Il Pesce 1-2021

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

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N. 1/2021



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N. 1 Anno XXXVIII Febbraio 2021

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Dr. Lucia Liddo – Dr. Francesco Paesanti – Prof. Remigio Rossi – Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Dr. Antonio Trincanato

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni

Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele)

Fotografia Luigi Credi

ANNUARIO del PESCE e della PESCA

Abbonamenti Fioretta Fiorentin

2020/2021 N. 31

Amministrazione Andrea Tomassone Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi

Annuario del Pesce e della Pesca

La banca dati internazionale del mercato ittico sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore acquacoltura, lavorazione, commercio e distribuzione. Edizione 2020/2021 Copia cartacea: € 60,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983

IL PESCE, 1/21

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2929 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005.

IL PESCE DAL

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N. 1 Anno XXXVIII Febbraio 2021

IL PESCE

A pagina 42.

In questo numero:

Immagini

Calendario fiere

IL PESCE, 1/21

Consumi ittici in tempo di pandemia

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Il futuro del cibo prodotto dal mare

16

Fish Butchery

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Fiere, eventi, convegni 2021

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7


Attualità

Fondi europei e Covid-19

Sebastiano Corona

22

Il Big Ben ha detto stop

Sebastiano Corona

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Sostenibilità

La neutralità climatica come obiettivo comune

Sebastiano Corona

28

Il pesce in rete

Social fish

Elena Benedetti

34

Acquacoltura

Ostriche made in Italy: nuove prospettive di allevamento in Sardegna grazie al progetto Ostrinnova

Gianni Brundu et al.

36

Pesca

Accordi UE 2021 sulla pesca

Roberto Villa

42

Interviste

L’antropologo marittimo: Blue Economy e nuove professioni per “vivere di mare”

Michela Cariglia

48

Aziende

Boni Roberto Srl: prodotti, persone e innovazione

Elena Benedetti

54

Webinar

Biologico: il modello danese

Gaia Borghi

60

Transizione blu

Maurizio Dell’Agnello 64

Mercati

Prodotti ittici irlandesi: qualità, gusto e attenzione alla sostenibilità

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La Qualità

Pesci in cerca di un riconoscimento

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO BIMESTRALE DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 1/2021

A pagina 71.

In copertina: pesce azzurro, unione perfetta tra sostenibilità, storia, tradizione e sana alimentazione (photo © castellanos80 – stock.adobe.com).

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IL PESCE, 1/21


Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni. Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda. Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, DQGDPHQWR degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.

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A pagina 60. A pagina 76.

A pagina 90.

Indagini

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Il mercato ittico dell’UE

88

Consumi, studio API-Confagricoltura

90

Alimentazione sana, sicura e sostenibile: il futuro del cibo prodotto dal mare e dalle acque interne

Marco Saroglia et al.

Pesce d’acqua dolce

La tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino va in vaschetta

Riccardo Lagorio

100

Prodotti tipici

Alaccia salata di Lampedusa

Chiara Papotti

102

Il pesce in tavola

Nero di seppia, alleato della salute

Nunzia Manicardi

106

Lo storione… quello sconosciuto!

Giorgia Fieni

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www.ilpesce-online.com 10

IL PESCE, 1/21


Il misto scoglio alla tarantina perfetto!


Locali di gusto

Viviani, pescheria con cucina a due passi dal Garda

Luca del Grammastro 112

Street food

Anghiò, tutto l’azzurro del pesce marchigiano e non

Maurizio Dell’Agnello 114

Fiere

MARCA by BolognaFiere 2021

Specie ittiche

Schede di specie ittiche da pesca nazionale

Elena Orban et al.

120

Sicurezza alimentare

Animali infestanti e domestici negli stabilimenti alimentari

Marco Cappelli

126

Storia e cultura

Salse di pesce, dal garum alla colatura di alici

Giovanni Ballarini

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A pagina 100.

A pagina 106.

A pagina 126.

www.ilpesce-online.com 12

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IMMAGINI

Da un recente studio commissionato a CREA-MC, emerge che la maggior parte dei consumatori continua a modificare le proprie abitudini alimentari in conseguenza della pandemia. Le famiglie hanno ad esempio mostrato una spiccata preferenza per il pesce allevato in Italia, perché ritenuto di migliore qualità e più controllato rispetto al prodotto di importazione, e hanno sperimentato di più in cucina, provando nuove ricette e nuovi abbinamenti. I risultati completi dell’indagine li trovate a pag. 88 (photo © Анна Маркина – stock.adobe.com). 14

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Il consumo medio annuale pro capite di pesce è più che triplicato nell’ultimo mezzo secolo e la produzione di pesce nello stesso periodo è cresciuta ad una velocità superiore a quella dell’incremento della popolazione. Al fine di garantire almeno l’attuale consumo annuale medio di pesce per la popolazione prevista al 2050, occorreranno oltre 205,7 Mt di prodotti ittici. Dato per improbabile un significativo incremento della pesca, sarà l’acquacoltura a prendersene carico. Un approfondimento sul futuro del cibo prodotto dal mare e dalle acque interne lo trovate a pagina 90 (photo © Gregor Moser x unsplash).

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Non bisogna far violenza alla Natura ma persuaderla. Epicuro Filosofo greco | Samo, 341 a.C. - Atene, 271 a.C.

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Sono australiani e hanno un punto vendita a Paddington con pesce fresco e piatti take away. Si chiamano Fish Butchery e il loro stile è inconfondibile. Mettono in grande risalto la materia prima con una gestione del banco personalissima, essenziale e minimal, giocando per sottrazione. Solo pochi tagli, selezionati, posizionati geometricamente sul ripiano di marmo, da ammirare e acquistare, anche on-line su fishbutchery.com.au (photo Š instagram.com/fishbutchery).

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IL PESCE, 1/21



CALENDARIO FIERE

Fiere, eventi, convegni 2021 ITALIA

MARCA by BolognaFiere – Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore Bologna, 24-25 marzo Organizzazione: BolognaFiere Spa Associazione della Distribuzione Moderna (ADM) www.marca.bolognafiere.it Taste Firenze, 10-12 aprile Organizzazione: Pitti Immagine taste.pittimmagine.com

AQUAFARM NOVELFARM ALGAEFARM Pordenone, 9-10 giugno Organizzazione: Pordenone Fiere basei@fierapordenone.it www.aquafarm.show www.novelfarmexpo.it/

Tuttofood (TuttoSeafood) Milano World Food Exhibition Milano Rho, 22-26 ottobre Organizzazione: Fiera Milano Spa info@tuttofood.it www.tuttofood.it HOST Milano Milano 22-26 ottobre Organizzazione: Fiera Milano Spa host.fieramilano.it

REFRIGERA Bologna, 13-15 aprile Organizzazione: A151 Srl refrigera.show MEAT-TECH by Ipack-Ima Milano Rho, 17-20 maggio Organizzazione: Ipack Ima Srl sales@ipackima.it www.meat-tech.it

iMeat by Ecod Modena, 12-14 settembre Organizzazione: Ecod Srl marketing@imeat.it imeat.it

Cibus – 20o Salone internazionale dell’Alimentazione Parma, 31 agosto – 3 settembre Organizzazione: Fiere di Parma Spa e.canuti@fiereparma.it www.cibus.it

SEALOGY Il primo salone europeo della Blue Economy Ferrara, 19-22 novembre Organizzazione: Ferrara Fiere Congressi Srl info@sealogy.it – www.sealogy.it

ESTERO Specialty Food Live Virtuale, NY (USA), 19-22 gennaio Organizzazione: SDA Specialty Food Association www.specialtyfood.com AQUACULTURE AMERICA San Antonio, Texas (USA) 21-24 febbraio Organizzazione: WAS worldaqua@was.org www.was.org

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ANUFOOD China Shenzhen (Cina) 21-23 aprile Organizzazione: Koelnmesse Srl info@koelnmesse.it www.anufoodchina.com Aquaculture Europe AE2020 The Blue and The Green Conference Cork (Irlanda), 12-15 aprile Organizzazione: AE2020 Cork mario@marevent.com eas@aquaeas.eu – aquaeas.org

ALIMENTARIA Barcellona (Spagna) 17-20 maggio Organizzazione: Alimentaria Exh. www.alimentaria.com

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PLMA World of Private Label – Il Mondo del Marchio del Distributore Amsterdam (Olanda) Data da destinarsi Organizzazione: Private Label Manufacturers Association www.plmainternational.com SIAL China Shanghai (Rep. Pop. Cinese) 18-20 maggio Organizzazione: ComexposiumSIAL Exhibition Co. Ltd www.sialchina.com Polfish Danzica (Polonia), 8-10 giugno Organizzazione: Amber Expo www.polfishfair.pl World Aquaculture 2021 Singapore, 14-18 giugno Organizzazione: WAS worldaqua@was.org – www.was.org

Seafood Expo North America Seafood Processing North America Boston (USA), 11-13 luglio Organizzazione: Diversified Communications sales@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/north-america

ANUFOOD India Bombay (India) 6-8 settembre Organizzazione: Koelnmesse YA Tradefair Pvt Ltd. Koelnmesse Srl www.anufoodindia.com Seafood Expo Europe Seafood Processing Europe Barcellona (Spagna) 7-9 settembre Organizzazione: Diversified Communications sales@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/global ICEFISH Reykjavik (Islanda) 15-17 settembre Organizzazione: Icelandic Fisheries Exhibition icefish.is Fish Waste for Profit 4o Icelandic Fisheries Conference Reykjavik (Islanda) 16-17 settembre Organizzazione: Mercator Media Ltd info@icefishconference.com www.icefishconference.com Aquaculture Europe AE2021 Madeira (Portogallo) 4-7 ottobre

Organizzazione: AE2020 Cork mario@marevent.com eas@aquaeas.eu aquaeas.org Feria Conxemar Vigo (Spagna), 5-7 ottobre Organizzazione: Conxemar conxemar@conxemar.com conxemar.com ANUGA Colonia (Germania) 9-13 ottobre Organizzazione: Koelnmesse Srl info@koelnmesse.it www.anuga.com ALIMENTARIA FOODTEC Barcellona (Spagna) 19-22 ottobre Organizzazione: Alimentaria Exhib. www.alimentariafoodtech.com China Fisheries & Seafood Expo Qingdao (Cina), 27-29 ottobre Organizzazione: China Fisheries & Seafood Expo chinaseafoodexpo.com WORLD AQUACULTURE Merida, Mexico, 15-19 novembre Organizzazione: WAS worldaqua@was.org www.was.org

Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.

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ATTUALITÀ

Fondi europei e Covid-19 Nel dramma sanitario, sociale e finanziario che stiamo attraversando l’Unione fa sentire la sua presenza a sostegno degli Stati Membri. È un momento storico, ma soprattutto un’opportunità da sfruttare al meglio di Sebastiano Corona

Il Next Generation EU è un piano di ripresa proposto dalla Commissione europea — approvato dopo annose discussioni — che ha lo scopo di far ripartire l’economia del Vecchio Continente a seguito dei danni causati dalla pandemia. Ripartito in diversi programmi prevede, tra i principali, il Recovery and resilience

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facility (Dispositivo per la ripresa e la resilienza, comunemente chiamato Recovery Fund), un fondo che arriva a 672,5 miliardi di euro, divisi in 360 di prestiti e 312,5 di sussidi. A questo si aggiungono altri fondi per un totale di 750 miliardi di euro, il cui impegno dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2023 e i pagamenti

entro la fine del 2026. Si tratta di un piano complessivamente molto ambizioso, che stabilisce come criterio di ripartizione delle sovvenzioni tra Stati, il calo del PIL reale nel 2020 e, nel biennio 2020-2021, l’inverso del PIL pro capite e la quota di popolazione. Non saranno fondi attributi a pioggia, ma sulla base di

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richieste supportate da programmi nazionali di spesa (quello dell’Italia, nel momento in cui scriviamo, gennaio 2021, è ancora in fase di stesura, NdA). Almeno il 37% dei fondi dovrà andare alla transizione verde e il 20% a quella digitale, ma ci saranno altresì indicazioni annuali della Commissione europea relative al loro impiego nel tempo. Le prime somme, che non arriveranno comunque se non nel 2021 inoltrato, dovranno essere in gran parte anticipate dagli Stati, che poi si vedranno rimborsare in un secondo momento i fondi da Bruxelles. La condizione, però, è che gli obiettivi (i cosiddetti milestone), definiti nel piano di rilancio, siano mano a mano rispettati e che tutti i fondi siano spesi entro il 2026. Non devono quindi esserci ritardi e inefficienze, pena il rischio di non incassare i rimborsi. Oltre alla misura per la ripresa e la resilienza quale sostegno agli investimenti e alle riforme, ci sarà un fondo di assistenza alla ripresa per la coesione, il REACT-EU, che concerne nello specifico gli interventi a lungo termine per il risanamento del mercato del lavoro, anche mediante incentivi per l’occupazione, regimi di riduzione dell’orario lavorativo, misure a favore dell’occupazione giovanile, sostegno ai sistemi sanitari, nonché liquidità per il capitale d’esercizio delle PMI. INVEST EU potenzierà l’autonomia strategica dell’economia dell’Unione, soprattutto in ambito di infrastrutture, tecnologie critiche e assistenza sanitaria. Sosterrà inoltre le catene strategiche del valore, ad esempio nei settori della sanità intelligente, dell’internet nell’industria, la produzione a basse emissioni di CO2 e la cybersicurezza. Lo strumento di sostegno alla solvibilità fornirà una garanzia dell’Unione al Gruppo Banca Europea per gli investimenti, al fine di mobilitare capitali privati per sostenere le imprese ammissibili colpite dalla crisi. La quinta misura è invece quella per la salute, definita EU4HEALTH, e ha lo scopo di garantire investimenti duraturi per rispondere alle crisi sanitarie, affrontarne la prevenzione,

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la preparazione e la risposta, anche con un reale coordinamento intersettoriale a livello comunitario. Ultimo ma non ultimo, il Meccanismo unionale di protezione civile RESCEU dovrebbe dotare l’Unione di risorse e di una efficace infrastruttura logistica per rispondere a diversi tipi di emergenza, compresa quella sanitaria. Ci sono dunque spazi di sostegno all’impresa, in diverse forme e sotto diversi aspetti. Ma il Recovery fund contiene anche una linea specifica di bilancio per lo sviluppo rurale che mira al rafforzamento delle misure già in essere per un ammontare di 8 miliardi, a cui si sommano le somme destinate dalla Commissione europea, che giungono così a 10 miliardi circa. 1,2 miliardi di euro all’anno solo per l’Italia. Una misura importante che dà priorità agli investimenti (per il 55%) e agli interventi di lungo termine per il green in transizione ecologica. Per utilizzare le somme sarà tuttavia necessaria una nuova programmazione specifica da parte delle Regioni e una contabilizzazione separata dello stanziamento disponibile che si tradurrà in una sorta di mini Piano di Sviluppo Rurale (PSR) per questo specifico capitolo di spesa. L’Unione Europea intende infatti verificare nel tempo le singole azioni, ma soprattutto accertarsi che queste siano effettivamente finalizzate alla ripresa economica post Covid. Ci sono poi indicazioni sull’utilizzo, che prevedono, tra l’altro, che le risorse siano destinate per il 37% a interventi che garantiscano riscontri positivi in termini climatici, ambientali e di sviluppo locale. Vengono a tal scopo suggerite misure quali l’agricoltura biologica, il benessere animale, un migliore e razionale utilizzo dell’acqua, la conservazione del suolo ed il miglioramento della fertilità, la riduzione dei prodotti fitosanitari, gli interventi per la biodiversità e le attività di cooperazione ricadenti nei programmi di finanziamento UE noti come Leader. Il 55% dello stanziamento NGEU va indirizzato per migliorare la


Il 55% dello stanziamento NGEU va indirizzato per migliorare la competitività del sistema agricolo e alimentare e in particolare verso i giovani agricoltori e gli investimenti delle aziende agricole e delle imprese di trasformazione e commercializzazione (photo © rh2010 – stock.adobe.com). competitività del sistema agricolo e alimentare e in particolare verso i giovani agricoltori e gli investimenti delle aziende agricole e delle imprese di trasformazione e commercializzazione. Per quanto riguarda in modo specifico le risorse NGEU destinate allo sviluppo rurale descritte in precedenza sono previste alcune novità. La prima riguarda i giovani agricoltori, con l’innalzamento fino a 100.000 euro del contributo che può essere concesso per l’insediamento in agricoltura (rispetto agli attuali 70.000 euro massimo). La seconda riguarda i tassi di cofinanziamento, con la percentuale di contributo sulla misura di investimento innalzata sino al 75% dei costi ammissibili. PAOLO DE CASTRO, relatore per il Parlamento europeo della parte del Recovery Fund destinata allo sviluppo rurale, commenta l’approvazione da parte della Commissione Agricoltura del Parlamento del regolamento transitorio della PAC che estende le attuali norme fino al 31 dicembre 2022, includendo la NGEU. «Non è

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una semplice estensione dello status quo; vengono confermate le disposizioni chiave per i pagamenti diretti agli agricoltori e vengono prolungati da tre a cinque anni i nuovi progetti pluriennali del secondo pilastro della PAC relativi ad agricoltura biologica, misure a favore del clima e dell’ambiente e del benessere degli animali. Ma in più si è abbassata la soglia di perdita di produzione e reddito necessaria ad attivare lo strumento di stabilizzazione del reddito settoriale e aprire ai fondi mutualistici tra agricoltori in caso di eventi avversi». Legare tutti gli interventi messi a disposizione dall’Unione Europea ai Fondi strutturali definendo un piano organico di riforme ed interventi di lungo corso avrebbe una ricaduta enorme, rafforzando in maniera esponenziale l’economia e il sistema Paese. Questa straordinaria iniezione di capitali deve essere quindi sfruttata per attuare quelle riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno. Senza tali riforme, l’impatto delle risorse, pur ingentissime,

sarebbe assolutamente limitato. È quindi fondamentale riuscire ad impegnare le risorse e ad impegnarle correttamente in modo funzionale per garantire una crescita ed uno sviluppo del Paese. Se da una parte è evidente l’entusiasmo, dall’altra si fa strada la preoccupazione di non riuscire a cogliere l’occasione e perdere un treno che non ripasserà in futuro. A questo proposito si è espressa anche CONFAGRICOLTURA, i cui vertici sottolineano: “occorre implementare le linee strategiche con l’aumento del tasso di autoapprovvigionamento oggi ancora fortemente contenuto per molte filiere; impiegare un’ottica di filiera agroalimentare completamente integrata, con interventi dal campo alla tavola; integrare il settore agricolo con l’industria, anche quella del non food; espandere le quote di mercato nei Paesi esteri con un’ambiziosa e specifica visione di internazionalizzazione del settore primario che consenta di aumentare i mercati di destinazione e di presidiare efficacemente quelli dove le imprese sono già presenti”. Le valutazioni possibili sono diverse, ma certamente non si può negare che il Next Generation EU segni un passo storico per l’Unione Europea, non tanto e non solo per l’ammontare ingentissimo delle risorse, ma anche perché potrebbe essere il principio di una vera integrazione economica. Si tratta comunque di un piano d’intervento di dimensioni notevoli mai viste prima, agevolmente accessibile da parte degli Stati Membri e probabilmente idoneo a facilitare l’implementazione omogenea di trasformazioni necessarie e improcrastinabili nell’organizzazione economica europea. Questa enorme iniezione di risorse avviene di pari passo con le linee del Green Deal, la strategia sulla biodiversità e quella del Farm to Fork. Un momento di mutamenti epocali, da qualunque parte la si guardi. Sebastiano Corona Nota A pag. 22, photo © weyo – stock. adobe.com

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Il Big Ben ha detto stop Dal primo gennaio 2021 la Brexit è realtà. I principi cardine della futura relazione tra Londra e Bruxelles sono fissati, senza ulteriori rinvii. Tra impegni, preoccupazioni e auspici, si apre una nuova era, non solo per l’UK di Sebastiano Corona

Dopo oltre 47 anni di permanenza al suo interno, il Regno Unito ha definitivamente concluso la sua esperienza di Stato Membro dell’Unione Europea. È una fase di incertezza generale, tanto più che al momento in cui scriviamo non si conosce ancora nel dettaglio il contenuto dell’accordo, ma l’ottimismo non manca. «La Gran Bretagna continuerà ad avere accesso all’area di libero scambio della UE. Non ci saranno né dazi, né tariffe, ma il Paese si riprende la sua sovranità»: BORIS JOHNSON, nel

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suo lungo e discusso discorso alla Camera dei Comuni, è stato chiaro su questi tre aspetti, nel definire un passaggio storico da molti punti di vista, destinato a cambiare la vita di persone e imprese e non solo britanniche. D’altronde le catastrofiche conseguenze di questo divorzio, paventate all’indomani del referendum del 2016 in cui popolo britannico ha fatto la sua scelta, non si sono di fatto concretizzate. Non nelle modalità più temute. La Gran Bretagna è un Paese dalla storia importante, da

sempre considerato centro economico e finanziario mondiale, ha un sistema che reagisce bene al cambiamento e che tende all’equilibrio. È fiscalmente competitivo con una tassazione nel complesso ridotta e dunque polo di attrazione di investimenti dall’estero. Non sarà la Brexit a comprometterne il futuro. La domanda non è però solo come cambierà il mondo per l’UK, ma come cambierà il modo di rapportarsi ad esso. Se Londra non sarà più parte del territorio doganale e

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fiscale dell’UE e mancano ancora alcuni nodi da sciogliere — non ultimi gli accordi sulla pesca nelle acque britanniche, la governante, in particolare sui meccanismi da mettere in atto in caso di controversia e le condizioni per evitare una concorrenza sleale —, come dovranno essere gestiti questi cambiamenti dalle imprese che con essa hanno rapporti commerciali in ingresso e in uscita? C’è un netto cambiamento di sistema: si passa da uno armonizzato ad uno divergente e tutto da scrivere. E se questo non deve essere di per sé un problema, è comunque un passaggio che va gestito e governato e al momento richiede uno sforzo di riassetto nella gestione. Dal 31 dicembre la circolazione delle merci da e per il Regno Unito verrà considerata commercio con un Paese Terzo, con tutte le conseguenze del caso e pertanto: l’introduzione di un confine doganale, l’esecuzione di attività amministrative diverse dal passato, una nuova gestione fiscale delle transazioni, l’eventuale pagamento di dazi (al momento in realtà scongiurati), una diversa modalità nei pagamenti. Significa altresì normativa differente sia in ambito commerciale sia nei rapporti professionali, in generale, con tutte le conseguenze del caso. Quanto saranno impegnativi e costosi questi mutamenti per le imprese che con la Gran Bretagna si rapportano periodicamente è tutto da vedere; non a caso, al di là delle rassicurazioni che giungono da più parti, la preoccupazione è tanta. Si tratta di una piazza che per l’Italia vale circa 25 miliardi di euro di esportazioni complessive, 3,4 miliardi delle quali di solo agroalimentare. L’Inghilterra rappresenta il quarto mercato di sbocco per il Belpaese. E se i Britannici hanno rischiato di dover rinunciare al cibo nostrano per i problemi conseguenti alla Brexit, le imprese italiane possono tirare per ora, un sospiro di sollievo. Così come i produttori italiani di vini e prosecco — un mercato

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che vale da solo 700 milioni di euro all’anno — di ortofrutta trasformata, di pasta, salumi e formaggi, le cui esportazioni possono considerarsi al sicuro e proseguire in un trend che negli ultimi 10 anni ha fatto segnare un incremento del 48%. I timori sono diversi: il più grande è quello di essere travolti da burocrazia e complicazioni. Si pensi, per esempio, alla certificazione dei prodotti che passerà da CE a UKCA e che sarà usata per i beni immessi sul mercato di Inghilterra, Galles e Scozia, appunto. La sua apposizione sarà la prova che il prodotto è conforme a tutti i requisiti legislativi del Regno Unito applicabili e che le procedure di valutazione della conformità sono state completate con successo. Ma richiederà uno sforzo in termini di gestione, amministrazione, impiego di personale. Una complicazione che si traduce in una spesa che prima non esisteva. Non si conoscono nel dettaglio i contenuti dell’accordo, preoccupa quindi l’ipotesi di intese bilaterali del Regno Unito con Paesi come gli Stati Uniti o altri Stati che potrebbero diventare la porta di ingresso di produzioni di Italian sounding. Un altro rischio, soprattutto nell’immediatezza, è quello del rallentamento delle transazioni commerciali dovute al fatto che d’ora in poi ognuna di esse sarà di fatto considerata di esportazione a tutti gli effetti, con le relative formalità doganali. L’eventuale applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto alle merci esportate e l’eventuale introduzione di nuovi oneri comporterebbero un maggiore costo finale per l’acquirente inglese che, visto l’aumento di prezzo, potrebbe anche rinunciare a quel bene. Ma anche l’introduzione di nuove disposizioni normative avrebbe il deleterio effetto di generare costi, che andrebbero inevitabilmente a gravare sul prodotto, rendendolo meno appetibile sul mercato. A preoccupare anche i rischi sulla piena tutela giuridica dei prodotti a Indicazione Geografica (DOP/IGP) che

UKCA (UK Conformity Assessed) è il nuovo marchio del Regno Unito che sostituirà la marcatura CE e che sarà utilizzato per le merci immesse sul mercato della Gran Bretagna (Inghilterra, Galles e Scozia) dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (Brexit). La sola marcatura UKCA non potrà essere utilizzata per i prodotti immessi sul mercato dell’Irlanda del Nord, che richiedono la marcatura CE o la marcatura UK (NI). L’apposizione del marchio UKCA testimonierà che il prodotto è conforme a tutti i requisiti legislativi del Regno Unito e che le procedure di valutazione della conformità sono state completate con successo.

incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare made in Italy in Gran Bretagna e che, senza protezione efficace, rischia di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione. Rimangono inoltre da definire i dettagli conseguenti all’applicazione del level playing field, in base al quale il Regno Unito potrà continuare ad esportare anche i suoi prodotti nel mercato UE. In sintesi, le incertezze sono ancora molte e conseguentemente sono numerosi i timori. All’Italia spetta il compito di essere vigile e non perdere d’occhio un mercato che si mostra, da ogni punto di vista, tra i più importanti per l’agroalimentare nazionale e non solo. Sebastiano Corona Nota A pagina 26, photo © Lightboxx – stock.adobe.com

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SOSTENIBILITÀ

La neutralità climatica come obiettivo comune La sostenibilità non è una moda, non più. Non lo è da nessun punto di vista e comunque la si intenda. E darle corso, in ogni ambito e con ogni mezzo, è una responsabilità in capo tanto alle imprese e ai Governi quanto ai consumatori. Ognuno nel suo ruolo di Sebastiano Corona

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Il nostro parere politico non si esprime solo nella cabina elettorale. Si può contribuire infatti a definire le sorti del pianeta anche in altri gesti del quotidiano, come il modo di fare la spesa. Tradotto in parole povere, il potere economico è nelle mani di noi cittadini. Siamo noi a decidere le sorti di un prodotto, un’impresa, un canale commerciale, un intero sistema economico

Il potere di chi acquista è notevole, per questo le scelte vanno fatte con responsabilità. Un semplice gesto, unito a quello di tanti altri che si muovono nella stessa direzione, genera un’azione politica destinata ad avere risvolti sostenibili ad ampio raggio

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Comprare è un atto morale, oltre che economico. Lo dice la lettera enciclica Caritas in veritate firmata da Papa Benedetto XVI già nel giugno 2009. Lo dice più recentemente il Farm to Fork, la strategia pubblicata a maggio 2020 dalla Commissione europea che — nel proporre un piano ambizioso diretto a cambiare il sistema agroalimentare e non solo —, sottolinea che i consumatori dovranno essere più responsabili. Chi acquista non solo non deve più considerarsi impotente di fronte alle decisioni degli altri attori del mercato, ma deve essere consapevole della sua responsabilità, considerato che le sue scelte di fronte allo scaffale, hanno delle conseguenze sul piano economico, ambientale e sociale. I mutamenti climatici, il depauperamento di risorse naturali, ma anche una scarsa qualità della vita di chi lavora, soprattutto in certi Paesi del mondo, sono unicamente responsabilità delle imprese oppure un ruolo importante, forse decisivo, è proprio di noi consumatori? In buona parte sì. Ne è convinto LEONARDO BECCHETTI, ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata e direttore del corso di specializzazione in European Economics and Business Law e del Master MESCI di Development and International Cooperation, che lancia un intrigante messaggio: votiamo con il portafoglio. Il nostro parere politico non si esprime solo nella cabina elettorale. Si può contribuire a definire le sorti del pianeta anche in altri gesti della vita quotidiana, primo tra tutti nel modo di fare la spesa. Tradotto, il potere economico è prima di tutto nelle mani di noi cittadini comuni. Siamo noi a decidere le sorti di un prodotto, di un’impresa, di un canale commerciale, di un intero sistema economico. Siamo sempre noi a decidere se determinate filiere, mercati o Paesi dove manca il rispetto delle leggi minime, dei diritti universali, del pianeta debbano esistere o meno. Il potere di chi acquista è notevole, per questo le scelte vanno fatte con responsabilità. Ognuno dovrebbe acquisire la consapevolezza del fatto

che il proprio consumo o risparmio può fare la differenza nel sostenere o affossare aziende, territori, Stati e persino modelli produttivi. Un semplice gesto, unito a quello di tanti altri che si muovono nella stessa direzione, genera un’azione politica vera e propria, destinata ad avere risvolti di sostenibilità ad ampio raggio. Una sostenibilità che, come definita nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’Ambiente e lo sviluppo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, si traduca in “uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Una sostenibilità che si esprime dunque su tre elementi principali: 1. la tutela dell’ambiente, affinché vengano garantite la disponibilità e la qualità delle risorse naturali; 2. il sociale, perché si generi e si mantenga un elevato livello della qualità della vita, di equità, giustizia, di sicurezza e dei servizi per i cittadini; 3. infine l’economia, perché ogni intrapresa deve comunque garantire efficienza e reddito per l’impresa. Si tratta dunque di una visione attuale e futura dell’ambiente e dell’uomo che ne garantisce il proseguo senza sacrificare il profitto. Sostenibilità non significa infatti rinunciare alla ricchezza che l’impresa può generare. Tutt’altro. È il punto d’equilibrio tra le tre dimensioni, a cui ogni attore, per il suo ruolo, dovrebbe tendere. A questo si è ispirata anche l’Assemblea Generale dell’ONU, che il 25 settembre 2015 ha adottato l’Agenda 2030, intitolata “Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, dove definisce 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals), sancendo inoltre l’effettiva insostenibilità del modello di sviluppo attuale, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico.

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Leonardo Becchetti, ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata e direttore del corso di specializzazione in European Economics and Business Law e del Master MESCI di Development and International Cooperation (photo © www.unisg.it). Ed è in tal senso molto chiaro il Green New Deal, il documento recentemente licenziato dalla Commissione europea, che prevede una serie di azioni politiche da attuare nei prossimi anni con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel Vecchio Continente entro il 2050 e che prevede, tra le varie cose, di ridurre di almeno il 50% le emissioni di gas a effetto serra nel prossimo decennio. L’intenzione è quella di rivedere ogni legge vigente in materia di clima e di introdurre nuove norme sull’economia circolare, sulla ristrutturazione degli edifici, sulla biodiversità, sull’agricoltura e sull’innovazione. Un piano straordinario che la presidente della Commissione europea, URSULA VON

DER LEYEN, ha definitivo rivoluzionario «al pari dello sbarco dell’uomo sulla luna», poiché questo patto tra Stati renderebbe l’Europa il primo continente a neutralità climatica. Appare insomma improcrastinabile l’attuazione di un sistema in cui le imprese e i Paesi che operano nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori vengano premiati, prima di tutto dai consumatori, nel momento in cui acquistano, ma in seconda battuta anche da meccanismi normativi incentivanti che conducano verso una politica di sostenibilità in senso ampio. Ai Governi spetta il compito di sostenere le industrie che contribuiscono a questo modello, ma anche creare i presupposti per una giusta

C’è un mondo che non ce la fa e che non può votare con il portafoglio nemmeno volendo. Ma c’è anche un’Italia che ha la disponibilità, che lo può fare… Quelle persone devono votare con il portafoglio se vogliono creare un’economia migliore, che serva soprattutto a coloro che col portafoglio in questo momento non possono votare

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informazione e per un’educazione all’acquisto consapevole. Solo così il consumatore può prendere coscienza e rendersi conto dell’enorme impatto dei propri gesti sulle scelte delle imprese. Ricade dunque su di lui il compito di informarsi adeguatamente. L’informazione non è infatti solo un diritto ma anche dovere. E ricade altresì su di lui una scelta d’acquisto che non sia condizionata unicamente dal prezzo, ma che tenga conto di ogni aspetto, dal canale d’acquisto all’impatto ambientale del packaging, dai chilometri che la materia prima o il prodotto trasformato hanno percorso prima di giungere allo scaffale, alle condizioni di vita e di lavoro di chi ha contribuito a realizzarlo, compresa la remunerazione di ogni anello della filiera e il rispetto, da parte dell’impresa produttrice e venditrice, della legge, non ultima quella fiscale e contributiva. Solo per fare alcuni esempi. Ai consumatori manca però la consapevolezza del proprio potere: non sempre sono sufficientemente informati e, in certi casi, non sanno quanto le proprie decisioni possano influire. Eppure di esempi, anche recenti, di come l’opinione pubblica in un arco di tempo ragionevole sia riuscita a far cambiare meccanismi importanti, sono molti. Uno per tutti è quello dell’olio di palma, messo alla gogna per motivi diversi, forse in certi casi nemmeno del tutto noti a chi ha deciso di non acquistare più prodotti che lo contengano tra gli ingredienti. In pochi mesi molte delle industrie che lo utilizzavano non solo lo hanno sostituito con altri grassi, ma ora ne evidenziano l’assenza in ogni etichetta, trasformando quello che inizialmente è stato un problema, in una efficace leva di marketing. Un altro esempio certamente meno clamoroso, ma ugualmente significativo, è quello del consumo dei ricci di mare in Sardegna. A seguito di un evidente depauperamento dei fondali dell’Isola, è partita infatti negli anni scorsi una campagna di sensibilizzazione del mercato finale che ha visto il coinvolgimento trasversale di consumatori ed operatori economici, perché ne venisse scoraggiato il consumo. Il motto era

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Speriamo sia definitivamente tramontata la stagione delle aste al ribasso, dove l’unico criterio di scelta era quello dell’offerta. Se anche la PA vuole operare per la costruzione di un mondo sostenibile, dovrà tenere in conto aspetti come la vicinanza o meno delle filiere, la qualità, il rispetto dei lavoratori, dell’ambiente, delle norme quello di non consumarli oggi, per averli ancora domani, tanto più che il rischio di estinzione definitiva è tutt’altro che remoto. Il risultato è stato che molti chef hanno tolto i ricci dai loro menu, stessa cosa hanno fatto alcune insegne della Grande Distribuzione Organizzata. Tutti operatori economici che, oltre ad aver lodevolmente contribuito alla causa sensibilizzando quei clienti che ancora non avevano fatto una riflessione sul delicato tema, nel rinunciare a commercializzare il prodotto, pur avendone avuto un immediato danno economico, hanno comunque registrato un ritorno in termini di immagine e di contributo fattivo ad una pesca sostenibile, che possa pertanto continuare sul lungo termine. Azioni come quelle citate possono avere un effetto dirompente e su larga scala se si considera l’interdipendenza planetaria. La globalizzazione, infatti, non permette solo scambi commerciali tra economie lontane e diverse tra loro, ma si manifesta anche in altri ambiti e lo scambio velocissimo di informazioni può consentire in poco tempo che prese di coscienza locali vengano sposate in contesti ben più ampi e geograficamente distanti, con tutte le conseguenze del caso in termini di impatto sui mercati e sulla società. «C’è un mondo che non ce la fa e che non può votare con il portafoglio nemmeno volendo. Ma c’è anche un’Italia che ha la disponibilità, che lo può fare e in certi casi lo fa con piacere, a prescindere dal prezzo a cui non bada in maniera eccessiva. Quelle persone devono votare con il portafoglio se vogliono creare un’economia migliore, che serva

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soprattutto a coloro che con il portafoglio in questo momento non possono votare»: questo risponde professor Becchetti a chi gli fa presente che il prezzo è per molti una scelta obbligata. Il tema merita in effetti un approfondimento specifico, poiché molto ci sarebbe da dire sulle ragioni che ci guidano negli acquisti, a prescindere dalla nostra reale disponibilità finanziaria. È sul serio il portafoglio il vero e unico problema? Si pensi alle spese discutibili che a volte si fanno. Non è soprattutto una questione di scelte? Non lo è per esempio in un Paese in cui si continua a spendere in maniera importante in gioco d’azzardo, fumo o altre diavolerie, sacrificando la qualità del cibo, con la giustificazione che non si riesce a sbarcare il lunario? Talvolta — non sempre purtroppo — non è tanto o solo una questione di conto in banca ma di priorità e di educazione al consumo. Non può essere sempre e solo il prezzo a guidare gli acquisti. C’è un detto: quando una cosa costa troppo poco, devi preoccuparti. Forse c’è dietro una materia prima di scarsa qualità, lo sfruttamento dei lavoratori, il mancato riconoscimento dei diritti di chi ha contribuito a realizzarlo o una produzione eseguita in barba alle norme sulla sicurezza, l’ambiente, il fisco. Non è detto che sia così, ma una valutazione è d’obbligo e non è più una scelta. È una responsabilità di chi acquista, anche e soprattutto quando a comprare è la Pubblica Amministrazione. A maggior ragione, quando a decidere è un ente pubblico che utilizza risorse di tutti. Speriamo sia definitivamente tramontata la

stagione delle aste al ribasso, dove l’unico criterio di scelta era quello dell’offerta, in barba a tutti gli altri elementi di valutazione, anche quando si trattava di acquisti di prodotti alimentari. Se anche la PA vuole operare per la costruzione di un mondo sostenibile, non può che tenere in giusto conto gli aspetti che riguardano la vicinanza o meno delle filiere, la qualità, il rispetto dei lavoratori, dell’ambiente e delle norme. Il potere dei Governi è, anche da questo punto di vista, notevole. Qualunque Paese può introdurre divieti — per esempio di processi produttivi che danneggino cose, persone o l’ambiente — oppure può incentivare nelle modalità più disparate, comuni cittadini, imprese ed enti ad operare in un certo modo. Gli esempi sono innumerevoli. Uno per tutti, quello attuato da anni dall’Unione Europea, che vede l’esclusione di certi settori produttivi considerati a grande impatto ambientale da

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Ricade sul consumatore una scelta d’acquisto che non sia condizionata unicamente dal prezzo, ma che tenga conto di ogni aspetto, dal canale d’acquisto all’impatto ambientale del packaging, dai chilometri che la materia prima o il prodotto trasformato hanno percorso prima di giungere allo scaffale alle condizioni di vita e di lavoro di chi ha contribuito a realizzarlo, compresa la remunerazione di ogni anello della filiera e il rispetto, da parte dell’impresa produttrice e venditrice, della legge, non ultima quella fiscale e contributiva (photo © danr13 – stock.adobe.com). qualunque provvedimento di sostegno che implica l’erogazione di aiuti di Stato. Lo scopo è, non potendo impedire l’esercizio di certe attività, almeno di non incoraggiarle con provvedimenti a sostegno. Certe tipologie di intrapresa, ancorché non vietate, sono penalizzate su diversi fronti. Al contrario, gli incentivi pubblici, di qualunque natura essi siano, vedono e vedranno sempre di più in futuro un meccanismo di premialità che non si tradurrà solo in contributi economici, sgravi fiscali e contributivi, ma anche vantaggi o corsie preferenziali in occasione di appalti, affidamenti diretti, bandi, misure di sostegno varie. La sostenibilità non è solo un elemento di grande appetibilità commerciale, la cui popolarità è destinata a crescere sempre di più tra i consumatori. È anche l’elemento in assenza del quale, alla lunga, un’impresa sarà costretta a scegliere tra vivere e morire. Se ne sono accorte le insegne della Grande Distribuzione Organizzata per ciò che concerne l’alimentare.

