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“The Sugarcubes: Zuccherini sotto spirit maligno” di Massimiliano Stoto pag “Trip Hop: Ovvero il Bristol Sound che invade il mondo con l’aiuto delle ragazze”
Zuccherini sotto spirito maligno
di Stoto Massimiliano
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L’epopea degli Sugarcubes comincia, lo sanno tutti, quando John Peel inizia a trasmettere “Birthday” nel suo programma radio. E’ il 1987 e “Life’s To Good” il primo disco, verrà licenziato l’anno dopo in Aprile. Ma qualcosa si muove da prima. Tra la fine del 1986 e il primi mesi dell’87, gli Sugarcubes fanno una vita frenetica, a fine Novembre è uscito per l’etichetta Smekkleysa “Einn Mol'á Mann” firmato Sykurmolarniril (Sugarcubes in islandese), il 7” tirato in 500 cp presenta sul lato A “Ammæli”, che ben presto sarà anglicizzata e conosciuta come “Birthday”. Il gruppo è in procinto di firmare con la One Little Indian, la cui macchina promozionale però è già in movimento, se pensate che viene chiamato a immortalare “la banda dei cinque”, un fotografo importante come Ilpo Musto. Musto è un finlandese trapiantato in Inghilterra, ha studiato fotografia fin dalla fine degli anni ‘60 e nell’ambiente ha già lavorato con diversi artisti e firmato immagini iconiche. Realizzerà un set fotografico mozzafiato ai 5 ragazzi di Reykiavik. Sono le foto dove Björk ha il vestito rosso, quello che usa in certe parti del video di “Birthday”, e porta le calze verdi. I ragazzi sono quasi sempre sullo sfondo, vestiti in prevalenza di nero con alle spalle dei pannelli color grigio. Solo in una di queste foto Þór Eldon sfoggia, come la moglie, una t-shirt rossa con bretelle nere e in un altro scatto la band è ritratta sorridente su uno sfondo azzurro e con gli stessi abiti. Insomma la star è già lei, anche perché il buon Ilpo ritrae la stellina, appena ventunenne, in pose diciamo osè, scosciata con calza verde in evidenza e parte intima da scoprire appena giri l’angolo. Björk domina la scena e si presenta allo zenith della sua bellezza giovanile, e nonostante sia da poco diventata madre e sfoggi espressioni pensierose e un solo sorriso, è sicura di sé e irradia le foto di una luminosità contagiosa. La particolarità della bellezza di Björk nello star system europeo e mondiale è pressoché sconosciuta. Per provenire da un paese nordico è atipica, fuori dai canoni che vuole la tradizione scandinava, non è la classica bellezza tipo valchiria o Abba style, ma al contrario è minuta e ha dai lineamenti “asiatici” che, va detto, non sono un’esclusiva dei paesi a est di Samarcanda. L’epicanto, cioè la piega cutanea che si trova sopra l’occhio e davanti alla palpebra, sviluppato in forma mediale è una caratteristica di diverse popolazioni asiatiche, ma anche certe amerindie, certe africane e alcune europee. L’epicanto sviluppato in questa maniera lo si può trovare anche nei neonati i cui occhi in crescita vengono protetti da questa particolare piega cutanea. La selezione naturale ha fatto in modo che questa protezione neonatale, detta neotenia, (ovvero la persistenza in età adulta di tratti infantili) si sviluppasse anche in un individui adulti che vivono in un ambienti particolarmente ostili. L’epicanto mediale si può così trovare in popoli differenti come scandinavi, irlandesi, eschimesi, indigeni americani,
Björk and the Sugarcubes in London, 1986. Photo by Ilpo Musto
boscimani e asiatici. Tornando agli Sugarcubes io credo che tutto il gran parlare che se ne fece e la popolarità che ottennero fu principalmente dovuta alla voce di Björk, ma credo anche che una buona parte di quel successo fu dovuta al fatto che lei stessa era un personaggio nuovo, era una bellezza “esotica” che proveniva da un paese semi sconosciuto nel giro musicale di quel tempo….mentre sono convinto che le composizioni musicali del gruppo contribuirono ma in maniera limitata al sarabanda che venne messa in piedi.
