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al Prof. Marco Frey, Presidente Fondazione Global Compact Italia

Economia circolare, Agenda 2030, sostenibilità e finanza: intervista esclusiva al Prof. Marco Frey, Presidente Fondazione Global Compact Italia

Scenari e suggerimenti per una roadmap strategica di settore

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Prof. Frey spesso si sente parlare di economia circolare e cambio di paradigma produttivo. Cosa si intende per economia circolare e perché è così importante perseguire questo modello di produzione e consumo?

L’economia circolare è un diverso modo di concepire la produzione che rivoluziona radicalmente le logiche dell’economia lineare. Il modello produttivo è orientato alla rigenerazione delle risorse e mira a garantire la massima durabilità delle materie inserite nel processo produttivo, in contrapposizione all’obsolescenza programmata del modello lineare. Con l’economia circolare si segue una duplice logica: da un lato vengono ideati prodotti alimentati da materie rinnovabili e dall’altro, dopo la produzione e il consumo di un bene, viene favorito il riuso e la massima rigenerazione delle materie dei prodotti arrivati a fine vita così da erodere il meno possibile il capitale naturale e l’ecosistema. Nell’economia circolare quelli che oggi sono rifiuti diventano sempre più risorse produttive.

Qual è il tasso italiano di circolarità delle materie prime?

L’indice di circolarità globale è intorno all’8%. A livello italiano ed europeo le percentuali sono decisamente più alte: l’indice nazionale di rigenerazione delle materie prime supera il 18%. Siamo un Paese virtuoso ma occorre ancora fare molto.

L’economia circolare è sicuramente uno stimolo all’innovazione. Che rapporto c’è con il piano nazionale Industria 4.0 e la successiva evoluzione europea 5.0?

Già nel Piano nazionale Industria 4.0 – che punta a un modello di impresa sempre più digitale e interconnesso - si pone l’attenzione sulle modalità di approvvigionamento energetico e sul promuovere le rinnovabili (esplicitamente citate nel documento Calenda). Con l’Industria 5.0 della Commissione europea - che tende verso un’industria sostenibile, umanocentrica e resiliente - si è pienamente compreso che il rapporto tra innovazione ed economia circolare è molto forte. Ad esempio, ci sono alcune tecnologie come le stampanti 3D che, oltre a utilizzare materie prime seconde, sono in grado di progettare e realizzare componenti non più reperibili sul mercato consentendo così di operare la manutenzione e l’allungamento della vita di macchinari che altrimenti dovrebbero essere sostituiti. Ci sono quindi molte soluzioni a disposizione delle aziende per rispondere agli obiettivi di circolarità.

La competitività delle aziende agroalimentari può aumentare con l’economia circolare? Quali aiuti sono previsti nel PNRR per le imprese?

Il settore agroalimentare è quello più evidentemente collegato al concetto di circolarità e la competitività aziendale può sicuramente trarre beneficio dall’economia circolare. Nel comparto agrozootecnico gli scarti sono ridotti al minimo, come insegna il detto del maiale non si butta niente. L’economia circolare persegue proprio questi obiettivi. Ad esempio, i reflui zootecnici possono trasformarsi in energia rinnovabile grazie agli impianti di biogas; gli scarti di lavorazione di una nota azienda di vino vengono impiegati nella cosmesi. Per quanto riguarda gli aiuti del PNRR è noto che molte risorse sono destinate all’economia circolare e ci sono molte progettualità a riguardo. Anche con la PAC sono state finanziate varie iniziative di produzione di energia con concentrazioni particolarmente significative tra Emilia Romagna e Lombardia, dove sono molto presenti impianti di biogas e dove alcuni produttori hanno modificato il loro modello di business a favore di una maggiore componente di energia.

L’economia circolare è uno dei pilastri della transizione ambientale. A suo avviso quale contributo può dare il settore di carni e salumi? Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza del comparto?

Nel settore la circolarità non è qualcosa di nuovo bensì la virtualizzazione di pratiche del passato (si pensi agli allevamenti nati vicino ai caseifici e all’alimentazione del maiale con il siero di latte). Dal punto di vista della “chiusura del ciclo” il settore zootecnico può sicuramente contribuire perché è in grado - attraverso le deiezioni animali - di generare energia con il biogas. C’è poi il tema dell’utilizzo degli scarti prodotti nelle diverse fasi di lavorazione - dall’allevamento alla trasformazione - e qui occorre cercare di riutilizzare al massimo questi “sottoprodotti” per aumentare il livello di efficienza. Oltre all’aspetto rigenerativo proprio del riutilizzo degli scarti, ci sono tutte le opportunità collegate alla logica ristorativa ossia al ridurre al minimo gli scarti del comparto nel suo complesso. In tal caso il problema principale è legato alla fase di allevamento e alle emissioni di CO2: occorre cercare di costruire soluzioni di lungo periodo, tenendo conto anche dell’evoluzione della domanda di carni e salumi di cui si vedono già dei segnali oggi. Quindi, fare meglio con meno (aumento dell’efficienza) e puntare alla massima qualità è una delle strade più importanti in questo momento perché il consumatore pone grande attenzione a come vengono allevati e alimentati gli animali e al biologico, che sta diventando sempre più significativo. Laddove si garantisce la qualità la domanda di proteine animali non è in diminuzione.

Prof. Frey, lei è il Presidente della Fondazione Global Compact Italia. Quali compiti e quali obiettivi ha questa organizzazione?

Il Global Compact nasce nel 1999 quando l’allora segretario dell’ONU, Kofi Annan, al World Economic Forum di Davos incitò la comunità economica finanziaria lì riunita a fare un patto per dare un volto umano al mercato globale, basato sulla sostenibilità e sul rispetto dei diritti umani. L’obiettivo era promuovere la responsabilità sociale di impresa a livello globale. L’iniziativa prese corpo e oggi abbiamo superato le 16.000 imprese a livello globale che insieme ad altri numerosi attori portano a circa 20.000 i soggetti aderenti. Il Global Compact impegna le imprese e gli altri soggetti che aderiscono alla Fondazione verso il perseguimento dei 10 principi chiave che riguardano: diritti umani (2), diritti del lavoro (4), diritti dell’ambiente (3) e lotta alla corruzione (1). Di fatto attraverso questi 10 principi viene definito il campo della sostenibilità. Dal 2015 c’è l’Agenda 2030 dell’ONU e le imprese aderenti sono chiamate a misurarsi sul livello di perseguimento dei 17 obiettivi. Siamo in presenza di un patto tra la più alta Istituzione internazionale (le Nazioni Unite) e le imprese che vogliono essere protagoniste.

Marco Frey, Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, prorettore alla terza missione e al trasferimento tecnologico, coordina il Laboratorio sulla sostenibilità (SuM) e dirige il Master in Gestione e controllo dell’ambiente: economia circolare e gestione efficiente delle risorse della Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa. È presidente del Global Compact Network Italia, organismo delle Nazioni Unite. Ha diverse altre cariche tra cui quella di Presidente del Comitato Scientifico di Symbola, fondazione per le qualità italiane.

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