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43 Ivi, pag

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67 Ivi, pag

67 Ivi, pag

tutti i capi di imputazione della Chiesa contro la corona di Francia, che sarebbero stati oggetto del sinodo, vertenti appunto sulla superiorità del potere papale su quello civile. Il re impedì la pubblicazione dell‟ultima bolla pontificia, facendo diffonderne un‟altra a cura di Pietro Flotte dal titolo Deum time, “in cui a nome del papa si comunicava deformato ed esagerato il contenuto della bolla tenuta nascosta”, rendendo nel frattempo nota “una presunta risposta del re (Sciat maxima tua fatuits), in cui praticamente si affermava che il re non era sottomesso a nessuno negli affari temporali”, e che fu letta in una assemblea degli stati generali tenuta il 12 aprile 1302, da cui il Flotte ottenne l‟appoggio alla causa del re.364 Scoperto la macchinazione regale, il papa minacciò Filippo di scomunica, riinovando il sinodo romano, in cui fu discussa la bolla Unam sanctam, pubblicata il 18 novembre 1302, che “diventò il documento più discusso di questo pontificato e forse anche di tutto il governo pontificio nel medioevo”.365 Essa, riprendendo le tesi esposte nel trattato De ecclesiastica potestate di Egidio Romano, che proprio Bonifacio aveva voluto arcivescovo di Bourges nel 1295, fu redatta da Matteo, che ne anticipò l‟oggetto nel sermone che qui commentiamo.366 Quivi il cardinale d‟Acquasparta, contestando ogni volontà malevola del papa verso il re, che “veniva ammonito con le dolci parole di una madre affinché desistesse da alcuni propositi e altri li correggesse”, affermava che “mai fu scritto in quella lettera”, la Ausculta fili appunto, “dal Sommo Pontefice o dai fratelli [del sacro Collegio] che [il Re] dovesse riconoscere che il suo potere [regnum] gli derivasse da alcuno”, come invece alcuni riferiscono asserendo che “gli derivasse dalla Chiesa”, “né tantomeno essa fu mai spedita”.367 Circa poi “la raccolta delle prebende

364 Ibidem. 365 H. Wolter, Loc. cit., pag. 398. 366 J.A. Watt indica il sermone di Matteo “a gloss on Ausculta fili”, cit. da L. Mauro, Introduzione a M. D‟A., Il cosmo e la legge, cit., pag. 43. 367 “Referunt aliqui quod continebatur in illa littera quod dominus Rex deberet recognoscere regnum suum ad Ecclesia. Propter Deum, cesset murmur! Quia nunquam fuit scriptum in illa littera, quia nunquam fuit scriptum vel mandatum ex 166

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del suo regno, due sono in tal caso le modalità: il diritto di patronato e la presentazione, la raccolta e l‟utilizzo”, del cui beneficio “il laico non può avere alcun diritto, se non nell‟ambito delle sue funzioni ministeriali”, fosse pure il re. Se infatti il re ne avesse titolo per sé, “perché avrebbe dunque chiesto nel caso di specie la concessione dei privilegi alla Chiesa?”.368 Che il buon principe cattolico ne riconosca l‟autorità è conclamato dal fatto stesso che confessandosi “chieda l‟assoluzione dei suoi peccati al suo confessore, il quale in nome di quale autorità lo potrebbe assolvere se non quella del Sommo Pontefice, che da lui discende a tutti, compresi i vescovi e arcivescovi che hanno potere su una certa provincia, in quanto da lui incaricati. E se costoro hanno un potere ben definito, il Sommo Pontefice ne ha uno maggiore che nessuno può limitare”, essendo egli “vicario del beato Pietro”, che lo ricevette da Cristo, “che fu il signore di tutti”, perché lo lasciasse a sua volta ai suoi successori. E pertanto “quelli che lo negano, sono eretici”.369 A questo punto viene in considerazione la questione del potere monocratico, per il quale Matteo stabilisce delle analogie che partono dalla e terminano nella figura papale. Infatti, egli sostiene, come