“Life’s To Good” esce per One Little Indian nell’Aprile del 1988 e contiene undici tracce. Una di queste non è indicata nella track list, si tratta di “Take Some Petrol Darling” ed è l’ultimo pezzo del lato B del vinile. I brani sono tutti firmati dai ragazzi islandesi, registrati tra Reykjavik e Londra e prodotti da Ray Shulman, noto come fondatore e membro , con i suoi due fratelli, del famoso gruppo prog inglese Gentle Giant e da Derek Birkett fondatore, a sua volta, della OLI Records nel 1985. Il disco dura poco più di mezz’ora esprime una buona energia attraverso tutti i pezzi, si muove tra remi-
niscenze post-punk e new wave, con due grandi fonti ispirative i Talking Heads e i B’52. Il cantato è diviso fra Björk e lo spoken word del trombettista Einar che più di una volta fa aleggiare lo spirito di David Byrne, nell’iniziale “Traitor” per esempio che in quanto a fantasmi evoca anche quelli di Kate Pierson e Cindy Wilson del gruppo di Athens. Più divertente è “Motorcrash” il cui testo è molto ironico e non sense “Quella ragazza su quella bicicletta ha mostrato un grande interesse per tutti gli incidenti automobilistici del quartiere, sembra abbastanza innocente, ma credimi, so che aspetto ha l'innocenza” prima che “Birthday” ci inizi alle potenzialità della Björk che verrà, una base scarna e un incedere indolente sostengono gli esplosivi ruggiti della vocalità della protagonista di questo numero di WN, in continui rimandi dolci e ruvidi. E’ sicuramente un grande pezzo ma lo è soprattutto per la vocalità. In “Delicious Demon” continuano i rimandi marcati al duo Talking H./B’52, anche se il pezzo alla fine è divertente, semplice, ma divertente. “Mama” è un pezzo più subdolo, dove ancora Björk esprime il suo clamoroso potenziale in una traccia introdotta dal basso di Bragi Ólafsson e la cui trama sonora ben si adatta al testo sofferente e incestuoso “Con un seno in ogni palmo, è così che sono nato, ed è così che voglio morire, dammi una grande madre, morbida e bagnata...mi accarezzerebbe”. E’ bruttina invece “Cold Sweat” con il suo incedere muscolare e non tanto meglio è “Blue Eyed Pop”, anche qui le influenze delle “teste parlanti” sono esplicite e nei cori si sentono tutte le ragazze dei B’52. Nella seconda parte della canzone, il pezzo è cantato a due voci, Björk con padronanza occupa la scena ma non può fare miracoli ogni volta. Due pezzi che non ci fosse la voce di B. passerebbero inosservati. Il brano più lungo del lotto è “Deus”, appena oltre i 4 minuti, un pezzo dove B. entra subito, esprimendosi al massimo, peccato per gli inutili spoken word e gli acuti vocali. In “Sick For Toys” il suono è rubato a molta new wave inglese, quella più di maniera U2, Mission, Cult, B. si fa tirare dentro e alla fine non ne riemerge. E’ invece ruspante “Fucking In Rhythm and Sorrow” dove l’andamento è un rock ‘n’ roll sgangherato e B. dimostra la sua capacità di interpretare diversi generi. Il pezzo tutto sommato assomiglia a uno standard del Kentucky o giù di lì, ed è veramente suonato a modo. La finale “Take Some Petrol Darling” pur essendo un divertissment a metà tra la sperimentazione e la libertà interpretativa, mette in mostra un po’ di “palle” da parte del gruppo che tra reminiscenze gutturali modello Crass Records, chitarre e percussioni in libera uscita e la voce della predestinata, fissa un minuto e mezzo che non c’entra nulla con tutti gli altri pezzi, che lancia uno sguardo al loro passato e che perlomeno ha il pregio di essere originale. Musicalmente il primo disco degli Sugarcubes, per me, è un disco considerato più grande di quello che realmente è. Ci fosse stata un’altra ragazza alla voce, con una figura più nei canoni, il gruppo non sarebbe mai emerso. Andate a vedervi i dischi usciti nel 1988, provate a riascoltarne qualcuno e poi mi dite.
