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47 Ivi, pag
Lo spazio politico, supponendo una omogeneità di enti ideali, i cittadini, differenti dalla molteplicità degli enti reali, i membri sociali, doveva trovare nel modello razionale la sua fonte di legittimazione, e nel Potere la sua espressione storica. la corrispondenza tra l‟unità del fondamento logico e quella del Potere è espressa da Aristotile nel XII libro della Metafisica, in cui lo Stagirita cita le parole di Agamennone, per il quale “non è bene vi siano più signori, ma signore sia uno solo”. 397 In quale rapporto si trova il principio metafisico con il mondo politico? Secondo la ricostruzione dello Jaeger, ripresa da Peterson, se la rappresentazione platonica del cosmo conservava all‟Idea una sua indipendenza dal mondo, Aristotile supera il dualismo platonico, facendo di Dio “il fine trascendente di ogni movimento e, soltanto in questo senso, monarca”. Nello scritto sul Mondo, invece, Dio appare come la potenza () che è “causa () originaria della conservazione di ogni cosa”, spostando la questione dall‟unità dei princìpi potestativi () alla partecipazione divina alla potenza () sul cosmo.398 Lo stesso Pterson fa notare che le diverse teorie mostrano, per un verso, che “la formulazione ultima dell‟unità di una concezione metafisica del mondo è sempre condizionata e predeterminata da una scelta nei confronti di una delle possibili unità politiche”, e per l‟altro che “la differenza fra „potenza‟ (potestas, ) e „autorità‟ () è un problema metafisico-politico”, dando luogo a due rispettive interpretazioni. Quella secondo cui “se Dio è il presupposto perché vi sia potestas allora l‟unico Dio diviene detentore della auctoritas politica”, e quella per cui il dualismo tra potenza e autorità di Dio comporta che “la categoria del re () non solo viene contrapposta a quella del creatore del mondo ()”, ma che “Dio domina come re ma non governa”.399 Prima di chiarire questo concetto, occorre affermare che la interpretazione di Jaeger, secondo il quale Dio non sarebbe “l‟unità delle forme” del mondo, ma il mondo stesso che dipende da lui, anche
non ci si avvede che questa funzione di rielaborazione critica di un oggetto di coscienza è propria della filosofia, e non della fede. 397 Iliade, II, 204 sgg. 398 E. Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem, tr. it. cit., pagg. 32-33. 399 Ivi, pag. 34.
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se non vi appartenga,400 è del tutto equivoca, dal momento che tale identità si può stabilire solo pensando Dio non come entità personale, alla maniera biblica e cristiana, ma come forma ideale, alla maniera greca. L‟unità divina aristotelica è già filosoficamente pensata come altra rispetto a quella della tradizione teologica arcaica, per cui entro lo spazio politicamente strutturato e definito il principio () fondamentale, seppure fosse chiamato Dio, non sarebbe un dominus o un , concretamente esercitante la funzione di potere, ma un Demiurgo distante dalla concreta amministrazione del potere politico, soggetto a tutti i limiti del suo umano esercizio. Che Dio sia il monarca dell‟universo, ossia che governi ogni sua naturale creatura mondana, è una indicazione ebraico-cristiana che manca alla teologia greca arcaica, che concepisce il ruolo di Zeus come quello di un re anziché di un creatore di mondi, laddove la figura greca che si avvicina a quella ebraica è quella del demiurgo politico, del legislatore e, ancor più, del fondatore di città (conditor urbis). Come infatti il Dio ebraico trae il mondo dal nulla, il fondatore crea lo spazio politico in opposizione alla condizione di natura, che è il Niente rispetto all‟Essere oggetto della ragione. Se dunque per la teologia arcaica greca la natura era l‟Essere interno al cui orizzonte si esprimeva l‟esistenza umana, per la dimensione filosofico-politica della vita umana, l‟Essere diviene ciò che viene tratto e razionalizzato dalla condizione naturale, che assume pertanto il senso logico del negativo rispetto al prodotto razionale derivato. L‟assolutizzazione dell‟Essere razionale, e quindi politico, elimina in radice l‟esistenza di forze divine confliggenti con l‟ordine sistematico della pòlis, facendo della legge razionale la vera monarca di essa. Il cristianesimo nasce in antitesi alla Legge ebraica, non in senso antiteocratico, ma in quanto fonte depositaria della verità, e quindi è portatore di uno spirito intrinsecamente e originariamente antilegalistico, e in questo senso impolitico. Il razionalismo greco intese rimuovere la mediazione teocratica della mitologia arcaica per instaurare un rapporto diretto tra i contenuti di verità del Mito e la comprensione filosofica di essi, mentre la predicazione cristiana non
400 Cit. in Peterson, Op. cit., pag. 74, n. 13.
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oppose alla mediazione teologica ebraica una verità di ragione a una rappresentazione mitica, ma gli stessi fondamenti di fede dell‟ebraismo alla loro astratta rappresentazione legalistica. Se pertanto il concettualismo filosofico oppose alla contraddittoria rappresentazione mitologica una più razionalmente coerente e logicamente unitaria, il fideismo cristiano riportò nel luogo della coscienza individuale il fondamento di fede che il legalismo farisaico aveva tradotto in termini di formale ossequio ai canoni della Legge mosaica e della Thorà. E mentre il formalismo logico ricercava i dati comuni della universale coscienza razionale, il fideismo cristiano, al contrario, cercava di riportare il senso del formale ossequio religioso ai suoi fondamenti di coscienza individuali, propri non di tutti gli uomini in generale ma di ciascuno in particolare. Il fondamento di fede individualistico conduceva a trovare il fondamento divino accomunante nel Dio trascendente, laddove la pratica politica tendeva a trovare il suo fondamento razionale nella congruità delle sue deliberazioni, ossia nella logica immanente al caso concreto. Da qui il doppio movimento che caratterizzerà ogni azione politica, volta per un verso a legittimarsi eticamente coi suoi princìpi razionali, e per l‟altro a verificare la sua congruità con gli effetti da essa concretamente prodotti. Ma, mentre ogni azione politica, per quanto originalmente concepita, deve necessariamente mantenersi all‟interno dell‟astratto alveo normativo del sistema strutturato al fine della sua sussistenza e conservazione, l‟atto di fede non ha come obiettivo finale l‟efficacia mondana delle sue concrete determinazioni ma la salvezza dell‟anima, rispetto alla quale ogni altro fine diventa contingente e secondario, anche quello teso alla salvaguardia della vita. E se l‟azione politica mira alla permanenza del suo spazio mondano, trovando in essa la sua legittimazione etica, l‟atto di fede non si pone alcuno scopo di efficacia mondana relativa al parametro della lunga durata dei rapporti umani, ma si commisura all‟eternità del rapporto con Dio. Tale eternità, attribuita dalla credenza greca alla Natura, è lo sfondo negativo del pensiero filosofico, da cui emanciparsi per l‟edificazione della umana realtà razionale, mentre è lo sfondo positivo della fede cristiana, secondo la quale è il mondo naturale il luogo di transito dell‟uomo sulla via della salvezza spirituale, mondo di cui la realtà politica è solo una effimera variazione contingente, mentre per la concezione razionalistica greca esso è il mondo.
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