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movimento di cui è capace in senso generativo e degenerativo.245 Nell‟ambito del suo percorso fisiologico, l‟essere naturale appare all‟uomo come un fenomeno appunto naturale. Ed essendo il percorso fisiologico la sua stessa essenza, il fenomeno naturale può mutare forma apparente, cioè immagine, rimanendo sempre se stesso. Ciò significa che la trans-formazione () di un fenomeno naturale, inerisce le qualità accidentali della sua immagine, ma non la sua essenza, sicché, nel caso del Potere, può mutare la forma storica della sua manifestazione istituzionale, ma non mutare di essenza. L‟essenza del Potere è la violenza, intesa come la riduzione del complesso in semplice, della realtà concreta in realtà astratta dal suo divenire naturale, dalla sua “durata” in senso bergsoniano. E poiché, come abbiamo visto, l‟essenza naturale non può essere mutata nel suo decorso fisiologico, ogni costruzione razionalistica dell‟essere sociale come sistema di Potere politico, è destinato naturalmente a decadere. Il destino naturale delle costruzioni razionalistiche della vita sociale umana è di convertire l‟astratto essere politico nel suo opposto dialettico, e in questa intestina contraddizione dialettica consumare la sua decadenza. Ora, identificare la immagine di Dio con quella di una istituzione umana, è idolatria, poiché l‟unica immagine umana di Dio è quella del Cristo, il cui percorso naturale è stato umano, essendo Lui nato e morto, ma la cui vicenda spirituale, riflettendo l‟essenza divina di Dio, è eterna e unitaria come Dio, rendendo perciò singolare e insieme eterna la vicenda di ogni uomo che, nella vicenda di Gesù Cristo, riflette sé stesso come immagine di Dio. Il di Dio è Cristo, in cui ogni uomo si riflette come creatura spirituale, e non può essere alcuna persona giuridica, alcuna istituzione storica come lo Stato o la Chiesa. Il di Dio non è né lo Stato e neppure la Chiesa. Ogni identificazione in tal senso è idolatrica, confondendo la creatura umana (ydolum) con l‟Immagine divina (). La statua di Cristo col Cristo. Il prodotto umano con l‟uomo. Il lavoro con l‟esistenza. A maggior ragione, non può confondersi l‟azione politica, la decisione (decisio) di privare la realtà della sua complessità a favore del suo solo
245 E. Coccia, La vita sensibile, cit., pag. 33.
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senso razionale iuxta propria principia ethico-politica, con la deliberazione spirituale (), il cui senso proprio è il manifestare la presenza di Dio. L‟Essere di Dio come presenza spirituale manifestata dalla testimonianza della fede nella Sua immagine nell‟altro, non è nel senso d‟essere del razionale, ossia l‟attualità di ciò che è naturale secondo il suo processo genetico, esclusiva della sua inattualità, ma è l‟Essere nella sua totalità ed eternità, cioè nella sua indissolubile unità. E solo in Dio si può ritrovare tale unità, e giammai nella realtà empirica della molteplice finitezza. Voler trovare l‟unità nel regno del Molteplice, cioè della finitezza, è un tentativo vano quanto sofferto, non potendo la finitezza trascendersi ma solo generalizzarsi in senso spaziale. Questa generalizzazione in senso spaziale è ciò che la logica razionale intende per universalità, che non è altro che una reductio ad unum per separazione (abstractio) del diverso dal simile. Questa esclusiva operazione decisoria, condotta nel campo delle relazioni sociali, si dice politica, mentre la riduzione razionale e sistematica del molteplice in unità similare, in campo teoretico si dice etica. Una politica condotta in senso coerentemente razionale si traduce in una condotta etica. Ma giusta in senso giuridico di conforme alla regola, e quindi opportuna, non vuol dire giusta in senso morale, ossia coerente all‟inclusivo sentimento agapico. Giusto in senso etico-politico è il comportamento opportuno della persona dello Stato: come lo Stato si sarebbe comportato in quanto persona giuridicamente titolare di una razionale volontà politica. Giusto in senso morale cristiano è il comportamento adeguato all‟amore di Dio, così come si manifesta nell‟esperienza storica del Cristo. La scelta, tutta umana, del senso immanente ovvero trascendente della giustizia delle azioni dell‟uomo, è il travaglio spirituale che non riguarda il pensiero razionale, cioè il ragionamento metodico, ma il dialogo spirituale che la sua coscienza ha con il Mistero della Verità. Se dunque la decisione di ragione, il giudizio razionale, diventando metodo dialettico e tecnica logica, riguarda solo i filosofi, gli uomini eletti del , la deliberazione spirituale riguarda invece ogni uomo in quanto immagine di Dio. E se la politica razionalizzata, ossia la ragione politicizzata, intende espandere la filosofia in senso spaziale universale con la forza, la misericordia intende proporre alla coscienza umana di guardare in interiore homine per scorgervi l‟immagine di Dio che si riflette in ognuno. Alla forza politica, qui si sostituisce la pazienza della 114
speranza nella conversione. E se il tempo della politica è l‟attualità e dunque la certezza, il tempo della misericordia è l‟inattualità della speranza, che non è incertezza, cioè il contrario della certezza, ma è una certezza non determinabile temporalmente, affidata alla Provvidenza divina, che grazia alcuni ma non esclude nessuno dalla speranza della redenzione spirituale. A differenza del rispecchiamento razionalistico dell‟ideale nel reale, tale che a riflettersi nel fenomeno sia la sua realtà coessenziale a suo modo omologata dalla riduzione della Verwandlung, la specularità del divino nella coscienza umana non mantiene inalterata la realtà umana essenziale, ma la trasmuta radicalmente. Questa trasmutazione () radicale mantiene il modello divino univoco nella sua perfetta realtà trascendente, ma altresì rende univoca la identità esistenziale in cui l‟Immagine si riflette spiritualmente, privandola così della sua accidentalità naturale e trasfigurandola in senso spirituale come soggetto intenzionale, ossia a un tempo simile a Dio e responsabile delle sue azioni verso di Lui. L‟intenzionalità e la responsabilità sono gli elementi costitutivi della coscienza empatica dell‟uomo spirituale. La trasfigurazione spirituale della coscienza umana, che la rende empaticamente simile a Dio e moralmente responsabile delle proprie azioni, è l‟evento della Grazia divina che si riflette nella coscienza dell‟uomo. Ma qual è il senso esistenziale della trasfigurazione spirituale dell‟uomo? Il senso della trasfigurazione spirituale consiste nel trascendimento del singolo uomo dalla sua specie. L‟uomo spirituale è un uomo singolare, nella cui esperienza esistenziale si riflette, come aveva ben visto Kierkegaard, l‟esperienza spirituale stessa della specie umana. In questo preciso senso spirituale Gesù è l‟Uomo eterno rinato nella Grazia divina, il nuovo Adamo. L‟Immagine di Dio () che in virtù della Grazia si manifesta alla coscienza umana trasfigurandola spiritualmente, è quella appunto di Gesù di Nazareth, il Cristo, la cui storia rappresenta l‟esperienza oggetto della umana imitatio. Questo il senso profondo della Incarnazione divina come fenomeno antropico e il senso stesso della storia eterna dell‟Uomo spirituale che è in ognuno.
