RACCONTI SOTTERRANEI
Come non avere più paura del buio Alessandro Beltrame, filmmaker e autore, ci spiega come una difficoltà, in parete e in grotta, può diventare un’opportunità e ci racconta i trucchi per filmare il mondo sotterraneo di Lorenza Giuliani
«P
er molto tempo lavorare in ambiente speleologico ha voluto dire, per un filmmaker, preoccuparsi di come aggiungere luce. Poi si è capito che il buio aveva una suggestione che andava tutelata, valorizzata. E da lì tutto è cambiato». A parlare è Alessandro Beltrame, 53 anni, ligure, valbormidese di Cairo Montenotte, che è riuscito a unire il lavoro e la passione di sempre per varie attività outdoor. Titolare della ditta di produzione video AGB, fa parte dell’Associazione Esplorazione Geografiche La Venta, ha realizzato prodotti audiovisivi con gran parte delle figure più importanti in ambito alpinistico/esplorativo italiane e internazionali. Ultimo un film sul Cervino con Hervé Barmasse che ha sbancato a Trento, Cervino, la Cresta del Leone. «Ho iniziato a lavorare in questo ambito nell’89, ero un ragazzino, e ho vissuto tutto il periodo in cui “più luce c’è, meglio è”. Adesso non è più così Ω continua Ω Negli ultimi 15 anni è cambiato tutto. La percezione del buio, come dicevamo, la tecnologia e ancor di più l’accesso più economico e per tutti alla tecnologia, ha dato una grossa mano. Intendo; più possibilità, più utilizzatori, più idee, più sperimentazione, più confronto, tutto “più”. Una videocamera professionale che all’inizio del Duemila poteva costare 70mila euro, adesso la puoi avere – con qualità analoga – con 5000, e questo non è un dettaglio trascurabile». Quindi il buio non fa più paura? «Non solo, diventa un elemento importante. Le tecniche sono cambiate: fino a pochi anni fa un controluce era considerato sgradevole, un errore. Adesso avere la luce contro la camera (in gergo: “in camera”) e una sagoma nera che si muove tra
la luce e chi la riprende diventa suggestivo, e reale. Non vedi l’uomo ma ne percepisci la sagoma, i movimenti, il linguaggio del corpo: è quello che spesso succede in grotta ed è quello che cerco. Sequenze che dicano tante cose in breve tempo. E una sagoma in controluce, da cui esce vapore racconta bene quello che sta succedendo». Anche perché immagino che portare tante luci super potenti in una grotta sia complicato… «Complicatissimo. E costoso. E irreale. Invece se accetti il buio e cerchi di trasmettere il suo fascino risolvi il problema e il tuo punto di osservazione cambia». Anche il pubblico a cui si rivolgono produzioni di questo genere è diventato più esigente? «Molto più esigente. Bisogna capire che, contrariamente alla fotografia, il video ha meno possibilità di intervenire su alcune variabili: non si possono allungare i tempi di esposizione, si possono solo usare sensori più sensibili. E anche in questo senso le cose sono molto cambiate e oggi usiamo sensibilità (ISO) che fino a poco tempo fa erano considerate troppo estreme». LO SPAZIO E IL MOVIMENTO Oltre alla luce, anche lo spazio è un ostacolo da superare? «Non puoi muoverti come vuoi tu. E anche in questo caso, devi riuscire a far diventare quel problema un’occasione. Spostare le camere, nascondere il soggetto per poi ritrovarlo, restituire spontaneità e verosimiglianza ai movimenti sono le linee guida da seguire». Ci vuole un discreto allenamento fisico, oltre alla professionalità, per fare questo genere di riprese?