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Se ne sono accordi i grandi fondi d’investimento mondiali, disposti ormai a scommettere solo su imprese che vadano verso quella direzione, ma anche il mondo della finanza in generale, che pur avendo come priorità il profitto, vede un brulicare di fondi etici che, senza trascurare la resa economica, operano con presupposti nuovi e inclusivi. L’Italia è stata pioniera, anni fa, nell’introdurre regole sulle pratiche sleali tra imprese, adottando norme che nella contrattazione privata tutelassero la parte più debole. L’Unione Europea ha seguito la stessa strada di recente, nella convinzione che le azioni che danneggiano determinati anelli della filiera a vantaggio di altri non facciano che generare scompensi e ripercuotersi, a monte, sulla vita della persone, violandone i diritti, talvolta sfociando in azioni talmente gravi da configurarsi come reato. Qui sono chiamati in gioco, a vario titolo, operatori economici, canali distributivi, soggetti pubblici e consumatori. Anche provvedimenti

come questo vanno verso un modello di sostenibilità. Quella che vuole che ogni soggetto economico, soprattutto quelli più deboli nel mercato, non vengano schiacciati da chi detiene il maggior potere. Quel tipo di sbilanciamento non può infatti che tradursi in condizioni di lavoro inique, in mancanza di rispetto dei lavoratori e degli imprenditori più piccoli, talvolta anche in caporalato. Insomma, alcune cose sono state fatte, molte restano da fare. Bisogna lavorare perché si crei l’assunzione di una nuova responsabilità. Prendere una direzione diversa non è facile, ma nemmeno impossibile. Come sostiene il professor Becchetti: «il mondo cambia con un’azione a quattro mani: Stato, Mercato, Cittadinanza attiva, Imprese responsabili». Se ognuno sta nel suo ruolo e lo esercita sino in fondo, è solo questione di tempo. Sebastiano Corona Nota A pag. 28, photo © Elnur – stock. adobe.com

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IL PESCE IN RETE

Social di Elena

1. Carnal Box Pescado In tempi di pandemie e delivery, la nuova creatura pop di ROY CACERES — chef del ristorante stellato romano Metamorfosi, di cui è stata annunciata la chiusura definitiva dopo l’estate —, del collega RICCARDO PAGLIA e di ANDREA RACOBALDO è proprio quello che ci voleva. Si chiama Carnal (www.carnal.it) e unisce il Sudamerica alla genuinità italiana, ingredienti selezionati con cura, lavorati con estro e contaminazione, per offrire esperienze gastronomiche uniche da gustare a casa propria! La nostra preferita è ovviamente la Carnal Box Pescado con crudi di pesce e crostacei interpretati in ceviche, tiradito, tostada e taco (photo © carnal.it).

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fish Benedetti

4. Itty.fish, pesce on-line 3. Lepore mare social Da Fasano, Brindisi, a Instagram il passo è breve. Lepore Mare (leporemare.com) ha un profilo dedicato nel canale social oggi più di tendenza (instagram.com/leporemare), con immagini che raccontano i prodotti e la filosofia di un’azienda incentrata su ricerca, studio e innovazione, anche nella comunicazione (photo © instagram.com/ leporemare).

Itti.fish è una pescheria on-line con consegna direttamente a casa di pesce fresco e pulito, oltre a piatti pronti e pronti a cuocere. Itty.fish nasce da un’idea di ALESSANDRO MARCON, che da sempre lavora nel mondo della pesca, dell’ittico e della cucina con Alemar Srl, azienda di prodotti ittici freschi e congelati, e poi con Mariver Srl, dedicata solo al pubblico privato, con punti vendita di pescherie e gastronomie dislocate nella provincia di Venezia (photo © itty.fish).

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ACQUACOLTURA

Ostriche made in Italy: nuove prospettive di allevamento in Sardegna grazie al progetto Ostrinnova di Gianni Brundu, Philip Graham e Stefano Guerzoni

I frutti di mare fanno parte della tradizione culinaria fin dalla preistoria, come testimoniato da numerosi ritrovamenti fossili. Negli ultimi decenni, la richiesta del mercato dei prodotti ittici, in concomitanza con la crescita esponenziale della popolazione mondiale, ha però causato un aumento dello sforzo di pesca con conseguente declino degli stock ittici,

che nei casi più estremi ha portato alla totale scomparsa delle popolazioni naturali. In una situazione di questo tipo, la consapevolezza della insostenibilità naturale della pesca tradizionale e indiscriminata è sempre più forte, e diventa sempre più comune la convinzione che l’acquacoltura e i prodotti da essa derivati rappresentino una valida alternativa

al pesce pescato. In alcuni casi, inoltre, l’allevamento è un’attività più remunerativa e con maggiori garanzie di guadagno rispetto alla pesca, e molto spesso si tratta di un’attività più semplice e meno dispendiosa, in termini di energie e lavoro manuale. Ne consegue che per alcune specie ittiche la produzione derivante da acquacoltura ha oramai superato

Allevamento di ostriche in Sardegna.

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nettamente da parecchi anni la produzione da pesca, come ad esempio per il salmone Atlantico (Salmo salar) e i mitili (Mytilus galloprovincialis). In Italia l’acquacoltura è un settore in via di sviluppo con grosse potenzialità di espansione. In diverse regioni, come ad esempio in Sardegna, quest’attività si basa su tecniche e metodologie poco sviluppate e derivanti dalle antiche tradizioni di pesca/allevamento. La maggior parte dell’allevamento ittico, infatti, si basa sulla cosiddetta acquacoltura estensiva. Secondo questo modello di allevamento, i pescatori si limitano a controllare l’ingresso e l’uscita del pesce tra la laguna e il mare, senza effettuare nessuna semina di novellame e senza alcuna fornitura di alimento naturale o artificiale. Al pari della pesca tradizionale, tuttavia, se non viene praticato in maniera controllata, anche questo sistema di allevamento può portare ad una diminuzione delle popolazioni naturali, come è avvenuto ad esempio in alcune zone della Sardegna con il muggine da bottarga (Mugil cephalus) e la vongola verace autoctona (Ruditapes decussatus). Nel contesto regionale sardo, alcuni importanti segnali di modernizzazione dell’acquacoltura sono arrivati dall’allevamento dei mitili, con la realizzazione dei classici sistemi di allevamento a filari (long line) in diversi compendi ittici della Sardegna, Golfo di Olbia, Oristano e Cagliari. Si tratta di realtà ben avviate e strutturate che forniscono un buon contributo allo sviluppo economico della Sardegna. L’ostricoltura Negli ultimi anni, all’allevamento dei mitili si sta pian piano affiancando la produzione di ostriche, un prodotto di eccellenza particolarmente apprezzato nella cucina gourmet, che oltre a rappresentare una valida fonte di reddito contribuisce alla diversificazione della produzione da parte degli allevatori. La produzione e il consumo di ostriche in Europa e Mediterraneo interessa due specie principali, l’ostrica concava Crassostrea gigas e l’ostrica piatta Ostrea edulis. La C.

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gigas ha una forma della conchiglia allungata e concava, è originaria delle coste della Corea e del Giappone, ma negli anni è stata esportata in varie parti del mondo con scopo di allevamento, in quanto è caratterizzata da un’elevata velocità di crescita e un’ottima adattabilità a diverse condizioni ambientali. Al giorno d’oggi C. gigas viene considerata una specie cosmopolita, quindi diffusa e presente in tutto il mondo. O. edulis è la specie nativa europea. È presente in gran parte delle coste del Mar Mediterraneo ed è caratterizzata da una forma arrotondata e schiacciata della conchiglia. Nonostante sia molto più apprezzata sul mercato rispetto alla C. gigas, il suo allevamento è meno praticato in quanto si adatta meno facilmente alle variazioni delle condizioni ambientali, ha una crescita più lenta ed è più vulnerabile a organismi patogeni come virus (Herpes virus) e protozoi (Bonamia ostreae e Marteilia refringens). Essendo poco allevata, spesso O. edulis è oggetto di pesca indiscriminata, tanto che in molte aree del Nord Europa sono in corso numerosi progetti finalizzati a salvaguardare la specie e a ripristinare le popolazioni naturali che si trovano in forte declino. Al giorno d’oggi in Sardegna le popolazioni naturali di O. edulis non sono fortunatamente ancora minacciate dalla pesca. Attualmente, l’ostricoltura in Sardegna sfrutta una superficie di circa 500 ettari e viene praticata principalmente in ambiente lagunare, con gli allevamenti più importanti nelle lagune di San Teodoro, Tortolì e Santa Gilla. Questi ambienti risultano essere particolarmente adatti all’allevamento ostricolo, tanto che la Sardegna è tra le regioni italiane che contribuiscono maggiormente alla produzione ostricola nazionale. Il territorio regionale sardo è caratterizzato da un elevata quantità di lagune e stagni costieri, 27 principali con una superficie di circa 10.000 ettari, che assieme a tante altre zone marino costiere, come baie e golfi riparati da mareggiate e ricchi di sostanze nutritizie, potrebbero rappresentare dei siti idonei

Lagune e zone marino-costiere gestite dalle cooperative aderenti al progetto Ostrinnova (modificato da Google Earth®). per l’allevamento delle due specie di ostrica. Ostrinnova: valorizzazione della produzione sostenibile delle ostriche nel sistema produttivo della molluschicoltura in Sardegna Considerato l’elevato numero di zone potenzialmente adatte all’ostricoltura in Sardegna e la grande richiesta di prodotto a livello nazionale, Sardegna Ricerche e la Fondazione IMC – Centro Marino Internazionale hanno sviluppato un progetto regionale avente lo scopo di fornire nuove opportunità di sviluppo alla attività di ostricoltura nelle aree lagunari e costiere in Sardegna. Il progetto “Ostrinnova – Valorizzazione della produzione sostenibile delle ostriche nel sistema produttivo della molluschicoltura in Sardegna” è stato realizzato con il diretto coinvolgimento di ben 15 cooperative di pescatori e di 7 partner scientifici nazionali e internazionali. Tra i vari obiettivi del progetto Ostrinnova vi era quello di individuare nuovi siti potenzialmente idonei per l’ostricoltura. Per fare ciò, è stato sviluppato e messo a punto un sistema di classificazione delle lagune basato su un punteggio attribuito in base alle caratteristiche biologiche

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Impianto sperimentale di allevamento di ostriche nella laguna di S’Ena Arrubia (Arborea, OR), allestito dai ricercatori della Fondazione IMC – Centro Marino Internazionale nell’ambito del progetto Ostrinnova. (ad esempio temperatura, salinità e ossigeno dell’acqua) e logistiche (ad esempio accessibilità, presenza di strade, strutture e servizi) del sito. I risultati ottenuti dall’applicazione di questo sistema hanno indicato la presenza di diversi siti adatti all’ostricoltura in Sardegna e hanno evidenziato che la qualità dell’acqua è un fattore importantissimo nella scelta dei siti, suggerendo che un adeguato piano di monitoraggio è fondamentale per il potenziamento e il miglioramento di questo settore. Con lo stesso obiettivo è stato anche implementato e validato un modello di crescita bioenergetico “ShellSIM”, sviluppato dai ricercatori del Plymouth Marine Laboratory, la cui applicazione permette di fare una previsione di crescita di alcuni molluschi bivalvi come C. gigas, semplicemente a partire da dati ambientali (temperatura, salinità, ossigeno disciolto) e trofici (clorofilla, particolato sospeso totale, carbonio organico particolato) di quel sito, senza dover necessariamente seminare degli individui. Come è ben noto, soprattutto quando si tratta di zone lagunari, ogni sito presenta le proprie caratteristiche ambientali (temperatura, salinità, profondità, quantità di nutrienti disciolti). Per questo motivo è impensabile immaginare che lo stesso

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sistema o attrezzo di allevamento di ostriche possa essere impiegato ovunque e con gli stessi risultati, in termini di crescita e sopravvivenza degli animali. Sulla base di questa considerazione abbiamo testato due diversi attrezzi di allevamento nello stagno di San Teodoro: le tradizionali poches galleggianti, ampiamente utilizzate dagli ostricoltori in Francia, e le innovative Ortac, strumenti disegnati in maniera tale da sfruttare il movimento delle masse d’acqua (venti, correnti, maree e onde) per tenere in continuo movimento gli animali e favorire la distribuzione uniforme dell’alimento all’interno dell’attrezzo. I risultati ottenuti hanno evidenziato una maggiore sopravvivenza delle ostriche allevate all’interno delle Ortac, mentre all’interno delle poches è risultata una maggiore velocità di crescita, suggerendo un utilizzo misto dei due attrezzi durante le diverse fasi del ciclo di allevamento. Sempre durante Ostrinnova, un simile esperimento con poches e Ortac è stato condotto nella laguna di S’Ena Arrubia, dove non era mai stato sperimentato prima l’allevamento delle ostriche. In questo caso l’obiettivo era quello di valutare la performance di crescita delle ostri-

che in questo nuovo sito, ma anche di analizzare il prodotto ottenuto da un punto di vista qualitativo. Anche in questo caso la velocità di crescita risultava essere maggiore utilizzando le poches piuttosto che le Ortac. Entrambi gli attrezzi hanno prodotto ostriche con un’elevata qualità per il mercato, ma con una forma migliore, minor presenza di vescicole nella conchiglia e maggior quantità di tessuto edule nelle ostriche allevate con le poches. Di contro, tuttavia, le ostriche cresciute dentro le Ortac presentavano una minor quantità di altri organismi presenti sulla conchiglia, balanidi (comunemente chiamati denti di cane) e vermi serpulidi (costruttori dei caratteristici tubicini calcarei che si trovano sopra le conchiglie di ostriche e mitili), che competono con le ostriche per le sostanze nutritive. Ostrinnova II: potenziamento del sistema produttivo della molluschicoltura in Sardegna, nuovi siti produttivi nei compendi lagunari della Sardegna I buoni risultati ottenuti con Ostrinnova hanno rafforzato l’idea che l’ostricoltura possa rappresentare una buona possibilità di sviluppo per l’economia sarda, non solo negli auspici di tecnici e politici, ma anche nella realtà degli stessi pescatori.

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Durante i seminari effettuati nelle varie fasi del progetto, infatti, è emersa la forte volontà e intenzione da parte di molte cooperative di pescatori di realizzare e avviare degli impianti di allevamento di ostriche, in molti casi con un focus preferenziale verso l’ostrica locale autoctona O. edulis. Partendo da questi presupposti è nato un nuovo progetto “Ostrinnova II: potenziamento del sistema produttivo della molluschicoltura in Sardegna, nuovi siti produttivi nei compendi lagunari della Sardegna”, sviluppato per dare continuità al lavoro fatto in precedenza e soprattutto per stimolare sempre più le cooperative locali ad investire in attività di ostricoltura. Uno degli obiettivi di Ostrinnova II sarà continuare a valutare e individuare nuovi siti potenzialmente idonei per lo sviluppo dell’attività di ostricoltura, per il quale le cooperative gestori espressero interesse durante il primo progetto. La valutazione verrà fatta senza

Esemplare giovanile di ostrica concava C. gigas pochi giorni dopo la metamorfosi larvale, prodotto nei laboratori della Fondazione IMC – Centro Marino Internazionale. effettuare una semina diretta di ostriche, ma semplicemente utilizzando dati ambientali e trofici dei siti considerati per implementare il modello bioenergetico “ShellSIM”

validato precedentemente sulle lagune sarde. Un altro obiettivo importante sarà valutare la possibile produzione dell’ostrica autoctona O. edulis.

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NUOVI ALIMENTI POTENZIATI PER GLI AVANNOTTI PER UNA PARTENZA OTTIMALE !

Condizioni ambientali perfette e mangimi ottimali sono fondamentali per un passaggio naturale HEP WEGGS ZMXIPPMRS EPPƅEPMQIRXE^MSRI EVXMƼGMEPI Un accrescimento veloce, una bassa mortalità, l’assenza di deformità e lotti di pesce uniformi sono il risultato di un’alimentazione ottimale, rispondente al fabbisogno nutrizionale del pesce nelle sue prime fasi di crescita: • Accrescimento rapido • Basso indice di mortalità e lotti di pesce uniformi • Qualità ottimale dell’acqua

WWW.ALLER-AQUA.IT


Esemplari giovanili di ostrica concava C. gigas con taglia di semina (4-6 mm di lunghezza) prodotti nei laboratori della Fondazione IMC – Centro Marino Internazionale. L’allevamento di questa specie contribuirebbe alla diversificazione del prodotto derivante dall’acquacoltura, e rappresenterebbe una validissima alternativa all’ostrica concava C. gigas. Allo stato attuale la produzione di O. edulis in Europa è molto scarsa, principalmente a causa della minor capacità di adattarsi a diverse condizioni ambientali e ai tempi di accrescimento maggiori rispetto alla C. gigas, mentre non esiste nessuna produzione in Sardegna. Secondo i dati ottenuti con Ostrinnova, i tassi di accrescimento dell’ostrica concava in Sardegna sono nettamente superiori — circa la metà del tempo —, rispetto a quelli del Nord Europa dove si trovano la maggior parte di questi allevamenti, e questo lascerebbe ben sperare che anche i tempi di accrescimento dell’ostrica piatta nell’isola possano essere più brevi che altrove. La produzione potenziale di O. edulis verrà testata e confrontata con quella di C. gigas mediante prove sperimentali di allevamento e utilizzando differenti attrezzature e meto-

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dologie. Le conoscenze e le tecniche di allevamento impiegate verranno trasferite alle imprese attraverso il diretto coinvolgimento del personale delle cooperative durante l’intero ciclo di allevamento sperimentale, a partire dall’allestimento degli impianti e fino alla fine del ciclo. I siti in cui effettuare tali sperimentazioni sono attualmente in fase di definizione, ma uno di essi sarà sicuramente la laguna di S’Ena Arrubia, già precedentemente interessata dalle sperimentazioni effettuate in Ostrinnova. La scelta di questo sito è stata dettata dalla forte determinazione dimostrata dai pescatori della Cooperativa Pescatori Sant’Andrea, che ha in gestione la laguna, di realizzare un impianto commerciale di allevamento, e che per tale scopo ha già ottenuto le autorizzazioni necessarie per un impianto pilota. In questa laguna verrà valutato il potenziale produttivo delle due specie di ostriche con diverse metodologie, ma verranno anche valutati eventuali effetti negativi sull’ambiente e sugli ecosistemi dovuti all’installazione dell’impianto di ostricoltura, in collaborazione con l’Università di Stirling in Scozia. Un’altra cooperativa di pescatori fortemente interessata ad avviare un impianto di allevamento di ostriche è il Consorzio Cooperative Riunite della Pesca Marceddì, che ha in gestione lo stagno di Corru S’Ittiri. Questo sito si prospetta particolarmente promettente e interessante per l’allevamento, in quanto è stata osservata la presenza di popolazioni spontanee di entrambe le specie di ostriche, con particolare abbondanza di individui giovanili e adulti della specie autoctona O. edulis. Un altro aspetto che determina l’idoneità dello stagno di Corru S’Ittiri è la presenza di uno stabulario per i molluschi bivalvi attualmente in stato di abbandono e disuso, la cui ristrutturazione e modernizzazione potrebbe rivelarsi molto utile per la filiera produttiva. L’allevamento sperimentale in queste due lagune verrà avviato tra gennaio e marzo, con il supporto del Flag PESCANDO Sardegna Centro Occidentale e dell’agenzia regionale

LAORE. Due prove di allevamento simili sono già state avviate a luglio 2020, col supporto del Flag Sardegna Sud Occidentale, in altre due lagune del Sud Sardegna, lo stagno di Porto Pino e la laguna di Nora; in particolare quest’ultima si sta rivelando particolarmente idonea all’allevamento di entrambe le specie. La sperimentazione in campo verrà affiancata anche da una parte di sperimentazione in laboratorio. Nell’ambito del primo progetto Ostrinnova è stato realizzato, all’interno dei laboratori dell’IMC, uno schiuditoio per la riproduzione e l’allevamento di ostriche, con finalità prettamente sperimentali. La ricerca scientifica che sarà possibile realizzare nello schiuditoio contribuirà ad incrementare le conoscenze relative alla riproduzione delle ostriche. L’attività sperimentale è stata avviata nell’estate 2020, durante la quale è stato completato un intero ciclo di riproduzione di C. gigas. Dalla fecondazione delle cellule uovo si sono sviluppate le larve trocofore pelagiche tipiche degli ostreidi, che alimentate con microalghe prodotte all’interno dello stesso schiuditoio, hanno completato la fase di sviluppo larvale diventando giovani ostriche in poco meno di un mese. Dopo circa altre due settimane, durante la quale sono state sempre alimentate con le stesse microalghe, le giovani ostriche hanno raggiunto la taglia di semina, circa 6 mm di lunghezza della conchiglia. Attualmente lo schiuditoio è impegnato con il “condizionamento” di individui adulti riproduttori. Il mantenimento in condizioni di temperatura e salinità controllate, e una buona dieta in termini di quantità e qualità di alimento, stimolerà la riproduzione delle ostriche al di fuori del loro naturale periodo riproduttivo, che coincide con l’inizio dell’estate (giugno-luglio), e permetterà di ottenere seme di ostriche disponibile per tutto l’arco dell’anno. Gianni Brundu Philip Graham Stefano Guerzoni Fondazione IMC Centro Marino Internazionale www.fondazioneimc.it

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Aquasoja Turbot! mangime per rombo chiodato firmato Aquasoja Il rombo (Scophthalmus maximus) è un pesce piatto comune sulle coste atlantiche dell’Europa. Il suo allevamento è recente — risale infatti agli anni ‘70 —, e viene eseguito comunemente in vasche a terra o gabbie a fondo piatto. La temperatura ottimale dell’acqua per questa specie varia tra i 14 e i 18 °C. L’Europa è oggi responsabile del 16% della produzione mondiale di rombo, con circa 10 000 tonnellate prodotte all’anno, concentrate principalmente in Spagna, Francia, Paesi Bassi e Portogallo. La dimensione commerciale è solitamente di 1,5-2 kg e si stima che il consumo europeo di rombo chiodato (principalmente fresco) sia di 15000 tonnellate all’anno (fonte: EUMOFA, 2018). Il rombo è un pesce carnivoro; in natura, i giovani si nutrono di molluschi e crostacei e gli adulti di pesci e cefalopodi. Far assomigliare le abitudini alimentari dell’allevamento intensivo a quelle in natura è fondamentale per il rombo come per qualsiasi altra specie allevata. Il mangime di Aquasoja per rombo chiodato — Aquasoja Turbot — è quindi formulato per un elevato rapporto proteine/energia, basato sull’inclusione di eccezionali fonti proteiche marine che rappresentano il profilo amminoacidico ottimale per questa specie, trasformando il mangime in un prodotto altamente appetibile. Al fine di mantenere lo stato di salute del pesce e prevenire lo sviluppo di alcune patologie, la soluzione mangimistica di Aquasoja per il rombo comprende anche un apposito pacchetto di additivi funzionali mirati per una migliore integrità intestinale ed epatica. Aquasoja Turbot è disponibile in pellet galleggianti, che consentono protocolli di gestione ottimale dell’alimentazione. In conclusione, tale mangime con elevato rapporto DP/DE, molto appetibile e sotto forma di pellet galleggianti garantirà una rapida crescita del rombo, un basso FCR e un ridotto impatto ambientale. •

Contatta il team di Aquasoja per maggiori informazioni sul feed Aquasoja Turbot! >> Link: www.aquasoja.pt


PESCA

Accordi UE 2021 sulla pesca Nel Mare del Nord, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Per le specie demersali l’accordo varrà anche per il 2022. Attesi sviluppi per il Mare del Nord in seguito alla definizione degli accordi con il Regno Unito di Roberto Villa

L’accordo del Consiglio europeo di metà dicembre 2020 ha confermato in ampia misura le proposte iniziali della Commissione, che stabiliscono le possibilità di pesca principalmente sotto forma di Totali Ammissibili di Catture (TAC) e contingenti annuali per stock ittici nelle diverse zone di

pesca. I TAC e i contingenti riguardano stock che l’UE gestisce in modo autonomo o congiuntamente a paesi terzi, ad esempio con la Norvegia e il Regno Unito soprattutto nel Mare del Nord, nel Mar Celtico e nello Skagerrak, oppure attraverso gli accordi raggiunti nel quadro delle

Organizzazioni Regionali di Gestione della Pesca (ORGP). La proposta per il Mediterraneo e il Mar Nero comprende lo sforzo di pesca e altre disposizioni tecniche. La fissazione dei TAC e dei contingenti è un esercizio di gestione annuale, o biennale per le specie da

Lo scorso mese di dicembre gli Stati Membri hanno raggiunto un accordo sulle possibilità di pesca 2021 nell’Atlantico, nel Mare del Nord, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Dal momento che oltre 100 di questi stock nell’Atlantico e nel Mare del Nord sono stati gestiti congiuntamente col Regno Unito negli ultimi decenni e che i negoziati sulle future relazioni tra Londra e l’UE sono ancora in corso, i ministri hanno convenuto di fissare dei contingenti provvisori (photo © Gorodenkoff Productions OU).

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Le riduzioni maggiori dei TAC hanno interessato l’aringa del Baltico occidentale e del Baltico centrale, in linea con i più recenti pareri scientifici (photo © ferkelraggae – stock.adobe.com). acque profonde (altrimenti dette specie demersali), deciso dal Consiglio in conformità dell’articolo 43, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. In seguito ad un intenso negoziato di due giorni, i ministri hanno raggiunto un accordo sui limiti di cattura per oltre 200 stock ittici commerciali nell’Atlantico, nel Mare del Nord, nel Mediterraneo e nel Mar Nero per il 2021 e, nel caso delle specie di acque profonde, per il 2021 e il 2022. Oltre 100 di questi stock nell’Atlantico e nel Mare del Nord sono stati gestiti congiuntamente col Regno Unito negli ultimi decenni; considerando i negoziati in corso tra l’UE e il Regno Unito sulle loro future relazioni, i ministri hanno convenuto di fissare contingenti provvisori per gli stock ittici condivisi con il Regno Unito. I contingenti provvisori sono intesi a garantire il proseguimento di una pesca sostenibile nelle zone interessate fino alla conclusione delle consultazioni con il Regno Unito. Un approccio analogo è stato adottato per gli stock gestiti congiuntamente con la Norvegia.

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I contingenti provvisori comprendono un rinnovo proporzionale, per i primi tre mesi del 2021, delle attuali possibilità di pesca per il 2020 (con l’applicazione di un coefficiente pari al 25% del contingente totale attuale dell’Unione). I ministri hanno concordato alcune eccezioni a questo approccio basate sulla stagionalità (alcuni stock sono pescati in prevalenza all’inizio dell’anno, ad esempio sgombro e melù) e su pareri scientifici (riduzioni drastiche per alcuni stock, ad esempio il gamberetto boreale). I valori puntuali per specie e per alcune area di pesca si possono trovare sul sito del Consiglio europeo sotto forma di tabelle in lingua inglese1,2. Ridotta del 7,5% la quota delle specie da fondale nel Mediterraneo occidentale. Già ridotta la pesca di alcune specie nel Mar Baltico. Per salvaguardare gli stock, i ministri hanno convenuto di ridurre i limiti di cattura, tra l’altro, per la passera di mare nel Kattegat, lo scampo nello Skagerrak, il nasello e il merluzzo giallo nella parte meridionale dell’Atlantico e per diverse specie di acque profonde, compreso uno stock di granatiere di roccia

e pesce sciabola nero. Per quanto riguarda le possibilità di pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero, i ministri hanno convenuto di ridurre di un ulteriore 7,5% gli sforzi di pesca demersale nel Mediterraneo occidentale al fine di preservare gli stock ittici nella zona. Questa riduzione rientra nell’impegno di una riduzione globale e graduale fino al 40% fino all’inizio del 2025 per raggiungere progressivamente il rendimento massimo sostenibile per tutti gli stock interessati da queste attività di pesca altamente multispecifica. A metà ottobre il Consiglio aveva già raggiunto un accordo sulle possibilità di pesca per il 2021 nel Mar Baltico, concentrandosi sulla ricostituzione degli stock ittici. I ministri hanno convenuto di continuare a ridurre le possibilità di pesca per diversi stock ittici nel Mar Baltico per favorirne la ricostituzione. Hanno deciso di proseguire la chiusura della pesca del merluzzo bianco del Baltico orientale e di prevedere soltanto un contingente di catture accessorie, che è stato ancora una volta notevolmente ridimensionato rispetto a quello dello scorso anno. Le riduzioni maggiori dei TAC hanno interessato l’aringa del Baltico occidentale e del Baltico centrale, in linea con i più recenti pareri scientifici. Di converso, i ministri hanno convenuto un aumento moderato dei TAC per l’aringa del Golfo di Riga, il merluzzo bianco del Baltico occidentale, la passera di mare, lo spratto e il salmone nel bacino principale del Mar Baltico, mentre il TAC per il salmone del Golfo di Finlandia subirà una riduzione moderata. I TAC per l’aringa del Golfo di Botnia saranno mantenuti allo stesso livello dell’anno scorso. Roberto Villa Note 1. Atlantico e Mare del Nord, www.consilium.europa.eu/media/47557/main-tacs-table-final. pdf 2. Specie demersali, www.consilium.europa.eu/media/47558/ deep-sea-tacs-table_for-publishing.pdf

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Pesca, via libera dalla UE a deroga sulla taglia minima delle vongole Fino al 31 dicembre 2022 in Veneto si potranno raccogliere vongole di mare (Chamelea gallina) di taglia inferiore ai 25 mm: il Parlamento europeo ha approvato ad inizio dicembre la deroga alla normativa che impedisce di pescare prodotti di dimensioni più piccole. Con l’atto l’UE ha riconosciuto la particolarità delle condizioni ecologiche e produttive del mare Adriatico, caratterizzato da una salinità inferiore rispetto a quella di altri mari che ha l’effetto di produrre vongole di dimensioni più piccole rispetto ai 25 mm richiesti dalla normativa comunitaria. «È una possibilità di importanza fondamentale per le imprese di pesca delle marinerie che aderiscono ai due CO.GE.VO. di Venezia e Chioggia che operano nei compartimenti marittimi della costa del Veneto» ha commentato l’assessore regionale alla Pesca CRISTIANO CORAZZARI. «La decisione dell’Unione Europea consente alle imprese venete di guardare con maggior fiducia al 2021, considerato che il comparto sta attraversando un periodo particolarmente difficile dovuto alle diffuse morie occorse negli eventi calamitosi dell’autunno 2018 e del novembre 2019, alle quali si aggiunge il drammatico calo della domanda connesso all’emergenza Covid-19. La maggior parte delle vongole adriatiche, infatti, era destinata alle strutture turistico-ricettive della costa veneta». Sempre a dicembre la Regione del Veneto ha erogato le sovvenzioni per le imprese di pesca aderenti ai CO.GE. VO. come ristoro per i consistenti danni subiti in occasione dell’alluvione del novembre 2019: l’ammontare complessivo è di 600.000 euro (fonte: Giunta regionale del Veneto).

FEDERPESCA e AIPE insieme per potenziare le attività di economia circolare nella filiera ittica FEDERPESCA – Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca e AIPE – Associazione Italiana dei produttori e trasformatori di Polistirene Espanso lo scorso 12 gennaio hanno sottoscritto un Memorandum con l’obiettivo di potenziare la collaborazione dei due enti sulle attività inerenti lo sviluppo di progetti in ottica di economia circolare, nonché di condividere buone pratiche e progetti pilota relativi all’utilizzo di imballi isotermici e cassette per il pesce negli ambiti d’uso delle imprese ittiche. L’economia circolare è una risposta ad una sfida comune per i Paesi europei: il continuo esaurimento delle risorse naturali e la gestione dei rifiuti. Ottenere il massimo dalle risorse naturali, evitandone la dispersione e favorendo il corretto uso e riciclo, è oggi una necessità ampiamente condivisa. La pesca e l’acquacoltura rappresentano un settore chiave dell’Economia Blu, così come l’industria del polistirene espandibile è una filiera chiave nell’economia del packaging. In questo contesto, il Memorandum mira a supportare e responsabilizzare le PMI del settore degli imballi isotermici in EPS e il settore della pesca e dell’acquacoltura nell’implementare buone pratiche di economia circolare. Nello specifico il comparto della filiera ittica e dei produttori di EPS si impegnano nello sviluppo di progetti pilota che avranno come obiettivo quello di aumentare il livello di circolarità delle parti interessate e favorire al contempo la cooperazione tra i due comparti nelle risposte alle nuove richieste del mercato, del legislatore e della comunità europea. «Il Mediterraneo rappresenta il luogo ideale per implementare progetti innovativi rivolti alla sostenibilità. Riteniamo quindi fondamentale partire da una sensibilizzazione e mobilitazione generale, a partire dai pescatori per arrivare alle comunità e ai governi» ha dichiarato LUIGI GIANNINI, presidente di Federpesca. «In questi anni abbiamo promosso moltissimi progetti volti al recupero delle plastiche dal mare. Oggi facciamo un passo in più. In quest’ottica abbiamo inteso la collaborazione con AIPE, per dimostrare che un’azione congiunta per la tutela del Mediterraneo e di tutti i mari porti benessere e crescita economica armonica e sostenibile, arricchisca tutti e rappresenti un argine significativo al cambiamento climatico». «Siamo orgogliosi di aver sottoscritto questo Memorandum — ha commentato ALESSANDRO AUGELLO, presidente di AIPE — che si inserisce nelle azioni promosse dall’associazione impegnata da sempre nel supportare la gestione sostenibile dei manufatti in EPS. A tale proposito, credo sia importante menzionare la stretta collaborazione tra AIPE e COREPLA, per favorire il recupero e il riciclo degli imballaggi in EPS post consumo, attraverso la creazione di piattaforme per la raccolta del polistirolo-EPS». >> Link: www.federpesca.it – www.aipe.biz

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Scampi irlandesi Una scelta di qualità direttamente dalle acque incontaminate dell’Atlantico Gli scampi irlandesi (Nephrops norvegicus) sono da considerarsi un alimento premium ƀĖƃ Ķ ĉŠŖƊƙŕìƓŠƃĶɐ ¡ĶƓƙìƓì ìŎ ĉŠŖǟŖĖ occidentale dell’Europa, l’Irlanda ha accesso ad uno dei bacini di pesca più ricchi del Continente, direttamente nelle acque limpide e incontaminate dell’Atlantico. Luoghi come Porcupine Bank, Labadie Bank e Jones Bank sono ricchi di questi preziosi crostacei che, grazie alle acque oceaniche in cui vengono allevati, hanno un gusto dolce e delicato allo stesso tempo.

