TATO

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5 aprile 2019

KATMANDU

Metto un post sul mio profilo Facebook. Questo viaggio mi ha dato molto da pensare. Ho osservato a lungo il pedaggio che esige dai nostri cari questo nostro pericoloso “ lasciarsi andare alla deriva tra le montagne”. Anche se sono a casa ad aspettarci ce li portiamo emotivamente con noi, ogni volta. Questa volta, ed è la prima, mi trovo dall’altra parte della frontiera ed ho avuto l’opportunità di vivere l’attesa e osservare l’apprensione che mi gravita tutt’attorno. Sono convinto che è molto più facile starsene in parete che aspettare con un senso d’impotenza e sempre in allarme una notizia dopo l’altra su come vanno le cose. Si pone una domanda sull’alpinismo e sui limiti della volitività oltre i quali non si parla più di scalate ma di ruota della fortuna e di lotta per la sopravvivenza. Cosa diventa allora lo sport? Cosa ci spinge a pericoli così evidenti? Le voci delle sirene? A quanto pare il loro canto può essere sentito non solo sulle creste delle onde, nel mare. Cosa ci danno le montagne, ci illuminano o ci accecano? L’alpinismo, secondo me, è una forma di equilibrio tra tutti i mondi in cui viviamo. È allora che diventa un’arte. Dobbiamo trovarci dentro, dopo tutto non possiamo rinunciare del tutto al rischio e alle scalate, altrimenti andremmo a perderci in cento altri modi. Ho fatto molte domande. Penso che ognuno troverà la propria risposta personale. Ho passato gli ultimi giorni in ospedale a curarmi un’infezione alla gamba per una puntura di zecca. Quale ironia del destino! Questa spedizione si è risolta per me in una bella lezione di umiltà. Non è stato comunque quell’evento a determinare la mia rinuncia alla scalata, in quel momento ancora non c’erano grandi ragioni per stare a preoccuparsi. Qualche giorno fa ho incontrato il resto della troupe a Katmandu. Sono tutti stanchi, ma felici. Eliza e Zosia hanno fatto una gran cosa e sono certo che abbiano contribuito molto al lieto fine di questa missione. Sento dentro di me un senso di confusione e faccio davvero fatica ad organizzarmi. Continuo a tornare col pensiero agli ultimi mesi, al compagno morto tragicamente, alla rinuncia al sogno della salita sullo Jannu, al ritiro dalla squadra e a quel cavolo di zecca! La spedizione 113


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