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Ma in quanto fenomeno, l‟Incarnazione, quale immagine di Dio, è anche atopica, senza luogo.246 E dunque, poiché de-localizzata, l‟Immagine ‟, il , è anche sommamente in-politica, non soggetta ad alcuna cittadinanza. Questa sua condizione ontologica, non solo libera i cristiani dal vincolo etnico dell‟elezione veterotestamentaria, ma crea il presupposto che ogni uomo che rifletta in sé l‟Immagine di Cristo, si senta svincolato dall‟appartenenza politica. in questo senso, la fede in Cristo è parallela al servizio dovuto a Cesare, ossia alla cittadinanza politica. In quanto immagini finite dell‟Infinito, per i cristiani non vi è “città”, ma solo riflesso di Dio. La fede come riflessione divina è la testimonianza (), ossia l‟offerta di sé in olocausto, il martirio, appunto, del . Da qui la grandiosa esegesi di Kierkegaard della prova di fede di Abramo, che “ha cancellato con la sua azione tutta l‟etica ottenendo il suo superiore fuori di essa”. 247 Questa riflessione testimoniale non ha niente a che vedere con la riflessione teoretica (), che è inerente all‟essere dell‟ente, e quindi con la teo-logia che si è sviluppata con l‟innesto filosofico. Il prodotto della è l‟imitazione di Cristo, che non è ma è . La mimesis è infatti la rappresentazione di ciò che è già stato, di un modello da riprendere così com‟era rievocandolo simbolicamente. Ed è ciò che persegue l‟, che rappresenta l‟immagine mimetica di Cristo dell‟arte figurativa bizantina. La deixis, invece, è la corrispondenza mnemonica che l‟evento presente ha con il suo paradigma cristico, simbolizzato didascalicamente dal nome con cui ricorre. Non vi è rappresentazione ma appunto testimonianza dell‟evento entro l‟esperienza esistenziale del martire, e quindi al di fuori di ogni stilizzazione liturgica. Ogni non è mai ripetitiva, non ubbidisce a un canone liturgico, a una rappresentazione stilizzata, ma riflette l‟esperienza della fede in maniera unica e irripetibile come lo è l‟evento storico. Ma in quanto evento riflessivamente paradigmatico, quello della è insieme la memoria
246 “Un‟immagine è sempre in qualche modo fuori luogo, è l‟esser fuori luogo del mondo e delle cose”: E. Coccia, La vita sensibile, cit., pag. 71.
247 TeT, pag. 235.
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simbolica dell‟evento eponimo accaduto entro l‟esistenza storica di Cristo, e come tale appartiene al . La realtà temporale dell‟evento testimoniale è una realtà simbolica, che reca in sé la memoria, non la pro-duce alla stregua di un evento meramente temporale. L‟evento simbolico del martirio presente è già avvenuto, e quindi già consegnato alla memoria, che la dunque rievoca, per cui ogni atto testimoniale di fede simbolizza la Storia di Cristo. in questo preciso senso abbiamo affermato che non vi è storia che non sia spirituale. Ma se questo è vero, allora la conversione () non segna che il passaggio () da una condizione trattenuta () entro la spazialità () dei rapporti sociali di Potere (), a una condizione di libertà atopica spirituale in cui il senso della giustizia () affidato alla legalità () viene sostituito dal sentimento () della misericordia (). Ne consegue inoltre che la stessa rappresentanza del Potere, diversamente dalla testimonianza di fede (), non può che essere fondata sulla territorialità (), segnando così la sua stretta appartenenza alla fisicità topica. Noi cogliamo così il senso non solo simbolico ma ontologico della non appartenenza del Regno di Dio a “questo mondo” finito, ossia a un mundus che, per quanto vasto e imperiale, è segnato comunque da un confinium e perciò conclusus entro la finitezza fisiologica della realtà naturale. Ma l‟ambito dello spirituale, se non è quello della topologia politica, non è neppure l‟iperuraneo platonico o il Regno dei cieli. Non foss‟altro perché si prevede per il suo conseguimento la mediazione di Cristo. Lo spirituale infatti è quella dimensione di realtà intermedia tra l‟Infinito divino e la finitezza naturale in cui prende forma l‟incontro tra le due dimensioni estreme. Questo “incontro” è la rappresentazione del mondo, la sua “immagine”, nella sua fase auratica. Essa non è ancora “forma”, e non è più mera concatenazione di elementi fisici, ma è la fase intermedia della possibilità dell‟Essere di ripiegare verso il naturale ovvero di dispiegarsi nel senso della sua determinata forma razionale, astratta dalla originaria e “confusa” realtà organica. La “con-fusione” è il dis-ordine, morale e prammatico, non ancora strutturato in sistema ordinato di prevedibili corrispondenze. Tutto l‟impegno dell‟uomo mentalmente ordinato, o educato, deve tendere all‟ordine, che consiste nel sapere trans-fondere il confuso in un fenomeno provvisto di senso, e 117
quindi interpretabile. Ciò-che-ha-senso è l‟immagine dell‟ordine, la sua rappresentazione, indicata con il nomen. L‟immagine dell‟ente è il suo nome, che indica il senso dell‟ordine delle cose emancipate dalla originaria organica confusione naturale. E dunque il linguaggio per l‟uomo equivale a dare nome alle immagini, distinguendo gli enti. La distinzione è il contrario della confusione. E se la distinzione è attribuzione di nomi, il linguaggio è per l‟uomo anzitutto attività nomenclatoria con cui egli dà ordine al suo mondo. L‟ordine cosmico è dunque essenzialmente logoico. La filosofia è l‟ordine cosmico apportato dal linguaggio in maniera sistematica, con la tecnica dialettica. Il logoico diventa logico. Ma il metodo logico non è l‟unico modo di organizzare il mondo umano. Esiste anche quello del linguaggio immaginifico, in cui le immagini (nomina) restano con-relate nella loro indistinta organicità auratica. E‟ questo il modo della rappresentazione del Mito. I Nomina del non sono semplici “cose” distinte dalla natura ma indistinte fra loro, ma richiamano le immagini dei fenomeni evocati. E tali immagini sono quelle della condizione originaria della fase auratica. E‟ questo il fascino emanato dalla poesia, che nomina le cose lasciandole nella loro aura sensibile, cioè apparente. La poesia è l‟apparenza delle cose, e il Mito è la conoscenza apparente del mondo. Secondo un consolidato pregiudizio intellettuale, la fase mitica sarebbe lo stadio infantile dell‟esperienza cognitiva dell‟uomo, rispetto alla progressiva età adulta della ragione. Stabilendo che l‟operazione astrattiva della ragione sia la fase progressiva di emancipazione dall‟organicità del Mito, la civiltà dell‟uomo antropologicamente greco, che pone a fondamento unificante della soggettività l‟intelletto, si è strutturata nel senso della sua progressiva razionalizzazione, cioè determinazione logica. Diverso, però, dall‟Io alla greca è la soggettività in senso cristiano, che agostinianamente è la persona spirituale, “l‟uomo interiore” delle Confessioni, che “voleva e non voleva”,248 e quindi non decideva ma rimaneva immerso in quella , in quella proclivitas alla passione, che per i greci era morbosa in quanto irrazionale. Eppure per i cristiani, quello spazio interiore della persona