Inoltre, la partnership tra pescatori Ė ìǃĶĖŖďĖ ƀƃŠďƙƓƓƃĶĉĶ īìĉĶŎĶƓì ìŖĉIJĖ le pratiche di pesca responsabile, aggiungendosi alla crescente reputazione internazionale per la qualità dell’industria ittica irlandese. La partecipazione ad iniziative come Fishery Improvement Projects (FIPs) īŠƃŖĶƊĉŠŖŠ ƙŖ ƂƙìďƃŠ ďĶ ƃĶīĖƃĶŕĖŖƓŠ ƃĶĉŠŖŠƊĉĶƙƓŠ ƀĖƃ ĶďĖŖƓĶǟĉìƃĖ Ė ĉŠŖĉŠƃďìƃĖ miglioramenti nelle varie attività. OŖŠŎƓƃĖɑ Ŏì OƃĖŎìŖďɰƊ ¡ĖìīŠŠď 'ĖƳĖŎŠƀŕĖŖƓ O Agency lavora insieme all’industria A ittica irlandese per ridurre sempre di più i l’impatto ambientale della pesca e per l sviluppare un sistema di tracciabilità s degli scampi attraverso 3 criteri chiave: d • Fornire dati agli scienziati per ĉŠŎŕìƃĖ ŎĖ ŎìĉƙŖĖ ĶŖīŠƃŕìƓĶƳĖ e migliorare lo stoccaggio. • Utilizzare delle attrezzature più ĖĉŠɥīƃĶĖŖďŎƺ ƀĖƃ ƃĶďƙƃƃĖ ŎɰĶŕƀƃŠŖƓì ambientale della pesca.

LLa pesca degli d li scampii iirlandesi l d iè agevolata dalla stretta collaborazione tra pescatori e aziende produttrici. L’uso ďĶǛƙƊŠ ďĖŎŎɰĶŖŖŠƳìƓĶƳì ƓĖĉŖŠŎŠĬĶì īƃŠǃĖŖɥ ìƓɥƊĖì īì ĶŖ ŕŠďŠ ĉIJĖ ĬŎĶ ƊĉìŕƀĶ ƀŠƊƊìŖŠ essere congelati a bordo dei pescherecci nel giro di sole due ore dalla cattura, garantendo un prodotto ottimale sia per qualità che per gusto. L’etichettatura ƀĖƃ ŎŠƓƓŠ īŠƃŖĶƊĉĖ Ŏì ƓƃìĉĉĶìĈĶŎĶƓþ ìŎŎì īŠŖƓĖ Ė ƀĖƃŕĖƓƓĖ ďĶ ƀŠƃƓìƃĖ ƊĉìŕƀĶ ĶƃŎìŖďĖƊĶ īƃĖƊĉIJĶ ƊƙŎ ŕĖƃĉìƓŠ ƃìƀĶďìŕĖŖƓĖɑ con maggiori garanzie di qualità e sicurezza per clienti e consumatori.

• Sviluppare un sistema di tracciabilità che segua la pesca degli scampi ìƓƓƃìƳĖƃƊŠ ŎɰĶŖƓĖƃì ǟŎĶĖƃìɐ Tutti i principali esportatori di scampi irlandesi sono membri di Origin Green, l’unico programma di sostenibilità al mondo che opera su scala nazionale. Sviluppato da Bord Bia, Irish Food Board, Origin Green permette di raggiungere obiettivi misurabili di sostenibilità consentendo di preservare l’ambiente marino. Per maggiori dettagli è possibile visitare il sito origingreen.ie. L’Irlanda ha raggiunto una quota di circa 7.000 tonnellate di scampi nel 2020, ĬìƃìŖƓĖŖďŠ ƙŖì īŠƃƓĖ ĉìƀìĉĶƓþ ďĶ ŠǛĖƃƓì per i mercati. Gli scampi congelati hanno rappresentato il 9% dell’esportazione totale di pesce irlandese, che nel 2019 ha raggiunto il valore 57 milioni di euro.

L’Italia ’ l rappresenta oltre l i due d terzi di d questo mercato di esportazione, seguita da Spagna, Regno Unito e Francia. L’ottima reputazione degli scampi ĶƃŎìŖďĖƊĶ ì ŎĶƳĖŎŎŠ ŕŠŖďĶìŎĖ Ĥ ĉŠŖīĖƃŕìƓì anche dalla crescita delle esportazioni verso la Cina, con un + 20% nel 2019. dì ĉìƀìĉĶƓþ ďĶ ƊŠďďĶƊīìƃĖ ŎĖ ĖƊĶĬĖŖǃĖ ƊƀĖĉĶǟĉIJĖ ďĖĶ ĉŎĶĖŖƓĶ Ĥ īŠŖďìŕĖŖƓìŎĖ ƀĖƃ questa crescita. Sia i gamberi interi che le code possono essere surgelati, qualsiasi esigenza relativa alle dimensioni delle ĉŠŖīĖǃĶŠŖĶ ɥ ďì ƂƙĖŎŎĖ ŕŠŎƓŠ ĬƃìŖďĶ ì ƂƙĖŎŎĖ ƀĶĉĉŠŎĖɑ ǟŖŠ ìĶ īŠƃŕìƓĶ ŕƙŎƓĶƀŎĶ ɧ Ĥ ĶŕŕĖďĶìƓìŕĖŖƓĖ ƊŠďďĶƊīìƓƓìɐ Gli scampi irlandesi godono da tempo di una reputazione di qualità. Oggi, grazie all’impegno verso l’eccellenza e metodi di pesca responsabili, la considerazione dei consumatori verso questo alimento sta aumentando in tutto il mondo. Per scoprire come lavoriamo in armonia con la natura come nessun altro al mondo visitate il sito www.irishfoodanddrink.com Per maggiori dettagli sui fornitori di prodotti ittici irlandesi, contattate: Bord Bia Tel: +39 02 72002065 Email: bordbia.milan@bordbia.ie www.origingreen.ie


INTERVISTE

Claudio Masciopinto, “le persone che vivono di mare” e le nuove competenze per il Blue Recovery Fund

L’antropologo marittimo: Blue Economy e nuove professioni per “vivere di mare” di Michela Cariglia

«Non si può pensare al mare senza l’uomo. L’interazione di ambiente e comunità è un patrimonio che si costruisce su questo rapporto» ci spiega Claudio Masciopinto, professione antropologo marittimo. L’antropologia marittima studia, decodifica ed indica quali siano gli elementi in grado di formare il “Paesaggio Culturale Marittimo” che rappresenta i caratteri del mare e della costa, elemento vissuto e trasformato dall’azione dell’essere umano ad ogni latitudine.

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“Che cosa hanno in comune un faro, i satelliti, l’antropologia e la zuppa di pesce?”. Inizia con questa domanda a bruciapelo, l’incontro con MICHELE CLAUDIO MASCIOPINTO, antropologo del CRESTA (Centro Ricerche Centro Ricerche Etnografiche, Storiche, Antropologiche) di Bari e direttore del Museo del Faro di Torre Canne, Brindisi. Un sorriso franco e sereno, una limpidezza di orizzonti in cui si specchia l’anima di chi ha trovato nel mare la propria vita e ne ha fatto una professione innovativa e sostenibile: l’antropologia marittima. Dottorando di ricerca presso la Cattedra UNESCO dell’Università della Basilicata, Claudio Masciopinto vive di mare e dal mare e con le sue opportunità ha creato, insieme alla sorella Manuela ed alla comunità dei pescatori, un vero e proprio sistema di competenze trasversali per una Crescita Blu Sostenibile. Data management e antropologia, utilizzo delle tecnologie satellitari e delle onde radio… ma anche carta e penna, stivali ai piedi, sale e onde, ma soprattutto dialogo con le comunità sono gli ingredienti per costruire un percorso che mette uomo, ambiente e tutela della biodiversità al centro della pianificazione e gestione della “risorsa mare” con l’obiettivo del vivere sostenibile. IL PESCE ha intervistato Claudio Masciopinto a margine del Webinar “Skills and careers development in the Blue Economy, Blue Careers Aquaculture”, organizzato congiuntamente dal Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, FEDERPESCA e Net European Consulting, svoltosi lo scorso 26 novembre sulla piattaforma Zoom (iora-italy.org/blue-careers). Nuove professioni e sviluppo sostenibile, capitalizzazione delle maestranze e valorizzazione del patrimonio di conoscenze e saper fare di ogni comunità marittima, sono state analizzate durante il Webinar al fine di individuare e formare le risorse umane nelle varie opportunità e domande di mercato della Blue Growth anche nell’Oceano Indiano.

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Claudio Masciopinto, antropologo e direttore del Museo del Faro di Torre Canne (BR). Sicuramente, quella dell’antropologo marittimo è stata la figura più interessante tra quelle proposte perché innovativa e classica ad un tempo e, certamente, fondamentale per lo sviluppo sostenibile delle comunità legate al mare, alla corretta pianificazione e gestione della fascia costiera e per un’effettiva Crescita Blu. Dottor Masciopinto, che cos’è l’antropologo marittimo e perché è così importante per la Blue Growth? «Nel 1969 l’uomo sbarca sulla luna e PAUL THOMPSON enuncia il principio per cui “le società marittime nascono, si sviluppano e scompaiono per ragioni storiche, economiche e sociali oltre che ecologiche”. L’antropologo marittimo si occupa esattamente di indagare le azioni con cui le comunità marittime proteggono il

proprio patrimonio culturale, il mare e l’ambiente per comprendere in che modo si possa sviluppare o adattare un’intera comunità ai cambiamenti della società. Nell’ambito della Blue Growth la figura dell’antropologo marittimo si colloca come raccordo tra la scienza, la biologia, la tecnologia, l’economia e l’esigenza di pianificazione delle comunità in termini sociali ed economici oltre che ecologici perché finalmente è universalmente riconosciuta al mare ed agli oceani la loro importanza vitale per l’uomo ed il pianeta. Non si può pensare al mare senza l’uomo e l’interazione tra i due elementi è un patrimonio che si costruisce sul rapporto tra ambiente e comunità. L’antropologia marittima studia, decodifica ed indica quali siano gli elementi in grado di formare

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Una polena esposta a “Lights on the sea – Narrazioni tra cielo, terra e mare”, un “piccolo laboratorio di costruzione della memoria del paesaggio marittimo” ospitato nelle sale del faro di Torre Canne, Brindisi. il “Paesaggio Culturale Marittimo” che rappresenta i caratteri del mare e della costa, elemento vissuto e trasformato dall’azione dell’essere umano ad ogni latitudine». Come opera l’antropologia marittima? «Negli ultimi decenni, il paesaggio costiero ha assunto un nuovo ruolo di volano “culturale”, in cui il patrimonio tangibile interagisce con il patrimonio immateriale composto da storie, memorie e tradizioni delle comunità del mare, stimolando la creazione di un nuovo modello dinamico e relazionale. La prof. ssa GABRIELLA MONDARDINI MORELLI, madre dell’antropologia marittima, umilmente mia maestra di vita, ha delineato il perimetro operativo della materia in pochissime parole: “È la specializzazione produttiva, sociale e culturale che identifica la cultura del mare e infiniti orizzonti”».

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Effettivamente un perimetro molto ampio. In che cosa consiste? «L’indagine dell’antropologia marittima ed il suo contributo agli strumenti di pianificazione della Blue Growth, compresa la pianificazione delle attività e dei progetti da sviluppare con il Recovery Fund, tiene conto delle dinamiche con cui si costruisce l’identità marittima e fornisce alle nuove generazioni un modo di identificare le interazioni culturali e sociali nell’ottica di uno sviluppo sostenibile del paesaggio costiero anche dal punto di vista economico». In che modo? «Faccio un esempio pratico. Mentre le grandi città portuali affrontano sfide antiche e nuove da sempre legate al mare attraverso una reazione più immediata ed un’interazione più veloce con le tecnologie, i cambiamenti economici

e sociali, le migrazioni, narrazioni e rappresentazioni, i piccoli centri ed i paesi delle coste hanno una reazione diversa. Da un lato, hanno l’urgenza di rilevare una dimensione storica e culturale del litorale che spesso si è persa o rischia di esserlo. Infatti, ci sono intere piccole comunità costiere che vivono di turismo per pochi mesi all’anno e il paesaggio si modifica completamente e anche l’interazione tra uomo ed ambiente. È necessario promuovere un turismo sostenibile che trae nuove motivazioni dalla tutela e valorizzazione dell’identità dei luoghi. L’antropologia marittima raccoglie, anche e soprattutto, quello che viene dalla tradizione orale e del fare che caratterizza le scelte di coloro che “vivono della risorsa mare”, al fine di comprendere le dinamiche di costruzione dell’identità marittima. Poi, si decodifica secondo parametri scientifici, sociali ed economici che possono essere utili per pianificare anche gli interventi di attuazione dell’auspicato sviluppo sostenibile. Se il mare è inquinato non ci può essere turismo, pesca o acquacoltura, crescita in generale e quella comunità, gioco forza, abbandona l’area». Quindi, l’antropologo marittimo diventa una competenza fondamentale per qualsiasi gruppo di lavoro sulla Crescita Blu? «Certamente, l’antropologo marittimo è un attore della pianificazione costiera e del paesaggio, ma anche dei porti grandi e piccoli. L’inserimento di questa figura professionale, oltre a creare nuovi posti di lavoro, riuscirebbe a supportare la pianificazione tenendo conto di elementi diversi rispetto a quanto è stato fatto finora con risultati altalenanti e disomogenei. Infatti, l’analisi si basa “sull’esperienza del fare” di una determinata comunità costiera e non solo dei dati economici ed ambientali. Nell’antropologia marittima, i dati di produzione e di sviluppo vengono incrociati con gli stili di vita, le tradizioni, i saperi e le pratiche di una realtà.

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Il faro di Torre Canne, costruito a partire dal 1927, è una torre ottagonale alta 35 metri. È considerato il simbolo dell’omonima località, pittoresca frazione marittima di Fasano, provincia di Brindisi. Questi saperi, che insieme danno forma al patrimonio culturale, l’heritage, non si tramandano con i manuali e non si correggono, integrano o modificano con le leggi ma appunto con il “fare”. Indubbiamente, l’antropologo marittimo contribuisce in maniera qualificata alla tutela del mare come risorsa». Potrebbe spiegare ai giovani ed ai lettori come e perché è diventato antropologo marittimo? «Nella mia attività di ricerca universitaria mi sono occupato delle comunità dei pescatori e dell’interazione con il turismo e le altre voci dell’Economia Blu. Ho parlato con i pescatori, ho condiviso l’esperienza delle uscite in barca, di notte, mentre erano alle prese con la pesca di cefali o polpi e ho cercato di capire e codificare i loro problemi, le loro condizioni di vita, le loro opinioni su il futuro. È emersa una consapevolezza di passare dallo sfruttamento alla promozione del benessere del mare in tutte le sue

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sfumature e voci. Il settore è in forte crisi per motivi più disparati: legislazione restrittiva, sovrasfruttamento delle risorse, costi eccessivi e le forme di integrazione come il pescaturismo da sola non bastano a soddisfare i bisogni delle loro famiglie. Quindi, è facile optare verso forme aggressive per il mare ma in grado di sostenere economicamente le diverse realtà. Nelle comunità costiere sta maturando la consapevolezza, per esempio, dell’urgenza di ripensare il ruolo della piccola pesca per rigenerare il settore in vista di un’esperienza di mare sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità». Come è nata l’idea e quale è stato il percorso che ti ha portato a scegliere questa professione? «L’ascolto dei pescatori a Fasano, a Brindisi, in Grecia, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, mi ha spinto a cercare di fare qualcosa di concreto. Qualcosa che dimostri il valore dell’antropologia marittima per il sostegno alla comunità, una job

carrier a 360° con una nuova visione del mare. Ed è nato, nell’estate 2020, una mostra sui fari e la cultura marinara all’interno delle sale del faro di Torre Canne, funzionante ed attivo. Un progetto sostenuto da Università della Basilicata, Comune di Fasano e Comunità di pescatori. Da qui è partito un percorso che sta vedendo, nonostante l’emergenza Covid-19 intere scolaresche, persone che affascinate dal faro, riscoprono il mare: da fruitori a promotori del mare». I fari all’epoca dei satelliti hanno ancora importanza? «Il faro è l’eterna luce, la certezza. Non esiste porto senza fari e non esiste mare senza porti. All’epoca dei satelliti, i fari supportano l’evoluzione tecnologica perché certezze liminali e morfologiche a dimensione d’uomo. E i fari sono importanti non solo per “l’uomo navigante”, ma anche per “l’uomo camminante”: casa del mare che guarda il mare e dipinge un paesaggio unico,

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di frontiera e di cornice dell’anima; con le proprie relazioni pieni di un linguaggio, proprio, marinaro e marittimo. La mostra nel faro di Torre Canne spiega questa declinazione dell’infinito, propone di sperimentare una metodologia di ricerca che mira a tutelare la memoria collettiva della comunità marittima attraverso il faro. Si tratta di vivere il processo di costruzione della cultura del mare come patrimonio contemporaneo con l’obiettivo di raccontare “chi vive di mare”. Queste azioni sono importanti per capire che il mare esiste, come luogo e come storia, e che il suo patrimonio culturale merita di essere conosciuto e protetto. La mostra ospita pezzi che vengono dalle comunità raccontano di mestieri, legno, acciaio, reti, oggetti che lasciano un’eredità necessaria anche per la triangolazione satellitare e che sono ispiratori di blue carrier. Un esempio per tutti, anche i cantieri navali più grandi del mondo

hanno bisogno di maestranze come quelle d’ascia, per esempio o i retifici industriali hanno bisogno del nodo “fatto a mano” per inserirlo nelle stampanti 3D. Il legame tra patrimonio e innovazione è fondamentale». Faro, infrastrutture, Recovery Fund e Blue Growth… patrimonio di…? «La ristrutturazione del faro di Torre Canne e la rete tra istituzioni e comunità ha aperto il faro alle persone e lo ha reso una infrastruttura accessibile e fruibile a tutti. Un’idea di “patrimonio marittimo” che ha preso il largo, come si dice in gergo, e una volta in mare, si è estesa su un orizzonte più ampio, sia esso un centro storico, una costa, un ambiente naturale, una comunità di persone che vivono e lavorano. Di qui, la relazione tra antropologia marittima e pianificazione partendo dalle infrastrutture e codificando le comunità: abbiamo una grandissima opportunità di centrare l’obiettivo

e tutti gli strumenti per affrontare le difficoltà. Sono convinto che ci siano tantissime professionalità in grado di supportare le task force e meglio orientare la legislazione conseguente. Un’opportunità di lavoro e crescita per tanti ricercatori ed operatori. Insomma, un’occasione per realizzare davvero un sistema blu e per occupare risorse umane nel lungo periodo». Michela Cariglia Nota La mostra del faro di Torre Canne, curata da CLAUDIO e MANUELA MASCIOPINTO, grazie ad un video girato con un linguaggio filmico innovativo e all’antropologia marittima sta facendo il giro del mondo. L’Association of Lighthouse Keepers (alk.org.uk) ha scelto, unico in tutto il Mediterraneo, proprio il Faro di Torre Canne per far parte dell’International Lighthouse Heritage Weekend del 2020. Questo è il link al video: www.youtube.com/watch?v=AuFNDcXWITM

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AZIENDE

Boni Roberto Srl: prodotti, persone e innovazione Dalla provincia cremasca, una realtà con 50 anni di storia che oggi guarda al trade ittico nazionale ed estero con una visione moderna e innovativa, specializzata nell’importazione e nella distribuzione all’ingrosso di materie prime non lavorate di Elena Benedetti

Sviluppare il proprio business su solide basi relazionali, sia interne che verso clienti e fornitori. Mantenere una struttura snella, orientata all’innovazione e caratterizzata da uno staff giovane che con rapidità si adegua alle dinamiche del mercato. Questi sono i punti di forza emersi dall’incontro con A NDREA B ONI , titolare dell’azienda Boni Roberto Srl di Ripalta Cremasca (CR), terza

generazione di una realtà moderna e in espansione nel comparto ittico che ha le spalle solide grazie a 50 anni di attività. Siamo nella provincia cremasca, non certo un territorio vocato al trade dell’ittico. Eppure da qui inizia l’avventura della famiglia Boni, prima con una piccola pescheria e poi via via evolvendo verso la distribuzione locale e con le prime consegne

ai ristoratori della zona, crescendo pian piano, anno dopo anno. «Mi potrei definire un figlio d’arte» mi dice Andrea Boni. «Crescendo con la ristorazione ho consolidato la rete di clienti costruita con anni di lavoro da mio padre per dedicarmi anche all’import/export, grazie al quale oggi siamo una realtà consolidata sia sul mercato nazionale che internazionale».

Il nuovo stabilimento dell’azienda Boni Roberto Srl a Ripalta Cremasca (CR) comprende un impianto di stoccaggio con una capacità di 800 tonnellate di prodotto e l’accesso dei mezzi propri per le consegne.

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In alto: l’azienda Boni Roberto seleziona i migliori produttori e le materie prime nel mondo. Qui la mappa con l’indicazione in colore rosso dei paesi di approvvigionamento dei prodotti ittici. In basso: Boni Roberto è distributore unico dei prodotti ittici di Impulso Pesca Sarl, società della Mauritania.

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Lo sviluppo aziendale è stato graduale e continuo. «Abbiamo costruito un nuovo stabilimento più adatto ai nostri volumi, con un impianto di stoccaggio che ha una capacità di 800 tonnellate di prodotto e mezzi propri per le consegne» sottolinea Andrea. «Ma non è mancato l’investimento anche sul fronte delle risorse umane, con l’assunzione di personale giovane inserito nel nostro staff perché per noi la qualità del lavoro è sinonimo di qualità del servizio». Sul fronte del prodotto la Boni Roberto Srl è specializzata nell’importazione di gamberi e scampi provenienti dal Nord dell’Europa e di cefalopodi (polpi, seppie, calamari, totani) dalla Spagna, dal Portogallo e soprattutto dalla costa atlantica Centro-Orientale (quindi Marocco, Mauritania, Senegal, ecc…), dal Sudafrica, oltre che dall’Asia (con Vietnam, Malesia e Indonesia) e dal Centro America (Messico ed Ecuador). Il mercato di riferimento delle materie prime selezionate e importate dall’azienda cremasca attraverso i vari canali internazionali comprende

importatori, grossisti, industrie di lavorazione dei prodotti ittici, mercati ittici fino alle pescherie e agli ambulanti. Un range decisamente ampio che garantisce mercati di sbocco e che non ha troppo risentito degli shock registrati in altri segmenti, come quello dell’HO.RE.CA. «Il 2020 è stato un anno di consolidamento dei nostri numeri e di investimento nel personale mentre per il 2021 puntiamo a crescere, curando i nostri intermediari commerciali, rafforzando la nostra presenza commerciale nei mercati esteri presso i quali ci approvvigioniamo nell’ottica di rinsaldare relazioni a lungo termine» rimarca Andrea, ricordando che «oltre ad essere fornitori dei nostri clienti siamo anche partner commerciali sempre pronti a dare una mano alle società con cui operiamo». Anche sul fronte aziendale Andrea Boni sottolinea ancora una volta l’importanza strategica delle relazioni nel business. «È vero, siamo un’azienda che è stata fondata nel 1969, ma restiamo con uno spirito giovane, basti pensare che

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Il 2020 è stato un anno di consolidamento dei nostri numeri e di investimento nel personale mentre per il 2021 puntiamo a crescere, curando gli intermediari commerciali, rafforzando la presenza commerciale nei mercati esteri presso i quali ci approvvigioniamo, sottolinea Andrea Boni. Siamo partner commerciali dei nostri clienti, sempre pronti a dare una mano

Sul fronte del prodotto la Boni Roberto Srl è specializzata nell’importazione di cefalopodi, polpi, seppie, calamari, totani.

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l’età media in azienda è di 40 anni. È per questo che i nostri sforzi sono orientati allo sviluppo, all’evoluzione dei prodotti, a seguire le richieste dei nostri clienti. E questo senza mai trascurare il nostro gruppo di lavoro, le risorse umane che fanno concretamente l’azienda e che ogni giorno lavorano per soddisfare le esigenze di clienti e fornitori». Insomma, Boni Roberto Srl è un esempio concreto di quello che viene definito marketing relazionale. Perché non basta il prodotto, non bastano le idee, occorre coltivare le relazioni tanto coi clienti quanto con il proprio staff. Per crescere in modo sano e duraturo anche nei prossimi 50 anni. Buon lavoro. Elena Benedetti Boni Roberto Srl Via Amerigo Vespucci 11 26010 Ripalta Cremasca (CR) Telefono: 0373 399735 – 347 4444538 E-mail: info@bonisrl.eu Web: www.bonisrl.eu


Cibus 2021, Welcome to Foodland: appuntamento a Parma dal 31 agosto al 3 settembre: Al termine di due sondaggi, uno tra le aziende espositrici e l’altro tra i buyer nazionali ed esteri, FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE hanno fissato le date di Cibus 2021: si terrà nella prima settimana di settembre, da martedì 31 agosto a venerdì 3 settembre. Alla decisione ha concorso anche una valutazione sul processo di vaccinazione in Italia e l’organizzazione dei corridoi aerei per i buyer esteri. La 20a edizione di Cibus 2021, Salone Internazionale dell’Alimentazione, sarà la fiera della ripartenza dell’agroalimentare italiano, la prima vetrina dell’anno per il food&beverage nazionale. Saranno esposti i nuovi prodotti che traineranno la ripresa dei consumi interni e dell’export internazionale, in tutte le merceologie: dai salumi ai formaggi, dalla pasta al pomodoro, dall’olio ai prodotti da forno, dal beverage al grocery, dai surgelati ai prodotti locali, e altro ancora. La riapertura di Cibus (l’edizione del 2020 è stata cancellata a causa della pandemia) coincide con una ripresa dell’export dell’agroalimentare: i dati ISTAT, elaborati da FEDERALIMENTARE, già riferiscono di una sostanziale tenuta nel 2020 (+0,1% nei primi 10 mesi del 2020), che dovrebbe evolvere in una crescita significativa nel primo semestre 2021. Un dato che lascia ben sperare su un cospicuo afflusso di buyer internazionali, tanto che è stato allocato un budget record per favorire l’incoming (viaggi e permanenza dei buyer esteri). Un dialogo, quello con i buyer esteri, che non si è mai interrotto nei mesi più difficili della pandemia: grazie al consolidamento della piattaforma B2B My Business Cibus, ai webinar di Cibus Lab, e alla partecipazione di Cibus alla fiera Food Hotel China di Shanghai (lo scorso novembre) e al Gulfood di Dubai (21 febbraio). •

A Cibus 2021 sono attese circa 3.000 aziende espositrici italiane e saranno presenti tutti gli attori della filiera agroalimentare. La fiera rappresenterà dunque un’occasione per analizzare i grandi cambiamenti accelerati dalla pandemia, sia a livello produttivo sia a livello di consumi. I convegni saranno organizzati in una cornice unica e coerente, chiamata “Cibus Forum”, anche per sottolineare la continuità con quanto elaborato nello scorso Cibus Forum del settembre 2020.

>> Link: www.cibus.it

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WEBINAR

Biologico: il modello danese di Gaia Borghi

Il modello danese all’origine del primato del Paese nel biologico si fonda sulla partecipazione di tutte le parti in causa, nel pubblico e nel privato: agricoltori, aziende, organizzazioni, enti ufficiali, consulenti, politici, commercio al dettaglio, servizi di ristorazione e consumatori. Tutti hanno contribuito attivamente a sviluppare un settore con una produzione che tiene conto della tutela dell’ambiente, del benessere degli animali e della sostenibilità (photo © Niclas Jessen).

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In occasione della prima edizione di B/Open — la nuova rassegna di Veronafiere dedicata al biologico, svoltasi gli scorsi 23 e 24 novembre in versione digitale come tutte le fiere e gli eventi organizzati negli ultimi lunghissimi mesi —, ho assistito al convegno dal titolo “Biologico. Il Modello Danese”, che ha visto la partecipazione di METTE GAMMICCHIA, Direttore Market Relation del Danish Agriculture & Food Council. La Danimarca è unanimemente riconosciuta a livello internazionale per la sua leadership e la sua esperienza ultradecennale nella produzione biologica: non a caso, infatti, il Paese è stato il primo al mondo a dotarsi di una regolamentazione ad hoc sul bio (1987), a sviluppare standard biologici nazionali e a lanciare un’etichetta biologica (1989). Oggi i prodotti biologici danesi arrivano nei mercati di tutto il mondo, dai grandi mercati vicini come Germania e Svezia, fino alla Cina. L’ottima reputazione dei prodotti biologici danesi, in un mercato globale che richiede sempre più alimenti sostenibili, si basa sul successo del settore agricolo nazionale, che garantisce elevati standard di sicurezza, tracciabilità e qualità. «Nel 1987 la Danimarca è stata il primo Paese a regolamentare la produzione biologica basando le normative sulla legislazione agricola e alimentare generale nazionale. Ciò significa che, oltre a rispettare le norme sul bio, gli agricoltori e le aziende produttrici di mangimi biologici si attengono anche a tutte le altre normative riguardanti l’ambiente, la natura, il benessere degli animali, la tracciabilità, l’igiene e la sicurezza alimentare» racconta Mette Gammicchia. «La superficie agricola biologica in Danimarca nel 2019 ha raggiunto l’11,3% sulla superficie agricola totale: per il 2030 l’obiettivo governativo è rad-

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L’ottima reputazione dei prodotti biologici danesi si basa sul successo del settore agricolo del Paese, che ha reso la Danimarca una nazione riconosciuta a livello internazionale per rifornire di prodotti di alta qualità con elevati standard di sicurezza, tracciabilità e sostenibilità i consumatori di tutto il mondo (photo © Sarah Gree, VisitNordsjælland). doppiarla, riducendo al contempo i gas serra del 70% rispetto al 1990 e raddoppiando anche l’esportazione e il consumo interno di prodotti biologici». Guai a cullarsi sugli allori quindi: le caratteristiche del sistema biologico danese nel suo complesso sono infatti dinamiche, nel senso di volte al raggiungimento di sempre nuovi traguardi, obiettivi migliori, al fine di innalzare gli standard in materia di benessere degli animali, di tutela dell’ambiente e del clima e di etica produttiva e sociale. Come richiedono gli stessi consumatori! Una nazione BIO Da dove nasce e quali sono le caratteristiche di questo modello da primato ce lo spiega con esattezza Mette Gammicchia. «Il modello all’origine del primato del Paese nel settore biologico si fonda sulla collaborazione, anzi, meglio, sulla condivisione di un obiettivo comune da parte di tutti gli attori della filiera, pubblici e privati. Partendo dalla politica, innanzitutto, strumento primario per raggiungere determinati successi, alla ricerca, con centri all’avanguardia sostenuti con importanti finanziamenti, alle aziende di produzione e distribuzione, fino ai consumatori: tutti hanno unito le forze e hanno

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reso possibile l’affermazione del biologico in Danimarca». Un esempio? La certificazione biologica unica, statale e gratuita a tutti i livelli. «Le imprese che intendono convertire la propria produzione al bio vengono guidate dall’amministrazione veterinaria e alimentare danese in ogni singolo passaggio. E dal momento che l’etichettatura è rilasciata dalle autorità governative, non vi sono costi connessi al processo. Ispettori del Ministero dell’Ambiente e dell’Alimentazione verificano che la produzione biologica sia condotta in conformità delle norme. Tutti gli allevamenti biologici, i fornitori e le aziende alimentari biologiche sono ispezionate dagli ispettori governativi almeno una volta all’anno».

Anche per quanto riguarda i consumi, la Danimarca è da anni al vertice, con una spesa media pro capite che nel 2019 ha toccato i 402 euro all’anno, contro i 54 dell’Italia. «Oltre l’80% dei Danesi compra biologico: conosce perfettamente l’etichettatura distintiva e ne riconosce il valore aggiunto, soprattutto in termini di rispetto e tutela ambientale e di benessere animale» continua Mette Gammicchia. «In Danimarca si registra una crescita di tutte le categorie di prodotti biologici: i consumatori di solito iniziano con gli alimenti di base come il latte, le uova e gli ortaggi, prima di passare ad altri gruppi di prodotti più costosi. Oggi il totale delle vendite bio si aggira intorno ai 2,3 miliardi di euro».

Nel 1989 la Danimarca è stata la prima nazione al mondo a dotarsi di una normativa per la produzione biologica. Per il 2030 il Governo intende raddoppiare la superficie agricola bio del Paese, l’export e i consumi di prodotti organic. Intanto, a fine 2020 ha lanciato il primo sistema di etichettatura che identifica il pesce catturato in modo sostenibile: NaturSkånsom

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Con la nuova etichetta NaturSkånsom la Danimarca si conferma in prima linea a livello mondiale per la sostenibilità della pesca.

La maggior parte delle vendite di prodotti bio (l’81%) avviene attraverso il commercio al dettaglio e on-line, sempre più diffuso; il resto avviene nella ristorazione fuori casa (15%) e in fattoria (4%). La grande differenza rispetto all’Italia risiede nel fatto che non ci sono negozi specializzati biologici, poiché i prodotti bio si trovano da più di vent’anni nella Grande Distribuzione e nei Discount, con una differenza di prezzo minima per la stragrande maggioranza delle referenze. I consumi nel segmento “fuori casa” sono un driver significativo nel modello danese. Nel 2019 la crescita è stata dell’11%, portando così il fatturato a 349 milioni di euro. A ottobre 2020, 3.340 locali hanno ottenuto l’Etichetta bio per la ristorazione (misura la quota di ingredienti biologici usati in cucina) e le mense pubbliche e private sono il motore dell’organic way of life. Il bio, inoltre, è sinonimo di alta qualità, tanto che il numero di ristoranti danesi premiati dalle stelle Michelin è passato dai 12 del 2010 ai 35 del 2020. «La Danimarca è da tempo una meta gourmet e anche i locali ai vertici della gastronomia internazionale si contraddistinguono per un menu a base di cibo locale e biologico» conclude Mette Gammicchia.

La nuova etichettatura sarà utilizzata per identificare il pesce catturato con metodi rispettosi dell’ecosistema marino, in particolare specie demersali come la passera di mare (photo © naturskånsom.dk).

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NaturSkånsom “Esiste un intero Oceano di buone ragioni per mangiare il modo sostenibile, anche e soprattutto quando

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Per B/Open digital oltre 800 operatori, 160 incontri e 70 buyer internazionali B/Open, rassegna dedicata al Bio-foods & Natural self-care, nella sua prima edizione digitale ha ospitato una community di oltre 800 operatori, collegati nelle due giornate dell’evento e, fino al 30 novembre, 160 tra meeting e video call con la partecipazione anche di 70 buyer internazionali selezionati da Veronafiere e da ICE-Agenzia. In due giorni di manifestazione (23-24 novembre) sono stati organizzati 21 appuntamenti live, ai quali hanno partecipato 89 speaker, per un totale di 1.598 visualizzazioni del programma convegnistico, grazie a contenuti che hanno saputo coniugare gli aspetti istituzionali, di programmazione comunitaria, fino agli aspetti più tecnici e di taglio scientifico, in cui sono risultati evidenti gli sforzi delle imprese, degli enti certificatori e dell’Università in chiave di ricerca & Sviluppo. Non solo food, naturalmente, ma fari puntati anche sulla cosmesi e sul mercato degli integratori alimentari. Filo conduttore di B/Open la qualità degli eventi, rivolti esclusivamente a un pubblico professionale, addetti ai lavori, stampa, e la finalità business. Anche per la rassegna del 2021, in programma nelle giornate del 90 e 10 novembre, sarà previsto l’affiancamento on-line della piattaforma, così da offrire un’ulteriore formula di business. >> Link: www.b-opentrade.com

si tratta di prodotti della pesca”: nella sua campagna istituzionale di comunicazione del nuovo sistema di etichettatura NaturSkånsom, lanciato a fine 2020, il Ministero danese della Pesca spiega perché come consumatori dobbiamo scegliere di acquistare anche pesce pescato in maniera sostenibile. Perché il mare è “Natura, Cibo e Lavoro” da tutelare (qui il video: naturskånsom.dk). La nuova etichetta NaturSkånsom, che può essere tradotta come Amica della Natura, informerà infatti i consumatori su quali pesci siano stati catturati utilizzando metodi rispettosi della natura (Nature friendly, appunto) e della protezione dell’ambiente marino. «Questo programma di certificazione vuole essere un supporto sia

per i consumatori che per i pescatori e, non da ultimo, per la vita nell’oceano» ha dichiarato in proposito il Ministro danese dell’Alimentazione, della Pesca e delle Pari opportunità MOGENS JENSEN. Il pescato identificato dall’etichetta NaturSkånsom deve soddisfare diversi requisiti, ovvero essere stato catturato con attrezzi “passivi” (compresa la pesca a strascico di fondale) come palangari e reti da traino; da una nave di lunghezza inferiore a 17 metri; provenire da uno stock sano e da battute di pesca brevi (non superiori a 48 ore); infine, i pescatori coinvolti nel programma dovranno aver superato un corso che ha lo scopo di insegnare loro i criteri per garantire pesce fresco della massima qualità.

