Voci - Numero 1 Anno 5 - Amnesty International in Sicilia

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Estremo Oriente

LA CINA E I MINORI UIGURI di Andrea Pira

Uyghur rally - manifestazione presso le Nazioni Unite per la libertà della popolazione uigura a maggioranza musulmana ingiustamente imprigionata nei campi di concentramento cinesi, 5 febbraio 2019 © TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images

Resi orfani anche se i loro genitori sono ancora in vita. Doppiamente vittime della campagna antiterrorismo lanciata dal governo cinese. Quando alla fine della scorsa estate il mondo si è accorto dell’esistenza di campi di rieducazione dove le autorità di Pechino hanno recluso almeno un milione di uiguri e cittadini musulmani, è emersa anche la realtà delle ragazze e dei ragazzi strappati alle loro famiglie e rinchiusi a loro volta in orfanotrofi e centri speciali per tenerli lontani dalla loro cultura d’origine. A differenza che in passato la Cina non ha negato l’esistenza di tali campi di reclusione. Al contrario ha lodato il proprio modello di lotta alla radicalizzazione e al terrorismo. Lo Xinjiang è la regione all’estremo occidente della Repubblica popolare, terra della minoranza uigura, turcofona e di religione islamica, da anni spina nel fianco di Pechino. La provincia autonoma è attraversata da tensioni autonomiste e separatiste, alla base di un conflitto a bassa intensità che esplode di tanto in tanto con piccoli attacchi. Non mancano neppure infiltrazioni islamiste, le cui azioni sono usate da Pechino per giustificare la stretta repressiva contro la popolazione uigura. All’instabilità il governo Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

comunista ha risposto nei due modi che conosce meglio: militarizzazione della regione e massicci investimenti per favorire lo sviluppo, del quale al momento beneficiano però soltanto un ristretta cerchia di uiguri e han, gruppo maggioritario nella Cina, immigrati nello Xinjiang per dar man forte alle politiche governative, contribuendo ad alimentare la diffidenza reciproca tra le due comunità e quindi il malcontento. È ormai opinione assodata che la provincia sia diventa il laboratorio degli strumenti di controllo sociale messi in campo da Pechino: presidi di polizia, utilizzo di dati biometrici, programmi di controllo capillare con l’invio di volontari ospiti nelle abitazioni di famiglie uigure, delle quali scrutano comportamenti e attaccamento alla nazione e alla cultura cinese. I centri di rieducazione rappresentano il passo successivo. Pechino li presenta come luoghi nei quali gli ospiti (così sono definiti i reclusi) possono assaporare la vita lontano dal fondamentalismo. Resoconti meno edulcorati di quelli trasmessi dalla propaganda parlano invece del ricorso alla violenza e alle punizioni. Nel 2017 in contemporanea con l’emergere dei primi racconti su questi luoghi di detenzione, il governo 10


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