248 Agostino, Confessioni, VIII, 22.
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spirituale era il luogo in cui l‟Io incontrava Dio. E non era uno spazio logico ma immaginifico e auratico, in quanto non concentrato sulla , cioè sulla , ma sul , ossia in quell‟ambito mediano () in cui era possibile ascendere a Dio meta-fisicamente. Se non in questo spazio intermedio, diverso da quello fisico della socialità politica, non si poteva nominare Dio, invocarlo (), ossia rifletterne l‟Immagine (). E pertanto, su questo fondamento topologico spiritualistico bisognava costruire la Chiesa universale (). Nondimeno, il percorso della civiltà europea di religione cristiana è stato ben diverso, avendo perseguito un disegno di oggettivazione in grado di costruire topologie culturali costitutive di luoghi di senso comune (). Tali loci communes sono le forme istituzionali che costituiscono l‟intelaiatura connettiva della socialità, intesa come principio religioso della convivenza umana. Questo reticolo connettivo di carattere religioso ha espresso quelle che Cassirer chiama “forme simboliche”, che sono essenzialmente forme di comunicazione funzionali alla trasmissione del pensiero e della volontà degli uomini membri della comunità sociale. Le forme topologiche di convivenza espresse da ciò che Hegel chiamava l‟objektiver Geist tendono tutte a formare unità significative di senso, indicando nel progetto teleologico delle istituzioni sociali due elementi fondamentali di esse: a) il loro carattere convenzionale e b) la loro succedaneità rispetto alla condizione molteplice di cui sono remedium superatore come strumento comunicativo. Tale condizione molteplice, indicata dalla stessa nomenclatura, è il carattere singolare degli enti mondani. La singolarità dell‟uomo non è il suo corpo biologico, che fa di lui un individuo della specie, ma la sua esistenza, cioè la sua storia spirituale. La comunità costruita sul dato corporeo e naturalistico della vita umana agisce sui moventi bio-psichici dell‟uomo inteso come , lasciando in un limbo informale la zona pneumatica mediana () che è la fonte della sua personalità singolare, della sua singolarità spirituale. La differenza radicale tra la dimensione oggettiva e formale dell‟uomo e quella mesotagica e informale consiste nella diversa possibilità unitiva delle due realtà. Se infatti l‟individuo bio-psichico è accomunabile agli altri membri sociali attraverso le forme istituzionali della sua esperienza socio-culturale, le esistenze singolari abbisognano di legami connettivi 119
di diversa natura, che sono i sentimenti, attraverso i quali le singolarità spirituali riconoscono se stesse negli altri. I luoghi comuni di questo idem sentire sentimentale sono i Miti, che narrano l‟esperienza comune dell‟uomo spirituale. La trascrizione razionalistica dei mitici in termini logici intende fondamentalmente sostituire la connessione sentimentale () dei rapporti umani con una connessione esclusivamente naturalistica e formale basata sulla corporeità topica (). La politica in senso idealistico non è altro che una geometria (del corpo) sociale (), ottenuta attraverso la riduzione dell‟ a calcolo topometrico () attraverso l‟astrazione del , considerato irrazionale e morboso. L‟uomo del razionalismo greco è dunque politico ma non sentimentale, topico ma non pathetico. Non a caso l‟arte, che è l‟espressione estetica del pathos, viene bandita dalla Repubblica ideale di Platone, in quanto poiesi dell‟in-formale, elemento estetico del Mito. Il sentimento è l‟intuizione sensibile del mondo, materia di ogni poiesi oggettiva, o “proiezione intenzionale”.249 E‟ il contenuto spirituale di ogni espressione immaginifica. Il sentimento, insomma, è il contenuto dell‟immaginazione. La creazione immaginifica è l‟arte. L‟estetica in senso razionalistico, priva cioè del pathos sentimentale, diventa espressione del logos, formale in senso topico, ossia geometria topologica, tecnica stilistica. Ora possiamo renderci conto della portata dello scarto dialettico. Ciò che infatti viene escluso dalla logica formale è esattamente il sentimento della vita, lo scorrere delle scansioni vitali, il movimento in divenire di tutte le cose. Senza questo stadio mediano della zona pneumatica () il rapporto tra gli enti fisici e gli enti ideali diventa riflessivamente diretto, e quindi interscambiabile, e tale che l‟ente idealizzato sia la proiezione geometricamente infinita dell‟ente-che-è, il suo modello universale. La possibilità di tale rispecchiamento proiettivo, di tale idealizzazione ontica, passa attraverso l‟astrazione estetica del pathos. Una realtà de-pathetizzata, privata del sentimento della vita, viene ri-localizzata more geometrico in forme topiche universali, le categorie. La logica diventa la tecnica della ragione
249 E. Coccia, La vita sensibile, cit., pag. 112. 120
geometrica, lo strumento teoretico della topo-logia economica.250 Ma poiché il movimento della vita reale, il pathos sentimentale, non può esiliarsi in interiore homine, poiché esso costituisce la trama della esistenza spirituale dell‟uomo nei suoi rapporti col mondo, esso deve trovare un varco attraverso lo formale sorvegliato dalle istituzioni politiche, per essere canalizzato e neutralizzato come risorsa psichica della sublimazione razionale necessaria alla vita sociale.251 E così, anziché essere coltivata come potenzialità espressiva dello spirito umano, la risorsa del sentimento, pur indispensabile alla vita umana, viene considerata solo in rapporto al suo valore funzionale alla sopravvivenza del sistema politico, e per cui o tollerata come strumento religioso di contenimento sociale () o banalizzata a tensione ludica. Nel primo caso, la Weltanschauung razionalistica sviluppa una antropologia politica basata sulla “uniformità della natura umana”, i cui “affetti” primordiali “dell‟amore e della paura” vengono concepiti come “la potenza dell‟animalità” dell‟uomo. Di conseguenza, “la fantasia positiva dell‟uomo di Stato, che calcola i fatti, ha il suo fondamento in questo modo di vedere, che considera l‟uomo come una forza di natura e insegna a vincere i suoi affetti mettendo in azione altri affetti”.252
250 è intesa qui come la dispositio dei teologi alessandrini di “governo salvifico del mondo”, come intende Heidegger il “modo dell‟ordinare” col termine Bestellen e Faucault il concetto di “dispositivo”, ossia come “un insieme di prassi, di saperi, di misure, di istituzioni il cui scopo è di gestire, governare, controllare e orientare in un senso che si pretende utile i comportamenti, i gesti e i pensieri degli uomini”: G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Roma, 2006, pag. 20. L‟A. lo identifica con “una pura attività di governo che non mira ad altro che alla propria riproduzione” (pag. 32), intendendo “governo” per amministrazione. Infatti il senso originario del Governo divino e provvidenziale era quello di salvare l‟elemento eterno dell‟uomo, e non semplicemente di esercitare un Potere di controllo corporeo, così come era inteso invece nel senso greco del . 251 G. Agamben parla di “desoggettivizzazione” dei dispositivi del capitalismo tardo-moderno (Ivi, pag. 30). Ma questo fenomeno in realtà corrisponde allo stesso processo di astratta universalizzazione della soggettività socializzata e privata del sentimento singolare della creatura pathetica operata dal Potere razionalizzato. 252 W. Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura, tr. it. cit., vol. II, pag. 240.