«La sostenibilità è un elemento essenziale nella pesca danese, su cui lavoriamo da anni» ha commentato ALLAN BUCH, presidente del comitato costiero dell’Associazione danese per la pesca. «Dagli anni ‘90 abbiamo ridotto le emissioni di CO2 del 60% e oggi l’80% dei nostri sbarchi è già certificato con l’etichetta MSC, che ne garantisce la sostenibilità. Ci auguriamo che la pesca costiera possa trarre il meglio dal nuovo programma di etichettatura e in un futuro non troppo distante esso venga integrato con regimi di sostegno in grado di promuovere altri investimenti in nuove tecnologie verdi». Gaia Borghi >> Link: www.visitdenmark.it

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Transizione blu Transizione blu: lezioni apprese dal PO FEAMP 2014-2020 e strategie per il futuro della pesca e dell’acquacoltura di Maurizio dell’Agnello

Lo scorso 11 dicembre, in piena pandemia da coronavirus, si è svolto in streaming l’incontro “Transizione blu: lezioni apprese dal PO FEAMP 2014-2020 e strategie per il futuro della pesca e dell’acquacoltura”, organizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e realizzato nell’ambito delle attività di informazione e comunicazione del Programma Operativo FEAMP 2014-2020, ai sensi del Regolamento (UE) n. 508/2014. L’iniziativa è stata l’occasione per fare il punto sulla politica degli investimenti strutturali europei nei settori della pesca e dell’acquacoltura, che col 2020 ha chiuso la sua prima fase operativa. Tale politica, realizzata attraverso il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca, conosciuto come FEAMP, si

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è ispirata ad una strategia europea orientata alla crescita inclusiva, intelligente e sostenibile, aspetti coi quali, per il periodo 2014-2020, si cercano “nuove spinte” per un settore produttivo afflitto da vecchi e nuovi problemi, Covid compreso, da affrontare con l’adozione di approcci ed azioni radicali verso la sostenibilità, la transizione ecologica e quella digitale. Una dotazione finanziaria di circa 980 milioni di euro, ripartita in cofinanziamenti in parte europei ed in parte nazionali, attraverso le Regioni, che ha portato ad oggi ad impegni pari a 546 milioni di euro (55,7%), coi quali sono stati finanziati oltre 9.000 progetti per circa 2.000 beneficiari, al fine di sostenere i pescatori nella transizione verso una pesca sostenibile, aiutare le co-

munità costiere a diversificare le loro economie, finanziare progetti per la creazione di nuovi posti di lavoro e migliorare la qualità della vita nelle regioni costiere europee. A rimarcare il rapporto che lega la pesca e l’acquacoltura allo sviluppo sostenibile per la ripresa del Paese e per far fronte ai dettami dell’Agenda 2030 dell’ONU, che della sostenibilità delle attività umane ha fatto uno degli obiettivi principali della sua azione, è stata la oggi ex Ministra TERESA BELLANOVA, che in un videomessaggio ha inquadrato le leve per uno sviluppo sostenibile di acquacoltura e pesca. Conservare ed utilizzare “in modo durevole” gli oceani i mari e le risorse marine è l’aspetto che dovrà guidare il futuro dei due comparti del settore ittico, la cui importanza

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Per raggiungere gli obiettivi che garantiranno un futuro a pesca e acquacoltura servono un’assunzione di responsabilità da parte degli imprenditori che operano nel settore e una forte volontà di collaborare con chi lavora sul territorio, in un’ottica di filiera completa fino al consumo, ha dichiarato Riccardo Rigillo, DG della Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, MIPAAF (photo © stock.adobe.com). strategica è stata ribadita anche nei difficili momenti del Covid, la cui crisi ha contribuito a mettere in evidenza aspetti di criticità che ci spingono ad accelerare il processo di rinnovamento già intrapreso coi piani operativi FEAMP in questo ultimo periodo. Il quadro generale nel quale si devono continuare a muovere le azioni di rinnovamento dei settori della produzione ittica deve tendere a: • conseguire una migliore e più sostenibile gestione degli oceani; • promuove azioni per il buon stato ecologico; • lottare contro la pesca illegale; • intervenire sulla regolamentazione della sovracapacità di pesca; • favorire l’attuazione della strategia europea per il controllo della plastica con lo sviluppo dell’economia circolare e la lotta ai cambiamenti climatici. Nello specifico, si devono fare più stringenti i criteri del Green

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Deal europeo per promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare, ripristinando la biodiversità e riducendo l’inquinamento con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Così nel settore della pesca si devono fare investimenti per raggiungere il parametro del rendimento massimo sostenibile e per ridurre al minimo gli impatti sull’ecosistema marino, puntando sull’innovazione di processo e sulla qualità della produzione, ma anche sull’avvio di una moderna rete di commercializzazione che valorizzi il pescato locale ed i pescatori. È necessario anche avviare una politica di avviamento al lavoro e favorire il ricambio generazionale, con acquisizione di nuove competenze professionali e la diversificazione delle attività di pesca, e superare quella differenza di genere che ancora oggi limita la presenta femminile su tutto il territorio nazionale a sole 514 unità.

Nel settore dell’acquacoltura devono essere fatti investimenti nella direzione della sostenibilità, premiando la diversificazione produttiva, le pratiche innovative a basso consumo energetico degli impianti, nonché i processi volti a fornire valore aggiunto alle produzioni di allevamento. Occorre incentivare la tracciabilità dei prodotti e lo sviluppo di marchi e di sistemi di trasferimento delle informazioni al consumatore per accrescere la fiducia nei prodotti e far comprendere appieno tutto il loro valore aggiunto. Nel processo di rinnovamento del settore delle produzioni ittiche operato dalla programmazione FEAMP gioca un ruolo fondamentale il territorio, attraverso l’attuazione delle strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo, attuate mediante i FLAG, cioè i gruppi di azione locale per la pesca. In Italia operano oggi 53 FLAG, che assicurano un complesso di progetti molto diversificati a seconda delle singole realtà.

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L’importanza dei fondi FEAMP come strumento programmatico di settore della pesca e dell’acquacoltura e dei FLAG come motore attivo dei processi di rinnovamento delle produzioni ittiche è stata ribadita in tutti gli interventi, che ha visto tra gli altri la partecipazione del dott. STYLIANOS MITOLIDIS, Capo Unità della DG Mare con competenze sul Mediterraneo, intervenuto per la Commissione europea, e del DOTT. RICCARDO RIGILLO, DG della Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, MIPAAF. Quest’ultimo, in particolare, ha ricordato come il processo di rinnovamento apportato dal FEAMP abbia generato un cambiamento di mentalità degli operatori del settore, ponendo ben in evidenza l’importanza della sostenibilità di pesca perché sostenibilità ecologica significa anche sostenibilità economica. Lo sviluppo guidato dai progetti proposti dalle comunità locali, seppur non sempre efficace, è stato di grande aiuto, consentendo di individuare buone pratiche proposte dal territorio che consentono un miglior adeguamento della mentalità agli obiettivi di una nuova politica della pesca sostenibile per l’ecosistema e per gli operatori stessi. Quindi, nel processo di rinnovamento delle produzioni ittiche, il ruolo dei FLAG è stato e sarà centrale anche per il FEAMP 2021-2027, che prevede un ammontare di spesa per 6,1 miliardi.

I FLAG e il loro ruolo I FLAG hanno il compito di elaborare la Strategia di Sviluppo Locale o CLLD-Community Led Local Development approntando il Piano di Azione, nel quale vengono dati obiettivi ed azioni concrete per realizzarli, dotandosi di una struttura tecnica in grado di effettuare tali compiti. Le azioni progettate, integrandosi con la politica di programmazione regionale e nazionale, hanno il fine di migliorare il settore della pesca e dell’acquacoltura tenendo conto dei fabbisogni emergenti e delle opportunità individuate per i propri territori, nonché delle competenze e delle esperienze maturate dai soggetti facenti parte del gruppo, per rafforzare la qualità della progettazione e dell’attuazione degli interventi. I FLAG aggregano soggetti pubblici e privati, attinenti alle realtà della pesca e dell’acquacoltura, ma anche di altri settori economici come artigianato, commercio e turismo ed altri rappresentanti della società civile che fanno parte della filiera dei prodotti ittici. I territori nei quali applicare il CLLD sono molteplici, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla normativa di riferimento e dal Programma Operativo (PO-FEAMP), comprendendo anche le aree interne e non soltanto quelle costiere. Si tratta quindi di una spinta progettuale che viene dal basso, dalle realtà locali, per lo sviluppo socio-

economico sostenibile delle comunità che parte dalla produzione ittica ma non si limita solo a quella, nel quadro della più ampia strategia di sostegno all’attuazione degli obiettivi della Politica Comune della pesca. L’incontro promosso dal Ministero è proseguito con un’articolazione interessante che ha riguardato la presentazione di un contest fotografico, #ilmaresiamonoi, per stimolare presso il grande pubblico il racconto del mare come risorsa ambientale, economica e sociale (la ricca rassegna degli scatti è visibile all’indirizzo: pofeamp.politicheagricole.it/it/ilcontest). L’evento è stata anche l’occasione per alcuni amministratori regionali di fare il punto sullo stato dei progetti finanziati e sulle previsioni per i prossimi finanziamenti, ma soprattutto ha consentito di vedere in concreto la realizzazione operativa di alcuni progetti targati FEAMP che hanno avuto particolare successo. Tra le migliori pratiche valorizzate dalla Commissione europea, una delle più originali — che, guarda caso, non interessa il mare, a dimostrazione dell’impatto che i fondi europei possono avere anche allontanandosi dalla costa —, è quella relativa al gruppo toscano Molin di Bucchio, presentato dal DOTT. ANDREA GAMBASSINI della società cooperativa In Quiete (www.cooperativainquiete.it). In questo caso i fondi FEAMP hanno riguardato il recupero di un im-


Antica Acquacoltura Molin di Bucchio. Il progetto, portato avanti dalla Cooperativa In Quiete, si occupa tra le altre cose del recupero di uno dei più antichi impianti di acquacoltura, alle sorgenti dell’Arno (photo © Cristina Panicali). pianto di troticoltura chiuso negli anni ‘70, adiacente ad un antico mulino risalente al XIII, ai piedi del Monte Falterona, da dove nasce l’Arno. Il recupero dell’impianto ha avviato una progettualità basata sulla salvaguardia della biodiversità, attraverso all’allevamento di specie autoctone, senza consumo di nuovo suolo, rispettando il benessere animale e le buone pratiche di allevamento. Ma l’allevamento di Molin di Bucchio non è solo pescicoltura: la cooperativa In Quiete infatti ha attivato una diversificazione dell’attività con l’ecoturismo, grazie anche al particolare pregio del territorio che attrae numerosi escursionisti. Un progetto importante, quindi, che racchiude in sé le priorità del fondo comunitario FEAMP, ovvero la biodiversità, le buone pratiche di allevamento e il mantenimento del territorio, individuando un modello di sviluppo e gestione che può essere applicato anche in altre realtà svantaggiate. GIOVANNI MARIA GUARNERI, funzionario del settore faunisticovenatorio, pesca dilettantistica e

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pesca in mare della Regione Toscana, ha ricordato una serie di iniziative, realizzate anche col parziale contributo progettuale dei FLAG locali, che hanno riguardato lo sviluppo e l’articolazione della filiera per il trattamento e la conservazione del prodotto, migliorandone la qualità attraverso l’adozione di una metodologia che prevede il rapido abbattimento della temperatura, ma anche con azioni inerenti l’efficientamento della distribuzione commerciale, mediante una rete di vendita porta a porta, in grado di fornire al sistema un elevato valore aggiunto. Altra cosa interessante è stata la realizzazione di un modello di gestione dei rifiuti pescati in mare, aspetto sempre più attuale che si interseca anche con altre iniziative ispirate alla salvaguardia del mare. Poi c’è stato lo studio per la gestione delle aree marine toscane di pesca, proponendo un maggiore coinvolgimento dei pescatori stessi che operano sul territorio e che possono svolgere il ruolo di protagonisti consapevoli nella protezione e conservazione della risorsa al fine

della sua tutela, ma anche della difesa stessa del futuro della loro attività. Transizione blu è stato sicuramente un interessante momento di comunicazione che non è solo servito ad informare, ma anche a discutere, interagire con le persone che seguivano in diretta la videoconferenza e a riascoltare e riflettere in tutta calma sugli argomenti affrontati e che sono alla base del ripensamento in corso del sistema di produzione ittica. In questo senso vanno fatti i complimenti alla FPA Gruppo Digital 360, società specializzata in relazioni pubbliche e comunicazione istituzionale che ha gestito l’incontro e che da 30 anni lavora per favorire l’incontro e la collaborazione tra pubblica amministrazione, imprese, mondo della ricerca e società civile. Forse il “tempo dei costruttori della nuova stagione”, come il presidente Mattarella lo ha definito nel suo discorso di fine anno, è già iniziato. Provare per credere (convegni2020.eventifpa.it/it/event. details/?id=9763#). Maurizio Dell’Agnello

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Prodotti ittici irlandesi: qualità, gusto e attenzione alla sostenibilità Prodotti rinomati in tutto il mondo, le ostriche e gli scampi irlandesi sono particolarmente apprezzati nel nostro Paese per il loro gusto ineguagliabile L’Irlanda, grazie alla sua conformazione geografica insulare e alla vicinanza alle fredde e incontaminate acque dell’Oceano Atlantico, ha accesso ad una delle zone di pesca più ricche d’Europa. Queste condizioni permettono di ottenere delle materie

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prime di ottima qualità come le ostriche e gli scampi irlandesi: conosciuti e famosi in tutto il mondo dal punto di vista del gusto, della nutrizione e del controllo. I prodotti ittici irlandesi, infatti, assicurano un rigoroso rispetto dei più elevati standard di

qualità e di sicurezza alimentare, garantendo allo stesso tempo la difesa dell’ambiente marino e della biodiversità. Le ostriche irlandesi presentano delle caratteristiche uniche, conferitegli dalle acque oceaniche in cui

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Scampi irlandesi (photo © Bord Bia). vengono allevate: la corrente costante dell’Atlantico contribuisce a dar loro una perfetta forma allungata e una conchiglia molto resistente, con smalto liscio dal colore bianco perlato. Infatti, il contenuto di carne all’interno di un’ostrica è influenzato dalla sua forma: più profondo è il guscio, più spazio c’è per consentire lo sviluppo del mollusco. Ma oltre che per l’aspetto, le ostriche irlandesi si riconoscono anche per il gusto ineguagliabile che rende ogni assaggio un’esperienza sensoriale unica al palato: il loro sapore ricco, immediatamente riconoscibile, nasce dalla dolcezza e dalla persistenza dello iodio, che si combinano ad un leggero tocco di note agrumate.

Questi preziosi molluschi, infatti, non solo hanno un sapore unico, ma anche eccellenti qualità nutrizionali: sono ricchi di proteine e poveri di grassi, con livelli straordinariamente elevati di elementi quali iodio, ferro, rame, selenio e zinco. Quando parliamo di prodotti ittici irlandesi non possiamo non menzionare gli scampi: la posizione geografica dell’isola permette ai pescatori irlandesi di avere accesso alle migliori qualità di scampi esistenti in Europa e le acque dell’Atlantico conferiscono a questi crostacei molto apprezzati un sapore dolce e raffinato. L’uso diffuso della innovativa tecnologia frozen-at-sea fa in modo che gli scampi possano essere congelati a

bordo dei pescherecci nel giro di sole due ore dalla cattura, garantendo un prodotto ottimale sia per qualità che per gusto. L’etichettatura per lotto fornisce la tracciabilità alla fonte e permette di portare scampi irlandesi freschi sul mercato rapidamente, con maggiori garanzie di qualità e sicurezza per clienti e consumatori. La stretta collaborazione tra pescatori e aziende produttrici facilita anche le pratiche di pesca responsabile, aggiungendosi alla crescente reputazione internazionale per la qualità dell’industria ittica irlandese. Infatti, la Ireland’s Seafood Development Agency lavora insieme all’industria ittica irlandese per ridurre sempre di più l’impatto ambientale della pesca e per svilup-

Bord Bia, Irish Food Board è un ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi. Lo scopo di Bord Bia è quello di promuovere il successo dell’industria Food & Beverage e dell’orticoltura irlandese attraverso servizi di informazione mirati, la promozione e lo sviluppo dei mercati. Nel 2019 le esportazioni dell’industria Food & Beverage irlandese sono arrivati a quota 13 miliardi di euro, con una crescita di quasi il 67% dal 2010. L’Italia è un mercato importante, con esportazioni del valore di 314 milioni di euro nel 2019; è il quarto mercato più importante per l’export di manzo irlandese in Europa con scambi valutati, per l’anno scorso, a 176 milioni di euro. >> Link: www.irishfoodanddrink.com

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L’Italia è un partner commerciale chiave per l’Irlanda per quanto riguarda il pesce, posizionandosi come secondo mercato di importazione al mondo di ostriche. Circa il 20% del consumo annuale italiano avviene a Natale, con un ulteriore picco intorno a San Valentino

pare un sistema di tracciabilità degli scampi lungo l’intera filiera. Le ostriche e gli altri prodotti ittici sono estremamente importanti per l’economia irlandese, basti pensare che il loro valore di mercato è di oltre 1 miliardo di euro; di questi, circa 487 milioni di euro provengono dalle esportazioni. I principali importatori sono Francia (23%), Italia (10%), Cina (9,2%) e Spagna (9%). Il settore dei crostacei, in particolare, ha avuto un importante incremento nelle esportazioni, che sono aumentate del 48%, per un valore di circa 180 milioni di euro.

L’Italia è un partner commerciale chiave per l’Irlanda per quanto riguarda il pesce: si posiziona come il secondo mercato di importazione al mondo di ostriche irlandesi e secondo una recente stima di Bord Bia, l’ente governativo per la promozione del Food & Beverage irlandese nel mondo, circa il 20% del consumo annuale avviene nel periodo natalizio, con un ulteriore picco intorno a San Valentino a febbraio. Per quanto riguarda gli scampi, l’Irlanda ha raggiunto una quota di circa 7.000 tonnellate nel 2020, garantendo una forte capacità di

offerta per i mercati. Gli scampi congelati hanno rappresentato il 9% dell’esportazione totale di pesce irlandese, che nel 2019 ha raggiunto il valore 57 milioni di euro. L’Italia rappresenta oltre i 2/3 di questo mercato di esportazione, seguita da Spagna, Regno Unito e Francia. I prodotti ittici irlandesi sono inoltre certificati in conformità al programma Origin Green, l’unico programma di sostenibilità al mondo che opera su scala nazionale e si conformano ai principi di acquacoltura sostenibile. Grazie a verifiche indipendenti periodiche, Origin Green consente ai produttori irlandesi di stabilire e raggiungere obiettivi misurabili di sostenibilità, riducendo l’impatto ambientale, fornendo un servizio più efficace alle comunità locali e tutelando la straordinaria ricchezza delle risorse naturali che la terra può offrire. Nota A pagina 71, ostriche irlandesi (photo © Bord Bia).

Foody 2025: al lavoro per la realizzazione di una nuova piattaforma logistica all’interno del Mercato Agroalimentare di Milano SOGEMI, società che gestisce il Mercato Agroalimentare di Milano, ha concesso,ad esito di una procedura di gara alla società PROLOGIS,leader nel settore immobiliare per la logistica, il diritto di superficie su un’area complessiva di 25.780 m2 per la realizzazione di una piattaforma logistica agroalimentare. L’operazione è un esempio di partnership virtuosa tra pubblico e privato, il primo caso di last mile logistic per la realizzazione di una piattaforma agroalimentare di 12.000 m2 collocata in un’area limitrofa al centro della Città di Milano. «Sogemi prosegue nel rilancio e nello sviluppo del Mercato Agroalimentare di Milano» ha dichiarato CESARE FERRERO, presidente Sogemi. «Il rafforzamento delle infrastrutture di logistica di supporto ai Mercati Ortofrutticolo, Ittico, Carni e Fiori rappresenta un’opportunità straordinaria per incrementare la centralità di Foody nel sistema distributivo e commerciale di Milano e della Lombardia.Ansiosi di avviare al più presto un nuovo progetto di rigenerazione urbana per ridare vita ad un angolo dimenticato del Mercato Agroalimentare — ha affermato DAVIDE ROSINA, direttore di Prologis — e dimostrare l’importanza della city logistics quando questa è localizzata strategicamente all’interno della cerchia della tangenziale di Milano». La nuova piattaforma rientra nel più ampio progetto “Foody 2025” finalizzato al completo rinnovamento del Mercato Agroalimentare di Milano. In tal senso i lavori avanzano come da programma: il cantiere nell’area dell’attuale Mercato Ortofrutticolo è operativo e a dicembre sono state completate le opere di demolizione delle tettoie dove sorgerà la Piattaforma Logistica Ortofrutta, che sarà realizzata entro la fine del 2021. Prosegue dunque il progetto che ha l’obiettivo di trasformare il Mercato Agroalimentare di Milano Agroalimentare di Milano nel più importante Hub agroalimentare italiano e che prevede in una prima fase un investimento di 100 milioni di euro per realizzare il nuovo mercato ortofrutticolo da completarsi entro il 2023 e una seconda fase per la realizzazione di strutture logistiche produttive e terziarie di supporto all’area Mercatale. >> Link: www.foodymilano.it

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LA QUALITÀ

Pesci in cerca di un riconoscimento

In Italia vengono settimanalmente commercializzate nei banchi pescheria del fresco, del congelato e nei reparti del trasformato, oltre 1.200 specie ittiche differenti, per un numero di referenze che supera le dieci migliaia. Eppure, a differenza di altri settori relativi agli alimenti di origine animale, i prodotti ittici continuano a non avere un loro riconoscimento per quanto riguarda marche o marchi particolari. Anche considerando i prodotti ittici nazionali, che oggi rappresentano circa un terzo rispetto a quelli di importazione, non ci sono ancora specie o produzioni riconosciute e riconoscibili al grande pubblico come “eccellenze” in questo settore. In effetti, mancano per il prodotto ittico nazionale, e non solo, esempi come nel campo dei formaggi sono rappresentati dal Parmigiano Reggiano DOP o dal Pecorino Romano DOP o, nel campo dei prodotti a base di carne, il Culatello di Zibello DOP e la Coppa di Parma IGP. Questo non vuole dire che nel pesce manchino

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DOP e IGP, anche se attualmente sono soltanto sei in tutta Italia, ma significa soprattutto che, a mio parere, non si sta ancora puntando, per i prodotti ittici, ad un mercato di “qualità”. E ho indicato il termine qualità tra virgolette per dire che per me, quest’ultima, dovrebbe rappresentare un valore aggiunto che ha un determinato prodotto rispetto al convenzionale. Questo valore aggiunto chiaramente dovrebbe essere reale e facilmente comunicabile al consumatore. L’ideale sarebbe che fosse conforme ad una linea guida o a un disciplinare delineato da un comitato tecnico-scientifico, possibilmente disciplinato da una normativa e comunque controllato e dunque verificabile da organi ufficiali competenti. In pratica sarebbe utile che il prima possibile, nell’interesse della correttezza del mercato e della tutela del consumatore, si cominciasse anche per il settore ittico a delineare un sistema di norme utili a garantire non soltanto la qualità igienico-sanitaria

e una corretta tracciabilità come già oggi avviene, ma anche una qualità relativa ad aspetti ulteriori e definita da “capitolati o linee guida istituzionali” che chiariscano in modo più oggettivo il reale valore aggiunto di un determinato prodotto. Sarebbe auspicabile, a mio parere, che in futuro diventi un modello ciò che si fa in linea di massima per i “Sistemi europei di Qualità”, istituiti infatti per identificare con chiarezza, autorevolezza e trasparenza prodotti che contengono qualità specifiche rispetto ad altri prodotti della medesima categoria. Non tutti i prodotti ittici e le rispettive loro produzioni sicuramente possono ambire o ha senso che diventino DOP o IGP ma è anche vero che è alquanto sconcertante nel 2020 avere soltanto sei prodotti ittici riconosciuti come tali in tutta Italia: tre Igp (Acciughe sotto sale del Mar Ligure, Salmerino del Trentino, Trote del Trentino) e tre Dop (Cozza di Scardovari, Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino, Colatura di Alici di Cetara).

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Una certificazione di questo tipo, se compresa correttamente dal produttore e comunicata altrettanto bene sul mercato, diventa una chiave per creare un enorme valore aggiunto al prodotto in termini di marginalità ma anche di riconoscibilità dentro e fuori i confini italiani, oltre che di tutela rispetto ad eventuali concorrenze sleali da parte di prodotti proposti come simili. Gli aspetti positivi dunque per investire in questa direzione sono numerosi e comunque, anche la recente e non conclusa pandemia determinata dal Covid-19, ha fatto da acceleratore in merito ad una ormai necessaria svolta del settore ittico per quanto riguarda l’importanza di una “qualità” più autorevole e più oggettiva. Oggi, anche non parlando di Indicazioni Geografiche, se non si fornisce al prodotto ittico italiano un valore aggiunto di qualsiasi tipo, non si riuscirà, secondo me, a competere in modo importante sul mercato nazionale ed internazionale. Di sicuro l’Italia, sia per l’ac-

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quacoltura che per la pesca, dovrà mirare a costruire dei capitolati utili a dare una nuova consistenza alla parola qualità e anche a garantirla meglio e a renderla nazionale al fine che si possa davvero parlare in futuro del made in Italy come di qualità comprovata per quanto riguarda determinate produzioni ittiche. L’Italia infatti, non potendo competere né per quantità di prodotti ittici né per costi di produzioni con la maggioranza degli altri Paesi, potrà valorizzare il proprio patrimonio ittico e convincere anche le nuove generazioni di imprenditori a scommettere su questo settore puntando su una produzione di qualità concreta e garantita. Poi sarà dunque possibile promuovere, valorizzare e difendere con maggiore facilità anche il nostro made in Italy ittico. Valentina Tepedino Fondazione Qualivita Consortium n. 4/2020 www.qualivita.it Nota A pagina 74, Trota del Trentino IGP.


INDAGINI

Il mercato ittico dell’UE Parte I - Consumi

Quadro generale per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura Nel 2018, il consumo apparente di prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’UE è stato di 12,48 milioni di tonnellate di peso vivo, il 2% in meno rispetto al picco decennale di 12,78 milioni di tonnellate registrato nel 2016. Per consumo apparente (totale e pro capite) si intende la quantità totale di prodotti ittici (catturati + allevati) consumati nell’UE. Il consumo pro capite si riferisce invece al totale consumato da ciascun cittadino dell’UE. Dal 2017 al 2018, il consumo pro capite è sceso da 24,79 kg a 24,36 kg, il che significa che i cittadini dell’UE hanno consumato in media 430 grammi in meno di prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

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I prodotti della pesca coprono i tre quarti del consumo apparente totale. Nel 2018, il loro consumo pro capite è stato di 18,09 kg, in calo di 351 grammi rispetto al 2017 e appena inferiore al consumo medio negli ultimi dieci anni (20092018). Anche se in lieve calo rispetto al 2017 (–1% o –80 grammi), il consumo di prodotti dell’acquacoltura si è attestato a 6,27 kg pro capite nel 2018, ossia ad un livello esattamente uguale alla sua media decennale. Secondo le stime di EUMOFA e delle fonti nazionali, in contrasto con l’andamento generale a livello UE28, si è osservato un aumento del consumo apparente pro capite molto significativo a Malta grazie all’aumento delle importazioni.

Tonno Nel corso del decennio 2009-2018, di tutti i prodotti catturati e allevati consumati nell’UE, nessuno ha mai raggiunto un livello annuale di consumo apparente superiore a 3 kg pro capite fino agli anni 2017 e 2018, quando il tonno ha toccato i picchi di 3,06 (2017) e 3,05 (2018) kg pro capite. Si tratta prevalentemente di tonno in scatola e più specificatamente di tonnetto striato e tonno pinna gialla. Il consumo di tonno nell’UE dipende in larga parte dalle importazioni, ma anche dalla produzione interna, e più in particolare dalle catture spagnole e francesi. Da notare però che la maggior parte del tonno catturato viene sbarcata all’estero in prossimità delle zone di pesca, dove subisce

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processi di trasformazione prima di essere riesportato. L’incremento di consumo che ha avuto luogo dal 2016 al 2017 è stato infatti trainato sia dalle importazioni che dalle catture. Pesci demersiali (merluzzo nordico e carbonaro, pollack d’Alaska, nasello) Oltre un quinto del consumo di prodotti ittici nell’UE comprende quattro specie demersali: il merluzzo nordico, il pollack d’Alaska, il nasello e il merluzzo carbonaro. Il consumo di merluzzo nordico ha seguito un andamento crescente nel periodo 2009-2018. Negli ultimi due anni, tuttavia, è diminuito, sia per effetto di un calo delle importazioni (la fonte di approvvigionamento principale di questa specie) sia a causa di una riduzione delle catture. Per quanto riguarda il pollack d’Alaska, la disponibilità di tale

specie sul mercato UE nel 2009 e nel 2010 è stata più limitata, in corrispondenza di una riduzione delle quote di pesca negli Stati Uniti ad una media di circa 950.000 tonnellate. Da quando nel 2011 le quote di pesca negli Stati Uniti hanno mostrato una risalita, raggiungendo 1.367.000 tonnellate, il consumo apparente nell’UE è tornato ai livelli del 2008, attestandosi ad una media di 1,63 kg pro capite nel periodo 2011-2018. Il consumo di nasello è rimasto pressoché stabile dal 2009 al 2018, attestandosi intorno ad 1 kg pro capite, in linea con la stabilità delle importazioni e della produzione. Il merluzzo carbonaro è il meno consumato tra i demersali, e il suo consumo ha seguito un andamento negativo nel decennio in esame, in linea con la riduzione della produzione e delle importazioni.

Piccoli pelagici (aringa, sgombro, sardina, spratto) La disponibilità di piccoli pelagici sul mercato UE è fondamentalmente legata all’andamento delle loro catture. L’aringa è la specie più consumata di questo gruppo di prodotti. Dal 2009 al 2018, i cittadini dell’UE hanno consumato in media 1,14 kg pro capite di aringa all’anno. Il calo del 2014 è da ricollegarsi sia alla diminuzione delle catture tedesche (in calo di 18.502 tonnellate dal 2013 al 2014) sia, soprattutto, all’aumento delle esportazioni (cresciute di 85.886 tonnellate dal 2013 al 2014). Per quanto riguarda lo sgombro, la sardina e lo spratto, nello stesso decennio il consumo annuo non ha mai superato il livello di 1 kg pro capite. Per lo spratto, in particolare, dal 2012 il consumo segue un

Il segmento biologico I prodotti ittici biologici rappresentano un mercato di nicchia nell’UE. Nei principali Paesi UE esaminati (Germania, Spagna, Francia, Italia e Regno Unito), del totale dei prodotti ittici non trasformati consumati nel 2019, 46.500 tonnellate derivavano dalla produzione biologica. Questo ha rappresentato un incremento del 3% rispetto al 2018, ma anche una crescita del 20% dal 2015 che indica un aumento della quota di prodotti biologici nel consumo complessivo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura non trasformati. In termini assoluti, il Regno Unito e la Germania sono i primi consumatori di prodotti ittici biologici dell’UE. Tutti i Paesi analizzati hanno raggiunto il loro picco quinquennale nel 2019. Rispetto al 2015, l’incremento più significativo è stato registrato dalla Francia (+48%), seguita dalla Germania (+21%), dall’Italia (+18%), dalla Spagna (+15%) e dal Regno Unito (+13%). Dai dati EUROSTAT, nel 2018, la produzione complessiva di organismi acquatici biologici nell’Unione Europea ammontava a 69.000 tonnellate (peso vivo). La specie ittica biologica più importante prodotta e consumata nell’UE è il salmone. Sostenuta da una domanda crescente, la produzione di salmone biologico ha raggiunto livelli notevoli nell’UE. I produttori principali di salmone biologico sono l’Irlanda e il Regno Unito (in particolare la Scozia e, in misura minore, l’Irlanda del Nord). Secondo le stime relative al 2018, la produzione di salmone biologico irlandese è crollata a circa 11.900 tonnellate, in calo del 35% rispetto al 2017. Il valore della produzione è diminuito del 14%. Tutti i prodotti pronti per il consumo, soprattutto interi o eviscerati, vengono allevati secondo gli standard di certificazione biologica e le loro esportazioni sono destinate a diversi mercati: l’UE (90%), il Nord America (7%) ed il Vicino e l’Estremo Oriente (3%). Nel 2018, le esportazioni irlandesi sono state pari a 8.000 tonnellate (equivalente pesce intero). La riduzione del valore complessivo è stata meno intensa del crollo in termini di volume rispetto al 2017, grazie all’aumento del prezzo del salmone, che ha raggiunto una media di 9,55 €/kg per i capi venduti interi. La produzione scozzese di salmone biologico si è attestata a 4.200 tonnellate nel 2018, in calo di 400 tonnellate rispetto al 201745. Poiché le produzioni irlandese e britannica non sono sufficienti a soddisfare la domanda del mercato UE, si ricorre alle importazioni dalla Norvegia, la cui produzione nel 2018 è stata stimata in 16.000 tonnellate, rispetto alle circa 15.000 tonnellate prodotte nell’intera Unione Europea. Il salmone biologico riesce ad essere venduto ad un prezzo maggiorato. Alcune ricerche effettuate nel 2015 e nel 2016 suggeriscono un sovrapprezzo tra il 20-30% per quanto riguarda i prezzi pagati ai produttori, che diventa persino più elevato nella vendita al dettaglio. Gli stakeholder indicano che il sovrapprezzo pagato ai produttori è aumentato negli ultimi anni, ma, in termini relativi, varia a seconda del livello del prezzo spot.

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Grafico 1 – Consumo apparente pro capite di prodotti della pesca e dell’acquacoltura per Stato Membro nel 2018 e variazione % 2018/2017

Fonte: stime EUMOFA. andamento crescente, grazie ad una stabilità delle catture e alla progressiva riduzione delle esportazioni. Salmonidi (salmone, trota) Il salmone è di gran lunga la specie ittica più consumata nell’UE tra quelle allevate. Nel 2018, rappresentava il 36% del consumo apparente totale di prodotti dell’acquacoltura. Dopo il picco decennale di quasi 2,30 kg pro capite raggiunto nel 2015, il suo consumo apparente ha iniziato gradualmente a ridursi, così come

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le importazioni di salmone dalla Norvegia. Per la trota, invece, il consumo apparente nell’UE si è mantenuto intorno ai 400 grammi pro capite annui nel corso del decennio analizzato, in linea con una sostanziale stabilità della produzione acquicola negli Stati Membri principali. Altri prodotti (gamberi, cozza, calamaro, surimi) Il consumo di gamberi comprende parti uguali di prodotti catturati e

prodotti allevati, e si basa in gran parte sulle importazioni dall’Ecuador, dall’India, dal Vietnam, dalla Tailandia, dall’Indonesia, dall’Argentina e dalla Groenlandia. La cozza è tra i prodotti d’allevamento più consumati nell’UE, seconda solo al salmone. Le cozze consumate nell’UE sono di produzione spagnola. Infatti, la ripresa registrata dal consumo totale di cozze (catturate e allevate) è avvenuta proprio nel 2014, anno in cui l’acquacoltura spagnola ha manifestato

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una risalita dopo il crollo del 2013 causato da episodi di “marea rossa” (fioriture algali). Ciononostante, sebbene la produzione spagnola sia aumentata dal 2017 al 2018, il consumo è diminuito nel 2018, essenzialmente a causa della diminuzione delle catture danesi di cozza atlantica e della diminuzione delle importazioni di cozza dal Cile e dalla Nuova Zelanda. Per quanto riguarda il calamaro, il consumo apparente registrato nel 2018, ovvero 660 grammi pro capite, è stato il più basso del decennio analizzato, in linea con le minori catture spagnole di totano atlantico. Infine, per quanto riguarda il surimi, poiché è costituito da specie diverse e non esistono statistiche che si riferiscano specificamente alla sua produzione, il consumo apparente viene assunto sottraendo le esportazioni dalle importazioni. L’UE si approvvigiona di surimi prevalentemente dagli Stati Uniti, quindi l’aumento di consumo apparente nell’UE dal 2017 al 2018 è il mero effetto di un aumento delle importazioni. Spesa delle famiglie e prezzi Nel 2019, la spesa delle famiglie dell’UE per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura ha raggiunto 56,6 miliardi di euro, con un aumento del 3% rispetto al 2018. Anche rispetto al livello di dieci anni prima, tenendo conto degli effetti dell’inflazione, è cresciuta del 3%. Dal 2018 al 2019, le famiglie di tutti i paesi dell’UE hanno speso di più per l’acquisto di prodotti della pesca e dell’acquacoltura. In termini assoluti, la Spagna ha registrato l’incremento di spesa totale più significativo, con un aumento di 228 milioni di euro. L’Italia è sempre stata lo Stato Membro con il livello di spesa totale più elevato ed il Portogallo quello con la spesa pro capite più alta. Da notare che nel 2019, l’importo pro capite speso in Portogallo per l’acquisto di prodotti della pesca e dell’acquacoltura, ovvero 371 euro, ha superato di tre volte la media UE (cioè 110 euro). Prodotti della pesca e dell’acquacoltura vs carne e totale dei prodotti alimentari Nell’UE, nessun Paese ha una spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura superiore a quella per la carne. Nel 2019, in media, le famiglie hanno speso circa un quarto dell’importo speso per la carne — che è stato di 229 miliardi di euro — per l’acquisto di prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Il Portogallo è lo Stato Membro in cui il rapporto tra le due categorie è più equilibrato. Nel 2019, la spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura in Portogallo ha rappresentato il 47% dell’importo totale speso sia per i prodotti ittici che per la carne. Lo squilibrio più accentuato si è osservato in Ungheria, dove la spesa per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura ha rappresentato il 5%, e la Romania, dove ha rappresentato l’8%. I tre Paesi primi per consumo di pesce — Italia, Spagna e Francia — hanno mostrato modelli di spesa

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Nell’UE il consumo extradomestico nei servizi di ristorazione di prodotti ittici trasformati ha raggiunto 734.800 tonnellate nel 2019, il livello più alto da oltre dieci anni. I primi 10 Paesi consumatori hanno rappresentato il 92% del totale (photo © Kzenon – stock.adobe.com). diversi. In Italia, la spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura è stata tre volte inferiore a quella per la carne, in Spagna è stata due volte più bassa e in Francia quattro volte più bassa. Dal 2010 al 2019, i prezzi al consumo dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura sono aumentati in media del 3% all’anno, un tasso di crescita superiore a quello del 2% registrato sia dal prezzo della carne sia dal prezzo medio dei prodotti alimentari in generale. Dal 2011 al 2013, i prezzi dei prodotti ittici, della carne e in generale i prezzi medi dei prodotti alimentare sono aumentati a tassi di crescita simili, ma a partire dal 2014 essi hanno seguito degli andamenti diversi. Quelli dei prodotti ittici hanno registrato un forte rincaro e, nel 2019, si sono attestati ad un livello superiore del 14% a quello che avevano registrato nel 2013. Tale incremento è in linea con l’aumento dei prezzi all’importazione, essendo

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la domanda dell’UE soddisfatta essenzialmente attraverso le importazioni. Nello stesso periodo sono cresciuti anche i prezzi della carne e in generale quelli dei prodotti alimentari, anche se ad un ritmo molto più lento. È inoltre interessante notare che dal 2018 al 2019 la spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura è cresciuta del 2,5%, ossia ad un tasso superiore a quello al quale sono aumentati i prezzi di tali prodotti (+1,7%). Non era stato così nel 2018, quando l’incremento di spesa rispetto al 2017 (+1,8%) era stato inferiore all’incremento dei prezzi (+2,2%). Si potrebbe quindi desumere che le famiglie dell’UE abbiano acquistato più prodotti della pesca e dell’acquacoltura nel 2019 rispetto al 2018 e che invece l’aumento della spesa registratosi dal 2017 al 2018 sia sostanzialmente effetto dell’inflazione. Ciò è confermato dalle

stime EUMOFA, che vedono una diminuzione del consumo apparente dell’UE di prodotti della pesca e dell’acquacoltura dal 2017 al 2018. Rilevanza per stato di conservazione Nell’ambito delle statistiche sulla spesa delle famiglie per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, EUROSTAT fornisce “quote della spesa totale per il consumo finale delle famiglie in termini monetari”. Di tutti i beni e i servizi acquistati dalle famiglie dell’UE, i prodotti della pesca e dell’acquacoltura coprono meno dell’1%, il che significa che la rilevanza di tali prodotti è di quattro volte inferiore alla rilevanza della carne. Dal 2018 al 2019, sono leggermente diminuite sia la quota di spesa per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura sia la quota di spesa per la carne, contribuendo al calo generale della quota di spesa per prodotti alimentari.

