SOMMARIO
La cattedra di Peter Emma Beseghi
La rubrica, realizzata in collaborazione con la cattedra di Letteratura per l’infanzia dell’Università di Bologna, segnala lavori originali presentati come tesi di laurea
L’estraneità bambina Questo il titolo della tesi di Elisabetta Zecchi che, attraverso i sentieri impervi della letteratura dell’infanzia, esplora nella sua indagine la forza salvifica delle metafore letterarie come luogo d’incontro L’avventura di questa tesi narra di tanti incontri : il principale si fonda sull’accostamento di due grandi autori, Hans Christian Andersen e Charles Dickens, la cui conoscenza reciproca aveva già avuto luogo in una passeggiata letteraria condotta da Milena Bernardi in un suo illuminante saggio, “L’ estasi nel tugurio”1. Attraverso le lenti della metafora narrativa il percorso di
che diventerà una peculiarità dell’immagine del bambino in epoca borghese: l’estraneità e la distanza dal mondo adulto che mette in risalto la zona nascosta, imprendibile, sempre obliqua dell’alterità bambina esplorata dai grandi classici e metaforicamente narrata con le proprie ferite, dolenzie e metamorfosi. Inutile sottolineare come l’estraneità dell’infanzia rispetto al mondo adulto emerge più intensamente quando i
Ill. di Lisbeth Zwerger da Mignolina di H. C. Andersen (nord-sud, 2004) tesi si è inoltrato nelle fitte foreste della fiaba letteraria e del romanzo sociale, con l’ausilio di importanti strumenti: da Vladimir Propp a Marie Luise Von Franz per l’analisi fiabesca; dal contributo prezioso di Bruno Berni su Andersen ai saggi di critica narrativa incentrati sul lavoro letterario di Dickens, grazie all’importante lavoro di Nabokov, Gay e Bloom. Prima di addentrarsi nel percorso di ricerca, la studentessa si è misurata con un interrogativo di fondo: esiste l’estraneità bambina? Ha così approfondito un concetto chiave che si fa strada nel corso dell’Ottocento grazie a Dieter Richter e 76
bambini vengono assunti come simili a chi è percepito come “estraneo”, diverso, sconosciuto, “altro”, straniero. È proprio in questa direzione che si è avviato il percorso di tesi attraverso un ulteriore interrogativo: è possibile vedere realmente l’infanzia straniera nella sua accezione più reale? È grazie alle metafore letterarie che la finzione narrativa può guardare con sguardo limpido alla condizione dell’infanzia straniera. La letteratura per l’infanzia diviene così madre adottiva dell’infanzia straniera, nominando per la prima volta bambini senza nome, abbandonati da adulti spaventati, donando parole a infanti muti, affidando una storia salvifica a fanciulli derelitti.