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Indispensabile, all‟uopo, una definizione razionale dei moti affettivi che di essi censuri quelli politicamente eversivi, esaltandone di contro quelli socialmente religiosi. E pertanto la religione viene inclusa funzionalmente alla direzione della vita politica come mito fondativo dell‟ordine sociale attraverso canali pedagogici istituzionalizzati in riti periodici, di natura mistica (si pensi ai culti divini) o pedagogica (si pensi alla drammaturgia greca). Nel secondo caso, l‟istanza razionalizzatrice del cosmo topico-politico consente che alcune aree della vita sociale, perlopiù marginali, possano sviluppare una produzione rappresentativa del sentimento della vita indipendente o quasi da ogni remora di carattere politico. E‟ il caso dell‟arte moderna e dello sport, che offrono una immagine, anche veridica, ma del tutto surreale dell‟esistenza umana, in cui il sentimento viene acquisito solo come elemento icastico. Sollevata da ogni fondamento di verità incontrovertibile, la stessa conoscenza scientifica acquisisce tale elemento icastico in senso congetturale per le sue immaginarie ipotesi teoriche. Una natura umana de-mitizzata e imbrigliata alle idee tende a essere rappresentata come un gioco di parti prefissate in cui “le passioni umane [siano]come un motore prevedibile della creatura” politica.253 Lo sforzo etico-politico è finalizzato acché tutto sia rappresentabile in termini che eludano il mistero della esistenza, sostituito dal rapporto drammatico interno alla dialettica sociale servo vs. padrone, Potere vs. cittadino. In questo senso è stato indicata la Weltanschauung moderna come il luogo proprio “in cui soltanto il tragico può trovare un suo sviluppo incontrastatamente poderoso e coerente”, per quanto l‟eroe moderno è rappresentato “entro un insostenibile ordine del mondo che non regge di fronte a occhi illuminati”, essendo l‟immagine dell‟umanità che egli offre caratterizzata dalla “angustia”, dalla “oppressione” e dalla “non libertà”,254 recando in sé un irriducibile pathos anti-etico notato a suo tempo da Nietzsche, che per primo ha messo in luce il carattere immaginifico della produzione artistica come
253
W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, tr. it. cit., pag. 86. 254 J. Voelkelt, Aesthetik des Tragischen, cit. da W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, tr. it. cit., pag. 93. 122
puro “fenomeno estetico”.255 Ma ciò che Benjamin stigmatizza come “l‟abisso dell‟estetismo” dionisiaco e nichilistico,256 è in realtà il giudizio di un critico che si pone interamente entro la visione apollinea, di cui quella estetica assume di converso il valore di contraltare dialettico. Ma era inevitabile che una cosmologia costruita sulla esclusiva determinazione dell‟Essere come Logos ponesse fuori del topos idealistico il suo relativo Niente, divenuto il nemico che premeva ai confini della moderna città della Ragione emancipata dai suoi fondamenti di fede. Ma il Niente era anche la tenebra dalla quale era uscita la creazione divina, e il luogo temuto del ritorno del mondo privato della Grazia, al cui intervento salvifico era dunque sempre debitrice l‟umanità. Il Dio creatore (creator) del mondo ne era anche reggitore (rex) in quanto custode (provisor) della sua realtà ontologica. Il governo provvidenziale (providentia) di Dio era dunque la condizione stessa dell‟esistenza del mondo così com’era. Conviene ribadire che la fede cristiana è del tutto estranea a ogni visione religiosa tradizionale, compresa quella ebraica, dove il Mistero divino viene rappresentato come una esperienza etnica. Ma è altrettanto vero che ciò nonostante, la civiltà cristiana si sia definita entro i confini di una religiosità di natura segnatamente politica, internamente quindi a una teologia pensata topologicamente nel senso chiarito. Questa connubio teologico-politico ha generato il problema della compatibilità logica delle dottrine interne ed esterne alla tradizione ecclesiale, filosofiche o teologiche, con la costruzione ideografica sostenuta dalla dogmatica ufficiale della Chiesa, la cui dottrina, come abbiamo visto, in ogni caso si era andata definendo come un grandioso commento digressivo () della cultura pagana classica. Al centro della grande disputa teologica del XIII secolo che divide la Cristianità vi sono le Quaestiones de legibus del francescano card. Matteo d‟Acquasparta (1240-1302), redatte tra il 1283 e il 1284, dove “la „lettura‟ religiosa del cosmo, proposta dall‟opera, non è priva di connessioni anche con l‟ambito politico, fornendo implicitamente una
255 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragoedie (1895), cit. da W. Benjamin, Loc cit., pag. 95. 256 Ibidem.
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giustificazione teorica all‟ideologia teocratica” propugnata da Bonifacio VIII contro Filippo IV detto il Bello, con la quale si voleva, in chiave agostiniana, “legittimare la pretesa del potere spirituale alla plenitudo potestatis”,257 che sarà oggetto esplicito del Sermo de potestate papae pronunciato ad Anagni il 24 giugno 1302 dinanzi a Bonifacio VIII, al collegio cardinalizio e agli inviati di Filippo di Francia, in cui la plenitudo viene estesa anche al potere temporale.258 Il Governo divino è qui inteso non come generica providentia, riservata a tutte le creature, ma, magis proprie, come lex, ossia come ordine razionale confacente a una creatura razionale, e quindi di una armonia cosmica retta dalla lex aeterna impressa nell‟uomo come sua lex naturalis, (beninteso, naturae superadditum) che è la “regula che dirige esclusivamente le azioni libere della creatura razionale”.
259 Libertas e lex sono strettamente congiunte, essendo la destinazione della prima secondo la prescrizione della seconda a fare del comportamento umano oggetto di valutazione secondo il Bene. Infatti, essendo la loro corrispondenza conforme ai divini principii universali, eterni e immutabili, l‟osservanza della lex naturalis fa della libertas umana un auto-governo. Ciò implica che la lex naturalis sia uno habitus in senso proprio (proprie) di “disposizione stabile” secondo i principii eterni, e non una disposizione occasionale, come l‟intendeva invece Tommaso,260 il quale lasciava pertanto autonomia alla ragion pratica di determinarsi indipendentemente dalla volontà diretta di Dio. Il riflesso diretto della legge divina nel cuore degli uomini, fa della libertà morale una responsabile adesione a ciò che costituisce la
257 L. Mauri, “Introduzione” a M. d‟Acquasparta, Quaestiones disputatae de legibus, tr. it. Il cosmo e la legge, Firenze, 1990, pagg. 9-10. Per La disputa tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, ved. l‟omonimo saggio di M. Delle Piane in L. Firpo (a cura), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, Torino, 1983, vol. II 2, pagg. 497-541. 258 Ved. la Nota bibliografica a Il cosmo e la legge, cit., pag. 42. Il Sermo de potestate papae è riportato in Appendice ai Sermones de S. Francisco, de S. Antonio, de S. Clara, Firenze 1962 (BFA X), da cui saranno tratte le citt. 259 L. Mauri, Introduzione, cit., pag. 14. 260 Tommaso, Summa Theol., I-II q 94; ved. L. Mauri, Loc. cit., pag. 17 n. 37. 124
giustizia eterna. Ed in tale adesione è da ravvisarsi la capacità raziocinativa dell‟uomo. Allora come spiegare il male nonostante lo habitus della lex naturalis? Col peccato originale (status naturae lapsae), che oscurando l‟intelletto umano ha reso necessaria una lex scripta che la ricordasse rendendo significativa l‟esistenza umana. Ma la necessitas della legge scritta non va intesa in senso naturalistico ma di opportunità soteriologica, e pertanto inscritta nella stessa provvidenza divina. Da qui la doppia fisionomia della lex, che appare metafisica ex parte Dei ed etica ex parte hominis, con una presuntiva predilezione di Matteo per “una ermeneutica dell‟esistenza che privilegia nettamente la considerazione dell‟uomo „storico‟ rispetto a quella che lo vede nella sua condizione „naturale‟”261. In realtà, la preoccupazione di Matteo è quella di stabilire una distanza tra la necessità ex naturae principiis, che riguarda generalmente gli enti materiali, e la volontà legata all‟atto razionale, proprio invece dell‟uomo, includendo surrettiziamente anche ciò che è “male di per sé ma non in se stesso” tra gli eventi previsti da Dio a buon fine. Ciò vuol dire che la persona umana riflette il Bene eterno frammisto alla naturan naturans della sua animalità. La maschera umana riflette da Dio la luce benigna della Grazia ma la riflette insieme alle sue ombre della sua natura finita. Il tentativo di de-finire i termini di questa presenza divina nell‟uomo, equivale a decrittarne la volontà secondo una simbologia omogenea alla fonte di irradiamento. Il linguaggio di Dio diventa quello razionale depositato nell‟uomo. E quindi la persona umana deve atteggiarsi simbolicamente a quanto consenta la decifrazione della volontà di Dio. L‟estroversione della presenza divina in una forma simbolicamente traducibile in termini razionali fa della estetica una produzione pubblica, destinata cioè alla comprensione comune. E dunque ciò che era precipuo della interiorità del singolo deve partecipare della simbologia della scrittura comune del consorzio civile, rientrando a pieno titolo nella cultura socializzata, la quale, come sappiamo, è una topo-logia, una cultura dello spazio politico. Che poi tale ambito topico venga distinto da quello propriamente civile, non afferisce alla natura del suo carattere comunitario. Tale esigenza comunitaristica traspone
