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38 Ivi, pag
caduca e legata all‟esclusivo ciclo biologico era propria degli animali.324 Costruire e difendere dall‟edacità del tempo l‟architettura politica significava custodire la stessa immortalità propria agli umani. Il differimento nel tempo della fine del processo di un corpo politico costituisce ciò che si definisce il “progresso” del suo orizzonte storico. L‟idea di progresso nasce dalla coscienza del carattere universale delle idee, dalla loro intrinseca possibilità logicamente totalitaria di sussumere ogni aspetto della realtà fenomenica come loro oggetto di pensiero al fine di trasvalutarlo idealisticamente. Il progresso è storico nei termini in cui vi è corrispondenza tra essere e pensiero, per cui l‟affermazione reale è il rispecchiamento temporale dell‟universalità ideale, e in tal senso “la storia, nel suo complesso e nella sua essenza, è progresso”, le cui manifestazioni empiriche vengono recepite come “esperienza del mutamento”.325 Tale mutamento storico, coinvolgendo l‟oggetto della mutazione, ossia il mondo tradizionale, era tanto più veloce quanto meno forti le resistenze che si opponevano alla trasformazione, e viceversa tanto più lento quanto più forti le relative resistenze tradizionali al cambiamento. La filosofia, per affermare dunque la sua supremazia teoretica, doveva abbattere i tradizionali idola tribus, la sfera mitica, che poneva i referenti normativi nelle divinità, ossia in una sfera indisponibile all‟uomo. La immortalità umana non era la sacertà custodita dai miti, ma l‟universalità del pensiero logico-razionale, in grado di provocare il mutamento alternativo al ciclo biologico naturalistico. L‟idea moderna di progresso concentra l‟attenzione sul mutamento in sé, inteso come processo storico universale endogeno alla stessa realtà socioculturale e istituzionale dell‟umanità, sicché “la storia venne identificata con questo processo”.326 Ciò comporta che “se la storia viene concepita come progresso, questo significa che il concetto di progresso è non soltanto un indicatore ma anche un fattore: esso dà un impulso ulteriore al movimento storico”. E in questa funzione il concetto di progresso ha assunto un valore ideologico di promozione del nuovo, alimentando aspettative future distanti dall‟esperienza passata e orientando il senso di
324 Ved. H. Arendt, Op. cit,. tr. it. cit., pagg. 14-17. 325 Ch. Meier, Op. cit., pag. 451. 326 Ivi, pag. 451.
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precarietà delle masse “in un un‟epoca di mutamenti veramente profondi e complessivi”.327 L‟idea di progresso è dunque collegata empiricamente alla possibilità d‟azione dell‟homo oeconomicus di effettuare considerevoli interventi innovativi di vasta scala sociale, produttivi di “un miglioramento molto consistente della situazione umana in generale”, tale da coinvolgere sostanzialmente ed emotivamente, grazie alla potenza tecnica, “un‟ampia cerchia di persone”, portatrice di una comune “consapevolezza della crescita” (auxesis).328 Téchne designa la “capacità di potere” trasformare o modellare la realtà metodicamente, grazie al quale “noi diventiamo padroni di ciò in cui siamo vinti dalla natura” (Antifonte), per cui l‟uomo, attraverso l‟uso sapiente e appropriato del potere tecnologico, diventa “signore delle cose”. Episteme designa la conoscenza e il sapere necessari a governare la téchne nel senso prefissato. La tecnica applicata al governo civile costituiva la areté, la virtù politica, consistente nella capacità di governare bene la città. 329 Ora, che tale bene fosse la Giustizia è ammissibile solo se la virtù politica fosse ispirata dalla consapevolezza dei limiti della tecnica dovuti alla natura finita dell‟uomo, e quindi dalla phrònesis, dal sapere che porta alla necessità di autolimitarsi. Tale sapere è legato all‟ossequio agli achìneta nòmima della tradizione teologica, i quali circoscrivono l‟ambito di possibilità tecnica nei termini in cui viene confermata la direzione divina del cosmo. Ma, nel momento in cui la politeia avrà acquisito la téchne dialektike del discorso filosofico, diventando il luogo stesso della universalità ideale, non basterà più l‟indicazione divina, necessaria ma misteriosa, occorrerà invece rifarsi a un responso razionalmente verificabile, tale cioè da eludere l‟aspetto contingente legato alla empirica particolarità delle cose, a favore di una necessità di carattere logico, nella quale l‟uomo ritrova la potenza divina della natura ma in termini tutti umani. La filosofia politica separa insomma la volontà divina, sostituendola con l‟episteme, dalla necessità cosmica del Logos, acquisita con la téchne. La tecnica del pensiero logico, emancipata dal suo fondamento filosofico, che era il télos
327 Ivi, pag. 452. 328 Ivi, pag. 454. 329 Ivi, pagg. 481 sgg.
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eudemonistico della ragione politica, scadeva ad arzigogolo sofistico, a semplice metodo retorico di argomentazione funzionale a uno scopo particolare. Da qui la necessità idealistica di ribadirne la sua natura etica. La fiera consapevolezza ricordata da Erodoto sulla possibilità di istituire nuovi assetti istituzionali, funzionali alle esigenze concrete della polis, attesta l‟espansione della topografia politica in direzioni sempre più vaste e originali.330 Tramonta l‟età nomistica, contraddistinta dal nòmos e sorge l‟età cratistica, contraddistinta dal kràtos, 331 in cui “fu così possibile che sapere e virtù diventassero giustificazione del potere”.332 Chiedendosi cosa fosse la pòlis, Aristotile afferma che è “un composto” consistente in “una pluralità di cittadini”, di persone che, in democrazia, sono abilitate alle funzioni di governo,333 e che tale composto “è lo stesso guardando alla costituzione”, a prescindere se gli abitanti siano gli stessi o del tutto diversi.334 Costituzione è lo stesso dunque che “comunità”.335 La bontà dei cittadini non è la bontà possibile a ogni uomo di animo buono, ma è l‟areté, che è la virtù relativa alla costituzione. E se la bontà può variare a seconda delle persone, “la virtù del bravo cittadino deve trovarsi in tutti”, anche se non è la stessa per tutti, ma differisce a seconda che si comandi o si obbedisca da semplici cittadini.336 Il “comando” che si esercita sui propri simili per etnia e condizione civile Aristotile la definisce “politica”, la cui virtù consiste nella “prudenza”.337 Ora, egli afferma, che la “suprema autorità [dello Stato] è la costituzione”, e che “nelle democrazie sovrano è il popolo, mentre al contrario nelle oligarchie lo sono i pochi: e noi diciamo che queste due costituzioni sono diverse”.338 Ciò vuol dire che al fondamentale presidio divino dell‟ordine cosmico, e quindi anche umano, il filosofo politico ha
330 Ch. Meier, Op. cit., pag. 500. 331 Ivi, pag. 437. 332 Ivi, pag. 505. 333 Aristotile, Politica, III , 1, 1274 b-1275 a-b. 334 Ivi, 1276 b, 10-15. 335 Ivi, 4, 1276 b, 30. 336 Ivi, 1277 a, 1-25. 337 Ivi, 1277 b, 25 sgg. 338 Ivi, 6, 1278 b, 12-15.
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