DOLOMITI
53 itinerari raccontati Esperienze di prime salite
HEINZPrima edizione giugno 2023
ISBN 9788855471305
Copyright © 2022 VERSANTE SUD – Via Rosso di San Secondo, 1 20134 Milano. Tel. +39 02 7490163 www.versantesud.it
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Copertina Franz Heiss, via Collaborazione, Spiz di Lagunàz. © Heinz Grill
Testi Heinz Grill e Florian Kluckner
Disegni Melissa Winter
Traduzione all’italiano Paolo Ruiu
Cartine Tommaso Bacciocchi. © Mapbox, © Open Street Map
Simbologia Tommaso Bacciocchi
Impaginazione Chiara Benedetto
Stampa Press Grafica S.r.l. - Gravellona Toce (VB)
Km ZERO
Guida fatta da autori che vivono e l’arrampicatasviluppano sul territorio
Cosa significa?
È una guida a KM ZERO!
Che è più sana e ha più sapore, perché fatta da arrampicatori locali.
Come i pomodori a Km 0?
Certo! E la genuinità non è un’opinione.
Gli autori locali fanno bene a chi scala: – hanno le notizie più fresche e più aggiornate;
non rifilano solo gli spot più commerciali;
reinvestono il ricavato in nuove falesie.
Gli autori locali fanno bene al territorio: – pubblicano col buonsenso di chi ama il proprio territorio;
sono attenti a promuovere tutte le località; – sono in rete con la realtà locale.
E infine la cosa più importante: sulle loro rocce, c’è un pezzetto del loro cuore
Nota
L’arrampicata è uno sport potenzialmente pericoloso, chi la pratica lo fa a suo rischio e pericolo.
Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiornate in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi scalata.
EDIZIONI VERSANTE SUD
HEINZ GRILL - FLORIAN KLUCKNER
DOLOMITI 53 itinerari raccontati
Esperienze di prime salite
Gli autori
Heinz Grill
Heinz Grill (1960) è cresciuto a Soyen, un paesino della Germania del sud vicino a Wasserburg am Inn, e ha iniziato ad arrampicare già a 12 anni. Da giovane ha sviluppato uno stile di arrampicata free solo piuttosto inusuale per l’epoca. Ha scalato circa 400 grandi e difficili vie alpine nei Monti del Karwendel, nei Monti del Kaiser, nei Reiter Alm e nelle Dolomiti. Dopo essersi trasferito dalla Germania del sud ad Arco, in Trentino, si è dedicato principalmente all’apertura di oltre 115 nuove vie di arrampicata. Nel farlo ha attribuito grande importanza a mettere in rilievo e stimolare il lato spirituale e sensoriale delle persone, come è tipico della sua filosofia di vita. In Valle del Sarca questo è stato possibile grazie allo sviluppo della cosiddetta arrampicata ritmica, che ben si adatta alle pareti più accoglienti e meno impegnative. Ma a partire dal 2005, e sempre di più negli ultimi anni, Heinz Grill ha aperto nuove vie anche sulle Dolomiti, con l’obiettivo di fare apprezzare ai ripetitori l’esperienza delle specifiche caratteristiche di ogni via in questa regione alpinisticamente impegnativa.
Florian Kluckner
Florian Kluckner (1968) è nato a Innsbruck, in Austria. Dal 1990 è guida alpina, scialpinistica e istruttore di arrampicata; ha arrampicato fino all’8b con la salita sul Cerro Torre, in Patagonia.
Nel 1994 ha incontrato Heinz Grill, e tramite lui ha imparato nuove possibilità per approfondire il rapporto con l’alpinismo e l’arrampicata. Dal 2006 ha aperto circa 100 nuove vie in Valle del Sarca, Dolomiti, Sicilia e Piemonte. Come autore ha pubblicato tra le altre cose la brochure “Die Kunst der empfindsamen Bewegung” (L’arte del movimento sensibile, 2014), le guide di arrampicata “Arco Plaisir” (2016) e “Kunst und Klettern” (Arte e arrampicata, 2019), così come diversi articoli su riviste di alpinismo.
Per saperne di più www.florian-kluckner.com.
Heinz Grill
Uno spirito innovatore nelle Dolomiti
Negli anni giovanili, quando mi affacciai al mondo delle scalate, ben presto mi imbattei nel nome di Heinz Grill. In seguito ai miei pessimi rendimenti scolastici, mia madre pensò di farmi redimere in un collegio a Bressanone, quale ripetente di classe alle medie. Abituato a scorrazzare libero per i boschi vicino a casa, mi ritrovai rinchiuso in una grande aula, sotto il rigido bastone degli insegnanti. Fu in quell’anno che colsi appieno, malgrado la giovane età, quanto fossi legato alla mia valle con i suoi monti, in cui avevo potuto assaporare qualche lieve approccio all’anarchia, in cui potevo agire senza regole calate dall’altro, assumendomene per contro la completa responsabilità. Ciò che ravvivò quei mesti pomeriggi sui banchi di scuola era lo studio delle guide delle Dolomiti. Libricini verdi, edite dalla Rother in Germania, che richiudevano un mondo di vie e loro storia – quelle vie sulle quali, un poco più grande, avrei voluto mettere le mani. Che almeno l’insegnante di tedesco avesse qualche soddisfazione di queste mie evasioni letterarie. Era appena uscita la guida dedicata alla Marmolada, in cui Heinz Mariacher svelava i segreti della «parete d’argento», che in quegli anni aveva visto una rivoluzione del modo di approcciare le scalate in montagna. A fianco di un drappello di forti arrampicatori tirolesi compariva il nome «H. Grill», autore di diverse solitarie – sia delle vie tradizionali della parete, che di quelle che segnavano il nuovo corso. Di seguito lessi altre volte di questo misterioso arrampicatore tedesco, delle sue temerarie scalate solitarie.
Un giorno ebbi la gradita sorpresa di una sua visita a casa. Heinz Grill e una sua compagna di cordata vennero a trovarmi e da subito percepii una piacevole empatia. Tuttavia sarebbero trascorsi diversi anni prima
di legarci alla stessa corda. In parete Heinz si rivelò un arrampicatore istintivo, svelto e risoluto, che senza patimenti d’animo se la cavava anche in situazioni alquanto complesse. Ma oltre a queste doti, maturate in decenni di ininterrotta attività, era contagioso il suo ottimismo e la sua candida generosità. Un carattere vulcanico, proteso verso il bello e il buono. E in tutti questi anni, salita dopo salita, è sempre stato un grande stimolo per me andare in giro per crode con questo spirito filosofico, impregnato di profonda cultura umanista. Attraverso di lui conobbi anche Florian Kluckner e Franz Heiß, suoi compagni prediletti, oltre a tante altre persone sempre pronte a ingaggiarsi per essere di sostegno negli ingaggi in montagna.
