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Crisi energetica: banco di prova per Italia e UE

Ripensare la strategia UE per sostenere i bilanci aziendali e familiari

La crisi energetica che imprese e famiglie stanno vivendo in queste ore rappresenta la più grande prova con cui il sistema socio-economico europeo ed italiano si sono confrontati negli ultimi 50 anni. L’aumento delle bollette dell’energia e la spirale inflattiva che si è generata proprio a partire da questo incremento sta mettendo a dura prova da un lato la tenuta sociale dei singoli Paesi e dall’altro la resistenza del loro tessuto imprenditoriale. Come si ricorderà, la corsa del prezzo di gas ed energia elettrica, iniziata con il rimbalzo dell’attività produttiva dopo il lock down e il successivo disallineamento fra domanda e offerta, avrebbe dovuto rallentare nel primo semestre 2022, fino a raggiungere un nuovo equilibrio pur su livelli di prezzo più alti rispetto al passato. Lo scoppio della guerra fra Ucraina e Russia ha, invece, esacerbato la situazione. Le sanzioni e le contromisure decise da UE e Russia, una certa dose di speculazione sui mercati finanziari e l’aumento della domanda determinato dalla transizione ecologica hanno spinto il prezzo del gas di nuovo verso l’alto, fino a raggiungere lo scorso 26 agosto il record di 339 euro al megawattora.

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Una situazione, questa, che ha indotto i vertici UE a decidere la convocazione urgente dei ministri dell’Energia elettrica e ad annunciare la fissazione di un tetto al prezzo del gas. Si è trattato di una scelta molto forte, tanto da determinare una immediata risposta dei mercati finanziari, testimoniata dal rientro dei prezzi di gas ed elettricità. La Russia, principale fornitore di gas naturale per l’UE, non è certo rimasta a guardare: per tutta risposta Putin ha dichiarato l’intenzione di non rispettare l’accordo per la vendita del grano qualora il “price cap” venga effettivamente applicato.

L’Europa, dunque, sta correndo ai ripari per cercare di tamponare una situazione che rimane comunque molto grave, e rispetto alla quale il “price cap” potrebbe rappresentare, qualora adottato, soltanto una soluzione temporanea. Al riguardo va detto che le decisioni circa l’adozione della misura sono state rinviate dalla metà di settembre al mese di ottobre a causa delle resistenze di alcuni Stati membri, in particolare Olanda, Danimarca e Polonia, che stanno chiedendo maggiori dettagli circa il funzionamento e il raggio d’azione della misura. Ancora una volta di fronte ad una grande emergenza l’Europa si trova a fare i conti con la propria debolezza politica: gli interessi economici dei Paesi UE fornitori di gas (che stanno guadagnando) rischiano infatti di indebolire irrimediabilmente la struttura produttiva dei Paesi che grazie a quel gas producono i beni che sono la vera forza dell’economia europea. Senza un adeguato piano di risparmio energetico, un progetto di diversificazione delle fonti di approvvigionamento e lo stanziamento dei fondi necessari per l’implementazione dei conseguenti impianti di approvvigionamento e distribuzione, il prezzo del gas rischia di essere un problema anche nel medio termine, soprattutto se l’Europa deciderà di portare avanti nei tempi stabiliti la c.d. transizione ecologica, che punta a sostituire le fonti energetiche fossili con l’elettricità, attualmente prodotta in gran parte a partire dal gas naturale. dello di sviluppo della UE e a ben guadare anche l’intero sistema economico mondiale. Mentre sembra stiano tramontando i modelli economici degli ultimi 30 anni, in particolare il multilateralismo e le catene globali del valore, che

fin qui hanno indirizzato le scelte dei singoli Stati, stanno venendo avanti anche le rivendicazioni politiche di Paesi quali Russia e Cina che vorrebbero giocare un nuovo ruolo sullo scacchiere internazionale e invocano un nuovo ordine mondiale. Nel frattempo, i Paesi della UE e l’Italia si preparano ad un inverno difficile. Ad essere più esposti alla tempesta sono chiaramente i Paesi caratterizzati da un maggiore utilizzo dell’energia, Paesi trasformatori come Italia e Germania, e Paesi che dispongono di minori risorse naturali per la sua produzione.

Il nostro Paese è senza dubbio all’interno della UE fra quelli più colpiti dalla crisi per vari motivi: per la sua vocazione manifatturiera e dunque gli alti consumi; per la ridotta disponibilità di risorse energetiche naturali, anche a causa della mancanza di infrastrutture per la loro estrazione; per il fatto di non aver ancora completato la transizione verso sorgenti rinnovabili (ad es. sole, vento e foglie), nonostante gli investimenti già fatti e i buoni risultati conseguiti. Occorre inoltre ricordare che, a causa dell’enorme debito pubblico accumulato, nel nostro Paese le manovre fiscali e in particolare gli scostamenti di bilancio necessari a cittadini e imprese per fronteggiare l’emergenza non possono essere attuati, per di più non possono essere decisi da un governo in carica solo per l’ordinaria amministrazione come quello attuale.

