Liber - Crescendo in musica

Page 46

[Crescendo in musica]

SOMMARIO

INTERVISTA Un canto in testa Il rapporto tra parole e musica è il cuore del lavoro di Bruno Tognolini, che in questa intervista raccolta da Eléonore Grassi racconta come sono nati la sua passione per la scrittura in versi e il suo amore per il ritmo. Da dove arrivano per lei la musica e la musicalità? Perché dire le cose a ritmo di tamburo? Il tamburo che suona nella voce di nascosto è una cosa che piace agli umani. Quando ne parlo con i bambini, negli incontri nelle scuole, racconto la storia del cuore che batte e del bambino che già nella pancia della mamma, prima di nascere, sentiva benissimo questo battito. Tum-ta-tum-ta. Quando la specie ti sta impiantando il sistema operativo profondo della tua cultura, arriva questo imprinting forte e ritmico. Forse è per quello che anche dopo che nasciamo, guarda caso, le prime cose che sentiamo dalla mamma sono la voce ritmica. Una mamma che prende in braccio il suo neonato parla con sillabe semplici, ritmate: tutte le rime di culla, le filastrocche della tradizione davano parole alle mamme che sentivano dall’istinto della specie questa necessità di parlare a ritmo. Il fatto di portare la musica e la musicalità nelle parole e nella scrittura è qualcosa di naturale, per me e per tutta l’umanità. In quell’alba lontana della vita e della specie, dove si stava formando la coscienza e la cultura, l’uomo sentiva il mondo ritmato dal cuore e dal respiro; e anche dopo che nasce, o si evolve, quando vuole dire qualcosa di importante, spesso la dice con un ritmo sotto le parole, più o meno esplicito. Forse poi ci sono anche i geni, c’è una predisposizione individuale, un talento, una particolare attrazione verso certe forme estetiche… alcuni, come me, ce l’hanno per le parole: ho zii e nonni che scrivevano, si vede che qualcosa arriva già attraverso i geni; e poi, come sempre accade, i geni evolvono a seconda dell’ambiente a cui si viene esposti. Probabilmente ho sentito musiche e ritmi, da bambino: ricordo una mia cara zia Nietta che ci cantava in sardo. Poi ho fatto il liceo classico, e doverosamente mi lamentavo di dover studiare un altro canto della Divina Commedia: bisognava lamentarsi, altrimenti si faceva la figura del secchione, ma evidentemente mi piaceva. Io mi auguro sempre che ci sia l’esposizione dei bambini e degli adulti alle grandi opere dei classici, perché sono come radiazioni, non ci se ne accorge, ma si sta assorbendo. Ecco, su questo terreno già predisposto arrivano le influenze dell’ambiente, come la poesia italiana studiata al liceo classico, che mi

“tradurre” i celebri sonetti, che il grande compositore accompagnò a questi concerti, in un percorso narrativo. Gek nelle Quattro Stagioni sposta il focus sullo spazio che la musica incontra in partitura, progettando e realizzando illustrazioni che indagano la dimensione della forma, passando dal gran44

ha plasmato; dopo quella, e la continua frequentazione di quella per decenni dopo il liceo, mi ritrovo a scrivere con un andamento ritmico, sia in poesia sia in prosa. Affascinato da tutto questo canto che a forza di cantarlo mi canta in testa, ero sempre più attratto dalla scrittura in versi con una forte componente di metrica e di rima. Che mestiere avrei potuto fare? In quale disciplina avrei potuto scrivere in metro e in rima? Poi ho cominciato a sentire in cuffia molti poeti italiani letti da famosi autori: era un cofanetto nella casa dei miei nonni, “Pagine d’oro della poesia italiana”, un librone e una serie di 45 giri, con una scelta di poesie classiche della letteratura italiana lette da fior di attori dell’epoca. Le ho sentite per anni e anni, in viaggio e in casa, e a forza di sentirle ho cominciato a saperle dire a memoria; alcune, allora, me le sono studiate: ho studiato tutto il primo canto della Divina Commedia, frammenti del canto di Ugolino, di Ulisse, I sepolcri, Leopardi… e andando in giro e camminando, nei miei viaggi o nelle passeggiate, mi dico queste versi: ho circa un’ora e mezza di autonomia di versi italiani detti a voce a memoria. Questo può essere un esercizio, ma è anche un piacere. Come esercizio di disciplina può essere all’inizio faticoso, una fatica improba, ma per me non lo è stato: forse perché è stato preceduto dall’ascolto e dall’incanto di quelle voci che dicevano quei versi, quindi quando ho iniziato a dirli io è stato un seguito naturale, non ho sentito nessuna fatica. In realtà questo esercizio mi fa star bene. Come è arrivato alla filastrocca d’autore? C’è una specie di regola che dico nei miei incontri: la filastrocca è bella se fa contenta la bocca che la dice. Con questo esercizio di imparare a memoria e ripetere i versi, con intenzione o meno, ho svolto un processo importante della mia formazione: ho incarnato il ritmo. Le filastrocche uno le dice, le ridice, le ridice, le ridice e infine le dimentica, perché diventano lui, diventano me. E alla fine, quando mi siedo a scrivere, son pronto; che scriva in metro e rima oppure in prosa, si attiva una specie di background in grado di scrivere ogni frase sentendo lo schema euritmico che vi sta sotto. Il verso “Ma-co-me-sie-te-pe-tti-na-ti-be-ne-sta-ma-tti-na”, da Rime di rabbia, è una mitraglietta di sillabe. L’ho detta

de al piccolo, dal vicino al lontano e affidando al colore la “temperatura delle stagioni”. Questo perché i quattro concerti composti da Antonio Vivaldi (tengo a ricordare che acquistando i libri della collana si possono scaricare i brani musicali utilizzando un QRcode)


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.