Una caratteristica di Heinz Grill è la totale identificazione nel suo operato. Mettere entusiasmo e passione nelle proprie dedizioni è un suo modus vivendi, che sia la ricerca di una salita su una parete delle Dolomiti, che sia nel suo impegno nello Yoga, che nei rapporti interpersonali. Sulla roccia verticale ha trovato un modo per potersi esprimere, attraverso la creazione di nuovi percorsi. Queste prime salite non si esauriscono in loro stesse, ma si caricano col tempo di un significato duraturo, lasciando dietro di sé una traccia che alla fine convoglia per segnare un’unica opera. Per Heinz Grill la creatività è vissuta con grande consapevolezza. E posso dire, per conto mio, d’aver approfittato di questa consapevolezza nel plasmare una buona linea lungo una parete, individuando i punti vulnerabili della roccia, collegandoli in modo opportuno fra di loro, come in un prezioso ricamo. Da attrezzare con un pertinente impegno di materiale, affinché possa essere ripetuta e condivisa da altre cordate. Dopo oltre un ventennio di salite condivise,
il mio congeniale amico Stefan Comploi disponeva di meno tempo per le nostre scalate. E ancora una volta una buona stella mi mise al fianco dei validi compagni come Grill, Kluckner e Heiß, con cui continuare a condividere l’esplorazione verticale, finalizzata al piacere di poter lasciare una traccia. E che l’età della ragione non sia tramutata in un’età di rassegnazione, come già Sartre avvertiva, l’azione pedagogica di Heinz è ser-
vita senz’altro, oltre ad aver rafforzato la mia convinzione che una virtù poco vale se non riesce a fare sbocciare dei frutti. E da lui ho imparato che tra tesi e antitesi, va ricercata una sintesi. Unico modo per rifuggire gli estremismi – che in montagna come altrove non sono certo auspicabili.
Ivo Rabanser Val Gardena, novembre 2022Introduzione
Quando Reinhard Karl, il noto scalatore e alpinista, ha pubblicato il suo libro “Montagna vissuta: tempo per respirare”, nel mondo dell’alpinismo si stava sviluppando l’arrampicata sportiva. Reinhard nel 1977 è stato uno degli apritori della Pumprisse, nei Monti del Kaiser: si tratta di una via di settimo grado, una difficoltà mai sperimentata prima di allora. Da quel momento l’arrampicata libera ha conquistato la scena dell’arrampicata, superando gradi di difficoltà sempre maggiori e permettendo un miglioramento continuo delle prestazioni in tempi brevi. In questo libro Reinhard Karl parte da una nuova prospettiva che è stato in grado di acquisire grazie all’arrampicata libera. Quando ha deciso di non aiutarsi più con chiodi o staffe, ha iniziato a scoprire le piccole sporgenze, le prese nascoste e le numerose piccole asperità che una parete può offrire. Al suo primo assaggio di arrampicata sportiva gli si è aperto il microcosmo delle pareti. Il piccolo e l’ancora più piccolo sono ormai per lui visibili. In questa guida, che raccoglie un gran numero delle vie aperte da noi sulle Dolomiti, abbiamo dato grande importanza al rapporto che chi arrampica può instaurare con il monte, con la via, con le formazioni rocciose e infine con se stesso e le proprie sensazioni. Che esperienza può offrire una via già aperta, con il suo tracciato e le sue caratteristiche già definiti, a chi la ripete? Concentrandosi mentre affronta un passaggio difficile, chi arrampica riesce a scoprire numerose prese e tacche per i piedi: allo stesso modo può allora percepire la forma di un monte, di un pilastro o di uno spigolo con nuovi occhi, per decifrarla più in profondità. Secondo noi non bisogna descrivere solo le singole difficoltà che presenta un passaggio su roccia, ma affrontare un discorso più vasto. Quali sensazioni e impressioni può provare chi affronta la via immerso nella natura, e come può farle proprie nel profondo? Ecco perché nelle descrizioni delle singole vie e delle esperienze
vissute dovrebbe trovare posto non solo il microcosmo, ma anche il macrocosmo nella sua accezione più ampia. Lo sguardo deve passare dal piccolo al grande, e dal grande deve scaturire la vastità dell’esperienza. Nella guida sono riportate alcune specifiche esperienze sensoriali che possono nascere in diversa misura dalle forme e dai colori che una parete sa offrire. La varietà di placche, fessure, camini, diedri, sporgenze a spigolo, rocce compatte o frastagliate trasforma in ogni via il movimento umano in fantasia da artista. Ogni via, con il suo percorso, descrive anche un tipo di movimento. Si crea così una sorta di sintonia tra il movimento dell’uomo sul tracciato e il tracciato stesso, che rappresenta anch’esso una sorta di movimento, ampio e costante, sul fianco del monte. Che bel rapporto si instaura quando la via, con il proprio movimento, accetta l’uomo accogliendone il movimento! Arrampicando ci si mette alla prova alla conquista di una verticalità che non si limita a pochi metri, ma che risale tutto il monte e prosegue quasi all’infinito. L’uomo, con il suo attento movimento, forma un tutt’uno ancora più grande con le rocce. Esattamente come Reinhard Karl parla della scoperta del microcosmo, chi arrampica può scoprire parte del macrocosmo grazie alla scoperta di grandi e piccoli movimenti. In questa guida abbiamo fornito pochi dettagli storici sulle vette dolomitiche e sulle loro ascensioni. Ci sembra doveroso, da autori, esprimere il nostro apprezzamento per i tanti pionieri che hanno fino ad oggi conquistato queste pareti. Le nuove vie aggiunte a queste ascensioni storiche vogliono principalmente stimolare l’esperienza sensoriale dell’uomo nel suo rapporto con la montagna, con le diverse pareti e con il regno d’alta quota in cui si accede con ogni via. Solo scoprendo i rapporti con un entità più grande, con il macrocosmo, l’uomo può trovare la propria personale natura.
Heinz GrillCome funziona questa guida
Struttura della guida
La guida è suddivisa in zone geografiche: ogni zona si apre con l’elenco delle vie descritte corredato da un disegno dei monti o dei gruppi montuosi a cui appartengono. Segue una foto panoramica con le indicazioni delle vette e delle vie descritte. Nelle pagine successive sono descritte le peculiarità di ogni zona e le sensazioni e impressioni profonde se ne ricavano.
