Biancoscuro Art Magazine #45

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ro al centro delle temibili Terre di Mezzo, in cui esiste questo pacifico, democratico e indipendente Stato, da sempre una via libera per il passaggio di popolazioni che transitavano e transitano alla continua scoperta di nuovi territori. Una terra che rappresenta il concetto di viaggio, in cui poco è importante arrivare, ma lo è il semplice camminare in paesaggi immensi, in cui regna lo spazio di Madre Natura ed il suono del tempo dell’anima del cuore. Il 21 luglio 2012, iniziammo a ricercare l’ancestrale popolazione “00”, con un fuoristrada ci dirigemmo a Nord verso la capitale, anche se non mi era dato sapere dov’era il nostro punto di partenza e chi fossi. Impaziente, senza farmi scorgere, rovistai in quella che presumevo fosse il mio bagaglio, a parte degli indumenti per la mezza stagione e della crema solare non trovai alcun oggetto che potesse ricondurmi alla mia identità. Sapevo che il periodo migliore per esplorare la Mongolia era l’estate, per evitare il grande freddo invernale che da settembre a maggio gradualmente scende dai -32°C del nord ai -15°C delle zone a sud. Sapendo che tra l’estate e l’inverno le escursioni termiche possono arrivare ai 35/45 gradi, constatai che gli accessori forniti erano perfetti per il clima. Una leggera pioggia stava finendo, causata dal monsone asiatico, ed il sole torrido cominciava a scaldare, mi tolsi la giacca, Eve con tono premuroso rivolgendomi la parola, mi suggerì: “Inizia ad abituarti, in questi luoghi è un continuo coprirsi e scoprirsi, le temperature variano in continuo, soprattutto tra il giorno e la notte; ma stanotte dormiremo in treno e come hai visto ti abbiamo consegnato tutto il necessario.” Arrivati all’International Airport Chinggis Khaan di Ulan Bator, con un volo privato giungemmo a Novosibirsk in Siberia, per raggiungere un gruppo di ricerca danese in arrivo sulla Transiberiana. In stazione, davanti alla ferrovia degli zar (la più lunga del mondo), con i treni dipinti con lunghi fili rossi, mi tornò in mente qualcosa di famigliare, ma Emiri mi distrasse, comunicandomi che la diramazione Transmongolica, a Ulan-Ude, capitale della Repubblica

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Siberia, Mongolia © Photo by Adele Arati

Mi ero da poco risvegliata, la mia mente vagava in cerca di riferimenti, ma non li trovava. Chi ero? Da dove venivo? Perché esistevano altre realtà oltre a questa? Ricordavo solo le stesse domande che già facevo dall’età di tre anni, dopo l’evento notturno del 21 gennaio 1970, ora erano però ancora più tangibili. Entrò nella stanza una giovane donna e con voce fiebile gli chiesi: “Dove sono? Che giorno è?” Mi rispose: “Sei in Mongolia ed è il 21 luglio 2012.” Ero già abituata a trovarmi in strane situazioni, solitamente da piccoli non ci si preoccupa di sapere chi siamo, ma non puoi mostrare a una bambina qualcosa e poi negargli che esiste.Ormai ero una donna, ricordavo gli studi fatti, l’esperienza di quel lontano giorno, ma non la mia Identità Rapita. Solo l’arté ti permette di studiare e sperimentare in libertà. Fortunamente il mio bagaglio smarrito era in una memoria che non appartiene ai luoghi degli occhi, capivo che il mio semplice compito era solo collegare le multi_discipline per unire i due Universi. Esplorare dovevo averlo già fatto, ricordavo molte cose, ma non ricordavo dove e come lo avevo fatto. Mi alzai da quell’asettico letto, ero vestita con una tuta completamente bianca, la stanza era abbagliante, senza porte, una colonna con forma di fungo era al suo centro, appariva come un acquario, aveva al suo interno uno strano liquido e fili trasparenti, pensai alle pietre del Kerala. Quella donna mi tolse una flebo, mi fece indossare un abito ed una giacca imbottita senza maniche, ai piedi mi infilò dei lucenti stivali in pelle con le punte rivolte in alto, infine sul capo bagnato mi ripose uno strano cappello. Lievitando nella fredda camera circolare, raggiungemmo la porta che era nel soffitto e girando delle maniglie a forma di corna l’aprimmo. Il contrasto con quello che trovai fuori fu meraviglioso: sbucai in una tenda circolare come la stanza sottostante, ma calda e colorata. Una volta fuori da quella struttura, quella donna si presentò: “Mi chiamo Eve Nidoyie, sono una ricercatrice biomedica e sto ricercando il gruppo umano 00, quello d’origine, é fondamentale trovarlo per avviare delle importanti ricerche e tu sei ormai parte della squadra. Benvenuta in Mongolia.” Era bellissima, aveva una corta acconciatura, la tipica donna africana in tutto il suo splendore e mi ricordava una statuetta di Khereduankh, la madre di Imhotep e anche qualcos’altro che al momento mi sfuggiva. Fuori c’erano tre persone ad aspettarci, si presentarono: “Ciao, siamo Emiri, Shuiscè e Moria, alcune delle vostre guide...” Così iniziò l’avventura in Mongolia.

[22ª puntata]

Le terre di mezzo, i percorsi del mito, il cammino piramidale dell’essere

Al confine tra Siberia e Mongolia: sulle tracce della memoria perduta

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