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Per quanto riguarda in particolare i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, la quota di spesa è aumentata solo per la categoria dei congelati. Tale incremento ha interessato più marcatamente l’Ungheria e, in misura minore, la Slovacchia e Malta. La riduzione della quota di spesa per i prodotti freschi o refrigerati, che sono i più rilevanti, è stata avvertita soprattutto in Ungheria, Germania, Danimarca, Polonia e Lussemburgo. Consumo di prodotti ittici freschi da parte delle famiglie Il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi è analizzato per 12 Stati Membri dell’UE, ovvero Germania, Danimarca, Spagna, Francia, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Svezia e Regno Unito. Insieme, essi hanno rappresentato l’87% della spesa totale dell’UE per prodotti della pesca e dell’acquacoltura nel 2019. Nel periodo analizzato (20152019), i consumi delle famiglie in questi Paesi sono diminuiti di anno in anno fino al 2018, per poi mostrare una ripresa lieve ma incoraggiante dal 2018 al 2019 (+4.780 tonnellate o +0,3%). L’andamento in termini di valore è stato fluttuante: pressoché stabile dal 2015 al 2016, in calo del 20% un anno dopo, e in ripresa dal 2017 al 2018 (+24%). Dal 2018 al 2019, grazie agli incrementi di consumo registrati in tutti i Paesi oggetto dell’analisi, il consumo totale è aumentato del 3% (+362 milioni di euro), anche se più moderatamente rispetto all’anno precedente. Mentre nel 2018 il consumo era diminuito rispetto all’anno precedente in 8 dei 12 Paesi analizzati, nel 2019 l’andamento negativo ha interessato solo tre paesi: Polonia (–4% o -2.282 tonnellate), Spagna (–2% o –10.708 tonnellate) e Francia (–2% o –3.270 tonnellate). In Germania è rimasto quasi invariato (–0,2% o –101 tonnellate). Il salmone è il prodotto ittico fresco più consumato dalle famiglie di ciascuno dei Paesi monitorati. Dal 2018 al 2019 il consumo di salmone fresco è cresciuto in ogni

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Tabella 1 – Consumo apparente dei prodotti ittici più consumati (2018)

Paese: l’aumento medio totale è stato dell’11% in volume e del 10% in valore e ha fatto registrare i picchi quinquennali di 181.184 tonnellate e 2,65 miliardi di euro. Il prezzo medio è stato di 14,65 €/kg, leggermente inferiore rispetto al 2018. Il consumo di nasello ha proseguito l’andamento negativo iniziato nel 2017 in tutti e cinque i Paesi in cui è monitorato (Spagna, Italia, Portogallo, Francia e Irlanda); la diminuzione più significativa è stata riportata dalla Spagna (–11%). Focus sui primi tre Paesi consumatori: Spagna, Italia e Francia La Spagna, l’Italia e la Francia sono i primi tre consumatori: essi rappresentano quasi l’80% del volume totale dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi consumati dalle famiglie nei 12 Paesi in esame. SPAGNA La Spagna è il Paese col maggior consumo di prodotti ittici freschi da parte delle famiglie. Nel 2019, esso ha raggiunto 590.559 tonnellate, per un valore totale di 4,70 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 40%

del consumo totale delle famiglie nei 12 paesi esaminati. Negli ultimi cinque anni, il consumo ha seguito un trend negativo, ma dal 2018 al 2019 ha registrato una ripresa in termini di valore (+52 milioni di euro). Con 78.283 tonnellate, il nasello si conferma la specie più consumata, sebbene il suo consumo segua un andamento negativo dal 2016 e sia diminuito dell’11% dal 2018 al 2019. Il prezzo ha raggiunto un picco di 7,90 €/kg, ma il valore complessivo è sceso del 10% fino a raggiungere il livello più basso del quinquennio analizzato (618 milioni di euro). Tra il 2018 e il 2019, tra le specie principali, solo il consumo di salmone, orata e sogliola ha registrato un aumento (rispettivamente +11%, +12% e +2%). I prezzi sono aumentati, anche se leggermente, per la sardina (+8%, da 4,65 €/kg a 5,03 €/kg, a causa di una diminuzione del 12% in volume), per la sogliola (+4%, da 9,67 €/kg a 10,09 €/kg) e per il nasello (+2%, da 7,77 €/kg a 7,90 €/kg); sono inoltre stati osservati lievi abbassamenti del prezzo del salmone (–3%, da 10,49 €/kg a 10,18 €/kg) e dell’orata (–1%, da 7,85 €/kg a 7,75 €/kg).

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ITALIA Il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi delle famiglie in Italia rappresenta quasi un quarto del totale dei 12 paesi esaminati. A partire dal 2015, ha mostrato un andamento altalenante. Dal 2018 al 2019 è aumentato del 2% sia in volume che in valore: quest’ultimo ha raggiunto un picco quinquennale di 3,21 milioni di euro per 319.488 tonnellate. Il consumo delle due specie fresche più popolari, ossia l’orata e la cozza, è aumentato leggermente dal 2018 al 2019: tuttavia, per l’orata, tale incremento ha portato ad un picco quinquennale, e ha determinato una riduzione del 3% del prezzo (passato da 9,56 €/kg a 9,23 €/kg). Il consumo di salmone è cresciuto del 5%, raggiungendo un massimo quinquennale sia in termini di volume che di prezzo (14,92 €/kg, +2% rispetto al 2018). Il consumo di acciuga è diminuito (–3%), fino a toccare il livello più basso degli ultimi cinque anni, a causa di un rincaro del 3% (da 6,17 €/kg a 6,39 €/kg). Per la spigola si sono registrate diminuzioni del 4% sia nel volume che nel prezzo, quest’ultimo sceso da 9,95 €/kg a 9,55 €/kg. Meritano di essere citati anche il calamaro e il polpo, che sono tra le cinque specie di valore commerciale più elevato consumate in Italia. Entrambi hanno visto un aumento dei consumi e dei prezzi tra 2018 e 2019, che hanno determinato un incremento significativo del valore complessivo, cresciuto del 12% (per i calamari) e del 31% (per i polpi). Francia Il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi in Francia ha registrato una tendenza al ribasso negli ultimi cinque anni, mentre il valore totale ha subito delle fluttuazioni. Nel 2019, esso si è attestato a 205.174 tonnellate (–2% dal 2018) e 2,38 miliardi di euro (+2%). Nel 2019, il consumo di merluzzo nordico e di rana pescatrice ha raggiunto il livello più basso degli ultimi cinque anni, con cali rispettivamente del 10% e del 16% dal 2018. Per entrambe le specie, i

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prezzi hanno raggiunto dei picchi quinquennali, con aumenti del 5% ciascuno, fino a raggiungere 16,68 €/ kg (per il merluzzo nordico) e 17,92 €/kg (per la rana pescatrice). Tra le specie più consumate, dal 2018 al 2019, si è registrato un aumento del consumo di salmone (+7%) e di trota (+5%), entrambi accompagnati da rincari: il prezzo del salmone è cresciuto del 2% (da 18,28 €/kg a 18,73 €/kg), mentre quello della trota è cresciuto del 4% (da 13,81 €/kg a 14,40 €/kg, che è stato un picco quinquennale). Per quanto riguarda il merluzzo carbonaro, il consumo è diminuito di un leggero 2% e il prezzo è cresciuto del 6% (da 9,50 €/kg a 10,09 €/kg). Il consumo di orata è diminuito dell’8% e il suo prezzo è aumentato del 2%, raggiungendo il picco quinquennale di quasi 12,00 €/kg. Tendenze principali negli altri Paesi GERMANIA L’andamento negativo del consumo iniziato nel 2017 è proseguito nel 2018 e nel 2019, registrando però un rallentamento, in quanto il decremento dal 2018 al 2019 è stato solo dello 0,2% (–101 tonnellate). Nel 2019, per contro, si è registrata una crescita del 6% in valore (+50 milioni di euro), trainata dagli aumenti registrati per il salmone ed il merluzzo nordico. Nel 2019, il valore del consumo di salmone e del merluzzo nordico, che rappresentano quasi la metà del valore totale del consumo di prodotti ittici freschi delle famiglie, ha continuato a crescere (rispettivamente del 18% e del 15% in confronto al 2018). Per il merluzzo nordico, l’aumento è da ricollegarsi al picco quinquennale toccato dal prezzo, che ha raggiunto 18,56 €/kg, mentre per il salmone l’aumento è stato dovuto all’aumento dei volumi, in quanto il prezzo è leggermente diminuito, attestandosi a 17,89 €/kg. Regno Unito Dopo il calo registrato dal 2016 al 2017, il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi da parte delle famiglie è apparso in

ripresa dal 2018 al 2019. L’aumento osservato nel 2019 rispetto all’anno precedente è stato del 6% in termini di volume (+2.748 tonnellate), che ha così raggiunto un picco quinquennale ed è stato accompagnato da un incremento del 4% in valore (+28 milioni di euro). Il salmone ha trainato l’andamento generale, poiché è di gran lunga la specie più consumata nel Regno Unito, rappresentando i due terzi del consumo totale. Paesi Bassi Il consumo domestico di prodotti ittici freschi nei Paesi Bassi è rimasto stabile nei cinque anni analizzati, oscillando tra 32.338 tonnellate e 33.396 tonnellate. Dopo il calo registrato nel biennio 2017-2018, è aumentato del 3% dal 2018 al 2019 (+969 tonnellate). In termini di valore, ha raggiunto un picco quinquennale, grazie ad una crescita del 6% (+32 milioni di euro). Il salmone, la specie più consumata nei Paesi Bassi, ha trainato la tendenza generale: il suo consumo ha seguito una tendenza al rialzo negli ultimi cinque anni, aumentando del 15% tra 2018 e 2019. Nonostante il prezzo sia diminuito del 3%, il suo valore complessivo è cresciuto del 12% fino a raggiungere un picco quinquennale. Pur essendo prodotti poco popolari nei Paesi Bassi (coprono circa il 5% dei volumi totali), vale la pena menzionare l’aumento del consumo di gamberi: quello della specie Crangon in particolare è cresciuto del 54% in volume e del 31% in valore, mentre quello di altre specie di gamberi è aumentato del 22% sia in volume che in valore. PORTOGALLO Sia il volume che il valore del consumo di prodotti ittici freschi da parte delle famiglie sono cresciuti dal 2018 al 2019, rispettivamente del 14% (+6.970 tonnellate) e dell’11% (+37 milioni di euro). L’aumento di volume ha riguardato tutte le specie principali, in particolare il pesce sciabola ed il polpo (rispettivamente, +50% e +48%). Quello dell’orata, la specie più popolare, è stato del 10%, accompagnato da

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Nel 2019, le famiglie di tutti i Paesi dell’UE hanno speso più per l’acquisto di prodotti della pesca e dell’acquacoltura rispetto al 2018 (photo © Karl Muscat x unsplash).

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Nell’UE nessun Paese ha una spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura superiore a quella per la carne. Il Portogallo è lo Stato Membro in cui il rapporto tra le due categorie è più equilibrato, mentre lo squilibrio più accentuato si è osservato in Ungheria (photo © Alvin Matthews x unsplash). un calo in termini di valore (–3%) legato a sua volta ad una diminuzione del 12% del prezzo, passato da 6,38 €/kg nel 2018 a 5,65 €/kg nel 2019, il più basso registrato dal 2015. POLONIA Nel 2019, il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi delle famiglie ha raggiunto il livello più basso degli ultimi cinque anni, con una diminuzione del 4% rispetto al 2018 (–2.282 tonnellate), mentre il suo valore è aumentato del 3% (+9 milioni di euro). Tutte le specie più consumate (lo sgombro, il salmone, la carpa e la trota) hanno toccato i rispettivi prezzi più elevati del periodo 2015-2019. Irlanda Nel periodo 2015-2019, il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi da parte delle famiglie raggiunto nel 2019 è stato il più elevato, sia in termini di volume

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che di valore, grazie ad aumenti del 9% (+1.149 tonnellate) e del 3% (+5 milioni di euro) rispetto al 2018, trainati principalmente dal consumo di salmone (la specie più consumata). Il salmone ha rappresentato più della metà del valore totale e il 43% dei volumi totali consumati nel 2019. Rispetto al 2018, il suo consumo è cresciuto del 6% in volume e del 5% in valore, nonostante un lieve calo del prezzo. Da notare inoltre che l’Irlanda è stato il Paese che ha registrato l’aumento più significativo del consumo di gamberi dal 2018 al 2019. Infatti, mentre nel 2018 questi prodotti rappresentavano solo il 5% dei volumi totali del consumo irlandese, la loro quota è cresciuta fino al 10% nel 2019, con un incremento del consumo di oltre 860 tonnellate (+145%). SVEZIA In Svezia, il picco di consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura

freschi — sia in volume sia in valore — è stato raggiunto nel 2015. Dopo tre anni di andamento negativo, nel 2019 i volumi hanno registrato una ripresa con un aumento del 6% rispetto al 2018 (+507 tonnellate). Anche in termini di valore, il consumo è aumentato del 6% (+7 milioni di euro). Oltre il 60% del consumo totale è rappresentato dal salmone, il cui consumo è aumentato del 16% in volume e del 15% in valore. DANIMARCA Nel 2019, il consumo di prodotti ittici freschi da parte delle famiglie ha raggiunto picchi quinquennali sia in volume che in valore, con una crescita rispettivamente del 6% (+713 tonnellate) e del 9% (+16 milioni di euro) in confronto al 2018. Tutti i prodotti hanno registrato incrementi di valore dal 2018 al 2019, fatta eccezione per una leggera diminuzione osservata per la trota. Il consumo di salmone, in aumento dell’11% in

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“Il mercato ittico dell’UE” ha l’obiettivo di fornire un’analisi strutturale dell’intera industria UE della pesca e dell’acquacoltura. Questo rapporto risponde alle seguenti domande: cosa è prodotto/esportato/importato, quando e dove, cosa è consumato, da chi e quali sono i principali trend. Attraverso un’analisi comparativa, è possibile valutare la performance dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’ambito del mercato dell’Unione europea confrontandola con quella degli altri prodotti alimentari. Nell’edizione 2020 del rapporto, le variazioni in termini di valore e di prezzo per periodi superiori a cinque anni sono analizzate deflazionando i valori con il deflatore del PIL (base = 2015); per periodi più brevi, sono analizzate le variazioni di valore e di prezzo nominali. La pubblicazione è uno dei servizi offerti dall’Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (EUMOFA). Questa edizione si basa sui dati disponibili fino a giugno 2020. Le analisi incluse nel rapporto non tengono conto di eventuali aggiornamenti delle fonti utilizzate successivi a tale data. Dati complementari e più dettagliati sono disponibili nel database EUMOFA per specie, luogo di vendita, Stato Membro, Paese di origine/destinazione. I dati sono aggiornati quotidianamente. L’Osservatorio EUMOFA, sviluppato dalla Commissione europea, rappresenta uno degli strumenti della Politica Comune della Pesca. [Regolamento (UE) N. 1379/2013 sull’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, Articolo 42]. EUMOFA è uno strumento di market intelligence che fornisce regolarmente indicatori settimanali, trend di mercato mensili e dati strutturali annuali lungo la filiera produttiva. Il database si fonda su dati forniti e validati dagli Stati Membri dell’UE e da istituzioni europee. È disponibile in tutte le 24 lingue dell’UE. •

Il sito EUMOFA, disponibile al pubblico da aprile 2013, si trova al link www.eumofa.eu

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Dal 2018 al 2019, il consumo di salmone fresco da parte delle famiglie è aumentato in tutti i paesi esaminati dall’analisi di EUMOFA (photo © Rawpixel.com – stock.adobe.com). volume e del 14% in valore, copre oltre i due terzi del consumo totale. UNGHERIA Nel 2019, il consumo di prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi da parte delle famiglie ha raggiunto picchi quinquennali sia in volume che in valore. Rispetto al 2018, i volumi sono aumentati del 14% (+760 t) mentre il valore totale è cresciuto dell’11% (+3 milioni di euro). Vendite al dettaglio e consumo extradomestico L’industria della pesca e dell’acquacoltura fornisce pesce e frutti di mare ai consumatori attraverso diversi canali di vendita: il commercio al dettaglio, che comprende le pescherie e la Grande Distribuzione Organizzata (GDO); i servizi di ristorazione, che includono catering e ristoranti; ed i canali istituzionali, che comprendono scuole, mense, ospedali e carceri. Questi ultimi (ovvero la ristorazione ed i canali istituzionali) saranno qui denominati “consumo extradomestico”. In questa sezione vengono ana-

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lizzati il commercio al dettaglio ed il consumo extradomestico di prodotti della pesca e dell’acquacoltura non trasformati nei cinque principali paesi consumatori dell’UE, ovvero Germania, Spagna, Francia, Italia e Regno Unito. Inoltre, viene analizzato il consumo extradomestico di prodotti trasformati attraverso servizi di ristorazione in tutti i Paesi dell’UE. Vendite al dettaglio di prodotti non trasformati Il commercio al dettaglio è il canale di vendita principale per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura non trasformati in tutti e cinque i Paesi esaminati. Nel 2019, la Spagna ha registrato le vendite al dettaglio di prodotti ittici non trasformati più elevate, con 790.400 tonnellate. Tuttavia, esse si sono ridotte del 4% rispetto al 2018, toccando il livello più basso osservato nel Paese negli ultimi 15 anni, a causa di un crollo del 26% rispetto al 2005 delle vendite al dettaglio di pesci pinnati (–180.000 tonnellate).

Dal 2018 al 2019, le vendite al dettaglio di prodotti ittici non trasformati sono leggermente diminuite anche in Germania (–1%) e in Francia (–0,2%). Per contro, sono rimaste stabili nel Regno Unito (+0,2%), mentre l’Italia è stato l’unico Paese a registrare un incremento (+2%), proseguendo l’andamento positivo iniziato nel 2014. I pesci pinnati rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito del commercio al dettaglio di prodotti ittici in tutti e cinque gli Stati Membri esaminati, seguiti a distanza dai cefalopodi ed altri molluschi e dai crostacei. I molluschi sono più popolari negli Stati Membri meridionali: Spagna (cefalopodi e cozze), Francia (ostriche e cozze) e Italia (vongole, cozze e cefalopodi). Specificatamente per quanto riguarda i pesci pinnati, la Spagna ha riportato le vendite al dettaglio di prodotti non trasformati più elevate, pari a 511.000 tonnellate. Tuttavia, esse seguono un andamento negativo da 11 anni, e il loro ammontare del 2019 è stato inferiore del 28% ri-

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spetto al livello del 2009. Nel Regno Unito, in Germania e in Italia, esse hanno raggiunto rispettivamente 403.500 tonnellate (+0,1% rispetto al 2018), 387.100 tonnellate (–1%) e 318.100 tonnellate (+2%). Il livello più basso è stato registrato in Francia, con 143.200 tonnellate, in lieve rialzo rispetto al 2018, ma in calo del 9% rispetto al picco toccato nel 2012. Le vendite al dettaglio di cefalopodi ed altri molluschi sono state molto elevate in Spagna. Ciononostante, seguono un trend negativo dal 2013 e le 169.900 tonnellate registrate nel 2019 sono state le più basse mai registrate della Spagna dal 2005 ad oggi. I crostacei hanno rappresentato quote relativamente basse delle vendite totali di prodotti ittici al dettaglio in tutti e cinque i Paesi esaminati. La Spagna ne registra sempre le quantità più significative, anche se le 109.600 tonnellate del 2019 hanno costituito il livello più basso dal 2005. Consumo extradomestico di prodotti non trasformati La rilevanza del consumo extradomestico di prodotti ittici non trasformati è eterogenea nei cinque paesi esaminati. Essa è maggiore nel Regno Unito, come conferma lo studio “EU consumer habits regarding fisheries and aquaculture products” realizzato da EUROBAROMETRO nel 2018: dallo studio emerge che il 45% dei consumatori britannici consuma

prodotti della pesca e dell’acquacoltura fuori casa almeno una volta al mese, mentre in Italia e in Francia, ad esempio, questa percentuale raggiunge rispettivamente il 35% e il 37%. Consumo extradomestico di prodotti trasformati Nell’UE il consumo extradomestico nei servizi di ristorazione di prodotti ittici trasformati ha raggiunto 734.800 tonnellate nel 2019, il livello più alto da oltre dieci anni. I primi 10 Paesi consumatori hanno rappresentato il 92% del totale. Tra questi, l’Italia, la Svezia, il Portogallo, l’Austria (l’unico senza sbocco sul mare) e la Danimarca hanno raggiunto i loro picchi quindicennali nel 2019, mentre il Regno Unito e la Grecia hanno toccato i livelli più bassi dal 2005. Da notare che, nell’ambito della ristorazione, il consumo di prodotti trasformati è inferiore a quello di prodotti non trasformati in ciascuno dei primi cinque Paesi consumatori dell’UE, ad eccezione della Germania. I prodotti a lunga conservazione sono i più consumati, seguiti da quelli congelati e da quelli refrigerati. Tuttavia, la rappresentatività dei prodotti a lunga conservazione rispetto al totale dei prodotti ittici trasformati varia molto da un paese all’altro, passando dal 7% della Svezia, dove sono preferiti i congelati,

all’81% della Spagna (percentuali riferite al 2019). Nel 2019, la Germania e la Spagna hanno registrato il maggior consumo extradomestico di prodotti a lunga conservazione. In Germania ha raggiunto 156.800 tonnellate, in calo dell’1% rispetto al 2018, mentre in Spagna ha raggiunto 107.700 tonnellate, toccando un picco quindicennale grazie ad un aumento del 4% rispetto al 2018. I prodotti trasformati congelati sono stati venduti principalmente nel Regno Unito e in Germania (rispettivamente, 91.100 tonnellate e 79.700 tonnellate): mentre per il Regno Unito si è trattato della quantità più bassa dal 2005, in Germania hanno raggiunto un picco quindicennale, continuando l’andamento crescente avviato nel 2013. Il consumo extradomestico di prodotti ittici trasformati refrigerati è relativamente basso in tutti i Paesi dell’UE. In termini assoluti, il Regno Unito rappresenta l’unica eccezione, con un consumo di questi prodotti pari a 55.000 tonnellate nel 2019. Fonte: EUMOFA European Market Observatory for Fisheries and Aquaculture Products www.eumofa.eu Nota A pagina 76, photo © Elle Hughes x unsplash.

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Consumi, studio API-Confagricoltura Mentre le famiglie italiane hanno consumato di più, e non solo per le feste, il prodotto d’acquacoltura, la chiusura dei ristoranti ha di fatto fermato il mercato. I risultati della ricerca di fine 2020 ai tempi della pandemia Luci e ombre sulle vendite di pesce: questo è il quadro della situazione tracciata dall’Associazione Italiana Piscicoltori di CONFAGRICOLTURA, avvalorata da uno studio commissionato a CREA-MC. «Il settore ha attraversato un ulteriore periodo di crisi a seguito delle nuove misure attivate nelle ultime settimane del 2020 per ridurre la diffusione del Covid» sottolinea PIER ANTONIO SALVADOR, presidente API. «Il nuovo blocco dell’HO.RE.CA., delle pesche sportive e di buona parte delle esportazioni ha infatti causato grossi problemi agli allevamenti, che guardavano con speranza al futuro». Per contro, il rimanere a casa ha avuto risvolti positivi sui consumi domestici, facendo registrare una crescita dell’11% dal marzo 2020, ancor più significativa se raffrontata con altri alimenti: solo la pasta e la verdura presentano incrementi superiori.

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Nel periodo di emergenza sanitaria, mette in evidenza la ricerca, si è registrata anche una maggior sensibilità sull’origine: le famiglie mostrano una spiccata preferenza per il pesce allevato in Italia, perché ritenuto di migliore qualità e più controllato rispetto al prodotto di importazione. «Quello trascorso — ha rimarcato Salvador — è un periodo estremamente difficile, che ha fatto riflettere e approfondire i temi dell’importanza di un’alimentazione equilibrata per la salute. Sempre più viene riconosciuto il valore dell’acquacoltura, che gioca un ruolo fondamentale nel comparto ittico italiano, europeo e globale, perché produce alimenti di qualità e genera occupazione». Il 48% dei consumatori, si legge nello studio, continua a modificare le proprie abitudini alimentari in conseguenza della pandemia.

E sono cambiate anche le modalità di preparazione del pesce: il 10%, grazie alla possibilità di avere più tempo, ha provato nuove ricette, sperimentando piatti originali anche a casa. Per quanto riguarda gli acquisti, invece, anche se non si osservano particolari criticità riguardo alla vendita di pesce fresco al supermercato, molti hanno cambiato luoghi e modalità, optando per la consegna diretta dalle aziende di acquacoltura o per l’home delivery. «È fondamentale — ha concluso il presidente API — fornire una giusta e puntuale informazione sul comparto, sull’importanza di una corretta etichettatura e tracciabilità anche attraverso i canali social dell’associazione». Particolarmente apprezzate, sul sito di API (www.acquacoltura.org) le ricette realizzate in collaborazione con la food blogger Renata Briano (fonte: CONFAGRICOLTURA).

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Una storia di artigianalitĂ , tradizione e qualitĂ nel cuore della laguna veneta. Seguici sui social!

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Alimentazione sana, sicura e sostenibile: il futuro del cibo prodotto dal mare e dalle acque interne di Marco Saroglia, Federico Moroni, Genciana Terova

La laguna di Orbetello.

Malgrado i progressi degli anni recenti, fame e malnutrizione rappresentano ancora uno dei principali problemi in varie regioni del Pianeta. Secondo un rapporto della FAO (2018), l’11% della popolazione mondiale soffre ancora di povertà

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e non ha accesso ad un sufficiente livello di nutrizione. All’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, il 17% della popolazione mondiale soffriva cronicamente la fame. Sebbene questa percentuale sia progressivamente scesa fino al 2015, in seguito essa ha

ripreso a salire tanto che già nel 2016 si contavano 815 milioni di persone in completa indigenza alimentare. Nel corso dell’ultima decade abbiamo assistito ad un significativo aumento di produzione del cibo, ma non necessariamente ad una sua

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equa distribuzione, per cui circa un miliardo di persone non ha ancora accesso ad un sufficiente livello di nutrizione. I progetti delle organizzazioni internazionali, della Banca mondiale e dell’Unione Europea per ridurre la fame e la malnutrizione entro il 2030, sono principalmente basati sull’agricoltura sostenibile e su sistemi stabili di produzione e distribuzione degli alimenti, al fine di assicurare quantità di cibo sufficienti a garantire in modo diffuso un buon livello di salute e di nutrizione (FAO, 2017). Sebbene nel mondo occidentale ed in alcuni Paesi asiatici la crescita demografica sembra stia riducendo l’accelerazione, in altre regioni mostra invece una crescita esponenziale. Ad esempio, si stima che entro il 2050 la popolazione dei Paesi in via di sviluppo, quali le regioni meridionali del continente asiatico e dell’Africa sub-sahariana, crescerà di almeno 2,5 miliardi e dipenderà essenzialmente dall’agricoltura per i mezzi di sussistenza. Pertanto, le previsioni di almeno 9,5 miliardi di abitanti del Pianeta per il 2050 sono al momento da ritenersi realistiche. Con le attuali abitudini alimentari, nel 2014 sono state consumate 312 milioni di tonnellate (Mt) di carne (esclusi i prodotti ittici), per un equivalente medio di 43 kg procapite. Parallelamente all’incremento demografico, cresce la domanda di cibo e le proiezioni future della FAO delineano entro il 2050 uno scenario in cui saranno necessarie, per il solo consumo umano, più di 500 Mt di carne per anno, con un aumento rispetto all’attuale che, a seconda delle varie stime, potrà corrispondere a 177-188 Mt. Le tipologie degli allevamenti che forniscono la maggior parte della produzione totale sfruttano il suolo. Per contro, la limitazione delle terre coltivabili a causa dell’urbanizzazione, della salinizzazione e della desertificazione, impone grande attenzione alla sostenibilità dei sistemi produttivi. Inoltre, anche l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali ed il riscaldamento globale, assieme ad incontrollabili fenomeni meteo-

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Grafico 1 – Consumo mondiale di carne, escluso il pesce, negli anni

Fonte: FAO (modif.) rologici ed alla siccità, rischiano di impattare negativamente sui sistemi produttivi, come sulla biodiversità agricola ed acquatica. Il progressivo sviluppo produttivo che dovrà essere in grado di sostenere la domanda di cibo sano da parte della popolazione umana dipenderà dalla capacità di creare ed introdurre nuovi sistemi produttivi caratterizzati da ridotta domanda energetica e limitato stress sugli ecosistemi sia terrestri che acquatici. Saranno anche indispensabili cambiamenti nelle abitudini alimentari e nella dieta. L’acquacoltura e la pesca rappresentano indubbiamente una chiave per il futuro della produzione di cibo sano e nutriente. Mentre la pesca è generalmente vista come attività di eccessivo sfruttamento della risorsa oceanica, la maricoltura rappresenta una risorsa in continua crescita in grado di fornire prodotti ittici per l’alimentazione umana, sebbene con differenti target e tipologie produttive, nei Paesi ad elevato reddito o nei Paesi in via di sviluppo, comunque con un rilascio relativo di azoto e fosforo decisamente inferiore alle produzioni di animali terrestri. L’espansione dell’acquacoltura e della pesca in acque interne rappresenta per molti Paesi un’importante fonte di sostentamento; pur ricoprendo ancora una percentuale limitata della produzione totale di

cibo, le due attività risentono inevitabilmente dei vincoli ecosistemici e territoriali. Il cibo che proviene dal mare, sia esso derivante dalla maricoltura o dalla pesca, pur contribuendo globalmente ad oggi solo per il 17% della produzione di carne, potrebbe contribuire in modo considerevole all’incremento sostenibile necessario a soddisfare le richieste alimentari future. La maricoltura, rispetto alla pesca, risente in misura minore delle costrizioni ambientali e spaziali ed in termini di qualità nutrizionale i prodotti, del tutto simili, contengono micronutrienti e acidi grassi essenziali, quali gli Omega-3 polinsaturi a lunga catena (EPA e DHA), scarsamente o per nulla presenti nelle carni di allevamenti terrestri. L’apporto proteico pro capite di alimenti di origine marina risulta fin da ora significativo: basandosi sulle statistiche FAO, C. BÉNÉ et al. (2015) stimano infatti che la somma del prodotto dell’acquacoltura e della pesca fornisca nell’ordine il 115, 133 e 189% di proteine rispetto all’allevamento di suini, pollame e bovini. Secondo l’aggiornamento al 2018 riportato in FAO (2020), col consumo attuale di 156,4 Mt, di cui 82,1 Mt dall’acquacoltura e 74,3 Mt dalla pesca (dei 96,4 Mt totali catturati), si soddisfa un consumo medio pro capite di 20,5 kg.

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Maricoltura RiservAzzurra, Marina Torre Grande, Cabras, Oristano (photo © Gaspare Barbera, 2020). Pur tenendo conto degli scarti di tolettatura e di cucina, valutabili per eccesso fino al 50% della biomassa, ne deriva una massa edibile corrispondente in media al 28% del fabbisogno pro capite di proteine carnee per una popolazione mondiale di 3,5 miliardi, ossia per circa la metà dell’attuale popolazione mondiale. Il consumo medio annuale pro capite di pesce è più che triplicato nell’ultimo mezzo secolo, passando da 6 kg nel 1950 ai 20,5 kg del 2018, e la produzione di pesce nello stesso periodo è cresciuta ad una velocità superiore a quella dell’incremento della popolazione. Al fine di garantire almeno l’attuale consumo annuale medio di pesce per la popolazione prevista al 2050, occorreranno oltre 205,7 Mt di prodotti ittici. Dato per improbabile un significativo incremento della pesca, l’acquacoltura dovrà prendersi carico per oltre 131,9 Mt, ossia ulteriori 49,8 Mt oltre alle 82,1 Mt della produzione attuale, con un incremento del 60,7%, ma tale stima potrebbe risultare sottovalutata in quanto, per motivi salutistici, è prevedibile un aumento delle preferenze verso una dieta sempre più ricca di prodotti ittici.