Si prosegue con la descrizione della via, prima di giungere a una foto della parete con indicato il tracciato. Nella pagina a fianco si trova la piantina corrispondente. Le vie sono ordinate in base alla difficoltà e all’impegno richiesto: si inizia con le più semplici e si prosegue con quelle più difficili e impegnative. In questo modo chi vuole ha la possibilità di progredire passo a passo e di affrontare nel tempo le diverse vie di una zona. Questa classificazione tiene conto della lunghezza della via, dello stato delle protezioni (e/o della possibilità di utilizzare ulteriori protezioni) e della complessità dell’avvicinamento e della discesa. Alla fine di alcune vie si trova anche
un piccolo racconto. Le indicazioni “sinistra” e “destra” sono da intendersi nel senso di marcia o di arrampicata. Nelle descrizioni delle discese sono riferite invece alla direzione di discesa.
Difficoltà
Le vie sono classificate in base alla scala UIAA, comune nelle Dolomiti. Per la valutazione della difficoltà tecnica dell’arrampicata artificiale è utilizzata una scala con cinque valori, da A0 ad A4 (A = artificiale). Malgrado gli sforzi per essere precisi e obiettivi, la valutazione della difficoltà resta sempre in certa misura soggettiva, e come tale andrebbe presa. I neofiti delle Dolomiti dovrebbero tenere a mente che le arrampicate da queste parti sono sempre piuttosto esposte e con molti metri di vuoto. Difficilmente si trovano altrove nelle Alpi vie da tre o quattro persone più ripide. Questo, unito alle protezioni spesso poco numerose o scomode, composte essenzialmente da chiodi normali e clessidre, può portare a credere che la via sia un po’ più difficile rispetto al grado assegnato.
Segnali terra-aria Segnali terra-aria Razzo o luce rossaIndicazioni sui tempi
I tempi indicati si basano su alpinisti che padroneggiano il grado di difficoltà della via prescelta, che incontrano condizioni favorevoli e che trovano al primo colpo il percorso. Vanno presi unicamente come valori indicativi. I tempi di avvicinamento sono invece un po’ più precisi.
Protezioni
Potremmo definire le protezioni delle vie presentate come “classiche”. In tutte le vie (con l’eccezione di Moiazza, Pale di San Lucano, spigolo Reali) le soste sono state attrezzate con spit ad anello oppure erano già presenti clessidre. Tutti i chiodi utilizzati sono stati lasciati sulle vie, per cui di norma non è necessario portare con sé altri chiodi. Poiché non è possibile sapere se dall’apertura della via qualche chiodo si è rotto o staccato, nelle vie più lunghe è consigliabile (come spesso nelle Dolomiti) portare con sé un piccolo as-
sortimento di chiodi. La maggior parte delle clessidre è già dotata di cordino per facilitare l’orientamento. Come protezioni intermedie non sono quasi mai utilizzati spit.
Qualità della roccia
Tutte le vie sono state accuratamente pulite, rimuovendo anche i blocchi pericolosi e i detriti sciolti. Ai lati delle vie l’ambiente è allo stato naturale, con erba e pietre pericolanti. Malgrado questi lavori di pulizia, in molte vie (ad esempio la via della Punizione) si trovano ancora passaggi friabili, dove però un alpinista esperto non è immediatamente in pericolo di vita. Questo è indicato nella descrizione delle vie.
Località di partenza
L’arrivo alla località di partenza è descritto partendo dalla località più grande nei dintorni, ed è corredato dalle coordinate GPS.
Tabella di comparazione dei gradi
Simbologia e legenda
Calata in doppia con indicazione della lunghezza
SC: Sosta per la calata
Sosta su spuntone
Cordino annodato (CA)
Pilastro
Blocchi incastrati (BI)
Grado max di difficoltà nel tiro
Possibilità di sosta intermedia Spigolo
Tetto
Chiodi intermedi (CI)
Terrazzo, spalla
Camino
Cengia erbosa
Difficoltà in arrampicata libera (difficoltà obbligatoria)
A1 = arrampicata artificiale
Chiodo (C) Rampa
Sosta su cengia
Canalone
2 CL Protezioni in questo tiro
1 C
Sosta
Pini mughi
Strapiombo
Clessidra (CL) CL
Lunghezza del tiro
Nicchia / grotta
Diedro Difficoltà Spit (SP)
Numero di tiro in successione
Placca
Fessura
Tracciato della via
Spigolo
Scanalature / Strisce d’acqua
Fessura
Detriti
Variante, via a fianco, tratteggiata in nero, “Steger”
PROTEGGIBILITÀ
S1 Spittatura normale, come quella utilizzata in falesia. Distanza mai superiore ai 3-4 m tra uno spit e l’altro. Lunghezza potenziale caduta qualche metro al massimo e volo senza conseguenze.
S2 Spittatura distanziata e tratti obbligatori tra le protezioni. Lunghezza potenziale caduta una decina di metri al massimo e volo senza conseguenze.
S3 Spittatura distanziata, passaggi quasi sempre obbligatori. Distanza tra gli spit anche superiore ai 5 metri, voli lunghi ma non eccessivamente pericolosi.
S4 Spittatura molto distanziata (oltre i 7 metri), passaggi obbligatori. Una caduta può potenzialmente provocare un infortunio.
R1 Facilmente proteggibile con protezioni sempre solide, sicure e numerose. Limitati tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta qualche metro e volo senza conseguenze.
R2 Mediamente proteggibile con protezioni sempre solide e sicure ma più rade. Tratti obbligatori tra le protezioni. Lunghezza potenziale caduta qualche metro al massimo e volo senza conseguenze.
R3 Difficilmente proteggibile con protezioni non sempre buone e distanti. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 7-8 metri al massimo e volo con possibile infortunio.
R4 Difficilmente proteggibile con protezioni scarse o inaffidabili e/o distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 15 metri con possibilità di fuoriuscita di ancoraggi e volo con probabile infortunio.
S5 Spittatura oltre i 10 m, passaggi obbligatori e tratti dove una caduta può sicuramente provocare un infortunio (caduta su terrazzi e cengie o al suolo).
R5 Difficilmente proteggibile con protezioni scarse, inaffidabili e distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Possibilità di lunghe cadute e di fuoriuscita di ancoraggi che può determinare un volo fino a terra con infortunio sicuro.
S6 Spittatura solo parziale e posizionata lontano dai passaggi chiave, tratti molto lunghi, anche superiori ai 20 m, in cui una caduta può avere conseguenze anche letali.