Al contrario dell’esordio, uscito da subito sia in CD che in LP ma con l’edizione in vinile supportata dalla trovata di colorare la cover in colori diversi, (la cover verde è comunque quella più comune), “Here Today, Tomorrow Next Week!” ha l’edizione principale che esce in CD con tre brani in più (dura in totale più di 50 minuti) e fa la sua comparsa sui mercati musicali nel Settembre del 1989. E’ un disco che ha ben pochi pregi, fra questi il più meritevole di essere segnalato è che i sedici pezzi mostrano una crescita sonora rilevante e uno smarcamento sostanzialedai riferimenti che tanto avevano caratterizzato l’esordio. Björk è ormai lanciata nell’Olimpo, sicura di sé domina tutte le canzoni con una naturalezza sbalorditiva, al contrario la tenacia con cui Einar Örn continua a “cantare” e proporre i suoi isterici spoken word, ha dell’ incredibile. Di fatto il disco è rovinato dalle sue parti vocali. Considerate pure che il disco era attesissimo, da critica e fans, e che rappresenterà per molti una grande delusione. Sarà inevitabile a questo punto che i due cantanti arrivino allo scontro. Se siete lettori di riviste musicali, sapete benissimo che il “disco del mese” è, da sempre, uno dei riferimenti principali a cui il lettore si affida per conoscere tendenze e avere un’idea di che aria tiri in certi ambienti. Il disco del mese è il disco della redazione. Ebbene, sorprende che la recensione di Riccardo Bertoncelli sul numero 110 di Rockerilla dell’Ottobre 1989, parli di “Here Today, Tomorrow Next Week!” quasi con toni dimessi, anche se il disco in sostanza vien recensito positivamente, non ci sono accenni alle incursioni incontrollate del trombettista vocalist e alla fine sembra bastare a Bertoncelli la voce di Björk, la crescita della sezione ritmica e la dimestichezza del gruppo a occupare ogni spazio sonoro disponibile. Tutto sommato sono d’accordo con lui, anche se tutto questo è troppo poco per un disco del mese…. e le parole deludenti e non scritte, volteggiano come avvoltoi sopra il cadavere. Con questo non voglio certo prendermela con Bertoncelli ma solo segnalare come la più bella rivista italiana di rock, dell’epoca, si trovò di fatto spiazzata dal secondo disco degli Sugarcubes e non fu la sola. Ma “Here Today…” comincia ad essere abbastanza indecifrabile fin dalla cover grigio/azzurra, con il pupazzetto per-
plesso sovrapposto a bolle di sapone fra le due scritte che riportano nome del gruppo e titolo con colori differenti, risultando soprattutto quella della firma della ditta, piuttosto invadente. Lo stacco è netto rispetto alla cover del disco precedente realizzata da Paul White rifacendosi alla grafica di dischi jazz americani e che caratterizzò anche le copertine dei singoli estratti dal disco d’esordio, “Deus”, “Motorcrash” e “Coldswat”. Insomma se il buongiorno si vede dal mattino e nonostante di cover brutte se ne sono viste di peggiori, “Here Today….” marca male già visivamente. Il compito di aprire il disco è affidato a “Tidal Wave” aperta dal cantato maschile, ancora in botta David Byrne, e caratterizzata da uno stuolo di strumenti a fiato che danno un sapore esotico al pezzo. “Regina” è il pezzo che dovrebbe replicare il successo di “Birthday” peccato che ci sia la voce di lui che cerca di fare qualcosa, che so una primordiale forma di rap ? Ed è fuori posto come un orso polare all’equatore. “Speed Is The Key” non è una meraviglia anche se il cantato di B. fa di tutto per risollevare le sorti di un pezzo eccessivamente muscolare. “Dream TV” vive di accelerazioni punk, “Nail” è un bel pezzo sostenuto da basso e batteria in gran forma e celestiali passaggi di canato bjorkiano, passaggi decisivi anche in “Pump” e “Eat The Menu”. “Bee” e “Dear Plastic”, quest’ultima anche con sezione fiati, riescono a mettere in mostra le tastiere della nuova arrivata Margret Ornolfsdottir. I pezzi non sono nemmeno scritti male, ma si incrinano ogni volta che la voce maschile entra a supportare un pezzo strumentale, perché i duetti maschio/ femmina sono una rarità negli Sugarcubes. Uno di questi è “Shoot Him”, dove Einar ne esce rovinato, ma il pezzo tutto sommato per essere una tirata post punk funziona. “Water” ci presenta la B. più sognante e “A Day Called Zero” quella più incalzante, supportata da un bel gioco di tastiere e basso pulsante. “Planet” ha un arrangiamento d’archi su cui si slancia in volo la voce di B., “Hey” ha pennellate di negritudine mentre “Dark Disco 1” è un guazzabuglio disordinato che precede la chiusura con l’esercizio country rock di “Hot Meat”, ben svolto.
