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Il senso religioso: come funziona la coscienza
Il senso religioso
COME FUNZIONA LA COSCIENZA
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di Franco Zadra
Che cos’è la coscienza? E come funziona? Se non è possibile, e forse mai lo sarà, rispondere alla prima domanda, anche se rimaniamo convinti la coscienza sia la cosa più evidente che si possa immaginare; l’attributo che definisce tutti i nostri stati di veglia, i nostri stati d’animo e sentimenti, i nostri ricordi, pensieri, attenzioni, e volizioni; la base dei concetti, dell’apprendimento e del ragionamento, del pensiero e del giudizio, poiché registra e immagazzina le nostre esperienze man mano che si verificano, così che possiamo esaminarle e imparare da esse a nostro arbitrio all’interno di qualche coacervo di neuroni situato da qualche parte nel nostro cervello - la coscienza rimane un mistero insondabile, un abisso che chiama l’abisso al fragore delle sue cascate (Sal 42) -, possiamo però rispondere alla seconda domanda. È possibile a tutti, soprattutto se si vive fino in fondo l’impatto con la realtà, avere il senso della propria coscienza, percependo insieme l’energia e la vibrazione della propria ragione. Ce ne parla don Luigi Giussani nel capitolo 10 del testo “Il senso religioso” che seguiamo in questa rubrica. Con intuizione di insegnante, Giussani descrive in modo geniale i fattori che entrano in gioco nel “meccanismo” della coscienza, quello strumento appunto che ci mette nella possibilità di “impattare” la realtà tutta intera. Siamo quindi invitati dal nostro autore a usare l’immaginazione per chiederci quale sarebbe il nostro primissimo sentimento, reagendo di fronte al reale, nell’istante in cui potessimo uscire dal ventre di nostra madre caricati di tutto lo sviluppo di coscienza che abbiamo in questo momento. «Se io – scrive Giussani – spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una “presenza”. Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente della parola “cosa”. Le cose! Che “cosa”! Il che è una versione concreta e, se volete, banale, della parola “essere”. L’essere, non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone», un dono! «Lo stupore – continua Giussani -, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe, è all’origine del risveglio dell’umana coscienza. È questo stupore che desta la domanda ultima dentro di noi: non una registrazione a freddo, ma meraviglia gravida di attrattiva, come una passività in cui nello stesso istante viene concepita l’attrattiva». Osservare come funziona la coscienza ci fa dunque scoprire come sia superficiale e insensato quel preteso atteggiamento scientifico verso la religione e l’umano in genere, che dà per assodato il fatto che la religione sia nata dalla paura. È piuttosto «l’attaccamento all’essere, alla vita, è lo stupore di fronte all’evidenza. La religiosità è innanzitutto l’affermarsi e lo svilupparsi dell’attrattiva. La meraviglia della presenza mi attira, ecco come scatta in me la ricerca». Limpidissima la conclusione di questo capitolo tutto da leggere e rileggere: «il mondo, questa realtà in cui ci impattiamo, è come se nell’impatto sprigionasse una parola, un invito, facesse sentire un significato. Il mondo è come una parola, un logos che rinvia, richiama ad altro, oltre sé, più su». Chiamati ad alzare lo sguardo, riteniamo comunque molto arricchente la lettura di un capolavoro della scienza psicologica, il testo di Julian Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”, che sonda in maniera magistrale, anche se “solo” orizzontale, ma senza inibire rilanci nell’”oltre”, quel teatro segreto fatto di monologhi senza parole e di consigli prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e i misteri che si chiama coscienza.