261 L. Mauro, Ivi, pag. 20.
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l‟unità simbolica della molteplice singolarità umana nell‟ente generalizzante, che non è più Cristo ma un ydolum tribus, si chiami Chiesa o Stato. Di conseguenza, l‟Immagine accomunante che rendeva possibile la non è più il riflesso singolare della immagine () di Cristo in interiore homine, cioè la persona singolare di ognuno, ma la proiezione ipostatica di tale ydolum, un feticcio sensibile (), del quale la normativa esegetica, scritta e pittorica, diventa la traduzione universalizzata della voce stessa di Dio. La che ha la stessa radice (ritirarsi) di , rappresenta appunto l‟Immagine sacra privata del suo singolare, del suo sentimento personale, ossia della sua “fede” (), sulla cui “confermazione” () andava costruito evangelicamente il mondo cristiano. L‟esistenza cristiana è quella in cui la fede in Cristo viene confermata, non dalla legalità (), ma dalla deliberazione () conseguente all‟appello evocativo () all‟Immagine divina dello Spirito (). Non è un caso che l‟appello luterano alla sola fide, senza una radicale revisione dei fondamenti ontologici del cosmo cristologico, abbia prodotto la civiltà materialistica dell‟immagine, in cui la semiotica è affidata alla sola modalità di presenza dell‟immagine corporea, al segno estetizzante, privo di corrispondenze con l‟altrove che non sia lo sguardo di chi quell‟immagine de-finisce entro lo spazio della finitezza sociale, misurata dalla capacità di controllo dello spazio , relativo all‟ambiente della vita biologica, la casa dell‟uomo. Poiché lo spazio esterno è il prodotto convenzionale del calcolo topometrico () ottenuto dall‟astrazione del dall‟, la sua de-finizione risente dei motivi politici relativi alla particolare geometria (del corpo) sociale (), ossia dalle storiche contestuali possibilità di operare tale riduzione (Xxxxx), la quale è dunque sempre frutto di un equilibrio precario tra il molteplice e variegato livello di coscienza simpatetica e le forme istituzionali storiche atte a rappresentarlo iconicamente. Queste forme rappresentative, prodotto di quell‟equilibrio socio-culturale, necessitano di essere riconosciute da altri interlocutori istituzionali. Ed esattamente in questo riconoscimento iconico consiste la dialettica della politica, tendente a una pacifica con-venzione, e quindi a un pactum che trasformi lo hostis in amicus.
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Lo stretto intreccio ideo-logico tra forme rappresentative e politica non è solo evidenziabile attraverso le guerre civili o tra Stati, ma anche tra confessioni religiose diverse in lotta per il reciproco riconoscimento politico. Un cambio di paradigma che consentisse il superamento delle divisioni interne al Cristianesimo dovrebbe prioritariamente avvenire nel senso del passaggio () da una visione iconica dell‟Immagine divina a una concezione dochematica, tale da rinunciare a ogni formalismo estetico a favore di una libera espressione spirituale legata alla Grazia divina (), secondo il modello cristico, per cui la era una libera associazione carismatica, non una istituzione normativa. Questo particolare comunitarismo spirituale segnerebbe in modo radicale la differenza tra le forme sociali legate al Potere e le libere associazioni ecclesiali, per cui la conversione () da un sistema bio-politico a un legame pneumatico fosse non una semplice svolta (Kehre) interna all‟orizzonte di coscienza dell‟Essere temporale, ma un passaggio () autentico, segnato dall‟abbandono (Diremption) del fondamento discriminatorio (Urteilung) logiconaturalistico a favore di una considerazione dell‟esistenza come intuizione spirituale del Tutto, che non è presente nella temporalità del tempo finito, come pretendeva lo storicismo e la stessa “effettività” (Factizitaet) di Heidegger, ma in quella dell‟evento propizio () alla Possibilità di Dio () e il superamento della vuotezza della Sua presenza incompleta () nel tempo intermedio della finitezza (), caratterizzato da relazioni inautentiche e puramente bio-logiche oggetto della gnoseologia scientifica, che è sapere esclusivo derivato dall‟idealismo, inadatto alla vera conoscenza di fronte alla intuizione della pienezza infinita divina, che è pensiero del Tutto anziché dell‟Essere, come invece è quello dell‟ontologia tradizionale sulla quale si è affidata, per il medio teoretico della tecnica dialettica, la teo-logia cristiana.262 Il Tutto non è l‟Essere-presente, cioè
262 La Possibilità della pienezza di Dio include la sua presenza storica (Dasein) attraverso l‟esistenza stessa dell‟uomo spirituale, e perciò non è propriamente presenza attuale nel senso metafisico del pensiero logico-razionale tradizionale, per cui lo stesso concetto della come “presenza” di Dio, riflette la concezione idealistica dell‟ente quale attualità dell‟Essere, laddove il suo senso autentico è quello riferito alla pienezza della Sua infinita possibilità. Ma non è 127
non è la forma dell‟ente, e neppure dunque “il modo di esistenza di una forma”,263 ma con-siste nella Possibilità in-attuale che avvolge l‟Essereche-è e che lo de-limita in negativo rispetto a ciò che lo de-finisce positivamente. Il modo di esistenza di una forma è il suo divenire, la sua genesi, che è il passato della sua attualità. La forma ideale di questa esistenza è il concetto categoriale, mentre la sua forma estetica è lo spazio d‟essere sottratto alla sua possibilità pensata come ni-ente e come vuoto. Giustamente è stata confutata la pretesa di definire una gnoseologia spirituale parallela a quella naturalistica, poiché anche le scienze dello spirito, inteso questo come forma ideale dell‟Essere attuale, sono un sapere dell‟Essere-che-è, cioè dell‟ente come fenomeno temporale, e quindi come realtà estetica. La logica che de-finisce la presenza dell‟Essere è lo stesso metodo cognitivo relativo a ogni ente naturale, a ogni fenomeno attuale, e perciò non può essere il criterio di conoscenza del Tutto, di ciò che nonè l‟Essere ma l‟avvolge come sua possibilità in-attuale. La scienza dell‟immagine sensibile dell‟Essere è l‟estetica, che è la conoscenza della forma dell‟Essere attuale scissa dai suoi contenuti logici, ossia dalla sua genesi. Tale pre-scissione rappresenta l‟immagine sensibile come appare alla vista di chi ne osserva l‟esteriorità. Il modo dell‟apparenza dell‟ente è sempre spaziale, un modo topico, un modo di de-finire lo spazio fenomenico. L‟immagine pneumatica di cui parliamo non è spazializzata ma limita lo spazio attuale trascendendolo, ossia non gli si contrappone per contenderne dialetticamente la forma, ma lo avvolge l‟oscurità della possibilità avvolge la luce del fenomeno, come il Mistero della verità avvolge la certezza della ragione se indichiamo il Mistero della verità col nome di Dio, allora la conoscenza di Dio non può essere una teologia, una scienza della Sua presenza fenomenica, perché la Sua immagine umana è Cristo, e la Sua conoscenza è la Storia di Cristo, la storia dell‟Uomo pneumatico. Una storia che non può essere meramente
neppure l‟assoluta storicità della universale vita intenzionale. Infatti, il pensiero del mondo-della-vita (Lebenswelt), in quanto pensiero dell‟esserci, è ancora interno all‟orizzonte di senso onto-logico della metafisica greca, identificando la “vita” con il divenire della Natura, della totale possibilità degli enti fisici. 263 E. Coccia, La vita sensibile, cit., pag. 188. 128