IMPEGNO GLOBALE
I Via corta richiedente poche ore, nei pressi della strada e con comodo avvicinamento, ambiente solare e ritirata comoda.
II Via di diverse lunghezze su una parete superiore ai 200 m, avvicinamento facile anche se può richiedere una discreta marcia, comoda ritirata.
III Via lunga oltre i 300 m, ambiente severo, richiede quasi tutta la giornata per essere superata. Può richiedere un lungo avvicinamento e la ritirata può non essere veloce.
IV Via distante dal fondovalle. Richiede un’intera giornata per essere superata. La ritirata può essere complicata e non svolgersi sulla linea di salita.
R6 Improteggibile se non per brevi e insignificanti tratti lontani dai passaggi chiave del tiro. Una eventuale caduta può avere conseguenze anche letali.
V Via molto lunga stile big wall, richiede normalmente un bivacco in parete. Ritirata difficile, ambiente severo.
VI Big wall che richiede più giorni di permanenza in parete, ambiente di alta montagna, ritirata difficile.
VII Tutte le caratteristiche proprie del grado VI esasperate, come nel caso di big-wall himalayane che necessitano di una spedizione per essere superate.
GRUPPO DEL SASSOLUNGO
Località principale. Selva di Val Gardena (1428 m) oppure Canazei (1448 m), in Val di Fassa.
Parcheggio. Parcheggio a pagamento presso il Passo Sella Dolomiti Mountain Resort (2180 m). Sulla strada statale del Passo Selva ci sono altre possibilità di parcheggio.
GPS. 46°30`34.1`` N11°45`23.9``E
Dente del Sassolungo 3001 m (Zahnkofel)
Punta delle Cinque Dita 2969 m (Fünffingerspitze)
Sassolungo 3181 m (Langkofel)
Sassopiatto 2964 m (Plattkofel)
Punta Grohmann 3126 m (Grohmannspitze)
Torre Innerkofler 3081 m (Innerkoflerturm)
Forcella del Sassolungo 2685 m (Langkofelscharte)
Punti di appoggio. Numerose baite attorno al Passo Sella. Per la Punta Grohmann fare affidamento al Rifugio Toni Demetz (Demetzhütte, 2685 m), sulla Forcella del Sassolungo. Per giungervi utilizzare la cabinovia oppure percorrere a piedi (1 h e 15 min) il sentiero segnalato.
Punti di appoggio. Per il Sassolungo utilizzare il Rifiugio Emilio Comici (Comici Hütte, 2153 m), che si trova direttamente sul percorso di avvicinamento.
01. Punta Grohmann Guglia della libertà 30
02. Sassolungo Il periodo di Sisifo 34
03. Sassolungo Manuel Moroder 46
Passo Sella 2244 m (Sellajoch)
Torri del Sella 2533 - 2696 m (Sellatürme)
PALA DI SOCORDA 2446 m
SPIGOLO SUD DIRETTO
Mentre la meritevole via di Pit Schubert e Klaus Werner passa leggermente a sinistra dello spigolo sud, la Spigolo sud diretto, come suggerisce il nome, segue sempre lo spigolo che sale praticamente in verticale, con un’arrampicata esposta. Durante la prima salita sono stati utilizzati solo chiodi normali, per cui la difficoltà era attorno al VII grado. Durante le ripetizioni e le operazioni di pulizia il livello di difficoltà è stato abbassato. Adesso alle soste sono presenti anelli, e anche i chiodi malmessi della prima salita sono stati migliorati con l’aiuto del trapano: il risultato è una via dal carattere decisamente ritmato. La roccia è ovunque solida.
Prima dell’inizio del crinale la via traversa verso destra sulla parete est, e sale poi fino al punto più elevato della Pala di Socorda. Qui si trova un libro di via e il primo punto per calarsi.
22. Spigolo sud diretto
Heinz Grill, Florian Kluckner, Barbara Holzer, Martin Heiss (01/06/2018).
Difficoltà: VI, con un passaggio VII.
Dislivello: 450 m.
Esposizione: Sud.
Materiale: le soste sono costituite da spit ad anello. Le protezioni intermedie sono invece costituite da chiodi normali e numerose clessidre già dotate di cordino. Per una migliore protezione si consiglia di portare con sé una serie di friend fino al #3 (per la fessura all’attacco della via).
Tempo di salita: 6-7h.
Tempo di discesa: 2h 30 min.
Tempo di avvicinamento: 35 min.
Avvicinamento e discesa sono calcolati rispetto alla Gardeccia. Per l’avvicinamento da Monzon si deve calcolare 1 h e 30 min.
Avvicinamento: dalla Gardeccia procedere sul sentiero n. 583 in direzione Larsec, verso est. Dopo circa 20 min salire fino alla base della vicina parete. L’attacco della via si trova a sinistra del ghiaione, nei pressi di un pilastro con un tetto giallo.
Discesa: il primo punto di calata si trova 10 m a est, sotto la cima. 1a calata 27 m, 2a calata 26 m (oppure una unica fino a qui con 60 m), 3a calata 50 m, 4a calata (a sinistra, albero con cordino) 50 m su ripido terreno erboso, nel canalone. Scendere attraverso il canalone (I-II) fino a raggiungere tre brevi calate. Proseguire scendendo fino a un sentiero che traversa verso sinistra (rispetto al senso della discesa) e porta nel canalone accanto. Tramite questo si scende fino al sentiero usato per l’avvicinamento, il n. 583, con cui si torna al punto di partenza.
Avvicinamento da Monzon per le vie 21. via del Maleducato, 22. Spigolo sud diretto:
Per queste vie può essere conveniente l’avvicinamento da Monzon (1500 m). Si segue la strada asfaltata che si addentra nella Gardeccia. Dopo circa un’ora di cammino si scorge la parete; si prosegue ancora per la strada, e si supera una fontana, finché a una quota di 1860 m non si biforca sulla destra un sentiero attraverso i pini mughi. Si sale su questo sentiero fino a raggiungere il sentiero n. 583, e si prosegue sotto la parete fino ai rispettivi attacchi (1960 m).
Il pensiero è la natura invisibile, la natura è il pensiero visibile.
“Schubert originale”
Percorso
“Schubert”
Si inizia allo spigolo del
Secondo
Erba, impegnativo
Spigolo
Primo pilastro
La risposta alla bruttezza richiede lo sviluppo della bellezza
La parete sud della Pala di Socorda era già stata scalata da Pit Schubert e Klaus Werner con una traiettoria molto elegante. La via corre leggermente a sinistra del poco sporgente spigolo. Finora non c’era mai stata nessuna salita diretta sullo spigolo. Un tratto di parete interrotto da alcune cenge sembrava ancora vergine e lasciava presagire una nuova via molto interessante.