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Per far fronte a ciò, nonostante il settore sia in continua crescita, soprattutto per quanto riguarda la maricoltura, la sfida per arrivare a soddisfare le richieste alimentari entro il 2050 si giocherà su misure politiche, economiche e tecnologiche. Dal punto di vista operativo, le rotte da percorrere, al fine di giungere ad un aumento della produzione derivante dal mare, sono l’ottimizzazione e l’introduzione di riforme per la pesca e la maricoltura, lo sviluppo di nuove formule mangimistiche sostenibili per l’allevamento, il miglioramento biotecnologico ed una diversificazione della domanda su scala mondiale. La forte necessità di una rinnovata gestione della risorsa della pesca si basa sul concetto che, per ottenere una maggiore produzione sostenibile a lungo termine, bisognerebbe impedire il depauperamento degli stock selvatici eccessivamente sfruttati (ad oggi, solo il 65,8% degli stock rientra in un livello di sostenibilità biologica) ed aprire nuovi mercati su specie al momento non commercialmente utilizzate, al fine di mantenere le popolazioni ittiche al loro massimo stato produttivo. In questo contesto, si stima che, per quanto riguarda

la pesca, una gestione ottimizzata del settore in cui il prezzo medio del prodotto influenzerebbe la sua produzione, tenendo conto della capacità portante dell’ecosistema, genererebbe per il 2050 un aumento fino a 51,3 Mt, rispetto alla produzione attuale. Al contrario, mantenendo l’attuale pressione di pesca sugli stock, si pescherebbero solo quelle specie capaci di generare profitto e dunque la produzione totale risulterebbe inferiore addirittura a quella attuale. L’acquacoltura di estrazione, ovvero l’allevamento/coltivazione di specie che non necessitano di mangimi, come è il caso dei bivalvi, non essendo soggetta a limitazioni alimentari, si trova dunque in una condizione ottimale e, a seguito di una riforma politico-amministrativa, il possibile incremento produttivo potrebbe variare in un ampio intervallo compreso tra i 2,9-80,5 Mt, a seconda degli interventi e della convenienza economica, al prezzo medio corrente. Il contributo che potrà apportare la produzione dall’acquacoltura, in risposta ad un aumento demografico e dunque all’incremento nella domanda di cibo, dipenderà da una

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Grafico 2 – Produzione totale della pesca e dell’acquacoltura nel tempo (escluse alghe e piante acquatiche)

Massa viva totale (a) e massa edibile equivalente (b). In (b) si assume che il 18% del prodotto di cattura venga utilizzato per scopi diversi dall’alimentazione umana. Fonte: C. COSTELLO et al., 2020 (modif.). serie di aspetti ecologici, economici, sociali, politici e tecnologici. Per alimentare l’acquacoltura, si calcola che per ogni chilogrammo di pesce allevato, in base alla specie ed alle sue caratteristiche alimentari, siano necessari dagli 0,2-5,16 kg di pesce selvatico. Qualora l’impiego di risorse della pesca nei mangimi rimanesse ai valori attuali, si stima che l’incremento della produzione per il 2050 sarebbe solamente di 1,4 Mt al prezzo odierno. Tuttavia, la componente mangimistica costituirebbe una forte limitazione all’espansione della produzione, anche con un aumento considerevole dei prezzi, per via della non sostenibilità delle materie prime. In un quadro che comprenda innanzitutto adeguate riforme dei regolamenti amministrativi, è possibile simulare due scenari di innovazione tecnologica nutrizionale-mangimistica che chiameremo semplicemente “innovazione” oppure “innovazione ambiziosa”, con una riduzione (sostituzione) rispettivamente del 50-95% della farina ed olio di pesce. Nei due casi, l’incremento di produzione sarà prevedibile in un ampio intervallo (17,2-174,5 Mt), a seconda anche dell’andamento dei mercati,

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delle regole sulla gestione delle aree demaniali, del costo del denaro e dello sfruttamento delle risorse e del livello di innovazione tecnologica nei mangimi (C. COSTELLO et al., 2020). L’acquacoltura, che attualmente rappresenta il settore con maggiore crescita ed espansione, potrà quindi ulteriormente svilupparsi grazie a nuove tecnologie alimentari, le quali impatteranno positivamente sui costi di produzione e sulla sostenibilità della risorsa. Si stima infatti che la maricoltura potrà contribuire dal 44 al 76% sul totale prodotto, riducendo la pressione sugli stock ittici dell’oceano e garantendo una maggiore sostenibilità dell’intero sistema produttivo. Tutto il settore dell’acquacoltura, a differenza di quello della pesca, risulta ancora lontano dal suo limite ecologico; il settore infatti a livello globale cresce annualmente del 7%; nonostante ciò, la produttività in molti Paesi risulta scarsa a causa di una regolamentazione troppo restrittiva o carente. Tutto ciò porta ad una cattiva gestione del territorio che, talvolta, complice la non sempre adeguata professionalità di alcuni funzionari

della pubblica amministrazione, ovvero una politica schiava di movimenti di opinione pilotati da interessi non sempre dichiarabili, potrebbe paradossalmente condurre al collasso ambientale proprio dell’area che si vorrebbe proteggere, specie laddove l’acquacoltura, con la propria presenza, è in grado di operare una vera azione di protezione dell’ambiente. Esempi italiani in tal senso riguardano alcune zone umide costiere, quali il Padule di Castiglione della Pescaia e le lagune di Orbetello, dove l’acquacoltura, creando idrodinamismo e restituendo acque di qualità generalmente migliore rispetto a quella in ingresso (le vasche dell’allevamento possono essere rappresentate come un depuratore a cielo aperto), favorisce la biodiversità dell’ecosistema umido ricevente. Non si può poi trascurare il ruolo di sostenibilità sociale dell’acquacoltura in aree caratterizzate da limitate risorse produttive. Prendendo ancora esempi dal nostro Paese, è il caso di alcune vallate appenniniche quali la Val Nerina (province di MC, TR, RI) e la Valle di Sefro (MC), senza dimenticare molte vallate alpine, dove il ruolo economico e sociale

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MILANESE snc dal 1953 produce e commercializza una vastissima gamma di attrezzature per l’acquacoltura, che esporta in ben 40 paesi di tutto il mondo. Inoltre progetta e costruisce su misura sistemi di automazione per l’allevamento del pesce

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Grafico 3 – Fattore di conversione del mangime da parte dell’acquacoltura

Il fattore di conversione del mangime da parte dell’acquacoltura, inteso come quantitativo di mangime necessario per una unità di prodotto, è evidentemente inferiore per l’allevamento ittico, rispetto ad altre produzioni animali. Ciò è coerente con una ridotta emissione di nutrienti nell’ambiente. L’acquacoltura di estrazione (molluschi bivalvi), addirittura estrae azoto e fosforo presente nell’ambiente, con un’azione netta di depurazione. Fonte: C. BÉNÉ et al., 2015 (modif.). dell’acquacoltura è determinante per il benessere della popolazione residente e viste anche le limitate fonti di reddito alternative, l’acquacoltura diventa simbolo e vanto delle attività produttive locali. È assodato che l’allevamento ittico di montagna, direttamente e con il suo indotto turistico, artigianale e commerciale, pone un limite all’abbandono dei territori fornendo così anche un servizio alla stabilità geologica dei territori. La sostenibilità di un ulteriore aumento della produzione richiede, sia nell’allevamento a mare che a terra, oltre ad innovazioni tecniche e biotecnologiche, l’uso di mangimi formulati con fonti alternative alle farine ed all’olio di pesce fin qui ampiamente utilizzati. Nel 1980 il 10% della farina di pesce ricavata dai prodotti della pesca non utilizzati per l’alimentazione umana era impiegato in farine proteiche per l’alimentazione dei pesci. Con l’importante sviluppo dell’acquacoltura che ne è seguito, tale percentuale è passata al 73% nel 2010 (WORLD BANK, 2013), per poi iniziare a scendere, sostituita via via da sorgenti proteiche alternative.

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I progetti di ricerca più recenti finanziati dall’UE (es: Progetto ARRAINA) o da fondazioni di origine bancaria (Progetti AGER, CaRiPLo o di altre fondazioni), in gran parte dei quali è coinvolto il nostro gruppo di lavoro presso il DBSV dell’Università dell’Insubria, hanno consentito di formulare diete alternative che con l’introduzione bilanciata di nutraceutici, prebiotici ed integratori, possono esulare dall’impiego intensivo di alimenti ricavati dall’oceano, pur mantenendo le qualità organolettiche e nutrizionali del pesce, oltre ad elevate performance zootecniche e buone condizioni di salute. In queste diete, nate da importanti sforzi di ricerca, le proteine e gli oli di pesce vengono quindi gradualmente sostituiti con altre materie prime ugualmente nutrienti, provenienti da coltivazioni agricole o da prodotti di risulta, tanto che nelle diete sviluppate e sperimentate in AGER 4F, nell’allevamento dell’orata la farina di pesce è completamente sostituita con farina provenienti da economie circolari, quali proteine residue della lavorazione di avicoli o di insetti coltivati sul surplus del mercato ortofrutticolo, come già

sperimentato col progetto InBioProFeed, finanziato dalla Fondazione CaRiPLo all’Università degli Studi dell’Insubria. Quali sorgenti lipidiche, oltre ad oli da piante terrestri in grado di apportare acido linolenico, viene utilizzato olio da alghe coltivate in condizione di eterotrofia, su substrati alcolici od oleosi recuperati come prodotti di risulta di processi biotecnologici, come il glicerolo (Progetto Mysushi, finanziato da Fondazione CaRiPlo e condotto con l’Università di Milano Bicocca). Col progetto BioCo finanziato dal MISE, in collaborazione con l’Università di Messina, si intende trasferire all’industria alcuni di tali risultati immediatamente “cantierabili”, mentre un ulteriore salto in avanti è atteso dai risultati di un nuovo progetto finanziato dall’UE con Horizon 2020 (Progetto AquaImpact), il quale si prefigge di adattare la selezione genetica dei pesci ai nuovi mangimi; problematica in parte già affrontata col precedentemente citato progetto AGER 4F, in collaborazione con R. HARDY dell’Università dell’Idaho (USA). I risultati fin qui ottenuti da tali sforzi di ricerca verrebbero

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Grafico 4 – Impiego globale della farina di pesce

Col forte incremento dell’acquacoltura, verificatosi dagli anni ‘80 in poi, il consumo nei mangimi della percentuale dei prodotti della pesca non direttamente utilizzato per l’alimentazione umana è aumentato dal 10% fino al 73% del 2010. Negli anni successivi, con la farina di pesce sostituita da altre sorgenti proteiche, questa percentuale è andata diminuendo progressivamente. Fonte: World Bank 2013 (modif.).

però vanificati se la politica dei finanziamenti pubblici alla ricerca nel settore dell’acquacoltura sostenibile non si riattivasse o se i finanziamenti privati delle Fondazioni bancarie venissero meno. Le prospettive future, come già citato, prevedono un aumento della domanda di carne nei prossimi decenni e dunque un progressivo innalzamento del consumo pro capite di prodotti ittici, dettato quest’ultimo soprattutto da un innalzamento del reddito e dall’urbanizzazione crescente di molte aree del Pianeta, certamente anche dalla consapevolezza circa gli aspetti salutari di una dieta ricca in prodotti ittici. Per far fronte a ciò, nonostante il settore sia in continua crescita, soprattutto per quanto riguarda la maricoltura, la sfida per arrivare a soddisfare le richieste alimentari entro il 2050 si giocherà su misure politiche, economiche e tecnologiche, per le quali i risultati della ricerca scientifica dovranno fornire solide basi. Dal punto di vista operativo, le rotte da percorrere, al fine di giungere ad un aumento della produzione derivante dal mare, sono l’ottimizza-

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zione e l’introduzione di riforme per la pesca e la maricoltura, lo sviluppo di nuove tecnologie, biotecnologie e formule mangimistiche sostenibili per l’allevamento, oltre ad una diversificazione della domanda su scala mondiale. Abbiamo discusso di come il mare e le acque interne possano offrire un contributo molto maggiore alla produzione alimentare sostenibile di quanto non avvenga attualmente, e che ciò si può verificare implementando una serie di meccanismi plausibili ed attuabili. Il meccanismo dei prezzi può motivare una migliore gestione della pesca e l’espansione sostenibile dell’acquacoltura in nuove aree, nasce dalla crescita della domanda e agisce da solo senza alcun intervento esplicito, sulla base delle leggi di mercato. Il meccanismo della tecnologia dei mangimi è ispirato da incentivi a innovare e quindi acquisire diritti di proprietà intellettuale per le nuove tecnologie. Quando la proprietà intellettuale non è garantita, ovvero per raggiungere altri obiettivi sociali, diventa determinante come meccanismo un ruolo dei sussidi


pubblici o di organizzazioni private per l’investimento nella ricerca e nello sviluppo di queste tecnologie, oltre che nella ricerca di base. Il meccanismo politico pervade tutti e tre i precedenti meccanismi e potrebbe creare, oppure distruggere, la possibilità di espansione futura della produzione di cibo dal mare o dalle acque interne, in modo sostenibile, equo ed efficiente. Marco Saroglia Federico Moroni Genciana Terova Dipartimento Biotecnologie e Scienze della Vita (DBSV), Università degli Studi dell’Insubria, Varese

In alto: nella valle di Sefro (MC), come in molte vallate alpine e altre appenniniche, il ruolo economico e sociale dell’acquacoltura è determinante per il benessere della popolazione residente e, viste anche le limitate fonti di reddito alternative, l’acquacoltura diviene simbolo e vanto delle attività produttive locali. In basso: uno degli impianti di allevamento della Erede Rossi Silvio di Sefro (MC).

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Bibliografia K. BACHER, Perceptions and Misconceptions of Aquaculture: A Global Overview. (GLOBEFISH, 2015). C. BÉNÉ et al. (2015), Feeding 9 billion by 2050 – Putting fish back on the menu, Food Sec. 7:261–274. C. COSTELLO et al. (2020), The future of food from the sea, Nature, 3 Dec. 2020, vol. 588, pp 95-102. FAO (2017), The future of food and agriculture – Trends and challenges, Roma. FAO (2018), The State of World Fisheries and Aquaculture. FAO (2019), Fisheries and Aquaculture Department. FishStatJ – Software for Fishery and Aquaculture Statistical Time Series. www.fao.org/fishery/statistics/ software/fishstatj/en FAO (2020), FAOSTAT, www.fao. org/faostat/en/#home FAO 2020, The State of World Fisheries and Aquaculture 2020, Sustainability in action, Roma, doi.org/10.4060/ca9229en OECD & FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS (2019), OECD-FAO Agricultural Outlook 2019–2028. UNDP Sustainable Development Goal 2, Sustainable Development Goals, sustainabledevelopment. un.org/sdg2 (accessed 27 July 2020). WORLD BANK (2013), FISH TO 2030: Prospects for Fisheries and Aquaculture, World Bank report number 83177-GLB.

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PESCE D’ACQUA DOLCE

La tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino va in vaschetta di Riccardo Lagorio

Come ha evidenziato EUGENIO TURRI nel suo Antropologia del paesaggio (Edizioni di Comunità, Milano, 1983) viviamo in una dimensione antropica, un insieme di segni che rimandano ai modi di usare l’ambiente, di incidervi un’impronta sulla base di un confronto tra natura e cultura. Superata la nozione di paesaggio come rappresentazione estetica, secondo Turri esso va considerato come elemento dove si incrociano storia, strutture produttive, modelli di società. Grazie a questa lettura l’altopiano di Poirino, un’area a Sud-Est della collina torinese che comprende una ventina di comuni tra le province di Torino, Asti e Cuneo, è costituita sostanzialmente da due fasce: quella generata da antichi depositi dei fiumi e una di terre rosse argillose, nei settori centrali e meridionali, coincidente con i territori di Poirino, Ceresole d’Alba e altre sette entità limitrofe.

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Le comunità contadine di questi territori in tempi andati hanno scavato sul proprio podere una peschiera, tampa in lingua locale, per fabbricare mattoni, raccogliere acqua piovana e utilizzarla per abbeverare bestiame, irrigare campi e impiegare per usi domestici. Le tampe hanno soddisfatto anche il bisogno di proteine animali, in quanto durante il periodo estivo fungevano da vasca di accrescimento per tinche. «Quando queste vasche erano dedicate anche all’allevamento di pesce, avevano una profondità massima di 2 metri, che permetteva un rapido riscaldamento delle acque, ideale e necessario per la vita delle tinche», spiega GIOVANNI BERRUTO, appassionato allevatore amatoriale. Negli anni Berruto è andato selezionando gli esemplari di tinca che meglio aderiscono all’ideale di questa specie. Oltre a ricercare negli animali il colore giallo oro (al sole brillano, dice), grazie a delle micro-

squame presenti sotto il muco, evita che si propaghino quegli esemplari che hanno macchie scure, presenti per effetto del mimetismo naturale sviluppato da alcuni soggetti probabilmente arrivati dall’estero. «La forma è una delle caratteristiche che si deve ricercare e ricreare negli allevamenti: le tinche locali sono più tozze rispetto ad altre per una sorta di gobba dietro la testa. Questo comporta che i pesci abbiano più carne sulla schiena», chiarisce. La temperatura dell’acqua incide invece sulla crescita della tinca, che avviene più rapidamente se è calda e dà origine a una pelle meno coriacea. Nella campagna di Ceresole d’Alba GIACOMO MOSSO è uno dei pochi imprenditori che fanno dell’allevamento della tinca una vera e propria occupazione. «Ho iniziato a lavorare nella mia Cascina Italia nel 1995, utilizzando le peschiere che fanno parte del paesaggio ceresolese da secoli. Possediamo sette stagni su

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In alto: Giacomo Mosso, proprietario di Cascina Italia. In basso: gli stagni di allevamento delle tinche. una superficie complessiva di circa un ettaro e mezzo». Mosso potenziò l’allevamento della zona in antitesi alla scongiurata apertura di un’enorme discarica che avrebbe dovuto raccogliere rifiuti con grave rischio di inquinamento delle falde acquifere e da allora ha

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aumentato l’allevamento di tinche avviando anche un laboratorio di trasformazione. «La tinca vive in situazioni dove scarseggia l’ossigeno nell’acqua. Di norma si pescava alla fine dell’estate. Per tradizione le pezzature andavano da 80 a 120 grammi e ancora

oggi sono quelle più richieste in zona dai ristoranti, da friggere o presentare in carpione piemontese, cioè marinata in una emulsione di aceto, vino bianco ed erbe aromatiche. Negli anni si sono affacciati altri mercati e oggi portiamo avanti l’accrescimento fino a 300 grammi per ottenere filetti». Per avere una continuità nell’offerta del prodotto Cascina Italia ha sviluppato anche la proposta di tinca in vaschette che si possono conservare per 6 mesi, bocconcini di filetto sottolio, preaffettata e affumicata a freddo e affumicata alla canapa. Da poco la tinca si invasetta come sugo. Non tutti in pescheria o al ristorante tra i pesci sceglierebbero la tinca per il profumo e il gusto di fango. «Nient’affatto — risponde con fermezza Giacomo Mosso — il gusto di fango o erbaceo dipende da come viene pulita, ma soprattutto dall’ambiente in cui vive. L’assenza di melma impedisce la formazione di alghe e ciò ha un effetto positivo sulle caratteristiche organolettiche». Si potrebbe pensare quindi che si tratti di un’attività priva di aspetti critici; tuttavia, aggiunge Mosso «la difficoltà maggiore che incontriamo negli ultimi anni è la presenza di cormorani che decimano gli stagni». In verità, dagli anni Novanta i cormorani si sono trasformati in animali per lo più stanziali. Le scarse risorse di cibo nei luoghi delle loro migrazioni, dovute a cause antropiche, ha suggerito loro di fermarsi qui dove il nutrimento è abbondante. E la lettura di Turri risulta ancor più attuale: senza rendersene conto l’uomo cambia il paesaggio, i suoi abitanti, i suoi fruitori. Riccardo Lagorio Giovanni Berruto Via Giuseppe Marchisio 17 10046 Poirino (TO) Telefono: 334 3524713 Cascina Italia di Giacomo Mosso Via Pautasso 75 12040 Ceresole d’Alba (CN) Telefono: 335 5851186 www.facebook.com/CascinaItalia

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PRODOTTI TIPICI

Alaccia salata di Lampedusa In uno dei mari piĂš belli del mondo, una striscia di terra dai colori africani protegge un presidio Slow Food che rischia di scomparire di Chiara Papotti

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A sinistra: l’Isola dei Conigli a Lampedusa, considerata una delle spiagge più belle al mondo (photo © canbedone – stock.adobe.com).

Chiunque sia passato tra le cale e le insenature dell’isola di Lampedusa non ha necessità di confronti per convincersi che i colori verdi e azzurri, la trasparenza delle acque e la varietà dei fondali sono ciò che di più spettacolare si possa chiedere ad una località di mare. Qui i turisti hanno la possibilità di visitare ogni giorno una spiaggia diversa e navigare lungo i litorali con piccole imbarcazioni che si possono noleggiare sul porto. Ciò che più colpisce di questa isola è il suo aspetto semidesertico, un frammento di terra dai colori africani, dove la vita segue ritmi lenti. L’assenza di verde, dovuta principalmente all’azione dei venti e al clima mediterraneo, trae la sua vera origine da un episodio storico: il disboscamento dei terreni da parte di un gruppo di 120 coloni inviati da FERDINANDO II DI BORBONE, a partire dal 1843, al fine di occupare l’isola, fino ad allora disabitata. La pesca è l’attività principale di Lampedusa. Grazie alla varietà dei fondali e alle acque incontaminate, il pescato è molto ricco: pesci spada, tonni, gamberi, sgombri, sogliole, spigole, seppie, calamari, cernie,

triglie, bianchetti. Ma ciò che più merita la nostra attenzione è un presidio Slow Food che qui trova origine: l’Alaccia salata. Appartenente alla famiglia delle Clupeidae, come le aringhe, le sardine e le alose, l’alaccia assomiglia alla comune sardina, ma è più tozza e più grande e può arrivare anche a 30 centimetri di lunghezza. Ricca di grassi insaturi, in particolare Omega-3, proteine e potassio, fosforo, sali minerali e vitamine, si distingue per la carne molto digeribile, adatta a molteplici consumi. La pesca delle alacce avviene da maggio a novembre, nelle notti di mare calmo, utilizzando ancora oggi coi metodi tradizionali: la lampara e il cianciolo, che non danneggia i fondali come le reti a strascico. Le imbarcazioni pescano con le reti a circuizione entro dieci miglia dalla costa; è una pesca sostenibile, che però non è in grado di garantire un reddito adeguato ai pescatori. Fino agli anni Ottanta erano almeno una ventina le barche lampedusane usate per la pesca di questa specialità, oggi purtroppo sono rimaste due. Questa la ragione principale per cui il presidio si è po-

Alaccia, Sardinella aurita (Valenciennes, 1847) Classe: Actinopterygii Ordine: Clupeiformes Famiglia: Clupeidae Genere: Sardinella Specie: S. aurita (Valenciennes, 1847) L’alaccia si incontra nel Mar Adriatico e nel Mar Mediterraneo, in particolare nelle acque della Toscana, Liguria, Sicilia, Calabria Ionica e della Puglia; nella parte sud del Mar Nero (raramente) e nell’Oceano Atlantico orientale tra il Portogallo e il Sudafrica. È presente anche sul lato americano dell’Atlantico, tra Capo Cod e l’Argentina compreso le Antille e il Mar dei Caraibi. Col nome di alaccia in alcune regioni (Liguria) viene intesa anche la cheppia e l’alosa comune. Si tratta di una specie pelagica; la si trova tipicamente al largo e raramente sotto costa e si può incontrare sia in superficie che a centinaia di metri di profondità. La stagionalità di pesca è prevalentemente primaverile ed estiva (da maggio a settembre) quando si avvicina alla costa per riprodursi. Per valutarne la freschezza la presenza della linea mediana dorata e il colore vivo sono garanzie per l’acquisto. Non frequentissima sui nostri mercati, l’alaccia è una specie molto deteriorabile, viene commercializzata fresca, congelata, salata e talvolta affumicata o inscatolata. Viene impiegata anche per la produzione di farine di pesce o di fertilizzanti. Le carni sono poco apprezzate perché piene di spine ma, se opportunamente deliscata, si presta a ottime preparazioni (fonte: www.agraria.org).

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La famiglia Billeci, aderente al Presidio Slow Food, mostra la lavorazione dell’alaccia durante il Festival di Lampedusa. La ricetta tradizionale per la conservazione delle alacce prevede il riposo sotto sale per 3/4 mesi circa; una volta estratte dal sale le alacce sono lavate con una salamoia e messe sottolio in vasetti di vetro o in scatole di latta. Appena pescate si mangiano semplicemente fritte, come si usa nelle famiglie lampedusane (photo © www.facebook.com/lampedusatoday). sto come obiettivi la valorizzazione della tradizione della piccola pesca e la promozione della conservazione del pescato, sostenendo i pescatori a costruire un laboratorio per la trasformazione del prodotto e suc-

cessiva rivendita. La ricetta tradizionale prevede una conservazione del pescato sotto sale per almeno tre, quattro mesi. Poi, una volta estratte dal sale, vengono lavate con una salamoia e messe sottolio in vasetti

di vetro o scatole di latta per averle disponibili tutto l’anno. Al bisogno vengono sgocciolate e utilizzate per preparare gustosi antipasti di mare e arricchire sughi. Appena pescate, invece, vengono consumate fritte, arricchite dai sapori intensi dell’isola: origano e peperoncino, timo e finocchietto. La lavorazione del pesce in scatola è la vera peculiarità di Lampedusa. Ricciole affumicate, ventresca di pesce spada, uova di spigola, bottarga di polpo, calamari in salsa verde, polpo di scoglio, tonno e sgombro sono solo alcune delle specialità che finiscono sottolio e riempiono gli scaffali dei negozi tipici che si affacciano sul mare. Negli ultimi anni Lampedusa non spicca tra le mete più ambite. La crisi del settore pesca e gli sbarchi di immigrati dal Nord Africa hanno reso instabili gli equilibri dell’isola, basati prevalentemente su commercio e turismo. Ma solo chi è passato di qui si è potuto rendere conto della ricchezza delle bellezze naturali e suggestioni gastronomiche che regala questo affascinante territorio. Atmosfere di romantica tranquillità o di solare allegria che si trovano anche nei ristoranti. Una Riserva Naturale, istituita nel 1995 dalla Regione Sicilia, gestita da LEGAMBIENTE, che custodisce tradizioni e specialità uniche al mondo e che meritano di essere tutelate. Chiara Papotti

Diamo il benvenuto a Chiara Papotti su Il Pesce Laureata in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma nel 2014 a coronamento di una passione per il cibo che viene da lontano, Chiara Papotti è esperta di comunicazione e marketing alimentare nonché di tecniche di cucina che consentono di riconoscere la qualità degli alimenti. Docente di “Cibo e Comunicazione” presso l’Istituto Alberghiero Nazareno di Carpi (MO), insegna come comunicare al meglio la professionalità a chi lavora nel settore enogastronomico. Con entusiasmo promuove attività di educazione alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado, con particolare riguardo alla ricerca della qualità e della promozione alla salute. Sposata, mamma di Anna e Tommaso, ama cucinare per gli amici e ascoltare musica davanti ad un buon calice di vino. Scrive articoli per blog, siti web, giornali e riviste specializzate nel settore alimentare. Per Chiara scrivere significa dare valore alla curiosità verso il mondo della gastronomia. Una sua prerogativa? Ovunque si vada, assaggiare tutto.

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IL PESCE IN TAVOLA

Il mare che ci vuole bene

Nero di seppia, alleato della salute I benefici che apporta sono stati scoperti dal medico Samuel Hahnemann, fondatore all’inizio dell’800 della medicina omeopatica. È utile nei casi di stipsi, stanchezza, spossatezza, tensione premestruale, squilibrio ormonale, disturbi della menopausa, dolori muscolari, mal di testa, esaurimento, nausea e problemi digestivi. La medicina ufficiale ne sta studiando l’efficacia e l’applicazione anche per la prevenzione e la cura di varie patologie di Nunzia Manicardi

Risotto al nero di seppia (photo © Valerio Pardi).

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Nero come l’inchiostro, ma è un nero che fa bene. È il liquido scuro secreto dalle seppie e che prende da loro il nome. Per estensione, tuttavia, con la locuzione “nero di seppia” si intende anche quello secreto dalle ghiandole di altri cefalopodi quali il polpo, il calamaro e il totano. Il colore scuro è dovuto alla melanina, il pigmento che è in grado di modificare il colore della pelle e che ne costituisce l’elemento principale. La seppia, in realtà, lo produce di colore marrone (“color seppia”), mentre quello nero è prodotto dal polpo. Quello del totano, a sua volta, è blu notte. Sciogliendosi nell’acqua e intorbidendola, questa sostanza scura svolge una funzione di difesa cosicché, mentre l’assalitore rimane disorientato, il cefalopode riesce a fuggire. In passato il nero di seppia veniva usato come inchiostro e anche per fabbricare particolari coloranti. Oggi l’impiego è soprattutto in cucina. In Italia è utilizzato come condimento per alcuni famosi primi piatti, specialmente spaghetti e risotto, ricette tipiche rispettivamente della gastronomia siciliana e di quella veneziana e toscana. All’estero il risotto al nero di seppia è presente nella cucina catalana e in quella croata. La seppia è un cefalopode decapode, cioè provvisto di ben 10 tentacoli muniti di ventose dei quali due sono più lunghi, che può raggiungere anche i 25 cm di lunghezza. Come tutti i cefalopodi è un animale molto intelligente perché ha la capacità cognitiva di sfruttare le caratteristiche genetiche e quelle dell’ambiente per mimetizzarsi, cacciare le proprie prede e difendersi dai propri predatori. Diffusa sia nel Mar Mediterraneo che nell’Oceano Atlantico orientale, la seppia è riconoscibile non solo dai tentacoli ma anche dal colore, variabile dal bruno al giallo biancastro, e dalla presenza di una conchiglia che si trova all’interno del corpo e non all’esterno, come invece solitamente avviene per molti altri animali della stessa specie. Questa conchiglia, che è l’unica struttura rigida, ha

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Spaghetti al nero di seppia, gamberi e cozze (photo © OlesyaSH – stock. adobe.com). la funzione di spina dorsale ed è chiamata “osso di seppia”. Viene abitualmente usata nelle gabbie degli uccellini per consentire loro di lisciare il becco. Nel caso della seppia il liquido scuro è contenuto e, all’occorrenza, è liberato da un’apposita sacca (situata fra le branchie) e viene disperso con l’ausilio di un getto d’acqua emesso dal sifone. Per estrarlo bisogna tenere ben stretta la parte superiore della seppia e spingere l’osso verso l’alto sino a farlo fuoriuscire,

dopo di che si taglia la pelle al di sopra dell’osso stesso, si estraggono le viscere e si preleva la sacca con il prezioso liquido. Una volta estratto, va conservato in ambiente refrigerato oppure si può mantenere la sacca chiusa tenendola in frigorifero all’interno di un contenitore, ma non per più di un giorno o due. Si può acquistare anche già confezionato. La seppia ha pregevoli valori nutrizionali grazie alla presenza di molte proteine ad alto valore biologico e di pochissimi zuccheri e

Il nero di seppia è un condimento delicato in cucina: ha un gusto di mare leggero e un sentore iodato in grado di esaltare il sapore dei piatti. Una volta estratto, va consumato in tempi brevi, perché tende a disidratarsi velocemente. Spaghetti e linguine si prestano benissimo ad essere conditi “al nero”, ma è il riso il suo perfetto compagno, col risultato di un gusto corposo e avvolgente

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I cefalopodi (Cephalopoda, dal greco kephale, testa, e pous, podos, piede), come le seppie, i moscardini, il polpo e i calamari, sono molluschi esclusivamente marini, tra i più evoluti, con conchiglia ridotta internamente o del tutto assente. Si svilupparono in una grande moltitudine di forme durante il Mesozoico, colonizzando praticamente tutti gli ambienti marini (photo © Alexandra – stock.adobe.com). grassi che la rendono un alimento utilissimo per la nostra alimentazione e, in genere, per la salute del nostro organismo. Le proteine possono arrivare fino a 16 grammi per 100 g e comprendono soprattutto amminoacidi solforati. Sono inoltre presenti vitamine (A, D, B1 e B12), minerali (selenio, fosforo, potassio, magnesio, ferro, calcio, rame e zinco), fibra e purine. La seppia offre anche il vantaggio di essere ipocalorica poiché fornisce appena 72 calorie ogni 100 g (ripartite in 78% proteine, 19% lipidi, 3% carboidrati). È inoltre povera di colesterolo (64 mg di colesterolo ogni 100 g), adatta perciò in regimi dietetici dal basso apporto calorico e in caso di dislipidemie e diabete mellito di tipo 2. Ma i pregi non si fermano qui… Le quantità di vitamina D, calcio e

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fosforo aiutano a tenere in salute ossa e denti; la vitamina A fortifica la vista; le vitamine B1 e B12 rinforzano memoria e concentrazione e contribuiscono al corretto metabolismo di carboidrati, grassi e proteine; il potassio aiuta il sistema cardiovascolare; l’alta percentuale di fibra ha effetto anti-fame e regola le funzioni intestinali; lo iodio è utile per il buon funzionamento della tiroide. Essendo però composta in gran parte di tessuto connettivo, per lo più di origine proteica, e che aumenta con l’età dell’animale, il consumo non è consigliato a chi soffre di gotta, problemi renali e iperuricemia. Può anche risultare indigesta se si è soggetti a disturbi digestivi o gastrite. Se la si vuole consumare ugualmente, è meglio scegliere gli esemplari

più giovani, quindi di piccola taglia, senza eccedere nelle quantità. Ovviamente le seppie sono anche assolutamente controindicate per chi manifesta allergia ai frutti di mare. Molte delle proprietà nutrizionali sono da attribuire al nero piuttosto che al mollusco in sé. Si tratta di un liquido davvero prezioso. Composto principalmente da melanina e muco, contiene anche in una buona percentuale proteine, lipidi, minerali, (specialmente ferro) e altre diverse sostanze chimiche in concentrazioni differenti a seconda della specie quali tirosinasi, dopamina e L-DOPA, taurina, acido aspartico, acido glutammico, alanina e lisina. I benefici che apporta sono stati scoperti dal medico tedesco SAMUEL HAHNEMANN, fondatore all’inizio dell’800 della medicina omeopatica. Esso è utile nei casi di stipsi, stanchezza, spossatezza, tensione premestruale, squilibrio ormonale, disturbi della menopausa, dolori muscolari, mal di testa, esaurimento, nausea e problemi digestivi. È efficace contro alcuni batteri resistenti agli antibiotici, come Escherichia Coli, Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus epidermidis. Sembra favorire l’ematopoiesi, ovvero la formazione di nuove cellule del sangue, e la dilatazione dei vasi sanguigni, con riduzione della pressione sanguigna. L’attività benefica del nero di seppia è riscontrata anche a livello gastrointestinale: recenti ricerche suggeriscono infatti che possa svolgere un’azione protettiva della mucosa intestinale, in particolare per contrastare i danni farmacologici provocati da cure invasive come, per esempio, la chemioterapia. Alcuni studi scientifici suggeriscono che il nero di seppia abbia anche proprietà antiossidanti. Tuttavia, non va mai dimenticato che questi effetti sono stati dimostrati solo in laboratorio, su colture cellulari o campioni animali. In ogni caso, anche senza aspettarsi risultati miracolistici, giova introdurlo in una dieta sana, varia ed equilibrata, insieme con la seppia che lo produce. Nunzia Manicardi

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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020

blickdesign.it

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Lo storione… quello sconosciuto! di Giorgia Fieni

Nella maggior parte delle occasioni vediamo lo storione in tavola sotto forma di caviale. Molti non sanno nemmeno come si presenta al momento della pesca, sebbene esso viva sulle nostre coste. Esso si muove infatti nelle acque del Mare Adriatico e da lì è in grado di risalire fino al Po o al Tevere (per la deposizione delle uova); almeno così si comporta lo

Esistono oltre 100 specie di storione, un pesce diffuso anche nel nostro Paese, soprattutto in passato, e che ha la caratteristica di avere una vita lunghissima: sono infatti animali centenari. Le sue carni si cucinano per lo più in padella e al forno ma sono ottime anche crude

Non solo caviale! Lo storione è un pesce della famiglia degli Acipenseridi la cui carne, bianca e non troppo magra, è cucinata in ricette simili a quelle con cui si prepara il tonno. Inoltre, è molto utilizzato nell’industria conserviera e in commercio si trova spesso sottolio o affumicato (photo © Yaruniv-Studio – stock.adobe.com).

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storione comune, lungo non oltre 1,5 m (di cui la metà è occupata dal muso), con pinne e scudi, dal colore grigio o verdastro e il ventre giallo. Tra le altre specie, segnaliamo, nel Nord America, la presenza dello storione bianco (molto più lungo del comune, grigio e caratteristico proprio per il ventre chiaro), mentre nel Mar Caspio e nel Mar Nero vive il beluga (lungo fino a 7,5 m). Le differenti dimensioni permettono di ottenerne ricette molto diverse: dal crudo (in carpaccio abbinato a sapori decisi, quali wasabi, indivia, erbe aromatiche, pepe rosa, o morbidi come avocado, crema di robiola alle barbabietole) al cotto (in argilla, specialmente, ma pure alla griglia, ripieno di frittata e insaporito nel mirto o in scaloppine agli agrumi). In Veneto (dove, nel IV secolo, arrivava direttamente dai mercati greci o da Costantinopoli e nel 1173 era fra i pesci più costosi del calmiere) preferiscono rosolarlo in olio (ed accompagnarlo al celebre radicchio trevigiano, alla panna e con salsa Worcester), brasarlo al forno (con vino bianco, dopo averlo lardellato con pancetta) o servirlo in acqua fervente (è una ricetta quattrocentesca che prevede di marinarlo in capperi, uvetta, prezzemolo, aglio, olio, polpa e scorza di limone, avvolgerlo in foglie di vite o di lattuga — magari aiutandosi con canne di bambù — e bollirlo qualche ora in acqua aromatizzata con erbe). La versione lessa piace comunque anche a GIANFRANCO VISSANI (pur non essendo veneto, ma umbro) perché lo tuffa in una zuppa di arancia, che serve con fegatini d’oca, basilico e sedano. La presenza dello storione nell’Adriatico ha fatto comunque sì che

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Storione con rafano (photo © @rafalchef__smakmiasta). altre regioni, ad esso affacciate, ne elaborassero particolari preparazioni: in Romagna addensano il fondo di cottura del forno con marsala, burro e farina, mentre nella città di Ferrara insaporiscono l’umido (con una marinatura più leggera rispetto a quella veneta: cipolla, aglio, sedano, alloro, sale, pepe, vino bianco) con acciughe sotto sale e salsa di pomodoro. Piace però anche in Piemonte, dove è farcito con spinaci all’aglio, avvolto nel lardo e, dopo il passaggio in forno, servito con un contorno di riso venere. La specie del Mar Caspio invece favorisce la preparazione di una ricetta russa in cui esso è cotto in forno (con alloro e vino bianco) e accompagnato da una salsa di succo di amarene, madera e capperi. Dalla cucina regionale a quella di chef ed appassionati il passo è breve: RICCARDO AGOSTINI prepara il Cappelletto di primosale, brodo di prosciutto e pimpinella di storione (ove il pesce è sia in uova che in carpaccio), NORBERT NIEDERKOFLER lo Storione marinato e servito con bufala, lingua di vitello e crema di ricci di mare, DANILO ANGÈ lo Storione, cavolfiore, sedano rapa e frutto

della passione, VITTORIO FUSARI il Raviolo aperto con storione e caviale («È un alimento che ha bisogno di “accogliere” altri sapori perché ha una bella consistenza ma è molto delicato. Così in passato ho immaginato questo pesce in una risalita del fiume, fino al bosco, accostandolo a tartufo nero e fatulì, formaggio di capra dell’Adamello. Questo piatto invece è un raviolo dove al posto della pasta uso un carpaccio di storione che contiene una crema di fagioli di Controne e ricotta di bufala. Cotto a bassa temperatura viene servito con salsa al finocchietto, panna acida e caviale su un letto di salicornia. Non uso il sale ma acqua di ostriche»). E infine, per mostrarvi che proprio sconosciuto lo storione non è, vi riporto una testimonianza del 1765 in cui si racconta di MADAME HARDY che lo cucina in una salsa di pollo allo spiedo e lo offre nel suo locale all’ora di pranzo insieme ad altre pietanze. Non ci sarebbe nulla di particolare, se non il fatto che questa “colazione alla forchetta” altro non è quello che potrebbe considerato il primo buffet della storia! Giorgia Fieni

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LOCALI DI GUSTO

Viviani, pescheria con cucina a due passi dal Garda Ostriche, alici e fritture: quando il pranzo si fa davanti al pescivendolo, che accanto al bancone ha aperto un bistrot di mare di Luca del Grammastro

A tutti coloro che amano la cucina di pesce, ma non sopportano gli ambienti formali e eleganti, a volte sinonimo di conti esagerati e non altrettanto esagerata qualità delle preparazioni, sono dedicate le tante pescherie con cucina. Negozi di pesce che, accanto al bancone dove trionfano spigole, orate e crostacei di ogni tipo, propongono anche uno spazio dove accomodarsi e assaggiare quanto di fresco ha concesso il mare per una sosta gourmet. Un’insegna, una garanzia ed un’unica missione: portare a tavola il meglio del pescato è proprio l’obiet-

La risto-pescheria aumenta la voglia di pranzare o cenare coi sapori del mare, con la garanzia di prodotti di giornata e la possibilità di personalizzare i piatti, oltre ad avere a disposizione una cantina ben fornita tivo della storica pescheria di Affi, in provincia di Verona, la Viviani Srl, trasformatasi recentemente in una risto-pescheria. Il profumo di acqua salmastra e le atmosfere marine invadono il locale dove ordinare diventa un gioco e una

Viviani Ristò nasce nella storica pescheria di Affi, che, oltre alla vendita al dettaglio, si è arricchita di una nuova linea gastronomica di prodotti ittici di acque salmastre e dolci autoctone del vicino Lago di Garda. È anche possibile personalizzare i piatti e consumarli in loco.