logico-fenomenica, ossia naturalistica, ma appunto anch‟essa pneumatica, che testimonia la fede dokematica nel Cristo, e perciò non una indagine scientifica () ma una testimonianza () di fede. L‟oltrepassamento dell‟orizzonte ontologico greco comporta l‟abbandono dell‟ipotesi dell‟universale unità cosmica, per la quale l‟uomo viene inscritto nello stesso habitat naturalistico degli altri esseri mondani, e l‟accoglimento della verità della condizione singolare dell‟uomo quale essere sentimentale, non, cioè, meramente senziente, come ogni altro essere vivente, ma disponibile alla trascendenza della sua finitezza. In tale disponibilità consiste la sua libertà spirituale, il suo sentimento della esistenza (), che lo allontana dalla necessità della vita biologica cui soggiacciono gli altri esseri animati. Questo allontanamento dalla condizione animale equivale alla considerazione della sua esistenza non-logica, non soggetta al universale le cui leggi regolano la vita finita del cosmo naturale (), il vero soggetto intrascendibile del mondo-della-vita. In considerazione dell‟evento cristico, la coscienza teoretica dell‟uomo non può più circoscriversi entro l‟orizzonte della finitezza onto-logica, ma schiudersi a quell‟incontro col trascendente costitutivo dell‟orizzonte della totalità che Jaspers chiamava l‟Umgreifende, il cui tempo avvenimenziale non è la diacronia di ma la compiutezza del , la cui Immagine antropo-pneumatica è il e non l‟ sensibile dell‟antropologia tradizionale. L‟identificazione razionalistica dell‟immagine trascendentale () con la figura empirica dell‟ ha comportato per riflesso idealistico, a fase alterne, la umanizzazione del sacro (teo-crazia) ovvero la sacralizzazione dell‟umano (umanesimo), provocando l‟alternanza di unitarismo religioso e di frantumazione bellicistica tipica della storia della Cristianità, pervasa dal principio naturalistico del anziché da quello cristiano della Ciò ha creato le premesse culturali del dominio della immagine antropizzata della forma topica come “vita sensibile”, la cui finitezza ha schiuso le porte alla manipolazione del corpo sociale (), attraverso le ideocrazie politicistiche, e del corpo biologico (), attraverso la manipolazione genetica. “Così intesa essa [la potenza di un corpo di avere veste, di trasformare cioè una porzione estranea del mondo nel luogo della propria apparenza e della propria verità] è il luogo in cui la natura deve 129
farsi immagine e l‟immagine individuale è demiurgia immediata della propria natura, […] assorbendo in sé ogni possibile morale. In essa si mostra come l‟ethos sia capace di disegnare sensibilmente tutti i tratti del nostro bios”.264 “Disegnare sensibilmente” vuol dire dunque progettare e manipolare forme topiche, naturali o umanizzate, e quindi ri-formare, ossia dare nuova forma, al creato secondo una intenzione riflessiva della propria concezione del mondo. Il carattere eversivo e rivoluzionario di tale impostazione razionalistica forse non è stato pienamente colto dai suoi teorici e propugnatori, i quali probabilmente ritengono ingenuamente che “la capacità di custodire ed emanare immagini”265 sensibili sia un gioco di società, come appunto la “moda”, e non già il carattere terribile della libertà umana come Potere demiurgico della specie priva della redenzione indiativa, la quale soltanto può trasformare la vita biologica dell‟individuo in una esistenza del Singolo favorito dalla Grazia divina (). Il totalitarismo politico è la coerente applicazione pratica dell‟universalismo naturalistico del concetto razionale, per il quale “naturale” è quanto abbia ovunque e per tutti lo stesso valore legale266 . E se “ovunque” vuol dire in ogni parte dello spazio topico, idealmente formalizzato, “per tutti” vuol dire che ha valore anche per ognuno indistintamente, secondo uno spirito uniforme contrario al singolarismo della morale cristiana. Stabilire pertanto sulla base del principio naturalistico il rapporto razionale tra Creatore e creatura è perlomeno fuorviante. Eppure tutta l‟argomentazione di Matteo d‟Acquasparta procede attraverso sillogismi basati su premesse di tipo naturalistico, desunte dai classici pagani quali Aristotile e Cicerone, oltre che sulle fonti patristiche, per cui la questione sulla legge eterna è condizionata dallo stesso concetto di legge come “regola o principio” prodotti del diritto, “presente in chi governa, grazie al quale egli dirige, ordina e dispone le
264 E. Coccia, La vita sensibile, cit., pag. 193. 265 Ivi, pag. 198. 266 Aristotile, Etica a Nicomaco, V 7, 1134 b 19. 130
realtà subordinate”,267 [accomunando Dio a un legislatore “eterno” ma omologo a ogni reggitore di Stati. Infatti, “nessun legislatore istituisce una legge se prima non l‟ha concepita in sé e nella sua mente”,268 sicché con la legge eterna “l‟eterno signore, governante e sovrano dirige e dispone ogni creatura dotata di ragione o di intelletto, angelica e umana”. Non già “alla cieca o caso o secondo fortuna o fatalità – il che appare assurdo anche nel caso di qualsiasi altro re, principe o padre di famiglia -, ma guida, dispone e governa con potenza, sapienza ed in modo sommamente retto”, ossia appunto “in base o conformemente a un principio che chiamiamo legge eterna”.269 E che altro non è che il disegno provvidenziale concepito alla maniera topo-logica e naturalistica greca, per cui “la legge eterna è la stessa ragione sempiterna”,270 “in base alla quale variano tutte le leggi temporali che servono al governo degli uomini ed il cui principio è che sia giusto che tutto sia sommamente ordinato: infatti è sempre giusto che tutto sia sommamente ordinato”. 271 Il principio d‟ordine è quello razionalistico per cui i principi morali giusti e veri sono eterni, “noti di per sé” e da tutti conosciuti per tali. Essi sono assiomatici, come “ad esempio che si deve amare il bene e che si deve desiderare la sapienza”, ma ciò non significa che siano immutabili ed eterni “nelle cose stesse, dato che ogni realtà creata è soggetta a mutamento e può essere ricondotta al nulla”, e neppure relativamente “in ciò che la nostra mente possiede in modo stabile, […] in quanto anche il nostro intelletto è soggetto al mutamento” e all‟errore. E dunque gli uomini, sulla base di quale legge gli uomini giudicano la condotta degli altri uomini?
Non in base a se stessi, perché è di se stessi che giudicano; non secondo una disposizione stabile della mente, giacché è noto che le loro menti sono ingiuste. Essi giudicano, quindi, in base ad una legge totalmente
267 M. d‟Acquasparta, Quaestiones disputatae de legibus, tr. it. Il cosmo e la legge, cit., pag. 63. 268 Ivi, pag. 67. 269 Ivi, pag. 64. 270 Ivi, pag. 65. Ved. Agostino, De libero arbitrio, I 6, 15. 271 Ivi, pag. 69.
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immutabile ed in giudicabile, che è superiore alle nostre menti. D‟altra parte, [secondo Bonaventura,] nulla che non sia eterno è superiore alle nostre menti, per cui è necessario ammettere che la legge eterna esiste.272 Il costrutto sillogistico si basa tutto sull‟assioma implicito che la ragione umana sia speciale, ossia della specie antropologica nel suo complesso, per cui la divisione empirica tra savi e stolti non inficia il dato complessivo della guida razionale della mente dell‟uomo. Ciò implica che il genere umano, per quanto di natura lapsa a seguito del peccato d‟origine, sia teologicamente rilevante per la sua componente razionale, la quale si assume sineddoticamente per il tutto. Questa discriminante razionalistica introduce nel discorso cristologico una componente eversiva dell‟intera concezione morale di Cristo, il quale, chiedendo di non giudicare e di perdonare il prossimo, intendeva superare la dicotomia vero/falso in ambito della condotta umana spostando il referente normativo dal piano del Potere politico a quello caritatevole del Governo divino. Questa non poteva presumere la universalità di una normativa valida erga omnes, ma soltanto l‟attitudine a con-prendere le ragioni dell‟altro sulla base del proprio sentimento (). Il tipico rapporto legale tra fattispecie astratta e caso concreto viene da Gesù rinnegato in nome della carità in occasione dell‟episodio della lapidazione della meretrice, allorquando Egli fa appello alla coscienza di ciascuno di essi per suffragare un gesto legittimo e quindi giuridicamente giusto. La morale della pietà elimina l‟etica giuridica, contravvenendo alla razionalità della prescrizione normativa, la cui validità si misura appunto con la sua applicazione universale. Il giudice cui fa appello Gesù a proposito della Maddalena non è il tutore della legge ordinamentale, poiché l‟atto morale in senso cristiano trascende ogni ordinamento giuridico, ma al “tribunale di Cristo” (2 Cor., 5, 10), diverso dalla Legge stessa mosaica custodita dai farisei, in quanto applicata secondo il criterio umano della sua astratta universalità, la quale non considera che il sabato, cioè la regola generale, sia fatto per gli uomini, anziché il contrario. La priorità del caso concreto, che configura per l‟ordinamento legale un caso di eccezione, viene eletto da Gesù come il prescritto normale nei rapporti caritatevoli tra fratelli nella fede.