Mi ripeto ancora per poche righe, “Here Today…” non presenta un gruppo involuto anzi tutt’altro, la ricerca di un suono identitario è ben avviata, il lavoro della sezione ritmica è notevole, la cantante può cantare di tutto, ma evidentemente qualche scelta produttiva non è stata ben calibrata e certi parti, non serve ripetere quali, risultano essere forzate e mal interpretate. Il produttore del disco risulta essere il patron della casa discografica in accoppiata con il gruppo, Shulman, che era un musicista non c’è più, forse lui o chi per lui avrebbe potuto ben consigliare i ragazzi che nonostante gli sforzi si troveranno ad avere deluso gran parte delle attese. Senza una guida e con tanti problemi al proprio interno, il divorzio fra Björk e Þór in primis, con lui che poco dopo sposa la nuova tastierista, la personalità testarda e ingovernabile di Einar incapace di accettare la leadership talentuosa e d’immagine di B., gli Sugarcubes diventano un bel rompicapo per tutti quelli che da semplici appassionati o da fans si sono interessati a loro. A farne le spese è la loro vulcanica miscela di funk, new wave, post punk, un fuoco fatuo che rischia di spegnersi per sempre. Dopo il tour e una pausa di quasi un anno, tempo nel quale alcuni dei componenti del gruppo si dedicano a progetti personali, Björk per esempio realizzerà il famoso disco jazz, gli Sugarcubes si riuniscono per comporre quello che sarà il loro ultimo album insieme “Stick Around For Joy” che uscirà a febbraio del 1992. Prodotto da Paul Fox, che fino ad allora aveva lavorato con musicisti per lo più mainstream, ma che solo qualche anno prima aveva messo le mani su “Oranges & Lemons” degli XTC. il disco ha un taglio più indie rock, la chitarra di Eldon è più in evidenza, Einar è tenuto a bada, fa ancora qualche spoken word ma in maniera contenuta e ben controllata, la sezione ritmica è meno furiosa e la ragazza con la sua voce, come al solito, regge tutto. Ma l’essenza dei primi Sugarcubes, quella cosa che li fece salire alla ribalta, che li faceva sembrare freschi e furiosi, quasi animati da dispettosi spiriti maligni, non c’è più. Se il primo disco pur non essendo, come ho detto originalissimo risultava perlomeno molto fresco e sbarazzino e appetibile per un mercato che era molto ricettivo per le cose che provenivano dal basso o dalle province dell’impero, ora quell’essenza si è sciolta come neve al sole. Con una come B. in gruppo è difficile fare un disco indegno, non lo è nemmeno quest’ultimo, ha qualche bel pezzo, a me piacciono soprattutto “Hit”, “Leash Called Love”, “Hetero Scum” e “Happy Nurse”, ma in definitiva la sufficienza è strappata in extremis. Uscirà sempre nel ‘92 una raccolta di remix intitolata ”It’s - It“ e in seguito varie altre raccolte sulla produzione canonica. La produzione degli Sugarcubes io la valuterei nella seguente maniera: sette al primo disco e sufficienze più o meno risicate ai capitoli successivi. In ogni caso non c’è nessun titolo degno di fregiarsi di essere un “disco del mese” . La storia finisce qui, ma poco dopo nel ‘93, ne nascerà una più meravigliosa che continua ancora oggi. ma.st.