Dopo un primo tentativo sulle placche quasi all’estrema destra del primo tratto di parete mi sono imbattuto in un chiodo. Qualcuno quindi ci aveva già provato a salire qui, a destra della via Schubert. Sono tornato indietro e ho fatto un nuovo tentativo, 30 m buoni a sinistra del primo.
Dopo aver esaminato tutte le ampie zone della parete sotto la Pala di Socorda, ne ho dedotto c’era sicuramente ancora spazio per una nuova impresa. All’attacco, una fessura compatta portava fino a un diedro giallo, molto facile da proteggere.
L’arrampicata era piacevole e impressionante. Traversando sulla sinistra sotto alcuni strapiombi ho raggiunto la prima sosta. La voglia sfrenata di trovare belle rocce aveva reso molto sensibili le mie dita, sempre alla ricerca di quelle rocce tipiche del Catinaccio, leggermente svasate ma dotate di buone prese. Sviluppare la bellezza in montagna era l’obiettivo principale della nostra cordata, composta da Florian, Franz e Barbara.
Già troppe cose si rivelano brutte nella vita moderna. In particolare può benissimo essere visto come una classica manifestazione della bassezza della natura umana, o meglio della virtù umana inselvatichita, quando qualcuno decide che il suo scopo principale nella vita è insultare pesantemente gli altri, altri che magari preferirebbero dare un senso un po’ più allegro alla vita. Chi parla male
delle altre persone, le offende o vuole annientarle, si comporta in modo meschino. Non solo crea un qualcosa di brutto dal punto di vista emotivo, ma comincerà a essere identificato con l’umiliazione e la mortificazione, e in poco tempo sembrerà più un animale che un uomo.
Negli uomini il desiderio di bellezza si fa sentire ancora più forte e preciso quando devono avere a che fare con l’esatto opposto, cioè con gli insulti e i comportamenti meschini degli altri esseri umani. Nelle ultime settimane ho dovuto sopportare i peggiori insulti e le più infamanti calunnie. Conosco alcune persone, tra cui un teologo, che ricadono in una buona classe di peso o, per dirla in modo più preciso e breve, hanno un giro vita rotondetto, un po’ sovralimentato e non propriamente da sportivi. Queste persone mi hanno rotto le scatole non solo per il mio modo di vivere, ma hanno mostrato disprezzo per tutto ciò che faccio, persino per il mio aspetto esteriore. Ovviamente secondo loro non so arrampicare, e tutte le vie che ho aperto finora costituiscono un tentativo di manipolazione, fanno cioè parte di una missione segreta che ha lo scopo di corrompere gli uomini e riunirli in una grande setta. Inutile specificare chi sia il capo di questa setta, e inoltre queste persone rotondette e ben nutrite sono ben sicure di quanto sostengono, poiché quando ho aperto alcune vie nel sud molte persone si sono lamentate dei danni provocati. E poi sono così magro ed emaciato che secondo loro le mie foto che si trovano su internet sono il peggior esempio di un essere umano. Tutto questo porterebbe chiunque all’anoressia nervosa. E sarebbe assurdo se dei poveri cittadini tedeschi, senza preconcetti, fossero obbligati ad andare al sud ad arrampicare su vie brutte ma dotate di un’aura di setta. La preferenza per l’essere grassi e la prospettiva della loro insoddisfazione, unite all’attaccamento a una vita all’apparenza retta e sicura, hanno spin-
to i miei avversari ancora una volta a esternare il loro giudizio con sufficienza e gravità.
Ci sono diversi modi per gestire gli insulti, gli attacchi alla propria natura e i tentativi di distruzione di quanto si è creato. Il mio metodo, ad esempio, consiste nel rispondere alla bruttezza degli insulti con la sua antitesi, la bellezza. Se un teologo, che non è mai salito su una montagna a causa dei 120 kg che deve portarsi appresso ogni giorno, si permette di criticare l’alpinismo, allora bisognerebbe proprio evitare di addentrarsi in questi argomenti. Una sua amica, anche lei di una classe di peso rispettabile, ha scritto persino che sono il più grande perdente e il più insopportabile buono a nulla di tutto il creato. La ricerca della bellezza nell’arrampicata, quando cioè i sensi si perdono tra le rocce colorate e le mani afferrano saldamente una presa, dona un’immediata sensazione di libertà e una crescente fiducia nelle prospettive future. Non è forse vero che tutti noi che pratichiamo alpinismo e arrampichiamo vogliamo scoprire la bellezza in tutte le sue forme, studiarla, catturarla in foto e portarla con noi nella nostra anima? L’arrampicata dovrebbe essere un percorso sempre accompagnato dalla ricerca della bellezza.
Uno spigolo portava a una cengia relativamente ampia. Peccato, si interrompeva l’elegante ritmo di questa salita verticale! Gli occhi, però, puntavano verso l’alto. Che belle placche verticali proprio sopra la testa! Sorpassata in fretta e già dimenticata la cengia erbosa, le mani erano già di nuovo sulla parete verticale. Le prese erano formate da piccole strutture simili a spuntoni, e una piccola sporgenza rocciosa ben esposta si è piazzata esattamente nel passaggio cruciale. È probabilmente una delle esperienze più affascinanti che si possono vivere arrampicando quando i passaggi non risultano impraticabili a causa di ostacoli insormontabili, ma anzi si aprono poco a poco verso l’alto come se le placche fossero un terreno aperto e i diedri scale verticali ben armonizzate che portano fino in cielo. Il movimento su e giù in parete lascia dietro di sé, metro dopo metro, le pesantezze e gli intralci e si concretizza in un respiro sempre più libero in un ambiente dove l’aria non manca. È bello quando una parete svela le sue caratteristiche nascoste. Dopo due tiri ho detto ai miei amici delle cordate
successive che sicuramente sarebbero arrivate rocce meno piacevoli, e che comunque già il tiro successivo aveva più erba che rocce. Forse l’ho detto per via dei residui della depressione causata dagli insulti delle scorse settimane. Sono salito, ho trovato una fessura adatta ai friend, ho rimosso alcuni piccoli cuscinetti erbosi ed ancora una volta si è rivelata una roccia bella e solida, perfino interessante. Metro dopo metro l’arrampicata si è rivelata piacevole.