parte Summi Pontificis et Fratrum quod deberet recognoscere se tenere regnum suum ad aliquo”: SpP, pag. 182. 368 “Item, de collationibus praebendarum regni sui non videtur quod gravetur, quia duo sun t ibi: ius patronatus et praesentatio, collatio et usus. Ad laicum nullo iure potest pertinere collatio beneficii. Sed dicas: rex aliquid habet amplius. Nescio, sed dico quod nullo modo potest pertinere nisi ministerialiter. – Sed dicas: praescriptionem habet pro se, quaero: si potest dare, quare ergo impetravit super hoc privilegia ab Ecclesia?”: SpP, pag. 185. 369 “Item, Rex habet confessorem suum tamquam bonus et catholicus princeps, cui confitetur. Qua auctoritate, qua potestate absolvit eum? Certe, aucotoritate Summi Pontificis. Et derivatur in mnes ab eo. Episcopi etiam [et] archiepiscopi habent determinatam provinciam et sunt assumpti in partem sollicitudinis; unde habent certam potestatem, Summus Pontifex habet plenissimam; nullus est qui possit eam limitare […] quod Summus Pontifex, qui est vicarius beati Petri, habet plenitudinem potestatis, quia certum est quod Christus, qui fuit dominus universorum, dimisit potestatem suam Petro et successoribus eius. […] Unde qui dicunt contrarium, haeretici sunt […]”: SpP, pagg. 185-186. 167

in tutto l‟universo vi è un solo Sommo Pontefice; in una casa un solo padre di famiglia, in una nave un solo comandante, altrimenti vi sarebbe disordine e tutto sarebbe caotico, anche in un corpo vi è una sola testa, e nn due, altrimenti tutto il corpo sarebbe mostruoso. […] Così nella Chiesa, che è la nave di Cristo e di Pietro, deve esserci un solo comandante e un solo capo, ai cui ordini tutti devono obbedire. E deve essere sognore su tutto ciò che è temporale e spirituale colui che ha la pienezza del potere […]; e costui è il Sommo Pontefice, che è il successore di Pietro. E mentre quelli che vi credono hanno ben inteso, quelli che invece credono diversamente da questo, lo fanno erroneamente.

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Si noti l‟accostamento di Pietro a Cristo, che sarà, com‟è noto, controverso dai teologi riformati insieme alla teoria secondo la quale “extra Ecclesiam nulla salus”, in cui l‟indicazione dell‟erede storico di Cristo viene ribadita come il contenuto stesso della fede cristiana, ma che presenta in ogni caso, all‟atto stesso dell‟affermazione della teria monocratica, una duplice titolarità del Potere. Altro dato saliente ci pare l‟ubiqua indicazione della Chiesa sia come istituzione ecclesiastica, a capo della quale c‟è il papa, che ha potere gerarchico diretto sui vescovi, che come comunità dei cristiani, comprensiva perciò anche dei laici battezzati. E in questa (ancora una volta) duplice veste viene affermato il primato petrino sia nella successione apostolica, e quindi sugli ecclesiastici, che nell‟ambito della società civile in quanto communitas christianorum. Orbene, tale teoria del primato poteva reggere soltanto in considerazione di un unico ordinamento gerarchico interno a un unico consorzio sociale. Infatti, l‟unità poteva concepirsi solo nel caso della omogeneità della comunità ecclesiale (sacerdotium) con quella civile (regnum). Infatti, se è vero che “sotto l‟autorità del

370 “[…] In toto universo orbe est unus summus; in una domo est unus paterfamilias, in una navi est unus rector, alias esset inordinatio et totum esset deordinatum; in uno corpore etiam unum capit, nn duo capita, quia totum esset monstruosum. […] Sic in Ecclesia, quae est navis Christi et Petri, debet esse unicus rector e unum caut, ad cuius praeceptum omnes tenentur obedire. Et ille debet esse dominus omnium temporalium et spiritualium, qui habet plenitudinem potestatis […]; et iste est Summus Pontifex, qui est successor Petri. Et qui hoc credunt, bene sentium, qui autem contrarium, male credunt”: SpP, pag. 187. 168

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