Voci - Numero 3 Anno 4 - Amnesty International in Sicilia

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Campagne Amnesty

SOCIAL NETWORK, HATE SPEECH E DIRITTI UMANI di Chiara Di Maria

Amnesty International ha più volte richiamato l’attenzione sulla stretta connessione tra la protezione dei diritti fondamentali e i rischi della manipolazione dell’informazione online e della diffusione del linguaggio dell’odio e della violenza / Ph.: immagine gratis - Pixabay

ODIO

è la parola di questi tempi: poche altre possono vantare oggi la stessa risonanza mediatica. Odiare, per vero, si è sempre odiato. La parola è antica, il sentimento primordiale. Eppure, sembra quasi che non si sia mai odiato tanto, che non ci sia stato in giro così tanto odio come oggi. Quale che sia l’attendibilità empirica di questa diffusa impressione, ci sono certo buone ragioni per credere, piuttosto, che il sentimento dell’odio sia oggi mediaticamente sovraesposto; che cioè l’espressione dell’odio non abbia avuto una così massiccia visibilità pubblica in Italia da almeno quarant’anni. Ad un’analisi più attenta potrebbe pensarsi che una tale sovraesposizione sia dovuta principalmente alla “pubblicità per interazione”. È necessario osservare come oggi esistono diversi canali, prima inesistenti, che rendono possibile, o comunque, più agevole l’emersione verbale dell’odio in pubblico. La comunicazione al tempo dei social media ha, infatti, determinato una radicale ridefinizione delle coordinate del discorso pubblico, il quale oggi, non è più solo quello che passa per le vie, più o meno ufficiali, dei mass-media tradizionali: chiunque mettendo un like, condividendo un link, gestendo un 21

blog, rilasciando un commento in calce ad un post, alimenta un’interazione tra discorsi (una miriade di conversazioni che si citano e rimbeccano all’infinito). Attraverso questa pubblicità per interazione, appunto, viene data maggiore possibilità di comunicazione di quella fatta in pubblico: social network come Facebook, Twitter o Instagram sono, infatti, strumenti di pubblicizzazione della comunicazione grazie ai quali buona parte di quelle conversazioni che in passato avrebbero avuto carattere privato, oggi di fatto avvengono in un luogo (virtuale) tendenzialmente aperto a tutti (la Cassazione con sentenza del 11/07/2014, n.37596 ha definito Facebook come “luogo pubblico o aperto al pubblico” ai fini della configurazione del reato di molestie e disturbo alle persone ex art. 660 c.p.). Questa espansione della possibilità di parlare in pubblico però non è accompagnata da un’inibizione. Se normalmente, infatti, nella vita reale e non virtuale parlare in pubblico fa generalmente scattare meccanismi di pudore che finiscono per frenare molti di noi dal dire tutto quello che pensiamo, nel modo in cui l’umore del momento ci indurrebbe a dirlo, nella realtà virtuale questi stessi freni rimangono spesso, o comunque non raramente, inattivi. AGOSTO 2018 N.3 / A.4 - Voci


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