POMEZIA-NOTIZIE
Maggio 2022
MASSIMO RANIERI TUTTI I SOGNI ANCORA IN VOLO di Isabella Michela Affinito ’era proprio bisogno di rendere edita l’autobiografia di Giovanni Calone alias Massimo Ranieri, per noi pubblico che volevamo sapere come ha fatto a diventare i ‘tantissimi’ Massimo Ranieri che conosciamo da oltre mezzo secolo. Giovanni detto Gianni nella cerchia della sua numerosa famiglia e tra gli amici, è stato dapprincipio una persona che s’è data da fare prestissimo, già a sette anni era a ‘faticare’ per contribuire alla sussistenza della famiglia composta da otto figli, la madre casalinga e il padre, Umberto Calone, classe 1917, operaio all’Italsider di Napoli con la paga di venticinquemila lire al mese, straordinari compresi (tredici euro di oggi), proveniva dal serra-
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glio poiché orfano di guerra che aveva denunciato per violenza il compagno di sua madre e aveva imparato da solo a suonare la tromba, duettò con la voce insieme al figlio Gianni nelle canzoni in vernacolo Simmo ’e Napule paisa’ e Funiculì funiculà. A distanza di vari decenni da quella vita di ragazzino, adolescente trascorsa perlopiù fuori casa per espletare più mestieri possibili nell’arco della stessa giornata e, poi, ritornare a casa a notte fonda per trovare il piatto col cibo «[…] sotto il materasso, il miglior modo per tenere la cena “in caldo” in una casa senza riscaldamento né acqua calda» (pag. 24), ebbene, il cantante attore di cinema e di teatro ballerino funambolo regista mattatore partenopeo, Massimo Ranieri, ha ricostruito ‘scena dopo scena’ il suo rocambolesco vissuto alfine di chiarire i suoi innumerevoli “volti”, le sue giustificate “rughe”, le sue ininterrotte “corse” per arrivare dove ancora non ha posto alcun traguardo perché ha Tutti i sogni ancora in volo (da una frase tratta dal testo della sua canzone vincitrice del primo premio al Festival di Sanremo del 1988, Perdere l’amore). Abitava all’ultimo piano di uno stabile posto sul contrafforte di tufo del quartiere Pallonetto di Santa Lucia a Napoli, così in alto da non udire i rumori della strada, intrecci di grida d’ambulanti, bambini, donne che andavano a fare la spesa, negozianti e qualche volta faceva la sua comparsa il mitico ’O pazzariello: «[…] Lo interpretò anche Totò, nell’Oro di Napoli. Negli anni Cinquanta i pazzarielli erano artisti di strada dediti all’antica e sublime arte di arrangiarsi, che prendevano cinquanta o cento lire per annunciare nel quartiere l’apertura di una nuova bottega.» (Pag. 26). Nel mentre svolgeva freneticamente i modesti lavori di garzone d’un vinaio, di bar, di guardamacchine, di una bottega di frutta e verdura, persino spazzino improvvisato, etc, cantava e si era sparsa la voce che c’era un ragazzo che consegnava la merce a domicilio ed elargiva al cliente l’audizione di un paio di brani musicali, che gli facevano mettere in