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35 Ivi, pag
presuppone dei principii indimostrati dalla scienza che li adotta, che sono gli assiomi aristotelici, “e dai quali discendono tutte le conclusioni posteriori”. Se non ci fossero “ma fossero tutti soggetti a dimostrazione, essi non potrebbero essere dimostrati all‟interno della loro propria scienza – perché nessuna scienza dimostra i suoi principii – e si dovrebbe ricorrere ad un numero infinito di scienze, anzi, non esisterebbe alcuna scienza”.292 Donde derivano tali princìpi? Mancando una legge scritta presso i pagani e i gentili, “è la coscienza ad indicare loro che cosa vada fatto e che cosa evitato”, intendendo per essa non la “disposizione di colui che ha la coscienza ma piuttosto l‟insieme dei princìpi costitutivi che permettono alla coscienza stessa di formarsi”. Una coscienza che è posta nei loro animi “per natura”.293 Il fondamento del sapere è dunque extra-scientifico e originario. Essendo indimostrabile, è una fede. la fede pertanto è all‟origine di ogni sapere. E poiché tale fede originaria non deriva da conoscenze scientifiche, e spesso non si trova prescritta nei libri sapienziali o giuridici, essa è inscritta naturalmente nella coscienza umana, intesa appunto come fondamento di conoscenza. L‟aspetto interessante è che dai fondamenti non scientifici del sapere derivino “tutte le conclusioni posteriori”, quelle scientifiche e quelle non-scientifiche. Solo le prime conclusioni sono razionali, mentre le altre restano fideistiche. E fin qui siamo all‟interno dell‟orizzonte di coscienza greco. La coscienza cristiana dovrebbe ragionevolmente confidare nel sapere naturale, universale ed eterno, non in quello razionale e umano, temporale e fallace, come appunto sostiene Agostino nel De doctrina cristiana. 294 Invece inscrive il sapere divino nell‟orizzonte di coscienza razionalistico, per cui “nessuno può desiderare o compiere il bene se prima non lo ha conosciuto né può condannare, detestare o evitare il male se prima non lo ha conosciuto”.295 Ed è “questa conoscenza”, afferma Matteo, che
possiamo ripetere con Sloterdijk che “la filosofia è il suo spazio espresso nel pensiero”: P. Sloterdijk, Il mondo dentro il capitale (2005), tr. it. Roma, 2006, pag. 31.] 292 M. d‟Acquasparta, Il cosmo e la legge, pagg. 102-103. 293 Ivi, pag. 103. 294 Ivi, pag. 104. 295 Agostino, De trinitate, VIII 4, 6.
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“chiamiamo legge naturale”.296 Eppure, nonostante non si voglia intendere “la natura come contrapposta alla ragione e alla volontà”,297 si tratta di cose ben diverse. “Naturale” è ciò che preesiste alla legge “razionale” e umana. E soltanto se si crede nella identità della legge di natura con la legge razionale è possibile affermare che si tratta della stessa legge di coscienza. Ma questa appunto è una fede. Una fede razionalistica “in un ideale personificato”,298 che non appartiene alla verità evangelica ma al Cristianesimo storico di cultura ellenistica, quello che viene professato da Matteo. Vi è dunque una inserzione pseudomorfica di fede razionalistica che trascrive la fede escatologica di Gesù di Nazareth nell‟orizzonte di sapere della cultura di origine greca, che fa del cristianesimo, a seconda dei casi, un razionalismo religioso ovvero una religione razionalistica. In ogni caso, l‟esigenza del razionalismo è quella di accreditare esclusivamente la conoscenza suffragata da una legge di carattere universale, per cui, poiché omnia potestas a Deo, ed “Egli non provvede né governa se non secondo un qualche principio, che possiamo chiamare legge”, “anche la creatura, amministrata e governata secondo tale legge, deve necessariamente essere in qualche modo partecipe di tale principio”, che, in considerazione di chi governa, “lo si chiama legge eterna; quando lo si considera nella realtà che è governata, lo si chiama legge naturale”.299 E‟ bastato spostare l‟origine del cosmo razionale dal vago “sempre” dei Greci alla creazione divina degli Ebrei, e fare della legge eterna la “causa” della legge naturale,300 per confermare lo stesso ordine naturalistico del creato, con la conseguenza contraddittoria ricordata di porre la sua conoscenza () a fondamento di ciò che era inscritto da sempre per natura ma rivelato da Dio agli uomini. Un guazzabuglio.
296 Ivi, pag. 105. 297 Ivi, pag. 112. 298 “La fede in Cristo è una fede in un ideale personificato”: G.C. Hegel, Religione popolare e Cristianesimo (1794) tr. it. in Scritti teologici giovanili, Napoli, 1972, pag. 99. 299 M. d‟Acquasparta, Il cosmo e la legge, pag. 109. Corsivi nostri. 300 Ivi, pag. 114.