All’interno del tessuto produttivo italiano, poi, le aziende del settore alimentare e quelle della produzione e lavorazione dei prodotti a base di carne risultano essere fra le più colpite, perché le produzioni sono per loro natura energy intensive e la possibilità di realizzare risparmi attraverso un rallentamento della produzione è limitata vista la necessità di conservare i prodotti in ambienti appositamente refrigerati. Caratteristica, questa, che impatta molto anche sui costi di trasporto e stoccaggio sia in Italia sia all’Estero. Con bollette aumentate anche più di 6 volte rispetto all’anno precedente e costi di materie prime e materie accessorie (plastica, cartoni, pallet, etichette ecc) in costante aumento i margini sono stati letteralmente mangiati e le aziende non possono assorbire e contenere la spinta inflattiva. Spinta inflattiva che è destinata ad abbassare i consumi delle famiglie, il cui reddito risulta già eroso dall’aumento delle bollette di gas ed elettricità. Si tratta, dunque, di una situazione molto complessa che soprattutto nel nostro Paese richiederà tempi di risoluzione non brevi e scelte di medio- lungo periodo coraggiose e onerose. Intanto il governo ha annunciato alcune misure importanti: la ripartenza di alcune centrali a carbone e la definizione di un Piano di contenimento dei consumi. Il Ministero per la Transizione Ecologica lo scorso 7 settembre ha, infatti, reso noto il Piano Nazionale di Contenimento dei Consumi di Gas Naturale. Si tratta di un documento organico in cui, oltre a presentare lo stato dell’arte di quanto fatto in termini di garanzie per l’approvvigionamento di gas naturale, si dettano alcune prime linee di indirizzo per la riduzione dei consumi di gas presso famiglie e imprese. Nel documento sono fornite indicazioni che diverranno probabilmente a breve operative per soddisfare le raccomandazioni europee di tendere a ridurre del 15% i fabbisogni di gas e altre indicazioni che potrebbero diventare obbligatorie qualora l’Unione Europea passasse dallo stato di “raccomandazione” a quello di “allerta”. Nel documento si ricorda che il governo dimissionario per ridurre progressivamente la dipendenza del paese dal gas di provenienza russa ha aumentato lo stoccaggio, ha rafforzato gli accordi di fornitura di lungo periodo con altri paesi esteri e ha potenziato la produzione energetica nazionale, accelerando la messa in opera di nuovi rigassificatori e consolidando l’approvvigionamento da fonti energetiche rinnovabili. In ragione di questi primi interventi di governo, il Mite ritiene di poter esercitare la deroga prevista in caso di dichiarazione di “Allerta UE” che consente agli Stati membri più virtuosi (con elevati stoccaggi di gas naturale) di ridurre i consumi in misura inferiore: in particolare il governo ritiene che l’Italia in caso di “Allerta UE” possa ridurre i consumi solo del 7%. Il documento del Mite, inoltre, elenca le misure di contenimento volontario dei consumi come l’incremento della produzione di energia termoelettrica da fonti diverse dal gas o le misure atte a ridurre i consumi domestici e industriali/ commerciali modificando le norme circa la gestione degli impianti di riscaldamento. In particolare, si anticipa che con apposito decreto nel mese di settembre 2022 verranno disposte modifiche alle temperature massime di riscaldamento dei locali ad uso abitativo e lavorativo, riducendole da 20 a 19 gradi (tolleranza + o – 2 gradi) e saranno modificati anche i momenti di accensione e spegnimento degli impianti e gli orari giornalieri di esercizio.

Nel documento viene inoltre illustrato come il governo sia costantemente in contatto con le rappresentanze dell’industria nazionale, in particolare Confindustria, per dettagliare un piano di riduzione dei consumi industriali, con anche la previsione di sospensione volontaria di uso del gas, individuando con puntualità i settori più strategici e sensibili che non possono adottare comportamenti di interruzione volontaria dei consumi energetici.

Il mese di ottobre sarà dunque decisivo per la definizione delle strategie UE e anche per l’adeguamento dei piani nazionali. Come visto, in gioco non ci sono soltanto le bollette ma un nuovo assetto dello scacchiere internazionale. Non esistono dunque soluzioni facili alla crisi energetica, ma è indispensabile continuare a lavorare per permettere alle aziende del nostro Paese di avere risorse e tempo per adeguarsi alle trasformazioni del modello economico.

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