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ANTONIO MATANI
Della conservazione dei Vini (1765) Se la storia del vino è millenaria, la sua “scienza” è certamente più recente, a esempio con l’indagine chimica che ne valuta la qualità. E se una battuta ricorrente del film Stanno tutti bene (Giuseppe Tornatore 1990) è “Il vino si fa pure con l’uva ed è il migliore”, che riprende una storiella popolare di lunga data, la “filosofia” in essa contenuta dovrebbe far riflettere su cosa fosse il vino in tempi non molto lontani dai nostri e magari in qualche realtà anche oggi. piera genta Il vino che circolava per il consumo locale nella Toscana del Settecento, magari nelle zone attorno a Firenze, era sì fatto con l’uva, ma aveva al suo interno molte altre sostanze che con questa bevanda poco avevano e avrebbero a che fare, anzi, quel vino oggi sarebbe certamente imbevibile! E in effetti ecco cosa si poteva trovarci: “il Rame, il Zolfo, e l’Alabastro polverizzato, ed inoltre l’Allume, l’Asbesto, l’Amido, i gusci delle Uova, la Pece, il Gesso, l’Arena, la Calce, il Litargirio, l’Argilla, e l’Acqua marina e finalmente la ragia di Pino, la Canfora, l’Elleboro, l’Olio, il Fieno Greco, la Galla, il Finocchio, i Pistacchi, e le Ciriege acerbe con altre somiglianti mate-
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rie” come ci dice un attento e modernissimo medico pistoiese, Antonio Matani, nel suo scritto dedicato alla qualità del vino pubblicato in origine nel 1765: Della conservazione dei vini. Antonio Matani (Pistoia 1730-1779), pur scontando come si vede una vita breve anche per il suo tempo, fu medico di fama europea, docente all’Università di Pisa e alla Scuola Medica dell’Ospedale del Ceppo nella sua città natale, attento ricercatore, autore di trattati di cardiologia tradotti, ristampati e studiati sino alla metà dell’Ottocento e fu infine filosofo e naturalista curioso e appassionato. Il suo lavoro sulla conservazione del vino (Antonio Matani, “Il vino, un composto d’umore e di luce”. Della conservazione dei Vini (1765), a cura di Simone Fagioli, prefazione di Zeffiro Ciuffoletti, nota conclusiva di Giulia Bartaloz-
zi, Arcidosso, Effigi, 2021), pubblicato originariamente in una rivista veneziana, è di grande interesse e soprattutto modernità perché si interroga quasi per la prima volta sulla qualità di un prodotto di largo consumo e in tal senso anche sofisticato, non solo per motivi di conservazione (da sempre storicamente l’aggiunta al vino a esempio di resine in Grecia ne aumentava la durata), ma anche per vera e propria truffa. Matani, come medico e fisiologo, sapeva bene che la qualità del cibo se scarsa può incidere negativamente sulla salute: la medicina del Settecento approfondisce e discute di prevenzione, sul rapporto tra cibo e salute, sulla necessità di proporre tutti cibi sani e ben prepara-
ti. Il nostro medico scrive anche sul pane, sulla sua qualità, cibo anche questo soggetto a sofisticazioni, e ne scrive, altro aspetto significativo, sulla scia di un dibattito che investe in quel momento tutta l’Europa. In questo senso il lavoro di Matani si muove su 2 registri differenti, che possono esser facilmente identificati con una lettura del tutto contemporanea del saggio. Il primo è dato dagli aspetti propriamente medici e fisiologici: il Settecento è il secolo d’oro della fisiologia. Si studiano a fondo i meccanismi di funzionamento degli organi, singolarmente e nei loro rapporti, si valuta come gli alimenti agiscano, quali siano i migliori, i più adatti. In questo senso il vino, che è da intendersi come alimento, è analizzato nelle sue qualità organolettiche e nelle sue contaminazioni e sofisticazioni, deleterie per la salute. “Quantunque l’umana industria nello spazio grande di tempo trascorso dal vivere di Noè dopo la cessazione dell’uni-