Don Luigi Giussani
I nostri romanzieri
di Waimer Perinelli
Gabriele Biancardi... SCRIVERE CON L’ANIMA USANDO LA TESTA
Nulla mi da gioia maggiore come lo scoprire la bellezza dell’arte; gli è pari solo, la scoperta di un nuovo artista, ovvero la creatività. Ha detto Picasso che i maestri insegnano, i mediocri copiano, i geni, rubano. Il suo aforisma, forse rubato ad Eliot e citato da Jobs, spiega perché due libri di Gabriele Biancardi “Il mio nome è Aida”, marzo 2016 e “Il respiro dei ricordi” marzo 2018, siano capaci di incuriosirmi e coinvolgermi, nonostante l’autore non appartenga ad alcuna di queste categorie. Non è un maestro anche se ha la capacità di rappresentare con le parole la storia di generazioni di uomini e donne. Non è un mediocre e infatti non imita, non è ancora un genio, ma non ha nulla da rubare: è uno scrittore per caso. “Perché, dice, sono venuto a conoscenza di una bella storia, quella di mia nonna Albertina e ho creduto fosse importante condividere le azioni di una donna dell’inizio del secolo scorso che ha affrontato giudizi e pregiudizi e ne è uscita a testa alta.” Parliamo de “Il mio nome è Aida” la storia di una donna forte quanto sfortunata. Vive a Suzzara, paese rurale del mantovano e a soli 19 anni in un unico amplesso, rimane incinta di un rubacuori bulletto e vile. Aiutata dalla madre, donna forte e dal mite e generoso padre, riesce a realizzare piccole cose fino a che, anni dopo incontra l’amore. Un romanzo dove il lieto fine è nella persona e non nei fatti. La vita è una tempesta interrotta da brevi sprazzi di sereno. Nel “Respiro dei ricordi” ci sono generazioni di sfigati, con l’emigrazione in America e un omicidio che vorremmo giustificare. C’è però un ampio spazio sereno, sufficiente a farci sperare in tempi migliori. Si può essere scrittori perché il caso ci porta a raccontare, ma l’originalità consiste nel come si usa la parola scritta. La scrittura è la forma che distingue la scarsa genialità della “razza” umana da quella animale. Il modo in cui si scrive distingue gli scrittori. Nei suoi romanzi, nel crogiolo di umanità spiccano le donne per forza e coraggio: “Questo dice, perché sono cresciuto in una famiglia estremamente matriarcale. Ho un grande rispetto per loro, e non smetterò mai di appoggiarle nelle lotte che noi le abbiamo costrette ad iniziare. Gli uomini? adoro gli eroi sfigati, non mi piace il supermacho che risolve tutto e non si spettina nemmeno.” Era un ragazzino quando, nel 1985, entrò a Radio Dolomiti dove da direttore giornalistico gli proposi un posto nella mini redazione ma l’editore, che
Gabriele Biancardi in radio
egli cita ne “Il Respiro dei ricordi”, aveva altri obiettivi e lo stesso Gabriele declinò, senza rimpianti, l’invito. Ora è Dj, musicista e scrittore. Bravo. Gabriele, dello scrittore-giornalista ha la curiosità storica. Ama leggere Francesco Filippi, che con il libro provocatorio “Mussolini ha fatto anche qualcosa di buono,” ha conquistato lettori di tutto il mondo; Stefano Benni, autore satirico, ispiratore di tante scenette di comici illustri. Fra gli stranieri predilige Chuck Palaniuk che con Fight Club, viaggio in immaginari
I nostri romanzieri
circoli clandestini di lotta, è un mito, non sempre positivo, fra i millennium. Gabriele Biancardi è spontaneo, la sua scrittura è scorrevole, coinvolgente, leggera. Tanto più apprezzabile quanto sono importanti, a volte sconvolgenti i temi che affronta. Anche con un testo teatrale come “Avete mai provato ad essere donne e Diversi da Chi?” descrive le difficoltà dell’essere “qualcuno” al di là del genere. Dal teatro prende avvio il suo più recente romanzo dal titolo “Emiliano” dove abbandona le storie vere per descrivere la realtà attraverso un sogno. Sogna di assistere alla recita della poesia “ A livella” di Totò e di essere invitato sul palcoscenico dallo stesso principe de Curtis. Affascinante tema di conflitto fra classi sociali di viventi e gente seria che appartiene alla morte. Scrivere è come piantare un seme: crescerà.