Ho pensato ai miei avversari, seduti praticamente giorno e notte davanti al computer a lanciarmi insulti di ogni genere. Queste persone non hanno mai provato in vita loro una singola ora di bellezza salendo su una montagna. Non conoscono nessuna gioia dei sensi, non conoscono il tocco della luce, come questa porti dagli occhi a una tacca e si rifletta sulle rocce chiare rinfrescando lo spirito. Queste persone capaci solo di condannare gli altri non hanno mai conosciuto come la luce circoli in natura interagendo con i sensi, e quindi sono in realtà intrappolate nella loro stessa oscurità. A causa della loro stessa prigionia e delle scarse soddisfazioni devono seguire i loro sempre crescenti istinti malvagi, e non si danno pace se non offendono ciò che per gli altri significa successo e speranza.
Abbiamo continuato a salire arrampicando su uno spigolo rossastro, su cui a un punto preciso si apre una fessura, e proseguendo su rocce verticali a buchi abbiamo raggiunto un pulpito. Questo ha permesso di effettuare una sosta perfetta, direttamente sullo spigolo. Le esperienze positive di coloro che vengono insultati non stimolano forse gli aspetti negativi che le persone manifestano? Ogni volta che decido di creare qualcosa di bello sui monti, noto che coloro che restano nella loro povertà di spirito e assenza di speranze trovano subito la forza di essere zelanti, e mi rendo conto di come le loro azioni negative plasmino a loro insaputa il loro ideale di bellezza.
La via è proseguita sullo spigolo regalando momenti di arrampicata decisamente interessanti, anche se in alcuni punti le rocce hanno avuto bisogno di una bella ripulita. Si supera uno strapiombo con un solo chiodo che permette però una buona protezione. Molte clessidre si trovano in modo na-
turale e intuitivo. La difficoltà si mantiene sempre costante attorno al quinto grado e raggiunge a volte il sesto. Una grossa porzione gialla di spigolo con uno strapiombo sospetto ci ha lasciati ancora una volta perplessi. Chi arrampica, e specialmente chi guida una cordata, sente e percepisce la roccia in modo intenso, e sa quasi sempre in anticipo come questa muterà. Fino a questo punto il ritmo della salita era stato elegante e ininterrotto, e la collaborazione in entrambe le cordate perfetta. La seconda cordata puliva le rocce e inseriva qualche protezione aggiuntiva. Sono salito senza problemi arrampicando sulla roccia gialla, ho trovato una piccola clessidra e con mia sorpresa si è rivelata ancora una volta ottima. Siccome ulteriori strapiombi gialli bloccavano l’ultimo tratto della parete, abbiamo optato per un piccolo traverso sulla destra tramite il quale siamo riusciti a superare il tratto più ripido dello spigolo in modo più coerente con la difficoltà complessiva della via. La bellezza di una via aumenta quando i tiri che la compongono sono omogenei per carattere e difficoltà.
Da sinistra arrivava la via di Klaus Werner e Pit Schubert. Noi ci siamo mantenuti direttamente sul vicino spigolo. Forse qui, in molti tratti, queste due vie non erano più separate. Tuttavia questo contatto con la via Schubert nel terzo superiore della parete non rappresentava un grosso ostacolo per la nuova via. La parete era chiara e comprensibile, e la traiettoria seguiva in modo logico le forme naturali. Una sosta direttamente sullo
spigolo ci ha permesso di salire sulla destra in un diedro, su cui abbiamo alla fine raggiunto le prime cenge sommitali di questi torrioni prominenti, frastagliati e devastati dalle intemperie. Le cenge salivano in alto verso destra, e seguendole abbiamo raggiunto il punto più alto del torrione. Salire direttamente tramite il crinale avrebbe causato qualche problema a causa delle rocce frastagliate presenti.
Le calate erano già state allestite da Pit Schubert. Ce ne siamo serviti, e in due occasioni abbiamo aggiunto un anello ai vecchi chiodi. Il tracciato per la calata porta in una gola, che a sua volta porta all’attacco della via. Dal punto di vista paesaggistico, salire sullo spigolo sud della Pala di Socorda non offre solo una piacevole arrampicata, ma rappresenta anche un’impresa a 360 gradi. L’avvicinamento è breve, l’arrampicata di 400 m è appagante e la discesa, anche se non proprio brevissima, completa l’esperienza in modo perfetto. Inoltre l’esposizione a sud regala molto sole e fa sì che la via possa essere affrontata molto bene anche in inverno e tardo autunno.
L’arrampicata è probabilmente una delle migliori discipline per lasciarsi alle spalle molte brutture della vita quotidiana e per trasportare i sensi in un mondo gioioso e piacevole, con viva partecipazione. La ricerca della bellezza è profondamente radicata nel cuore di ogni uomo.
Heinz GrillLa bellezza, da sola, rallegra tutto il mondo, e ogni creatura dimentica i propri limiti finché sperimenta la sua magia.
Friedrich Schiller (1759-1805) (Lettere sull’educazione estetica dell’uomo) La risposta alla bruttezza richiede lo sviluppo della bellezza30m/VI-
6 CL 30m/VI; 2 CL 25m/VI+
4 C, 2 NF
Piccolo diedro 30m/VI+, A1
4 C
2 CL
20m/VII+ (VI+, A0); 4 C, 1 CL 60m/IV+
1 CL 25m/VII-, A1
30m/VI+; 1 C, 2 CL, 1 NF
3 C, 3 CL
40m/VI+, A1
2 C
6 CL 15m gehen 60m/V+ 1 C
4 CL 30m/VI1 C 3 CL 25m/VII+ (VI+, A0)
C
CL
NF
A1
Placche inclinate Muro ripido Buco con erba
Via Giove
La via di Giove
Nell’estate 2015 mi tentava l’idea di creare una salita autonoma e continua dalle placche iniziali fino alla vetta della Cima Undici. Le placche grigio chiaro, in alcuni punti color argento, della porzione sinistra della parete offrivano l’opportunità di concretizzare quest’idea. La via si sarebbe chiamata Giove. I tratti umani non sono plasmati solo dalla Terra, ma sono anche espressione del grande firmamento. La fisionomia riflette le manifestazioni degli astri. Ad esempio, la fronte umana rappresenta Giove. Quando questa ha una bella forma appare come un qualcosa di sublime, che conferisce attrattiva e carisma agli uomini. La grande salita sulla parete, dai piedi fino alla vetta, dà realmente la sensazione di grandezza, e quando la si affronta ci si sente forse come se si stesse conquistando l’ampia fronte di questo monte. In ogni caso, Giove è il pianeta che simbolizza valori elevati, amicizia, nobile autostima e superiorità. È allo stesso tempo il re dei pianeti.
