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Dissesto idrogeologico. Frane, il problema è a monte
Non è vero che mancano sempre le risorse, spesso ci sono ma non vengono sfruttate o sono utilizzate male
Gilberto Manfrin
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Lionello Belmonte GEOLOGO EX DIRIGENTE PROVINCIA DI IMPERIA
Salvo qualche caso particolare, i fondi che arrivano spesso servono unicamente per rimuovere materiale franoso, liberare le strade, rastrellare i versanti. Mancano, per esempio, i fondi per regimentare correttamente le acque, per rifare le cunette, le tombinature, etc.
C’ è una parola che più di ogni altra può spiegare bene quan to accaduto nei terribili giorni del fine settimana del 23-24 novembre. È devastazione. Le immagini del crollo di un pezzo di viadotto della Torino-Savona, con 30mila metri cubi di materiale franoso, ca duto da un’altezza di 300 metri a circa 20 metri al secondo, secondo gli esperti, sono l’emblema di una regione dimenticata e che dicono più di ogni altra cosa quanto la Liguria sia quotidianamente esposta ad un rischio idrogeologico che rischia di provocare tragedie. Allarmi, crolli, frane: capitano ogni anno tra ottobre e dicembre, quando questa terra si riscopre ostaggio del meteo. E della burocrazia. Che dimentica il suo “grido d’aiuto”. Come ha ben docu mentato di recente “Il Fatto Quotidiano”, il territorio ligure è reso ancora più fragile dall’incapacità di gestire le risorse finan ziarie messe a disposizione: sono solo 41 i milioni erogati per la Liguria a fronte dei 275 previsti dal Piano stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane, nato nel 2015 nell’ambito del Piano operati vo nazionale, per assicurare l’avvio degli interventi più urgenti. La causa: ritardi nella presentazione di progetti cantierabili. Ecco perché la regione continua a vivere una conclamata situazione di instabilità idrogeologica con la sensazione che gli in terventi pensati per scongiurare il ripetersi di nuovi disastri si concretizzino sempre e solo a danno avvenuto, mai per atti pre ventivi ben studiati. Non solo: dove ci sarebbe da intervenire
Senza una attenta pianificazione programmata degli interventi di prevenzione il problema non si risolve
vengono stanziate - come ha ben fatto no tare il quotidiano nazionale - solo alcune centinaia di migliaia di euro a fronte di interventi che, per dirsi risolutivi, dovreb bero costare milioni di euro. Un esempio? Per fermare la collina della Vesca che sta franando, fra sondaggi, esami e lavori sono stati spesi finora 135 mila euro a fronte degli 8 milioni per la messa in sicurezza dell’intera zona. Alla Valle Arroscia sono stati assegnati 400 mila euro di fondi europei per opere contro il dissesto idro geologico, mentre l’entroterra ponentino riceverà dalla Regione un contributo di 234 mila euro a favore dei piccoli Comuni con meno di mille abitanti. Una cifra pari al 35% del costo totale delle opere per la messa in sicurezza delle strade. Ma tali cifre sono investimenti sufficien ti per scongiurare il ripetersi di disastri o comunque tali da prevenire nuovi dissesti? “Purtroppo non sono investimenti suffi cienti - afferma il geologo Lionello Belmonte -. Salvo qualche caso particolare, i fondi che arrivano spesso servono unica mente per rimuovere materiale franoso, liberare le strade, rastrellare i versanti. Mancano, per esempio, i fondi per regi mentare correttamente le acque, per rifare
le cunette, le tombinature, etc. La cosa non va bene”. Così, se i (pochi) soldi disponibili vengono utilizzati per rimuovere terra, massi, bloc chi sulle strade, magari per il fissaggio di una rete paramassi sulla scarpata, si con tinua a non investire, per esempio, in studi e indagini accurate su tratti di versante più lunghi, per capire se fenomeni di dissesto possano capitare anche in settori adiacenti. “Proprio così - prosegue Belmonte -. Ci si concentra sul danno, ma non si va mai a fare un’analisi completa per capire se, quanto accaduto, potrebbe ripetersi: se c’è un evento franoso di una determinata tipologia, con molta probabilità in quella zona, per un buon tratto di versante, è pos sibile che l’evento possa ripetersi, magari a soli 100 metri di distanza. Generalmente con l’attuale disponibilità di professiona lità, di denaro e di uomini non si riesce a fare questa parte importante che rientre rebbe in un discorso di prevenzione o di analisi allargata del problema”. Senza scordare i corsi d’acqua: per la vici nanza tra le montagne e il mare, si tratta quasi sempre di fiumiciattoli, rii e torrenti di piccole dimensioni, dal percorso molto breve e con un bacino idrografico estrema mente ridotto. Questo per dire che, in caso di forti piogge concentrate in un’area ri dotta, bastano pochi minuti per superare la portata massima del corso e farlo esonda re. “Anche in questo caso la manutenzione è scarsa, complice un mancato aggiorna mento dei calcoli di portata, che non sono più quelli di una volta - aggiunge il geolo go -. Ci scordiamo che negli anni i torrenti portano e depositano materiale in più, che va a collocarsi nell’alveo, modificandone la geometria stessa. Quando arriva la piena manca magari un metro di espansione verso il basso, la sezione utile diventa troppo piccola per favorire il deflusso delle acque e così si verifica l’alluvionamento. Non solo: è in atto una mancanza di ma nutenzione costante dell’entroterra, dove ci sono i piccoli rii che poi defluiscono verso i rami principali. In queste zone stanno sparendo i muri a secco e le canalizzazioni d’acqua. Importantissime. L’abbandono del territorio si legge immediatamente come risposta del rischio idrogeologico sui tratti di torrente a valle. Guardando la dinamica fluviale dei corsi d’acqua che vanno verso il mare, per cui più prossimi alla foce, si può capire lo stato di salute dei bacini di tutto l’entroterra e purtroppo la situazione non è buona, anche perché la Pubblica amministrazione non riesce a soddisfare il fabbisogno di interventi e di incentivi per favorire un ritorno dei giovani all’agricoltura. Perché il punto è proprio questo: occorrono nuovi terrazzamenti, nuovi muri a secco che sono la salvezza del territorio ligure. In particolar modo nel Ponente, salvo per qualche Comune, non arrivano finanziamenti nonostante piccole aziende agricole ben disposte che, pur pre sentando domanda, non riescono mai, per via di innumerevoli cavilli burocratici, ad accedere ai già pochi sussidi”.
Ci si concentra sul danno, ma non si va mai a fare un’analisi completa per capire se, quanto accaduto, potrebbe ripetersi: se c’è un evento franoso di una determinata tipologia, con molta probabilità in quella zona, per un buon tratto di versante, è possibile che l’evento possa ripetersi, magari a soli 100 metri di distanza
Vigili del Fuoco al lavoro ad Altare, nella zona del crollo del viadotto dell’autostrada Torino-Savona [Foto:Vigili del Fuoco]