272 Ivi, pagg. 70 e 71.
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Ordunque, qual è la “legge eterna”? La “regola o modello del bene e del giusto”, ossia la prescrizione ideale della ragione universale, ovvero l‟ordine provvidenziale in cui la parte è teleologicamente ordinata rispetto al tutto, tale che, come afferma Agostino, “non vi sia onta di peccato senza splendore di giustizia”?273 Nel primo caso, Dio coincide idealisticamente con l‟Essere, tale che “l‟essere che è in Dio è il principio dell‟essere in ogni cosa”,274 compreso il principio legale, per cui “è la legge stessa, che è la prima e somma verità, ad essere principio di ogni legge giusta, e tutte le leggi giuste vengono tratte da essa e perciò la legge è realmente eterna”.275 In tal caso, tra la legge divina e quella umana c‟è una rifrazione diretta, partecipando entrambe della stessa ragione. Ma se il sole sorge sui buoni e sui cattivi, e la pioggia bagna i giusti e gli ingiusti (Mt 5, 45), affinché “tutti gli uomini buoni e cattivi condividessero i beni e i mali temporali”,276 non può valere per le ragioni morali, nel cui ambito un qualche evento può apparire “fortuito, quando non si conosca la ragione profonda dell‟ordine”.277 Il che vuol dire che tra l‟Essere, che è uno, e la prassi, che è molteplice, c‟è una distanza segnata dall‟erramento umano, tale che rispetto al modello eterno ed esemplare si ammette la possibilità di una “pluralità di leggi” diversa dal modello unico,278 ognuna delle quali riflette una intensità diversa di giustizia relativamente al grado di carità in essa contenuta.279 L‟ipotesi che se la legge eterna “non esistesse, non vi sarebbero nemmeno le leggi che sono ordinate al conseguimento di tali esiti [o fini] nel tempo”,280 ossia le norme di diritto, verrà confutata dalla legislazione dello Stato assolutistico moderno che, superiorem non
273 Ivi, pagg. 75-77. Agostino, De libero arbitrio, I 15, 44. 274 Ivi, pag. 78. 275 Ivi, pag. 79. 276 Agostino, De civitate Dei, I 8, 1. Corsivo nostro. 277 Boezio, De consolazione philosophiae, IV 6, cit. in M. d‟Acquasparta, Il cosmo e la legge, pag. 80. 278 [Ivi, pagg. 80-81. 279 Agostino, De natura et grazia, 70, 84; ved. M. d‟Acquasparta, Il cosmo e la legge, pag. 82. 280 Ivi, pag. 83.
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recognosens, accentra in sé la potestà normativa positiva e il potere demiurgico costituente. Questa è la prova storica che la supposta derivazione diretta della legge naturale da quella divina sia in realtà soggetta a una mediazione, quella della fede nella validità dei fondamenti morali della legge eterna riaffermata da Cristo, senza la qual fede la stessa potestà regale è auto-noma e indipendente da ogni potestà trascendente, inerendo non già la soggettività creaturale ma la soggettività politica. Questo comporta la distinzione ontologica, affermata da Agostino, tra legge eterna e legge naturale,281 per cui si introduce un elemento terzo tra il modello eterno e il naturale la cui assunzione trasforma questo in propriamente umano. Questo elemento mediatore è appunto la fede nel Cristo Redentore come Immagine spirituale () dell‟Uomo non-più naturale. Questa mediazione non viene contemplata nel rapporto tra legge divina e legislazione di diritto, sicché il rapporto tra le due dimensioni normative non è di carattere mnestico, come per Platone, ma eternamente innato per illuminazione divina.282 La differenza riposa nel fatto che non vi è coincidenza tra legge naturale e natura razionale. Infatti, secondo Aristotile, “la natura si rapporta ad una cosa soltanto, per cui anche la legge naturale, se esiste, deve rapportarsi ad una cosa soltanto ed essere determinata ad una cosa soltanto [laddove] le facoltà razionali, proprio perché razionali, si rapportano a cose opposte. Di conseguenza, la legge naturale contrasta totalmente con la natura razionale”.283 La legge di natura è legata alla necessità, mentre il fine della legge razionale trascende la natura ed è legata alla libera determinazione dell‟arbitrio umano, sicché “razionale” va intesa quella legge che obbedisce al principio dell‟ordine divino, e non a quello necessario e uniforme della natura, per cui “è del tutto superfluo e inutile ammettere un‟altra legge che stabilisca l‟ordine. Pertanto, non si deve ammettere la legge naturale”284 . Nel senso che “naturale” per l‟uomo è la legge razionale divina, distinta da quella variabile umana dei costumi.
281 Agostino, De vera religione, 30, 56; De Trinitate, XIV 15, 21. 282 M. d‟Acquasparta, Il cosmo e la legge, pag. 89. 283 Ivi, pag. 90. Aristotile, Metaphysica, IX 2, 1046 b 2-6. 284 Ivi, pag. 91.
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Ma divinizzare la natura ha significato per la teologia di origine agostiniana aver operato una ulteriore razionalizzazione della legge naturale, privandola della sua polarità dialettica e destinandola al fine univoco della salvezza trascendente. Questa assunzione tecnica della razionalità del logos pagano entro il finalismo escatologico cristiano, introducendo metodicamente nel discorso teologico uno dei due termini dialettici del discorso filosofico, quello volto alla trascendenza, implicitamente ne introduce anche l‟altro opposto, volto all‟immanenza. E se il finalismo della ragione divina è univocamente volto al Bene, l‟elemento ugualmente governato dalla provvidenza ma volto al Male è comunque presente nella ragione umana appunto come elemento naturale, e perciò non separabile se non per via distinguente, e perciò dialettica e polemica. Infatti, com‟è giustamente ricordato, “se si deve ammettere nella creatura razionale la legge naturale è necessario ricondurla ad una delle categorie dell‟essere”.285 Mentre però, come afferma Aristotile, “nulla di ciò che è per natura, è soggetto a variare”, invece “ogni giudizio della creatura razionale è soggetto a variazioni”286 in quanto libero. E dunque nel modo naturalistico sfuma il carattere caritatevole della graziosa relazionalità cristiana. La “legge di grazia”, infatti, mira a volere “il bene per l‟altro e il male per me”, e pertanto “abolisce piuttosto ed annulla la legge di natura”, per la quale “devo volere per l‟altro ciò che voglio per me e fare all‟altro ciò che voglio sia fatto a me”, dal momento che, secondo Aristotile, “il diritto naturale è il medesimo e ha la medesima validità presso tutti”.287 L‟equivoco tra la validità universale della norma razionale e la vigenza concreta nei singoli casi dell‟esperienza umana, gioca sulla confusione non chiarita tra l‟elemento legalmente prescrittivo e l‟elemento moralmente imperativo. E‟ chiaro che la legge naturale, per la sua astratta uniformità, prevede la conformità del rapporto reciproco, laddove la legge morale è sempre contestuale e dunque unilateralmente difforme dalla biunivoca prescrizione universale. La differenza tra
285 Ivi, pag. 93. 286 Ivi, pag. 94. La cit. di Aristotile è dall‟Etica Nicomachea, II 1, 1103 a 19-21. 287 Ivi, pag. 92. Il passo cit. di Aristotile è tratto dall‟Etica Nicomachea, V 7, 1134 b 19.
