.

ma.st.

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