Per me ogni impresa sui monti comincia con un’idea, che poi sviluppo in un concetto e alla fine metto in pratica. Mentre l’idea di una nuova via in Vallaccia cominciava a concretizzarsi, lo sguardo vagava tra le placche argentate alla ricerca della migliore traiettoria, percorribile e con un andamento naturale. La forza del pensiero e l’impulso dei sensi sono come una coppia di fratelli che si completano naturalmente a vicenda. Quanto più forti sono le idee di un uomo e quanto più riesce a plasmarle in concetti concreti, tanto più saranno realizzabili e ricche di prospettive alpinistiche per il futuro. Qualcuno potrebbe credere che chi apre una via trovi il percorso in modo fortuito, che esplori in precedenza con il binocolo le diverse zone e la crei in base alle proprie sensazioni. La forza delle idee, che sta alla base di ogni via, ha in sé la scintilla dell’avvio e risveglia i sensi per permettere una visione orientata alla corretta
esplorazione. Per questo motivo i sensi seguono il potenziale interiore del mondo delle idee. L’uomo riesce a vedere davvero le traiettorie e le loro piacevoli combinazioni solo se ne ha un’idea sufficientemente ampia o, per dirla in altro modo, se ne ha una sensazione profonda.
Da dove vengono le idee? Come riescono a farsi strada nell’uomo? E come riesce l’uomo a realizzarle? Queste sono tutte questioni che rivestono un certo interesse per chi arrampica. Forse si potrebbe dire che praticare alpinismo o arrampicare su ripide pareti rocciose sia già di per sé una cosa molto folle, capace di appassionare solo gli uomini insoddisfatti della propria quotidianità che, innalzandosi dal fondovalle, cercano qualcosa che li impegni e metta i nervi in tensione. In ogni caso l’alpinismo è strettamente connesso alla forza delle idee dell’uomo, e se questa non fosse sufficientemente sviluppata, oggi probabilmente pochissimi monti sarebbero stati conquistati. Dal punto di vista filosofico, un’idea non è il risultato di una specifica iperattività ormonale o di troppi impulsi del sistema nervoso autonomo. L’idea, quando si manifesta all’uomo, è in un primo momento indipendente dalle condizioni fisiche. Come diceva Platone, l’uomo vive in connessione con le proprie idee, mentre il corpo fisico è l’impronta del potenziale fisico superiore. Il fuoco concettuale di un’idea anima l’uomo come una sorta di risurrezione, e quando quest’idea è sufficientemente pensata la mente umana viene presa rapidamente da un impulso appassionato e si getta nella realizzazione di quanto concepito. Le idee sono un fuoco spirituale, una realtà, che cala sull’uomo dall’alto. Se l’uomo ascolta queste idee, la sua mente risulterà vivacemente stimolata e in breve lo porterà alla loro realizzazione.
La porzione sinistra di parete delle grandi placche della Cima Undici è percorsa dalla via di Graziano “Feo” Maffei e Mariano Frizzera, considerata una classica. Porta il nome di Pilastro Zeni. L’avevamo già ripetuta alcune volte. Una parte relativamente ampia della salita si snoda su fessure, che qui in Vallaccia sono molto difficili, spesso piatte e spiacevolmente strette, e a volte su rocce poco sicure. A destra di questa via la parete sembrava ancora vergine, e lasciava intravedere complessivamente una buona qualità della roccia. Le caratteristiche placche con diversi buchi permettono in questa zona un’arrampicata elegante. La difficoltà dell’arrampicata su placche sta però nella compattezza
delle zone. Per questo motivo è estremamente complicato piantare chiodi sicuri e infilare friend o nut. Una prima salita richiede movimenti sicuri sulle placche, da un buco all’altro, e tutto questo mentre si spera che una fessura si palesi in tempo per piantare un chiodo. A volte i buchi sono svasati e aperti, e questo fa un po’ sudare per la paura chi sale come primo.
Stavamo scalando la parete in una calda mattinata. Il primo tiro lo abbiamo portato a casa tranquillamente con un solo chiodo e qualche clessidra. Volevamo evitare lunghi intervalli tra le protezioni sulle placche, perché già durante la prima salita
Non appena la mente è focalizzata su un obiettivo, molte cose vi convergono. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)
La Piramide Matteo Armani (sinistra) e la Piramide Carlo Delmonego si ergono come due piramidi a sé stanti sotto la Cima Undici42. Dove dimori superiore
Heinz Grill, Stefano Santomaso (08/2021).
La via è perfetta per essere affrontata subito dopo le vie 42. Dove dimori o 43. Tetto fessurato.
Dall’uscita delle vie salire verso destra e, seguendo le tracce, giungere al sentiero superiore che porta all’attacco della via (10 min).
Difficoltà: VI, un passaggio, spesso V e IV.
Dislivello: 150 m.
Esposizione: Sud.
Materiale: tutte le soste sono su clessidre o chiodi. Le protezioni intermedie sono costituite da molte clessidre con cordini e chiodi normali. Per una migliore protezione si consiglia di portare con sé alcuni friend, fino al #2.
Tempo di salita: 2h.
Tempo di discesa: 1h.
Tempo di avvicinamento: 1h 25 min.
I tempi di avvicinamento e di discesa sono calcolati rispetto alla Malga Framont. La via è perfetta come “prosecuzione” di altre vie.
Avvicinamento: dal Rifugio Carestiato prendere l’Alta Via n.1 (sentiero n. 554) in direzione ovest, fino a trovarsi sotto la parete. All’altezza di una grande pietra (con un vecchio segno rosso) prendere il sentiero che sale sulla sinistra verso l’attacco (45 min). Partendo invece dalla Malga Framont prendere il sentiero n. 552 fino all’Alta Via n. 1 (sentiero n. 554) e con questa giungere in direzione est fino a sotto la parete. All’altezza di una grande pietra (con un vecchio segno rosso) prendere il sentiero che sale sulla sinistra verso l’attacco (1 h e 30 min).
Discesa: dall’uscita si sale in direzione di un piccolo larice, sopra cui si trova una cengia erbosa. La si segue scendendo, e poi si torna all’attacco passando per rocce con difficoltà I-II (30 min), (ometti di pietra).