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sfida, perché si vorrebbe assaggiare tutto quello che c’è nel menù. Il mare, la laguna e gli allevamenti di molluschi bivalvi, le valli da pesca, permettono l’apporto di una vasta gamma di prodotti ittici freschissimi. E se prima l’abitudine era di mangiare il pesce una o due volte a settimana, la risto-pescheria aumenta la voglia di pranzare o cenare coi sapori del mare, con la garanzia che i prodotti sono sempre di giornata e la possibilità di personalizzare i propri piatti, oltre ad avere a disposizione una cantina ben fornita con proposte selezionate. Il menù non è mai identico al giorno precedente e le proposte sono insolite e speciali: la tartare di gambero e scampo, i bigoli con le alici, ma anche lo spaghetto con vongole e bottarga, la polenta con baccalà. Un menù stagionale e sempre sfizioso che non dimentica i grandi classici, come insalate di mare, fritture o sauté di cozze e vongole, ma che parla chiaro: ogni giorno si cucina quello che decide il mare. Insomma, c’è davvero l’imbarazzo della scelta e lasciarsi sfuggire qualche piatto è un peccato e un invito a tornare. Negli anni, inoltre, la pescheria si è arricchita di prodotti ittici di

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In alto: la vetrina del pesce fresco. In basso: preparazioni gastronomiche disponibili in menu da Viviani. acque salmastre e dolci autoctone del vicino Lago di Garda. Oltre al talento e all’estro dello chef, a fare la differenza è la qualità delle materie prime, selezionate con cura sul luogo di produzione, acquistate direttamente nelle zone di catture, in sinergia con una ecosostenibilità perfettamente in linea con la politica europea ed internazionale che va incontro alle esigenze di tutela ambientale e alla sostenibilità delle risorse. La funzione della risto-pescheria è quello di supportare a terra lo sforzo del lavoro e della produzione,

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di preservare il pescatore, facendo sì che la domanda e l’offerta si incontrino in assoluta trasparenza. Professionalità, affidabilità, passione e dedizione alla propria clientela hanno fatto della Viviani Srl un punto di riferimento sicuro per quanti, per lavoro o per piacere, desiderano mettere in tavola il fresco sapore del mare. Niente, più che parlare è meglio assaggiare! Dott. Luca del Grammastro Controllo Qualità e Sicurezza Alimentare >> Link: pescherieviviani.it


STREET FOOD

Undicesima edizione del Festival del Pesce Azzurro di Porto Sant’Elpidio (FM)

Anghiò, tutto l’azzurro del pesce marchigiano e non di Maurizio Dell’Agnello

L’Italia è il paese delle coste. I quasi 8000 km di territorio che si affacciano sul mare si presentano nelle forme più varie, talvolta con ampie ed accoglienti spiagge sabbiose, altre volte con favolosi promontori dai panorami mozzafiato. Il minimo comun denominatore resta il mare, dal colore verde smeraldo al blu più intenso, coi suoi abitanti che trovano localmente i migliori habitat che li accolgono, proteggono e li fanno crescere. E così come ciascun mare ha le proprie caratteristiche, più o meno

profondo, più o meno scoglioso, più o meno trofico, le specie ittiche che vi si trovano hanno caratteristiche diverse non solo nelle dimensioni e nella varietà, ma anche nel gusto. Ed è questo il bello del nostro Paese, che nelle cucine regionali ha saputo valorizzare la varietà del pescato nella migliore maniera, lavorandolo, cucinandolo e presentandolo in mille piatti diversi che sagre, fiere ed incontri vari hanno poi contribuito a far conoscere. Anche in piena pandemia.

Anghiò è un festival che fin dalla sua prima edizione si è posto l’obiettivo di valorizzare il pesce massivo locale, in particolare quello azzurro, che ha notevoli proprietà benefiche sulla nostra salute, essendo ricco di grassi Omega-3 e Omega-6 (photo © www.facebook.com/Anghio).

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È il caso di Anghiò, Festival del Pesce Azzurro di Porto Sant’Elpidio, in provincia di Fermo, nel Piceno, che tra il 9 ed il 13 settembre scorsi ha visto il pesce azzurro protagonista di una kermesse giunta alla sua undicesima edizione, ripetendosi annualmente nel periodo estivo. La formula proposta, messa a punto fin dagli incontri di San Benedetto del Tronto, dove la manifestazione è nata, ha coinvolto abili cuochi e chef che hanno preparato raffinati piatti di pesce, acquistati e consumati in modalità street food o seduti ai tavoli nella centrale piazza Garibaldi. Regina dei piatti è stata proprio l’alice, anghiò in dialetto marchigiano, accompagnata da sgombri, suri, alletterati, spatole, sarde, ricciole, gallinelle, triglie, pannocchie e da molte altre varietà di pesce che arricchiscono i nostri mari e la nostra dieta, grazie alle eccezionali proprietà nutrizionali delle loro carni. Gli elementi di questo evento marchigiano del gusto ittico che hanno permesso di mostrare “Tutto l’azzurro del pesce” sono stati semplici ed interessanti e, dato il particolare momento che stiamo attraversando, nel rispetto dei criteri di distanziamento sociale e sicurezza sanitaria. Un grande plauso, quindi, al coraggio ed alla perseveranza degli organizzatori che sono riusciti, anche in questo difficile momento storico, a restituirci uno momento dedicato al pesce azzurro davvero speciale, di cui tutti sentivamo la necessità.

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A sinistra: le alici panate “a cotoletta” della Trattoria Trentasette di Porto Sant’Elpidio. A destra: la bruschetta con burro di melone, ricciola e maionese di sedano è stata l’originale proposta dello chef Davide Camaioni del PostoNuovo di San Benedetto del Tronto ad Anghiò 2020 (photo © www.facebook.com/Anghio).

Il Gustomobile ad Anghiò Paolo Orazzini, col suo Gustomobile (in foto un’immagine di repertorio), da diversi anni è assiduo frequentatore della manifestazione marchigiana. «Per me — ci dice — è sempre stato molto interessante partecipare all’evento dell’Adriatico per l’ambiente e le persone che si incontrano, ma anche per la perfetta organizzazione di chi lo prepara». Quali sono le principali differenze che trovi rispetto al Tirreno? «In queste occasioni, seppur nella situazione eccezionale del Covid-19, apprezzi innanzitutto la macchina organizzativa, derivante dalla lunga tradizione che da sempre caratterizza gli eventi estivi su questo versante della costa nazionale. Poi c’è la tradizione della grande pesca, diversa da quella del Tirreno, che è prevalentemente legata alla piccola attività artigianale». Ma queste differenze le ritrovi anche nei prodotti? «Certamente. Il prodotto base, a parte i rispettivi sistemi di cattura utilizzati, è sicuramente diverso, del resto i due mari sono profondamente differenti ed i loro abitanti non possono che risentirne. Animali di taglia più grossa, con maggiore variabilità di specie, consistenza e composizione delle carni, e il tutto si ripercuote ovviamente anche sulle lavorazioni e sulle conseguenti proposte gastronomiche che possono essere fatte». Quindi per te partecipare ad Anghiò è un vero e proprio percorso di scoperta? «In un certo senso sì. Lì vengo a contatto con lavorazioni a cui noi del Tirreno non siamo abituati e che possono essere un valido suggerimento per intraprendere nuovi percorsi del gusto. In Adriatico, per esempio, si fa un frequente ricorso all’uso delle marinature, vedi la lavorazione delle anguille, con un uso più o meno accentuato dell’aceto e di altri contributi aromatici». Per come ti si conosce, amante del gusto per la novità, immagino che anche tu abbia avuto modo in Adriatico di farti apprezzare, magari con i tuoi salumi di mare… «Sì. In altre edizioni ho portato la mia norcineria marina anche nelle Marche, ma per questa edizione ho preferito presentare un vero e proprio piatto, naturalmente preparato alla mia maniera, utilizzando come pesce base lo sgombro, cotto a legna e servito con crema di patate di Bolgheri arrostite, noci e aglio rosso affumicato». E l’apprezzamento delle “genti adriatiche” c’è stato? «Diciamo che a questi gusti forse sono meno abituati, ma in generale ha avuto un’ottima accoglienza, non mi posso lamentare». Anghiò si conferma un importante momento di scambio di sapori e saperi, utile a consolidare le vie del gusto ittico di tutti i mari.

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FIERE

Doppio appuntamento, digitale e in presenza

MARCA by BolognaFiere 2021 L’edizione 2020 di Marca by BolognaFiere aveva segnato un importante punto di svolta grazie ai risultati raggiunti in termini di partecipazione degli operatori, frutto anche del lavoro di promozione svolto in collaborazione con ICE – Agenzia, che ogni anno contribuisce ad invitare category manager e buyer delle principali catene internazionali. Per l’edizione 2021, che si è trovata a fronteggiare una situazione radicalmente diversa con numerose restrizioni imposte agli spostamenti, BolognaFiere ha riposizionato l’evento fieristico in presenza dal tradizionale mese di gennaio alle giornate del 24 e 25 marzo. Ma non solo! È infatti stata ideata anche una Digital Session di Marca by BolognaFiere, un evento on-line che si svolgerà nei giorni

immediatamente precedenti ovvero dal 15 al 25 marzo. L’obiettivo? Rispondere alla necessità di mantenere i rapporti tra buyer ed espositori ed accrescere le opportunità di stabilire nuovi contatti; nei giorni precedenti sarà infatti possibile incontrare i buyer sulla piattaforma video e stabilire dei rapporti che potranno essere successivamente consolidati nel corso della fiera con una visita allo stand. L’agenda digitale degli incontri B2B tra espositori e buyer è ospitata dalla piattaforma B2Match, la stessa utilizzata con successo negli ultimi anni per gli incontri dell’International Buyer Programme. Come funzionerà la Digital Session? I partecipanti (espositori e buyer)

L’edizione di MarcabyBolognaFiere 2020 (photo © Pasquale Minopoli, fotominopoli@gmail.com).

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potranno richiedere appuntamenti 1:1 a seconda dei loro interessi specifici (tipo di collaborazione, Paese, prodotto) utilizzando un sistema di matchmaking con filtri avanzati. Una volta concordati, gli incontri si svolgeranno on-line attraverso la piattaforma video integrata al sistema (per informazioni e iscrizione: marca@bolognafiere.it). I prodotti MDD al centro della fiera Marca by BolognaFiere è l’evento leader per il settore della MDD in cui la GDO è protagonista e rappresenta, da oltre 17 anni, il momento di confronto per l’analisi dei trend di mercato e la pianificazione delle strategie business. A poche settimane dalla data di svolgimento della manifestazione — organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — c’è fiducia da parte delle imprese nella manifestazione e nella la volontà di rilancio dell’economia nel post pandemia. «Rilevare un’adesione così significativa da parte delle imprese — ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale di BolognaFiere — dopo un anno che ci ha costretti al confronto con l’emergenza causata dalla pandemia è, per la nostra società, motivo di orgoglio. In questi mesi la struttura, in stretta collaborazione con il partner ADM e il comitato tecnico scientifico, ha lavorato per arricchire ulteriormente la fiera con nuove iniziative che renderanno la partecipazione a Marca by BolognaFiere ancora più strategica e performante». Il positivo trend nelle adesioni a Marca by BolognaFiere 2021 è anche lo specchio del dinamismo dei prodotti MDD che, nel nostro Paese, hanno ancora ampie opportunità di incrementare le rispettive quote di

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ATTREZZATURE AUTOMAZIONE INDUSTRIA ALIMENTARE

mercato: in Francia questa categoria di prodotti vale il 33,9% del food, nei Paesi Bassi il 30% (con andamento costante), in Italia il 22,3% (+2%); l’unico Paese in Europa in controtendenza è il Regno Unito che registra un –2.8% ma a fronte di una quota di penetrazione del mercato del 53%. Negli USA, infine, i prodotti MDD rappresentano il 18,7% (+0,5%) (fonte: IRI-Consumer Spending Tracking, maggio 2020). Lay-out rinnovato e obiettivo sicurezza Gli operatori professionali in visita all’evento potranno muoversi all’interno di un lay-out ulteriormente finalizzato rispetto alle precedenti edizioni che si svilupperà in sette grandi padiglioni espositivi. Infatti, in aggiunta ai tradizionali 25, 26, 28 e 29, Marca by BolognaFiere 2021 occuperà anche i padiglioni 31, 32 e il nuovissimo 37 del quartiere fieristico di Bologna, assicurando le migliori condizioni per uno svolgimento dell’evento in piena sicurezza, grazie anche a percorsi finalizzati alla razionalizzazione dei flussi di visita e ai protocolli per la sicurezza che saranno applicati. Marca by BolognaFiere 2021 dedicherà al settore food i padiglioni 25, 26, 28, 29 e 37 e al settore Non food i padiglioni 31 e 32. Due gli ingressi a disposizione di espositori e operatori: l’ingresso Nord e l’ingresso Ovest Costituzione; il primo collegato direttamente alla rete autostradale e al sistema di parcheggi (più funzionale per quanti utilizzeranno l’auto), il secondo collegato alla stazione ferroviaria, al centro cittadino e all’aeroporto internazionale G. Marconi con mezzi pubblici (funzionale a quanti privilegeranno la rete ferroviaria o il trasferimento in aereo). Focus dedicati ai trend emergenti: Fresco, Wine e Free From in primo piano Da sempre Marca by BolognaFiere si caratterizza per mettere in evidenza i trend emergenti, dedicandogli spazi e occasioni specifiche di approfondimento. Nel 2021 la manifestazione proporrà, accanto alla seconda

IL PESCE, 1/21

edizione di Marca Fresh — lo spazio riservato al settore del fresco, ortofrutta in primis (ma destinato a coinvolgere tutti i settori del fresco), che promuove le relazioni tra produzione e distribuzione mettendo in evidenza tre obiettivi primari in termini di strategie per il business: Innovation, Experience, Networking — la nuova Marca Wine Area e l’iniziativa Free From Hub. Sviluppata dal know-how di BolognaFiere e BOS, Free From Hub si ripropone nell’edizione 2021 con l’obiettivo di rappresentare il mercato free from italiano e internazionale. Il mercato evidenzia che viene posta sempre più attenzione agli healthy food nella loro accezione più ampia: cibi sani, che fanno bene all’organismo sia per le proprietà benefiche che sono state aggiunte, nel caso dei cibi rich-in, o tolte nel caso dei prodotti free from. I consumatori sono sempre più attenti al binomio cibo-salute, prediligendo, con sempre maggiore incidenza, prodotti funzionali, alimenti biologici e free from. Queste tendenze saranno in primo piano a Marca by BolognaFiere 2021 nell’ambito di Free From Hub, che comprenderà anche un nuovo spazio Functional Food Hub per dare risposte esaustive e promuovere nuove opportunità di business.

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AquaFarm e NovelFarm nel 2021 raddoppiano l’appuntamento: una preview digitale aprirà la strada alla Restart Edition del 9 e 10 giugno Il protrarsi dell’emergenza sanitaria ha sconvolto il mondo degli eventi e ha costretto gli organizzatori fieristici a rivedere la programmazione delle loro manifestazioni. Pordenone Fiere ha deciso di posticipare l’evento fieristico di AquaFarm e NovelFarm a giugno 2021 organizzando, in occasione del rituale appuntamento di febbraio, alcuni incontri digitali con lo scopo di porre, insieme a tutta la filiera, le basi per la ripartenza economica e produttiva dell’acquacoltura e dell’agritech. «Abbiamo riscontrato in entrambi i settori il desiderio di ritornare a incontrarsi personalmente per portare avanti il lavoro in modo professionale e soddisfacente» ha affermato Renato Pujatti, presidente di Pordenone Fiere. «Posticipare l’evento è stata una scelta necessaria per poter garantire ad espositori e visitatori un tempo sufficiente per pianificare la loro presenza alla manifestazione, per offrire a tutti gli stakeholder la consueta qualità organizzativa e la riconosciuta eccellenza dei contenuti dell’evento». Nei giorni 9 e 10 giugno si svolgerà quindi la Restart Edition, che proporrà il formato di mostra-convegno con l’integrazione delle più avanzate tecnologie digitali, sempre con la massima sicurezza e qualità dell’esperienza. Sia la preview di febbraio che la Restart Edition saranno concepite e organizzate per garantire e rafforzare l’internazionalità che da sempre contraddistingue la manifestazione, che conta visitatori ed espositori provenienti da 42 Paesi. * AquaFarm è la mostra-convegno internazionale dedicata ad acquacoltura e industria della pesca sostenibile. * NovelFarm è il più importante evento italiano interamente dedicato alle nuove tecniche di coltivazione, fuori suolo e vertical farming. * AlgaeFarm, appuntamento dedicato a tecnologie e applicazioni in alghicolura, affiancherà quest’anno i due eventi. • • •

AquaFarm: www.aquafarmexpo.it NovelFarm: www.novelfarmexpo.it AlgaeFarm: www.aquafarm.show/algaefarm

Torna con una Restart Edition, a giugno 2021 a Pordenone Fiere, AquaFarm-NovelFarm, mostra-convegno dedicata ad acquacoltura e pesca sostenibile e ad agritech, coltivazioni indoor e vertical farm. L’evento fieristico sarà anticipato da una preview digitale a febbraio per prepararsi alla ripartenza.

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Professionisti per la distribuzione capillare di prodotti da e per tutta europa

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SPECIE ITTICHE

Schede di specie ittiche da pesca nazionale Composizione e valore nutrizionale delle più importanti specie ittiche (pesci, molluschi e crostacei) da attività di pesca nazionale a cura di Elena Orban e Gabriella Di Lena, Teresina Nevigato, Maurizio Masci, Irene Casini, Roberto Caproni

Mitili (Mytilus galloprovincialis)

Habitat:

vive su rocce, scogli o substrati fissi sommersi sui quali la cozza aderisce attraverso il “bisso” costituito da filamenti secreti da un’apposita ghiandola. Predilige i fondali bassi ma si adatta bene anche alle grosse profondità Lunghezza massima: 15 cm Provenienza dei mitili analizzati: allevamento in Adriatico e Tirreno Parte dei mitili analizzati: polpa interamente omogeneizzata Tabella 1 – Biometrie di Mitili analizzati Peso (g) Lunghezza (cm)

Min

Max

14,00

24,00

5,45

6,67

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di Mitili di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

Min

Max

37,07

7,23

25,00

43,28

kcal / kJ

48/200

8/31

42/174

57/240

Umidità

81,87

2,21

80,00

85,11

Proteine

8,16

1,17

7,21

9,30

Lipidi totali

1,69

0,48

1,40

2,60

Glicogeno

4,33

1,57

2,00

6,16

803,75

342,38

443,00

1.345,00

2,21

0,21

2,00

2,54

Sale (Nax2,5) mg Ceneri

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Dev.std

IL PESCE, 1/21


Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di Mitili di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max Colesterolo 27,39 7,91 25,32 45,06 1,23 0,53 0,60 2,24 α-tocoferolo (vit. E) Desmosterolo 5,00 1,40 3,65 6,50 Fuco+Brassicasterolo 1,53 0,55 1,07 2,44 Stigma+Campesterolo 1,63 0,93 1,21 2,86 ßSitosterolo 1,49 0,58 1,29 2,00 Ergosterolo (Provit.D2) tracce Carotenoidi totali (μg) 1.066,57 859,87 238,00 2.160,00 Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in Mitili di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media ds Min Max Acidi grassi saturi 0,35 0,09 0,27 0,48 Acidi grassi monoinsaturi 0,29 0,11 0,16 0,53 Acidi grassi polinsaturi 0,48 0,14 0,32 0,60 Acidi grassi Omega-3 0,42 0,21 0,28 0,63 Acidi grassi Omega-6 0,05 0,02 0,04 0,07 EPA 0,25 0,12 0,15 0,48 DHA 0,13 0,04 0,10 0,19 EPA+DHA 0,38 0,12 0,25 0,56 Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in Mitili di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min Max Cu (μg) 41,00 94,00 Fe (mg) 1,50 2,95 Se (μg) 33,00 85,00 Zn (mg) 0,45 1,60 Na (mg) 177,00 538,00 K (mg) 183,00 320,00 Stagione riproduttiva, pesca ed allevamento. La riproduzione dei mitili avviene tutto l’anno con picchi primaverili e autunnali. I mitili possono derivare da banchi naturali, ma gran parte della produzione si ottiene con l’allevamento in zone costiere, lagunari e sempre di più in mare aperto. L’Italia copre i due terzi della produzione acquicola comunitaria per quanto riguarda i mitili (Mytilus galloprovincialis). Valore nutrizionale Il mitilo o cozza (Mytilus galloprovincialis) è un mollusco bivalve che si nutre di fitoplancton e materiale organico filtrando l’acqua dell’ambiente acquatico in cui vive. Il suo contenuto in nutrienti e parte edibile è influenzato dalla qualità dell’ambiente acquatico e dal periodo riproduttivo. La migliore qualità del bivalve è quando le gonadi sono piene ed è invece scadente dopo l’emissione dei gameti che comporta regressione delle gonadi, una mobilitazione di energia e nutrienti e quindi uno “svuotamento” dell’animale, con conseguenti variazioni delle caratteristiche sensoriali e nel contenuto di alcuni nutrienti, in particolare lipidi e glicogeno. Le carni dei mitili sono caratterizzate da bassi livelli di lipidi totali e colesterolo, un’elevata percentuale di acidi grassi polinsaturi totali con prevalenza di EPA e DHA, steroli di origine vegetale in quantità variabile nei diversi periodi dell’anno anche in relazione al sito di prelievo. Dal punto di vista nutrizionale i fitosteroli svolgono un ruolo importante nella riduzione dei livelli di colesterolo plasmatico, in virtù della loro capacità di competere con il colesterolo per l’assorbimento a livello intestinale. Buono è anche il contenuto in carotenoidi. Note I molluschi bivalvi, essendo organismi filtratori, possono bioaccumulare batteri, virus, microplastiche, contaminanti chimici (metalli pesanti, pesticidi…) o biotossine algali eventualmente presenti e risultare quindi dannosi per la salute del consumatore. Per tale motivo i mitili devono provenire da zone classificate idonee dalle autorità competenti e sono controllati lunga la filiera produttiva. I mitili devono essere venduti vivi, arrivano al punto vendita confezionati in retine di materiale plastico munite di bollo sanitario che ne riporta la provenienza, la data di raccolta e confezionamento come garanzia di tracciabilità.

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Capasanta (Pecten jacobaeus)

Habitat:

vive su fondali sabbiosi o di tipo detritico ad una profondità che varia da 25 a 200 metri Lunghezza massima: 15 cm Provenienza delle capesante analizzate pesca in Adriatico Parte delle capesante analizzate: polpa interamente omogeneizzata Tabella 1 – Biometrie di Capesante analizzate Min

Max

Peso (g)

86,98

102,30

Lunghezza (cm)

10,32

11,76

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di Capesante di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

Min

Max

33,24

3,41

30,83

35,65

kcal / kJ

59/245

2/7

57/240

60/250

Umidità

82,11

0,39

81,84

82,38

Proteine

11,62

0,32

11,39

11,84

Lipidi totali

1,24

0,19

1,11

1,39

Glicogeno

2,80

0,37

2,54

3,06

583,13

126,04

475,50

732,50

2,24

0,15

2,13

2,34

Sale (Nax2,5) mg Ceneri

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Dev.std

IL PESCE, 1/21


Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di Capesante di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max Colesterolo 25,84 0,20 25,70 25,99 0,62 0,30 0,41 0,84 α-tocoferolo (vit. E) Desmosterolo 0,24 0,16 0,12 0,35 Fuco+Brassicasterolo 5,21 1,92 3,85 6,57 Stigma+Campesterolo 4,05 0,26 3,87 4,24 ßSitosterolo 4,58 0,57 4,18 4,98 Ergosterolo (Provit.D2) 1,04 0,06 0,99 1,08 Carotenoidi totali (μg) 1.228,25 79,38 1.172,11 1.284,38 Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in Capesante di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media ds Min Max Acidi grassi saturi 0,32 0,04 0,29 0,34 Acidi grassi monoinsaturi 0,15 0,03 0,13 0,17 Acidi grassi polinsaturi 0,37 0,06 0,32 0,41 Acidi grassi Omega-3 0,32 0,06 0,27 0,36 Acidi grassi Omega-6 0,04 0,01 0,03 0,04 EPA 0,10 0,06 0,06 0,14 DHA 0,12 0,01 0,11 0,12 EPA+DHA 0,22 0,06 0,17 0,26 Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in Capesante di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min Max Cu (μg) 110,00 205,00 Fe (mg) 1,25 2,50 Se (μg) 46,00 83,00 Zn (mg) 1,97 2,54 Na (mg) 190,00 293,00 K (mg) 385,00 393,00 Stagione riproduttiva e pesca La riproduzione della capasanta avviene tra maggio e giugno; la pesca viene effettuata principalmente con reti a strascico o con apposite draghe. Valore nutrizionale Mollusco bivalve appartenente alla famiglia dei Pettinidi, la capasanta, o Conchiglia di San Giacomo, ha una forma a ventaglio composta da due valve diseguali. La valva inferiore, con cui l’animale si appoggia al fondo, è convessa e di colore chiaro, mentre quella superiore è piatta e di colore bruno. All’interno della conchiglia la parte edibile è composta dalla “noce”, la parte bianca e soda, e dal “corallo” di colore arancione e consistenza più morbida. Dal punto di vista nutrizionale la capasanta presenta un contenuto in proteine meno elevato delle specie di pesce che consumiamo abitualmente, un quantitativo di glicogeno variabile, basso tenore in grassi caratterizzati però da un buon contenuto in acidi grassi polinsaturi, in particolare gli Omega-3. Nella frazione insaponificabile il colesterolo è poco elevato ed è accompagnato dalla presenza di fitosteroli (fuco e brassicasterolo, stigma e campesterolo e β sitosterolo) che ne ostacolano l’assorbimento esercitando quindi un’azione ipocolesterolemica. Buona la presenza di carotenoidi in particolare α e β carotene ad azione antiossidante. Note In commercio si trovano capesante intere vendute in retine di materiale plastico dotate di bollo sanitario ma più spesso si trovano aperte a metà e già pulite parzialmente dalla sabbia. La freschezza della capasanta è valutabile dalla vivacità del colore (bianco candido o arancione brillante). Un colore spento, grigiastro, è un indice di scarsa freschezza. L’eccessiva pesca ha ridotto la quantità della Capasanta mediterranea (Pecten jacobaeus), tanto che sui mercati è possibile trovare la Capasanta atlantica, Pecten maximus, più grossa: può raggiungere infatti i 15 cm.

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Canestrello (Chlamys opercularis)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza dei canestrelli analizzati Parte dei canestrelli analizzati:

vive su fondali sabbiosi a profondità maggiori di 10 metri 11 cm, ma la dimensione più frequente è intorno ai 5 cm pesca in Adriatico polpa interamente omogeneizzata

Tabella 1 – Biometrie di Canestrelli analizzate Peso (g) Lunghezza (cm)

Min

Max

14,50

18,31

5,00

5,70

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di Canestrelli di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

Dev.std

Min

Max

38,08

2,70

36,20

40,00

kcal / kJ

53/223

5/21

50/208

57/237

Umidità

82,63

0,28

82,44

82,83

Proteine

10,84

0,80

10,28

11,41

Lipidi totali

1,10

0,19

0,96

1,23

Glicogeno

2,26

0,12

2,18

2,35

495,00

105,83

375,00

575,00

3,05

0,58

2,64

3,46

Sale (Nax2,5) mg Ceneri

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di Canestrelli di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media ds Min Max Colesterolo 25,93 4,56 22,70 29,15 0,60 0,51 0,24 0,97 α-tocoferolo (vit. E) Desmosterolo 0,26 0,16 0,15 0,37 Ergosterolo 1,00 0,19 0,86 1,13 Fuco+Brassicasterolo 5,06 2,02 3,63 6,49 Stigma+Campesterolo 3,90 0,86 3,25 4,47 ßSitosterolo 3,98 1,09 3,21 4,75 Carotenoidi totali (μg) 466,48 195,69 328,10 604,85

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Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in Canestrelli di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media ds Min Max Acidi grassi saturi 0,27 0,03 0,25 0,29 Acidi grassi monoinsaturi 0,13 0,04 0,10 0,15 Acidi grassi polinsaturi 0,33 0,07 0,28 0,38 Acidi grassi Omega-3 0,29 0,07 0,24 0,34 Acidi grassi Omega-6 0,04 0,01 0,03 0,04 EPA 0,09 0,06 0,05 0,13 DHA 0,11 0,01 0,10 0,11 EPA+DHA 0,20 0,06 0,15 0,24 Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in Canestrelli di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min Max Cu (μg) 90,00 140,00 Fe (mg) 0,32 0,64 Se (μg) 35,00 90,00 Zn (mg) 1,20 2,50 Na (mg) 150,00 230,00 K (mg) 360,00 385,00 Stagione riproduttiva e pesca Il periodo riproduttivo del canestrello è maggio-giugno. La pesca viene effettuata con reti a strascico, ramponi e draghe. Valore nutrizionale Il canestrello è un mollusco bivalve, simile alla capasanta, appartenente alla famiglia dei Pettinidi, molto diffuso nel mare Adriatico. Anche la composizione nutrizionale è molto simile a quella della capasanta. In ambedue le specie è stata evidenziato infatti un contenuto in proteine inferiore rispetto alla maggior parte dei pesci. La presenza di un basso tenore in colesterolo, un discreto contenuto in vitamina E (α tocoferolo) e la presenza di varie forme di steroli di origine vegetale e carotenoidi. Dal punto di vista nutrizionale, i fitosteroli svolgono un ruolo importante nella riduzione dei livelli di colesterolo plasmatico, in virtù della loro capacità di competere col colesterolo per l’assorbimento a livello intestinale. Il profilo qualitativo degli acidi grassi di ambedue i molluschi era caratterizzato da una prevalenza di polinsaturi, sui saturi e una bassa presenza di monoinsaturi. Note I canestrelli, una volta acquistati vivi in sacchetti di rete, devono essere consumati rapidamente in quanto, essendo molto delicati, muoiono presto. Si possono acquistare anche surgelati in sacchetti di plastica già privi della conchiglia. Questa e le schede prima riportate fanno parte di una serie di 56 schede che mostrano i risultati di un progetto di ricerca, svolto con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Al progetto hanno collaborato le Cooperative: Mare di Cattolica e AGEI (Agricoltura-Gestione Ittica) di Roma.

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SICUREZZA ALIMENTARE

Animali infestanti e domestici negli stabilimenti alimentari di Marco Cappelli

Un importante aspetto della sicurezza alimentare è quello, talvolta sottovalutato dagli operatori del settore alimentare, del rischio di contaminazioni che può derivare da animali. Nessun sistema di autocontrollo può trascurarlo, nessun atto di controllo ufficiale può omettere di considerarlo. L’interazione degli animali con l’ambiente nel quale vengono preparati o commercializzati alimenti può essere inquadrata in due diverse categorie: • quella dovuta alla presenza di animali infestanti e parassiti; • quella dovuta alla presenza di animali domestici. Non si farà alcuna trattazione

degli animali oggetto di allevamento, che costituiscono l’essenza dell’attività produttiva, né degli animali che si comportano da infestanti o parassiti dei “futuri” alimenti già nell’ambiente di coltivazione, allevamento o cattura. Si tratterà invece di quanto avviene negli stabilimenti del settore alimentare: laboratori, depositi, esercizi di vendita. Prima di fare le necessarie considerazioni, è opportuno rivisitare le principali normative che hanno affrontato il problema, alcune solo per interesse storico essendo ormai superate dalla normativa nazionale più recente e, infine, da quella comunitaria.

Legge 29 marzo 1928, n. 858, Disposizioni per la lotta contro le mosche, art. 11 “Il Ministro per l’Interno è autorizzato ad emanare, con proprie ordinanze, norme obbligatorie per la lotta contro le mosche, nei loro vari stadi di sviluppo, nei centri di popolazione agglomerata, con speciale riguardo: a. agli istituti di ricovero e cura, pubblici e privati, e ad altre collettività; b. agli stabilimenti di produzione di sostanze alimentari, alle fiere e mercati, agli esercizi pubblici, agli spacci di generi alimentari, alle stalle di qualsiasi specie”.

Gli animali cosiddetti“infestanti”condividono con l’uomo l’ambiente di vita. In molti casi, possono trovare condizioni di vita favorevoli nei locali adibiti alla preparazione, somministrazione, deposito o commercio di alimenti, sia per il microclima che per la disponibilità di nutrienti. Roditori, come topi e ratti, e insetti, come blatte e formiche, tendono ad insediarsi stabilmente nelle strutture del settore alimentare (photo © dusanpetkovic1 – stock.adobe.com).

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mondel.it

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ccellenza.


qualsiasi sostanza alimentare che si consumi senza previa cottura, o lavaggio, o dipellamento, o simile, devono essere protetti contro l’inquinamento ad opera delle mosche, con l’impiego di uno dei mezzi, come retine metalliche, campane di vetro, veli, carte moschicide, ventilatori o alti congegni adatti allo scopo, stabiliti, caso per caso, dal podestà2, sentito l’ufficiale sanitario; 2. è vietata la esposizione all’aperto, fuori dello spaccio, delle sostanze di cui al precedente n. 1; 3. i locali tutti adibiti alla vendita ed i rispettivi retrobottega devono essere mantenuti puliti ed i rifiuti e le spazzature raccolti a norma dell’art. 2. (…) Le prescrizioni del presente articolo si applicano anche nei confronti delle macellerie e degli altri spacci che vendano comunque carni fresche.

Grande importanza per la prevenzione dagli infestanti è l’igiene dei locali e delle attrezzature, soprattutto l’eliminazione di liquidi e residui putrescibili costituenti substrati che possano avere azione attrattiva nei loro confronti (photo © Rachel Martin x unsplash). Decreto del Capo del Governo 20 maggio 1928, norme obbligatorie per l’attuazione della L. 29 marzo 1928, n. 858, contenente disposizioni per la lotta contro le mosche, articoli 9, 10, 11, 12 “ART. 9. DEGLI ESERCIZI PUBBLICI. Negli esercizi pubblici (…) comprese le latterie, oltre alle prescrizioni contenute nel regolamento locale di igiene, devono osservarsi le seguenti norme: 1. i locali nei quali si tengono, conservano o preparano i cibi e le bevande devono avere le aperture esterne munite di mezzi di protezione contro le mosche, conformi alle prescrizioni date dal podestà2, sentito l’ufficiale sanitario. Ugualmente protetti contro le mosche e con mezzi conformi alle prescrizioni stesse, devono essere i cibi in genere e le

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vivande preparate che si espongano in mostra; 2. le stoviglie e, in genere, gli accessori da tavola devono essere tenuti al riparo dalle mosche; 3. i locali tutti, compresi i retrobottega, devono essere mantenuti puliti; i rifiuti e le spazzature devono essere raccolti a norma dell’art. 2; le biancherie sudicie devono essere tenute in recipienti chiusi. (…) ART. 10. DEGLI

SPACCI DI GENERI ALI-

MENTARI.