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l‟inottemperanza della norma legale per ragioni morali e la violazione della norma di diritto risiede nel suo diverso fine, che nel primo caso è altruistico mentre nel secondo è egoistico.288 E dunque la morale in senso cristiano è sempre unilaterale e favorevole all‟altro.289 Questo principio altruistico pertiene a un regno che non è di questo mondo, la cui legge di movimento tende all‟affermazione di ogni ente mondano, anche a scapito di altri, ma a un regno altro in cui le dinamiche naturali vengono smentite da una volontà spirituale volta al bene comune. Se questo è inteso nel senso della salvaguardia della specie naturale, il principio razionale è di salvare l‟intero anche a scapito dei singoli membri, e l‟etica coincide con la stessa potenza economica dell‟ente idealmente unitario. Ed è questo il percorso del naturalismo greco, metodicamente universalizzato dall‟idealismo platonico che dall‟etica l‟ha trasferito all‟intiero pensiero filosofico. Ma questo non può essere il pensiero cristiano, che si oppone alla ontologia pagana proprio perché afferma la superiorità delle concrete ragioni del singolo su quelle astratte della specie naturalistica. Se ciò è vero, allora è insostenibile l‟ipotesi di una provvidenziale direzione unitaria e univoca per la quale sia le leggi di natura che le leggi spirituali della morale possano convergere o addirittura coincidere in una stessa coerente legislazione razionale, gerarchicamente strutturata e riportabile a una medesima potestà divina. In tal caso non ci sarebbe stato alcuno evento salvifico da parte del secondo Adamo, né il bisogno di una spirituale che stabilisse la da una condizione naturale a una
288 Il tentativo casuistico di distinguere tra bene e male assoluti da evitare a sé e all‟altro, e situazioni “intermedie” e relative “al luogo, al tempo e alle condizioni delle persone”, non risolve la questione del contrasto tra la normatività del valore universale, che inerisce un contesto socio-politico collettivo, e il dovere coscienziale che inerisce al rapporto del singolo con la verità del suo sentimento morale, la quale pertanto non può non essere anch‟essa singolare. Ved. la risp. 13 a questa obiezione in Ivi, pagg. 116-117. 289 Se pensiamo alla natura utilitaristica del sinallagma dell‟economia capitalistica, che tende alla massimizzazione del profitto nella relazione di scambio, ci rendiamo conto come l‟universalizzazione del principio razionalistico della reciprocità abbia prodotto una forma di civiltà di religione cristiana ma essenzialmente di cultura pagana.
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pneumatica. Ossia, a una rappresentazione della realtà non più legata a una immagine estetica del mondo ma a una immagine pathetica, informata al modello del cristico. Per scongiurare una deriva gnostica, la teologia romano-alessandrina ha assunto il principio di validità tipico della gnoseologia greca, l‟universalità del concetto razionale, estendendolo in senso teo-logico fino a comprendere nella stessa unità di ragione il mondo sacro della carità e quello profano della natura egoistica, nel tentativo di legalizzare in uno stesso sistema normativo la preminenza del primo sul secondo, attribuendo alla provvidenza divina la responsabilità che la libertà morale ha assegnato al singolo di scegliere – e non già di conciliare –l‟uno o l‟altro orizzonte valoriale, stabilendo pertanto la priorità della salvezza spirituale singolare alla salvezza naturale speciale. Nel momento in cui si antepongono le ragioni dell‟unità sociale – dalla famiglia allo Stato imperiale o alla stessa Chiesa – alle ragioni della salvezza singolare, viene asserito il primato razionale della logica del polemos su quello spiritualistico dell‟altruismo agapico. Di conseguenza non può sussistere un regno di questo mondo che sia nel contempo cristiano, poiché lo status personae del cristiano è unicamente singolare, e non collettivo. Ogni conformità alle ragioni della vita collettiva stabilisce una resa a Cesare, il cui potere non può essere ispirato da Dio, ma dal principe di questo mondo, col quale Gesù non ha voluto intrattenere alcun negozio né alcuna tregua pattizia. Quando perciò si afferma, con Agostino, che “se non ci fossero dei princìpi noti di per sé, non potrebbe esistere alcuna formazione teorica o pratica”, si vuol dire che il fondamento di ogni verità risiede nella sua fede. Ma quando si aggiunge che essi coincidendo con “i princìpi del comportamento morale universali” sono le “regole della legge o del diritto naturale”,290 si confonde l‟universalità del principio razionale con la condizione antropologica, facendo della situazione reale la immagine riflessa di quella ideale, lasciata sospesa nella sua astratta latenza fenomenica tipicamente razionalistica. Per assicurare la corrispondenza dell‟aspetto reale alla sua immagine ideale, l‟istanza deontologica inscritta nella universalità del principio razionale unitario suscita l‟intervento correttivo del Potere normativo generalizzante, al quale si
290 Ivi, pag. 101.
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assegna il compito di operare ogni rettifica empirica necessaria all‟affermazione effettiva di quella astratta universalità. Ed è in questa zona mediana che la onto-logia del Sapere incontra la topo-logia del Potere come sistema giuridico strutturato in “dispositivo” istituzionale.291 Ogni sapere, teoretico e pratico, afferma Matteo,
291 Foucault, rifacendosi a Hyppolite e al concetto hegeliano di Positivitaet relativo alla religione cristiana, ha parlato di “universali”, di “governamentalità” o, più recentemente, appunto di “dispositivo”, inteso come “manipolazione di rapporti di forza, di un intervento razionale e concertato nei rapporti di forza, sia per orientarli in una certa direzione, sia per bloccarli o per fissarli o utilizzarli. Il dispositivo è sempre iscritto in un gioco di potere e, insieme, sempre legato a dei limiti del sapere, che derivano da esso e, nella stessa misura, lo condizionano. Il dispositivo è appunto questo: un insieme di strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi di sapere e ne sono condizionati” e che Foucault chiama “la rete” (le réseau): M. Foucault, Dits et écrits, vol. III, pagg. 299-300, cit. da G. Agamben, Op. cit., pagg. 6-7. G. Deleuze definisce i dispositivi come “regimi che bisogna definire per il visibile e per l‟enunciabile, con le loro derivazioni, trasformazioni, mutazioni. E in ogni dispositivo – egli aggiunge – le linee oltrepassano delle soglie, in funzione delle quali esse sono estetiche, scientifiche, politiche ecc.”: G. Deleuze, Che cos’è un dispositivo? (1988), tr. it. in Id., Due regimi di folli e altri scritti, Torino, 2010, pag. 280. Interessante a proposito notare come il concetto foucaultiano di “soggettivazione”, intesa come schema processuale di sintesi dei due elementi intersecati del Sapere e del Potere della rete del dispositivo, nasconda senza pervenire a consapevolezza l‟idea della trascrizione singolare dei motivi universali e astratti in istanze deontologiche non sempre riconosciute in senso sociale, e perciò, quando criptiche e marginali, “sfuggono ai poteri e ai saperi di un dispositivo per reinvestirsi in quelli di un altro, sotto altre forme che devono ancora nascere”. E in tal senso, “poiché sfuggono alle dimensioni del sapere e del potere, le linee di soggettivazione sembrano particolarmente adatte a tracciare percorsi di creazione, che solitamente abortiscono ma che vengono anche ripresi, modificati, fino alla rottura del vecchio dispositivo”: Ivi, pagg. 282 e 284. E‟ appena il caso di aggiungere che il fenomeno storicamente più significativo per la cultura umana di “soggettivazione” è stato la predicazione di Gesù, in cui le possibilità dei modi socializzati di esistenza vengono relativizzati e ricondotti al dispositivo regolatore del sistema istituzionale – il regno di Cesare - entro il cui orizzonte di senso esse assumevano rilevanza valoriale di natura etica. Il Cristianesimo, però, è il prodotto culturale del razionalismo di derivazione socratico-platonica, del quale costituisce la forma teologico-politica universalizzata in senso topico-religioso. La conseguenza di questa dislocazione della predicazione di Cristo nell‟universo concettuale greco è la crisi della ontologia costitutiva della cosmologia classicocristiana e conseguentemente della sua forma di civiltà europea. In tal senso 138