“Dove dimori superiore” (42)
“Grande traverso”(44)
Sosta su spuntone
Traverso esposto
Grande parete gialla con tetti
Piccolo larice Lama
Belle placche grigie
Strapiombo, passaggio
Sullo spigolo
Discesa
Traverso a strapiombo VI
I, sul crinale
Strapiombo
Discesa
Sentiero superiore
Piccolo larice
“Tetto fessurato” (43)
“Dove dimori” (42)
Discesa, “Sentiero degli Scalet”
Passaggi fino II
Dove dimori
La ricerca di un’arrampicata serena e soleggiata
Già da alcuni anni pensavo che fosse assolutamente necessario aprire sulle Dolomiti una via un po’ più semplice; questo per me, personalmente, ma anche per chi da primo su un sesto grado è al suo limite e possiede meno esperienza sulle Dolomiti. Conosco alcuni appassionati di arrampicata, spesso anche donne, che ripetono volentieri le nostre vie in Valle del Sarca ma che rinunciano a malincuore a quelle sulle Dolomiti perché ne temono i diversi e possibili pericoli. Quando si affrontano le difficoltà, nelle vie alpine c’è qualche rischio aggiuntivo. Ad esempio, quando ci si perde e ci si allontana dal tracciato è facile ritrovarsi in zone friabili o comunque difficili, e inoltre l’insieme composto da altezza delle pareti, avvicinamento e discesa richiede uno sforzo non indifferente. Non vanno infine dimenticate le condizioni meteo, che in montagna devono essere assolutamente calcolate a indipendentemente da tutto il resto. Bisogna anche essere pronti a ritirarsi dalla via.
Finalmente ci trovavamo davanti a una parete come desideravo: a sud e soleggiata, prometteva di farci davvero divertire. Durante le nostre prime salite ci siamo spessissimo ritrovati in situazioni non semplici: la smania di Heinz, Florian e Franz di trovare le rocce migliori ci ha portato spesso su freddi, ombrosi e ventosi versanti nord. Questa volta ci sono state risparmiate queste lunghe e tremanti attese, perché la parete non era troppo alta e non aveva passaggi su muro lunghi e ripidi: non ho nemmeno avuto paura di esaurire le forze.
Provavo grande rispetto per Heinz e Florian, che tracciavano il percorso in modo professionale, rapido ma allo stesso tempo scrupoloso. Dopo seguivo io, che arrampicavo con andatura leggera sulle rocce ripulite e protette. In poco tempo siamo arrivati a un piccolo strapiombo, dove Heinz ha lavorato per un po’ alle protezioni. Mi ha sbalordita riu-
scire a superare, da seconda, la sporgenza rocciosa senza difficoltà. Florian, che mi seguiva come terzo in cordata, si è dedicato a lungo al perfezionamento delle protezioni. Io pensavo che Heinz avesse già attrezzato la via bene e adeguatamente, ma Florian ha trovato ancora numerose clessidre, ha rimosso ulteriori rocce friabili e ha perfezionato la via in un modo sorprendente. Anche Florian, come Heinz, è un perfezionista: tutto deve risultare il più perfetto possibile, fino al più piccolo dettaglio.
Con alcuni tiri su belle placche, che mi hanno dato grandi soddisfazioni, abbiamo raggiunto la profonda incisione nel terzo superiore della parete. Qui si trova un tetto relativamente ininterrotto che avevamo già superato nella via vicina (il Tetto fessurato) con un audace passaggio nel vuoto. Florian e Heinz non erano del tutto d’accordo se osare salire in traiettoria diretta sul tetto oppure evitare questa zona delicata deviando sulla destra, in modo da non appesantire con un passaggio difficile la via, di difficoltà bassa e costante. Alla fine Heinz si è avventurato sul tetto. Ci ha messo un’eternità a piantare il chiodo nel punto cruciale. Ero irrequieta, ma al contrario Florian accanto a me era assolutamente rilassato e continuava a incoraggiare Heinz a piantare il chiodo in un posto ancora migliore. Come ci si poteva reggere così a lungo a un chiodo? Alla fine il chiodo è stato piantato. Mi ero già preparata ad affrontare il passaggio nel vuoto, ma Heinz non era ancora soddisfatto e ha pensato che si sarebbe potuta posizionare una pietra come rialzo: in questo modo il passaggio sarebbe stato fattibile senza ricorrere all’artificiale. Lo abbiamo fatto, ed effettivamente risultava possibile salire con un solo lungo passo. Quando alla fine sono salita sull’emozionate tetto, ero rapita dalla sensazione di vuoto e allo stesso tempo di sicurezza che provavo grazie al chiodo ben posizionato. Il passaggio chiave era ormai superato, e i due uomi-
ni del gruppo hanno individuato e attrezzato molto rapidamente i tre tiri successivi. Ero decisamente soddisfatta, sia del buon lavoro dei due esperti al mio fianco, sia della mia salita leggera ed elegante. Potrei benissimo pensare di affrontare questa piccola via salendo da prima.
La Dove dimori termina su una bella cengia, e mentre Heinz se ne stava lì seduto è diventato improvvisamente irrequieto. I suoi occhi scrutavano le pareti sopra di noi. “Da qui è assolutamente possibile continuare a salire, e se vogliamo creare una via perfetta dovremmo davvero farlo. Così è troppo corta”. Con queste parole è saltato in piedi sul sentiero ed è scomparso dietro uno spigolo. Gli sono bastati pochi giorni per convincere Stefano Santomaso del suo progetto, e i due si sono messi all’opera sulla parete del Terzo Torrione di Cantoi per trovare una prosecuzione alla via Dove dimori. Questa volta ho deciso di restare a osservare sul prato della cengia. Da qui ho potuto ammirare come si sviluppava il percorso. I due hanno tracciato in un colpo solo un percorso bello e logico fino in alto, in modo elegante e fluido. Mi sono preoccupata un po’ quando, nel quinto tiro, si sono trovati ad affrontare un passaggio che da sotto sembrava impossibile da superare. Potevo sentire sin da giù le loro voci mentre dibattevano su quale sarebbe stata la soluzione ideale, migliore e più sicura. Ero contenta di poter osservare tutto questo a distanza di sicurezza. Tuttavia non sarei mai riuscita a immaginare come alla fine avrebbero proseguito: Heinz si è lanciato in un traverso a destra dall’aria molto avventurosa e ha superato la difficile zona a strapiombo in modo sorprendentemente elegante. La nascita di queste due piccole vie è stata così bella e senza intoppi che sono riuscita a dimenticare completamente le fatiche delle ultime aperture, come ad esempio la prima salita della via della Punizione (il nome dice tutto) sul Castello delle Nevere. Durante la discesa dalle vie sulle Masenade si trova persino una piccola pozza d’acqua dove nei giorni caldi ci si può concedere il lusso di rinfrescarsi.
Barbara Holzer Lo spirito cresce quanto più vasto è l’attimo. Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832)Vie classiche e moderne in DOLOMITI