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Se la necessità è inscritta nella procedura metodica della gnoseologia razionalistica, essa contrasta con la libertà di coscienza che è supposta dalla conversione cristiana, sicché la indeterminatezza della sua modalità effettiva è la traccia che lascia trasparire l‟incongruità logica e morale di quell‟abbinamento, e la conseguente instabilità teorica della relativa dottrina teologica. Se infatti, come sopra riferito, dai principi primi discendono necessariamente “tutte le conseguenze”, non vi è più spazio all‟indeterminatezza modale, la quale diventa agli occhi della dottrina razionale un difetto da correggere sistematicamente, e non già un riscontro della libertà umana, dal momento che “poter fare il male non è libertà ma mancanza di libertà”.301 Libero è solo ciò che è conforme al principio universale. Da qui la necessità della normativa legale che vi provveda, ossia della autorità ecclesiastica, depositaria del “principio formale”.302] Infatti, “il diritto naturale è il medesimo presso tutti e ha la medesima efficacia” potenziale, ma “il fatto poi che non abbia lo stesso effetto presso tutti, non dipende da un difetto della legge ma da un difetto della volontà, che non è costretta o vincolata dalle legge”.303 Basta dunque regolamentare prescrittivamente la volontà ribelle per ottenere la conformità alla norma della recta ratio, essendo lo scopo della legge di rendere buoni,304 indicando la correzione nel senso della “disposizione della giustizia” come “libertà”. E “a tale scopo [correttivo] abbiamo bisogno di un modello e di una legge scritti [sia per] l‟esplicazione della legge naturale [che per] illuminare l‟intelletto […] ottenebrato dal peccato”,305 e dunque a seguito della “corruzione della natura”, decaduta e soggetta alle “trasgressioni” del peccato che, se non punito, manterrebbe l‟universo nel suo disordine.306 E‟ dunque attraverso la legge che si conosce il peccato necessario alla salvezza.307 Legge che diventa una sorta di catalogo delle “conclusioni”
301 Ivi, pag. 113. 302 Ivi, pag. 111. 303 Ivi, pag. 117. 304 Aristotile, Etica Nicomachea, II 1, 1103 b 3-5. 305 Ivi, pag. 118. 306 Ivi, pagg. 134-135. 307 Rm. 7, 7; Ivi, pag. 129.
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dedotte dai princìpi primi naturali innati ed espresse attraverso “le varie scienze”,308 il cui servizio ancillare è inscritto nella logica ordinamentale stessa della Provvidenza, nonché un remedium medicamentale alla “natura malata o inferma” dell‟uomo, il quale, “mentre è in vita, può errare e deviare sia nell‟intelletto sia nell‟affettività”. E a tal fine “la legge fu, dunque, tramandata per iscritto per una maggiore solidità e per una perpetua stabilità”309 del consorzio umano, sicché “nonostante che essa gravi, tuttavia, d‟altra parte, risana, fa progredire, reca aiuto” all‟anima “dispersa o estraniata”, ricacciandola in sé stessa.310 A questo punto, viene definita la relazione organica e funzionale tra la fede e la ragione, che non sono più viste come diverse disposizioni mentali ma appunto come le “due cause”, nessuna delle due “sufficiente” senza l‟altra “a compiere il bene”. Esse sono “la conoscenza” e “l‟amore”, per cui, platonicamente, Agostino afferma che “non si può amare se non ciò che è conosciuto”,311 lasciando intendere che l‟unica forma di conoscenza valida ai fini della salvezza sia quella razionale. E infatti, come chiosa Matteo, una causa “implica l‟altra e la presuppone”, anziché escluderla, “per cui l‟una è per l‟altra”. Da qui la conclusione lapidaria del ragionamento: “l‟amore scaturisce dalla disposizione alla carità, la conoscenza, invece, scaturisce dai precetti della legge; pertanto, la bontà proviene dalla legge che guida e resta salda e dalla disposizione che la informa”. 312 In queste premesse teologiche, tese a confermare un ordine presuntivamente innato ma deviato dal peccato originale e alla cui correzione è chiamato l‟ordinamento legale del Potere, si annida la ideologia totalitaria latente nel movente universalistico di ogni razionalismo etico-politico, la cui astratta tensione con-prendente tende a emanciparsi da ogni vincolo autoritativo legale o tradizionale che sia, come già ebbe ad avvertire Kant quando affermò che “in modo incontrastabile la ragione conduce
308 Ivi, pag. 132. 309 Ivi, pagg. 136 e 137. 310 Ivi, pagg. 140 e 141. 311 Agostino, De Trinitate, X, 1 2. 312 Ivi, pag. 142.
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