Negli spacci di vendita al pubblico di generi alimentari, all’ingrosso o al minuto, oltre alle prescrizioni contenute nel regolamento locale di igiene, devono osservarsi le seguenti norme: 1. i preparati di carne, il pane, le paste, i dolciumi, le frutta, le conserve, le verdure e, in genere,

11. DEI VENDITORI AMBULANTI. I venditori di generi alimentari indicati nell’articolo precedente, siano essi ambulanti, o a posto fisso, o in chioschi, o in banchette, o simili, devono uniformarsi, entro trenta giorni dalla pubblicazione della presente ordinanza, alle norme contenute nel n. 1 dell’art. 10, per quanto concerne la protezione dei generi alimentari, ivi contemplati, contro inquinamenti ad opera di mosche. I locali nei quali detti venditori ripongono o confezionano la loro merce devono rispondere ai requisiti di cui al numero 3 dello stesso art. 10. 12. DEGLI

STABILIMENTI DI SOSTANZE

ALIMENTARI.

Negli stabilimenti per la produzione, lavorazione o preparazione di sostanze alimentari, in tutti i locali adibiti alla raccolta ed alla lavorazione delle materie prime ed in quelli di deposito delle materie in corso di lavorazione o già lavorate, oltre alle prescrizioni contenute nel regolamento locale di igiene od in regolamenti speciali, devono osservarsi le seguenti norme: 1. le aperture esterne devono essere protette contro la penetrazione delle mosche;

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Si rende necessario un monitoraggio adeguato e costante per verificare se, nonostante le azioni di prevenzione, animali infestanti siano entrati a colonizzare le strutture. Il monitoraggio può essere predisposto ed effettuato mediante osservazione diretta o trappole per la cattura di esemplari (photo © Sergey – stock.adobe.com). 2. i depositi dei rifiuti delle lavorazioni e dei residui suscettibili di ulteriore lavorazione, che non sia possibile di asportare giornalmente, devono essere protetti dalla invasione delle mosche. I mezzi da impiegarsi, caso per caso, per il trattamento contro le mosche, come idonee coperture delle materie stesse, carte o altre sostanze moschicide sovra o presso le materie in deposito, o altri congegni adatti allo scopo, sono indicati dal podestà2, sentito l’ufficiale sanitario. La disposizione che precede si applica anche nei confronti dei mattatoi, delle sardigne e dei depositi di pelli fresche e di residui animali”. Testo unico delle leggi sanitarie, RD 27 luglio 1934, n. 1265, art. 263 (articolo così sostituito dal DPR 10 giugno 1955, n. 854; in esso sono state rifuse le norme della Legge n. 858/1928) riporta: “L’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica emana direttive di carattere generale per impedire la

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moltiplicazione o la disseminazione delle mosche e degli altri artropodi vettori di agenti patogeni o causa diretta di malattia, ed emette, a tale scopo, ove occorre, anche ordinanze speciali. Il prefetto è autorizzato ad emanare, con ordinanza, norme obbligatorie per l’esecuzione delle direttive generali di cui al comma precedente e per coordinare e favorire le iniziative locali. Speciali misure devono essere ordinate dal sindaco: a. negli istituti di ricovero e cura, pubblici e privati, e in altre collettività; b. negli stabilimenti di produzione di sostanze alimentari, nelle fiere e mercati, negli esercizi pubblici, negli spacci di generi alimentari, nelle stalle di qualsiasi specie (…)”. Il DPR n. 327/1980 Diciotto anni dopo l’entrata in vigore della Legge n. 283/1962 (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), il suo regolamento di esecuzione, emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 327/1980, all’art. 28 afferma che l’autorità sanitaria, al fine del rilascio dell’autorizzazione sanitaria (all’epoca prevista non per tutte le strutture, ma limitatamente agli stabilimenti e laboratori di produzione e ai depositi) deve accertare, tra l’altro, che i locali siano “muniti di dispositivi idonei ad evitare la presenza di roditori, ed altri animali od insetti”. È chiaro il riferimento agli animali infestanti, anche se il termine generico “animali” non esclude che la norma sia riferibile anche ad animali domestici. Il Regolamento (CE) n. 852/2004 (Pacchetto Igiene) Nel Regolamento, i requisiti sono trattati negli allegati. • Allegato I, parte A, par. II, punto 5, lettera e); tra i requisiti in materia di igiene per la produzione primaria è riportato: * “Gli operatori del settore alimentare che producono o raccolgono prodotti vegetali, devono, se del caso, adottare misure adeguate per: (…)

e) per quanto possibile, evitare la contaminazione da parte di animali e insetti nocivi”; • Allegato I, parte B, punto 2, lettera h); tra le raccomandazioni inerenti i manuali di corretta prassi igienica è riportato: * “I manuali di corretta prassi igienica dovrebbero contenere informazioni adeguate sui pericoli che possono insorgere nella produzione primaria e nelle operazioni associate e sulle azioni di controllo dei pericoli, comprese le misure pertinenti previste dalla normativa comunitaria e nazionale o dai programmi comunitari e nazionali. Tra tali pericoli e misure figurano ad esempio: (…) “h) le procedure, le prassi e i metodi per garantire che l’alimento sia prodotto, manipolato, imballato, immagazzinato e trasportato in condizioni igieniche adeguate, compresi la pulizia accurata e il controllo degli animali infestanti”; • Allegato II, capitolo I, par. 2, lett. c); tra i requisiti applicabili alle strutture destinate agli alimenti è riportato: * “Lo schema, la progettazione, la costruzione, l’ubicazione e le dimensioni delle strutture destinate agli alimenti devono: (…) c) consentire una corretta prassi di igiene alimentare, compresa la protezione contro la contaminazione e, in particolare, la lotta contro gli animali infestanti”; • Allegato II, Capitolo III, par. 1; nel caso delle strutture mobili o temporanee, dei locali utilizzati principalmente come abitazione privata ma dove gli alimenti sono regolarmente preparati e dei distributori automatici, tra i requisiti igienico-strutturali è riportato: * “Le strutture e i distributori automatici debbono, per quanto ragionevolmente possibile, essere progettati

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e costruiti, nonché mantenuti puliti e sottoposti a regolare manutenzione in modo tale da evitare rischi di contaminazione, in particolare da parte di animali e di animali infestanti”; • Allegato II, cap. VI, par. 3; per quanto riguarda i rifiuti alimentari: * “Si devono prevedere opportune disposizioni per il deposito e la rimozione dei rifiuti alimentari, dei sottoprodotti non commestibili e di altri scarti. I magazzini di deposito dei rifiuti devono essere progettati e gestiti in modo da poter essere mantenuti costantemente puliti e, ove necessario, al riparo da animali e altri animali infestanti”; • Allegato II, capitolo IX; tra i requisiti applicabili ai prodotti alimentari: * “1. Un’impresa alimentare non deve accettare materie prime o ingredienti, diversi dagli animali vivi, o qualsiasi materiale utilizzato nella trasformazione dei prodotti, se risultano contaminati, o si può ragionevolmente presumere che siano contaminati, da parassiti (…); * 4. Occorre predisporre procedure adeguate per controllare gli animali infestanti e per impedire agli animali domestici di accedere ai luoghi dove gli alimenti sono preparati, trattati o conservati (ovvero, qualora l’autorità competente autorizzi tale accesso in circostanze speciali, impedire che esso sia fonte di contaminazioni)”. Inoltre, in diverse parti degli allegati al Reg. 852/2004 sono previsti requisiti, consistenti per esempio in superfici lisce e facili da pulire, attrezzature facilmente pulibili, corrette modalità di conservazione e protezione degli alimenti da contaminazioni, ecc…, senza dubbio propedeutici ad una efficace azione di prevenzione e lotta nei confronti degli animali infestanti.

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Animali infestanti e parassiti Gli animali cosiddetti “infestanti” condividono con l’uomo l’ambiente di vita, tanto che talvolta si può parlare di vere e proprie “specie sinantrope”: per esempio topi e ratti, oppure alcuni uccelli che effettuano vere e proprie “incursioni”, soprattutto nelle zone di somministrazione all’aperto, nei depositi di granaglie, ecc… In molti casi gli animali possono trovare condizioni di vita favorevoli nei locali adibiti alla preparazione, somministrazione, deposito o commercio di alimenti, sia per il microclima che per la disponibilità di nutrienti. Roditori, come i topi e i ratti, e insetti, come le blatte e le formiche, tendono ad insediarsi stabilmente nelle strutture del settore alimentare. Alcuni insetti, come le mosche, sono attratti da prodotti alimentari esposti, soprattutto se mal conservati, sui quali depositano le loro uova per consentire alle larve di nutrirsi, comportandosi quindi da parassiti; anche altri insetti, come alcuni lepidotteri (le tignole) e diverse specie dell’ordine dei coleotteri (anobi, tonchi, calandre), si comportano da parassiti di derrate alimentari (frutta secca, pasta, riso e legumi, spezie, ecc…), potendo causare importanti danni di contaminazione e degradazione fisica e organolettica dei prodotti, rendendoli inadatti al consumo umano. Gli infestanti possono anche trasmettere microrganismi comportandosi da vettori meccanici, trasportando cioè gli agenti infettivi sul proprio corpo e trasmettendoli per contatto fisico agli alimenti o alle superfici destinate al contatto con essi; gli alimenti contaminati divengono così veicolo di contaminazione nei confronti del consumatore. I rischi per la sicurezza alimentare possono essere così riassunti: • distruzione totale, rosicchiamento, insudiciamento, deterioramento degli alimenti; • invasione degli alimenti da parte di parassiti (più o meno visibili a seconda delle loro dimensioni e dell’entità dell’infestazione); • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto diretto da parte degli infestanti;


Grande importanza hanno l’adeguata conservazione e la protezione degli alimenti, in modo che non possano attrarre gli infestanti e che, in caso di presenza di questi nello stabilimento, non possano esserne direttamente attaccati (photo © Micheile Henderson x unsplash). • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto indiretto tramite le strutture, le attrezzature e gli utensili contaminati dagli infestanti; • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto indiretto tramite gli addetti e il loro abbigliamento da lavoro contaminati dagli infestanti. Prevenzione, monitoraggio, lotta Per gli infestanti occorre intraprendere adeguate azioni di prevenzione, monitoraggio e lotta, secondo procedure che coinvolgono l’OSA, il personale addetto e le imprese esterne specializzate. Ove possibile (in caso di strutture di nuova realizzazione) per la progettazione delle strutture, ma sicuramente per la loro manutenzione e gestione, devono essere previsti accorgimenti per impedire l’accesso agli animali infestanti: protezione delle aperture, dispositivi di protezione degli scarichi delle acque reflue e delle canne fumarie, eliminazione di fessure e anfratti, isolamento di intercapedini non controllabili, ecc… Nelle fasi successive, grande importanza per la prevenzione dagli infestanti hanno comunque: • la protezione degli accessi alla

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struttura, con l’impiego di ogni mezzo utile all’isolamento: infissi a completa chiusura, retine protettive per le aperture che devono rimanere aperte, sigillatura di fori, intercapedini, passaggi di cavi e tubazioni, ecc…; l’igiene dei locali e delle attrezzature, soprattutto l’eliminazione di liquidi e residui putrescibili costituenti substrati che possano avere azione attrattiva nei confronti degli infestanti; la corretta gestione dei rifiuti e dei sottoprodotti di origine animale, con utilizzo di contenitori chiusi (ove previsto, per i S.O.A. quelli previsti dalla specifica normativa costituita dal Regolamento n. 1069/2009) e rapido allontanamento; l’adeguata conservazione e protezione degli alimenti, in modo che non possano attrarre gli infestanti e che, in caso di presenza di questi nello stabilimento, non possano essere direttamente attaccati; l’allontanamento di materiali già infestati, che contribuisce ad allontanare gli infestanti stessi prima che possano attaccare altre derrate.

Le azioni di prevenzione devono essere contemplate nei piani di autocontrollo, nella parte relativa alle buone prassi igieniche (GHP). Si rende necessario un monitoraggio adeguato e costante, per verificare se, nonostante le azioni di prevenzione, animali infestanti siano entrati a colonizzare le strutture. Il monitoraggio può essere predisposto ed effettuato mediante osservazione diretta (non solo dell’infestante ma anche di effetti o indicatori della sua presenza: es. rosure o presenza di escrementi) o mediante trappole per la cattura di esemplari, e fornisce indicazioni propedeutiche all’intensificazione della prevenzione e alle azioni di lotta. In ultimo, le azioni di lotta, indispensabili in caso di presenza di infestanti, basate su metodi fisici o chimici: • metodi fisici, come l’installazione di apparecchi emanatori di onde elettromagnetiche che tengano lontani gli infestanti, di trappole meccaniche che li catturino, oppure di trappole elettriche. Queste ultime, che agiscono con scariche elettriche allorché l’insetto volante tocca il dispositivo, se mal collocate possono causare la caduta di

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insetti morti o morenti, o di parti di essi, sulle superfici adibite alla lavorazione degli alimenti o sugli alimenti stessi, con conseguente contaminazione, e necessitano di frequente pulizia; • metodi chimici, come lo spargimento ambientale, o meglio l’applicazione mirata (esche, gel) di sostanze in grado di distruggere la colonia infestante. I metodi di lotta chimica aprono un altro capitolo: quello del rischio di contaminazione degli alimenti e delle superfici con le sostanze impiegate, direttamente (per esempio in caso di aspersione delle sostanze in luoghi di lavorazione o conservazione degli alimenti) o indirettamente (attraverso le mani o l’abbigliamento del personale addetto qualora esso provveda personalmente ai trattamenti ambientali senza successivo lavaggio e cambio abiti). Anche i dispositivi con sensore, che emanano insetticida al passaggio di un insetto, possono contaminare l’ambiente e gli alimenti

presenti. È rilevante anche il problema della sicurezza per la salute degli addetti ai trattamenti, che deve essere affrontato nel rispetto del Decreto legislativo n. 81/2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro). Tutte queste problematiche, legate alle modalità della lotta chimica, fanno propendere per l’affidamento di incarico ad imprese specializzate, opportunamente selezionate, che possano eseguirla a regola d’arte e documentarla. La documentazione sarà allegata alla procedura di disinfestazione inserita nel piano di autocontrollo. Animali domestici Gli animali domestici che, in diverse circostanze, entrano nelle strutture del settore alimentare, possono causare contaminazione biologica di alimenti, diretta o indiretta. Benché in genere accidentale, legata a disattenzione dell’OSA, l’accesso di animali domestici ai locali in cui gli alimenti vengono preparati, immagazzinati o somministrati può essere

più frequente in alcune tipologie di attività come i cosiddetti home restaurant e home food, nel caso in cui gli animali “di famiglia” dell’OSA non vengano tenuti adeguatamente a distanza dai suddetti locali. Ancor più frequenti possono essere gli accessi di animali in attività agrituristiche mal condotte, ove agli animali da affezione se ne possono anche aggiungere altri, allevati, come polli, colombi, ecc…, o piccoli animali selvatici. Proprio in alcune attività agrituristiche si possono registrare rischi di contaminazione se gli addetti entrano ed escono alternativamente dalle cucine e dai locali ad uso agricolo/zootecnico senza cambiare abiti e calzature, senza lavarsi le mani, ecc…, trasmettendo indirettamente agenti contaminanti e zoonotici agli alimenti. Riveste pertanto grande importanza la procedura di corretto comportamento e igiene del personale addetto. Più in generale, l’accesso di animali domestici ai locali del set-

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tore alimentare, che come si è detto è generalmente occasionale, può avvenire per malcostume e scarsa consapevolezza e formazione dell’OSA o degli addetti circa i rischi che tale accesso comporta. Rischi che possono così essere brevemente riassunti: • distruzione totale, rosicchiamento, insudiciamento, deterioramento degli alimenti; • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto diretto da parte degli animali domestici; • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto indiretto tramite le strutture, le attrezzature e gli utensili contaminati dagli animali; • contaminazione microbiologica degli alimenti per contatto indiretto tramite gli addetti e il loro abbigliamento da lavoro contaminati dagli animali. L’ingresso e la permanenza di animali domestici nei locali richiedono l’eliminazione degli alimenti deteriorati o contaminati e una adeguata sanificazione, secondo le procedure che l’OSA deve adottare nell’ambito delle buone prassi igieniche (GHP) di cui al piano di autocontrollo. Animali domestici in locali di vendita di alimenti Diverso è il caso dei locali in cui gli alimenti non vengono preparati ma solamente venduti al dettaglio. A tal proposito sono intervenute, nell’estate del 2017, alcune precisazioni da parte della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (DGISAN), Ufficio 2 Igiene degli alimenti ed esportazione, del Ministero della Salute. In risposta ad una nota del 06/06/2017 della Lega Italiana Anti Vivisezione (LAV), la nota DGISAN n. 0023712 del 07/06/2017, inviata anche agli Assessorati regionali alla Sanità, richiama il Reg. 852/2004, allegato II, Cap. IX, punto 4 (sopra riportato), affermando che “il Reg. 852/2004 non prevede che quanto disposto in merito all’accesso degli animali domestici nelle strutture alimentari decada quando gli alimenti sono esposti e conservati negli scaffali degli esercizi di vendita”.

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Viene fatto riferimento al caso in cui l’accesso degli animali negli esercizi sia consentito dai Regolamenti comunali e regionali (in alcune realtà locali esistono espressi divieti): caso nel quale “l’OSA deve comunque escludere, attraverso idonee modalità, attestate nelle sue procedure di autocontrollo, che gli animali vengano a contatto diretto o indiretto con gli alimenti sia sfusi che confezionati”. Viene altresì ricordato che, in caso contrario, agli OSA vengono applicate le sanzioni previste. La nota conclude con una precisazione circa il DPR 320/1954 (Regolamento di Polizia Veterinaria), citato nella nota della LAV, che è anteriore al Reg. 852/2004 e non entra nel merito degli aspetti relativi alla sicurezza alimentare. Una replica della LAV, inoltrata il 23/06/2017, perorando la causa di una maggiore apertura all’accesso degli animali, citava una precedente nota ministeriale (DGISAN n. 0022136-P-30/05/2014), nella quale in realtà non si ravvisano elementi contrastanti con quanto riportato nella nota del 07/06/2017: viene affermato che “nei supermercati e nei negozi di generi alimentari, ferma restando l’opportunità di offrire adeguate condizioni di attesa esterna dei cani, l’accesso degli stessi può essere consentito, alle dovute condizioni, unicamente nelle aree di esposizione di alimenti protetti fino alle aree di cessione di prodotti preincartati”. La nota ministeriale del 2014 conclude riportando, come esempio, un passaggio di un manuale di autocontrollo predisposto da una associazione di ristoratori, che cita: “Fermo restando il divieto di introdurre animali domestici nei laboratori di preparazione e nei depositi di prodotti alimentari, è consentito l’accesso dei cani guida anche non muniti di museruola (Legge 14 febbraio 1974, n. 37, e s.m.i.) nelle zone aperte al pubblico di ristoranti ed altri pubblici esercizi. Gli altri cani devono essere condotti al guinzaglio e muniti di museruola”. Nei confronti di tale replica della LAV, una nuova nota ministeriale, DGISAN 0026460-P-26/06/2017,

anch’essa inviata alle Regioni, rilevava l’erroneo riferimento all’art. 1, comma 2, lettera C, del Reg. 852/2004, relativo ai casi di esclusione per la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore ai consumatori finali o a dettaglianti locali, e confermava che la nota del 30/05/2014 vincolava gli OSA “alle dovute condizioni” volte ad escludere il contatto tra animali e prodotti alimentari, “fermo restando che è facoltà dell’OSA vietare l’accesso agli animali”. A conclusione della serie, con un’ulteriore nota, DGISAN 0032413P-03/08/2017, facendo seguito alla n. 23712 del 07/06/2017, l’Ufficio 2, richiamando il citato Allegato II, capitolo IX, punto 4, del Reg. 852/2004, fa riferimento alla necessità di impedire che l’accesso di animali nei luoghi in cui gli alimenti sono preparati, trattati o conservati sia fonte di contaminazione, affermando che “l’operatore del settore alimentare (OSA) ha l’obbligo di stabilire, in autocontrollo, quali siano le potenziali condizioni in cui si può verificare contaminazione degli alimenti da parte degli animali presenti nei locali e adottare tutti gli accorgimenti opportuni, formalizzandoli in procedure scritte di autocontrollo”. Viene infine ribadito che l’OSA possa “vietare l’accesso degli animali, soltanto qualora non possa gestire in altro modo il rischio di contaminazione”. Si può pertanto concludere che l’OSA ha la responsabilità di contemperare il diritto del proprietario ad accedere alle aree di vendita con il proprio cane (in genere si tratta di questa specie), e quindi il diritto del cane ad accompagnare il proprio “umano” (anche gli animali sono portatori di diritti), con l’esigenza di garantire la sicurezza alimentare, assicurando che non vi siano contatti di alcun tipo tra animali e alimenti. Nel caso di contatto tra animali e alimenti o attrezzature e materiali a contatto con essi, l’OSA deve dare seguito, secondo le procedure adottate nell’ambito del piano di autocontrollo, ad azioni correttive come l’eliminazione degli alimenti certamente o potenzialmente contaminati e la

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sanificazione, riconsiderando anche le azioni di prevenzione se risultate inefficaci. Lo stesso proprietario conduttore dell’animale dovrebbe evitare il contatto indiretto, evitando di toccare alimenti, anche confezionati, o attrezzature dell’esercizio, dopo aver toccato il proprio animale: a tal proposito, nell’impossibilità eventuale di lavarsi le mani, potrebbero essere impiegati guanti o gel e soluzioni disinfettanti. Alcuni supermercati hanno introdotto carrelli con uno scomparto nel quale possono essere trasportati gli animali: tali dispositivi possono avere una loro utilità, dato che evitano lo scorrazzare degli animali (che comunque dovrebbero essere tenuti al guinzaglio e con museruola) nell’area di vendita e il possibile contatto con gli alimenti esposti, ma dovrebbero essere gestiti adeguatamente, con frequenti lavaggi e disinfezioni. Sanzioni • Mancato rispetto dei requisiti generali in materia di igiene e di

manuali di corretta prassi igienica nell’ambito della produzione primaria: violazione dell’art. 4, par. 1, del Regolamento (CE) n. 852/2004, con riferimento all’Allegato I, parte A, par. II, punto 5, lettera e (per i requisiti) o parte B, punto 2, lettera h (per i manuali di corretta prassi igienica); sanzionata dall’art. 6, comma 4, del DLgs n. 193/2007, con sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 a € 1.500 con possibilità di pagamento in misura ridotta entro 60 giorni, ai sensi dell’art. 16 della Legge n. 689/1981, della somma di € 500 (pari al doppio del minimo e alla terza parte del massimo); • Mancato rispetto dei requisiti generali in materia di igiene, come quelli previsti per le strutture e le attrezzature o relativi all’esposizione degli alimenti e alla loro protezione da contaminazioni, la gestione dei rifiuti, ecc…, in ambito diverso da quello della produzione

primaria: violazione dell’art. 4, par. 2, del Regolamento (CE) n. 852/2004, con riferimento all’Allegato II; sanzionata dall’art. 6, comma 5, del DLgs n. 193/2007, con sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 3.000 (in misura ridotta: € 1.000); • Mancato rispetto del requisito specifico dell’adozione delle procedure necessarie a raggiungere gli obiettivi fissati per il conseguimento degli scopi del regolamento: violazione dell’art. 4, par. 3, del Regolamento (CE) n. 852/20043; sanzionata dall’art. 6, comma 5, del DLgs n. 193/2007, con sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 3.000 (in misura ridotta: € 1.000); • Vendita o detenzione per la vendita o somministrazione di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive: violazione dell’art. 5, lettera d), della Legge 30 aprile 1962, n. 283, di competenza penale. La pena


è stabilita dall’art. 6, comma 4, della stessa legge: arresto fino ad un anno e ammenda da € 310 a € 30.987; • Vendita, detenzione per il commercio o distribuzione per il consumo di sostanze alimentari non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica (nel caso di effettiva pericolosità): violazione dell’art. 444 del Codice penale, che prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa non inferiore a € 51. Conclusioni Mentre la presenza negli stabilimenti alimentari di animali domestici può essere evitata con l’acquisizione da parte dell’OSA e degli addetti della semplice consapevolezza dei possibili rischi, e quindi con l’adozione di un corretto comportamento che non consenta l’accesso agli animali, la presenza di animali infestanti e parassiti può necessitare di ben più pesanti interventi preventivi, procedure, impegno costante e azioni di lotta talvolta difficili e onerose. Del resto, si tratta di azioni dovute e spesso inevitabili. Le autorità competenti e gli organi di controllo, mediante le attività di controllo ufficiale, sono chiamati a verificare i requisiti e le procedure adottate dagli operatori: oltre alla responsabilità comunque assegnata agli OSA dal Reg. (CE) n. 178/2002, le sanzioni applicabili da parte degli organi di controllo dovrebbero indurre gli stessi ad un comportamento virtuoso per garantire la sicurezza alimentare e tutelare i consumatori. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione Azienda Sociosanitaria Ligure 5 La Spezia Riferimenti normativi 1. Legge 29 marzo 1928, n. 858 – Disposizioni per la lotta contro le mosche (GU del Regno d’Italia n. 105 del 04/05/1928). 2. DCG 20 maggio 1928 – Norme obbligatorie per l’attuazione della L. 29 marzo 1928, n. 858 (GU del Regno d’Italia n. 118 del 21/05/1928).

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3. Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 – Testo unico delle leggi sanitarie (GU del Regno d’Italia, S.O. n. 186 del 09/08/1934). 4. Legge 30 aprile 1962, n. 283 – Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande (GURI n. 139 del 04/06/1962) e successive modificazioni. 5. Decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327 – Regolamento di esecuzione della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande (GURI n. 193 del 16/07/1980), e successive modificazioni. 6. Reg. (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari (rettifica in GUUE n. L 226 del 25/06/2004). 7. Regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il Regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale) (GUCE n. L 300 del 14/11/2009). 8. Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81– Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (GURI Serie Generale n. 101 del 30704/2008 – S. O. n. 108) e successive modificazioni. 9. Nota del Ministero della Salute DGISAN n. 0023712 del 07/06/2017 – Precisazioni in merito all’accesso degli animali agli esercizi di vendita al dettaglio degli alimenti. 10. Nota del Ministero della Salute DGISAN 0026460-P-26/06/2017 – Accesso degli animali negli esercizi di vendita al dettaglio degli alimenti. 11. Nota del Ministero della Salute DGISAN n. 0022136-P30/05/2014 – Cani in locali pubblici.

12. Nota del Ministero della Salute DGISAN n. 0032413-P03/08/2017 – Accesso degli animali negli esercizi di vendita al dettaglio degli alimenti. 13. Legge 14 febbraio 1974, n. 37 – Gratuità del trasporto dei cani guida dei ciechi sui mezzi di trasporto pubblico (GURI Serie Generale n. 61 del 06-03-1974) e successive modificazioni. 14. Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 193 – Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore (GURI n. 261 del 09/11/2007 – S. O. n. 228). 15. Legge 24 novembre 1981, n. 689 – Modifiche al sistema penale (SOGURI n. 329 del 30/11/1981) e successive modificazioni. 16. Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 – Codice penale (G. U. del Regno d’Italia, S. O. n. 253 del 28/10/1930) e successive modificazioni. 17. Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GUCE n. L 371 del 01/02/2002), modificato dal Regolamento (CE) n. 1642/2003 (GUCE n. L 245 del 29/09/2003). Note dell’autore 1. Alla lotta alle mosche era riservata in quel periodo una grande attenzione, non solo nella normativa nazionale ma anche nei regolamenti locali di igiene. 2. Successivamente, il sindaco. 3. NB: non si tratta delle procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP, obbligatorie ai sensi dell’art. 5 del Regolamento 852/2004, la cui violazione è diversamente sanzionata, ma delle procedure dette “procedure delocalizzate” o “prerequisiti”, come le buone prassi igieniche.

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STORIA E CULTURA

Paese che vai, fermentato che trovi

Salse di pesce, dal garum alla colatura di alici di Giovanni Ballarini

Da quando l’uomo si è trovato di fronte alla necessità di conservare gli alimenti, si è accorto che quel particolare processo che oggi noi chiamiamo fermentazione cuoce il cibo senza aver bisogno di nessuna fonte di energia, lo preserva e lo conserva, allungandone la vita. Ogni cultura, accanto ad altri sistemi di conservazione (essiccamento, affumicamento, salagione, congelamento, ecc…), ha sviluppato la fermentazione degli alimenti a lei più consoni. Le culture della Mezzaluna Fertile hanno maturato e perfezionato la fermentazione dei cereali, dei frutti e del miele per

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ottenere birra, vino e idromele; le culture celtiche la fermentazione del latte e della carne per ottenere yogurt, formaggi e salumi; le culture asiatiche, e soprattutto quelle del Pacifico, hanno sviluppato le fermentazioni degli animali acquatici, che, peraltro, sia pure in linea minoritaria, sono presenti anche in altre culture a contatto col mare e i fiumi. Ogni cultura ha quindi le sue fermentazioni e i suoi alimenti fermentati, con aromi e sapori graditi ai suoi popoli, ma che possono non esserlo per altri, con variazioni che cambiano col trascorrere del tempo.

Non bisogna quindi stupirsi che quando nel 1944 reparti di giovani soldati americani allevati e nutriti con latte e formaggi freschi, sbarcati in Normandia ed entrati in cantine di maturazione dei suoi celebri formaggi, Camembert, Livarot, Neufchâtel e Pont-L’Evêque, nauseati da quell’odore che ritennero di putrefazione, siano arrivati a distruggerli coi lanciafiamme. In modo analogo avviene per i pesci fermentati, che emanano aromi e hanno sapori che sono graditi ai popoli che li conoscono e sgraditi a chi non ne è abituato.

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Il garum fu introdotto a Roma durante le guerre puniche come condimento di pietanze a base di carne, pollo, agnello, o verdura. Era un insaporitore che valorizzava tutti i cibi. Si produceva diffusamente nei centri nordafricani da Cartagine alla Numidia, ma non solo. Il migliore era il gari flos, il più puro, il primo liquido filtrato

Prodotti ittici fermentati e salse di pesce La fermentazione è un metodo di conservazione tradizionale del pesce prima di refrigerazione, congelamento e surgelamento, inscatolamento e altre tecniche, migliorate nell’epoca contemporanea con sistemi di bioconservazione che usano anche batteri lattici aggiunti al prodotti da fermentare, producendo antimicrobici attivi quali lattico e acido acetico, perossido di idrogeno, batteriocine e nisina, un conservante particolarmente efficace. Tra i diversi prodotti ittici ottenuti per fermentazione, le salse di pesce tipiche della cucina asiatica trovano grande diffusione nelle preparazioni culinarie di tutto il mondo. Il termine “salsa” deriva dal latino salsus, che significa salato. La salsa è un condimento di cucina formato da un legante e da un sapore più aromi e/o spezie, con consistenza pastosa, cremosa o semiliquida. Il suo scopo è quello di legare insieme tra loro alimenti diversi, fornendogli una consistenza più compatta e uniforme. Accompagnando carni, pesci, pasta o verdure, la salsa dà loro sapore, esaltandone le caratteristiche organolettiche e soprattutto gustative.

“Le salse sono un’idea astratta di sapori compositi che ha preso vita per mano di cuochi pigmalioni”, afferma il gastronomo italiano LIVIO CERINI DI CASTEGNATE, per il quale “l’idea di salsa deve essere nata quando l’uomo preistorico portò per caso alle labbra un dito intinto in quel qualcosa che colava da un agnello allo spiedo e avendolo trovato piacevole pensò di raccogliere quel qualcosa e di versarlo sulle lumache cotte nella cenere”. Ricette di salse vi sono nelle culture antiche dei Sumeri, Egizi, Caldei, Dorici, Assiri, Ebrei, Greci e Romani. Questi ultimi mescolano il sale con erbe aromatiche e aromi come timo, cumino, zenzero, pepe, apio, aneto, croco, nardo e lo usano in cucina, ma soprattutto i Romani del periodo imperiale conoscono e diffondono il garum, il condimento di pesce fermentato più noto nell’antichità. MARCO GAVIO APICIO, nel suo trattato di gastronomia De re coquinaria del I secolo d.C., descrive molte salse da lui inventate, tra cui l’esca Apicii, ovvero il “cibo di Apicio”, da cui deriva il moderno escabeche, in italiano “scapece”, presente in varie forme nelle cucine regionali di diversi Paesi.

A differenza del garum, la colatura prodotta a Cetara è una salsa più povera perché fatta di sole alici, ottenuta nel momento in cui il processo di salagione raggiunge il perfetto punto di maturazione. L’aggiunta di spezie e aromi freschi alla colatura, abilmente mescolati, danno alla salsa un bouquet inimitabile, oggi tutelato dalla Dop La preparazione della colatura di alici nel terzigno, con i pesci sistemati a strati alterni col sale (photo © www.grandchef.net).

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dire i garum, perché ve ne erano di molte varietà e “qualità”, secondo le diverse specie ittiche usate nella sua preparazione, metodo e luogo di produzione e infine destinazione, dal garum di alta qualità per la gastronomia a quello d’infima qualità per gli schiavi.

La sardella calabrese, conosciuta anche come “caviale dei poveri”, è una salsa a base di pesce e peperoncino piccante (photo © www.cookist.it). Ketchup, salsa di pesce che diviene salsa di pomodoro Molto complesso e variabile è il mondo delle salse, come dimostra il caso del ketchup. È questa una salsa originaria della Cina meridionale costiera; gli ideogrammi del suo nome significano “salamoia” e “succo di pesce” e nella ricetta originale ha infatti una base di pesce fermentato. I Cinesi diffondono la salsa nel SudEst asiatico dove prende il nome di kecap o kicap, divenendo in lingua inglese ketchup. Quando nel 1600 questa salsa arriva in Europa, i cuochi la modificano utilizzando svariati ingredienti tra cui ostriche, funghi, noci e limone. Nel 1700 nell’America settentrionale alcuni cuochi modificano ulteriormente la salsa utilizzando il pomodoro. Nel 1812 il primo tomato ketchup (ketchup di pomodoro) è prodotto a Philadelphia da JAMES MEASE e nel 1869 HENRY JOHN HEINZ sviluppa la ricetta del ketchup che tutti ora conoscono.

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In Italia, durante il periodo fascista, il ketchup di pomodoro deve cambiare nome e diviene salsa rubra, con una composizione che si avvicina a quella del bagnèt ross presente sui maggiori ricettari piemontesi fin dalla fine del 1700. Salse di pesce italiche, italiane ed europee Nell’Italia antica i reperti archeologici (resti di lische e di vertebre di pesci, immagini di pesca) testimoniano che si mangiava pesce e alcuni testi di epoca imperiale riportano diverse ricette. Il successo del pesce nella cucina della Roma imperiale è testimoniato anche dalle navi che trasportano il pesce vivo in “vasche” comunicanti con il mare e dalle “piscine” destinate ai pesci, come indica la loro denominazione, e non come oggi al nuoto dei loro padroni. In questo quadro solo accennato un posto principale hanno le conserve di pesce e tra queste il garum, o forse sarebbe meglio

Garum Salsa liquida ottenuta dalla fermentazione di interiora di pesce, pesce e sale che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti piatti. La consuetudine sembra sia stata acquisita dalla cucina dei Greci, come indica l’etimologia del termine garum, che deriverebbe dal greco garos o garon (γάρον), ovvero il nome del pesce i cui intestini sono originariamente usati nella produzione dei condimenti. Il garum di qualità era conservato e distribuito in anfore particolari che, come avviene per il vino, ne riportavano l’origine. A Pompei, un mosaico della Casa di A ULUS U MBRICIUS SCAURUS raffigurante un’anfora per il garum, riporta la scritta G(ari) F(los) SCAM(bri) SCAURI, ovvero il nome del produttore della salsa. A Baelo Claudia (Alumbrada), a una ventina di chilometri da Tarifa, in prossimità del villaggio di Bolonia, nella provincia di Cadice, nel sud della Spagna, è stata individuata una fabbrica di garum con le vasche di fermentazione del pesce. Si ritiene che qui si usasse in particolare il tonno, da cui si otteneva il garum di migliore qualità. Benché abbiamo solo notizie frammentarie e talvolta contraddittorie — di conseguenza c’è incertezza su cosa fosse e come si preparasse esattamente —, si ritiene che il garum potesse essere un liquido più o meno denso della salamoia delle acciughe e altro pesce sotto sale simile alla Colatura di alici di Cetara o al Nuoc Mam e altre salse similari tipiche dell’Oriente. Quasi certamente ogni regione dell’Impero aveva la sua variante, anche in base al pescato. APICIO, nel De re coquinaria, usa il garum in almeno venti ricette; se ne ritrovano poi citazioni nelle Geoponiche, di autore ed epoca

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Ingredienti per la preparazione di un’insalata tipica delle Filippine e Bagoòng, condimento locale preparato con una grande varietà di pesci, in particolare acciughe, persico, aringhe, ma anche vongole, gamberetti e ostriche (photo © NAMHWI KIM). ignoti, in QUINTO GARGILIO MARZIALE, PLINIO IL VECCHIO (23 d.C.-79 d.C.) in Naturalis Historia, LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA (4 d.C.–70 d.C.) in De re rustica, LUCIO ANNEO SENECA (4 a.C.-65 d.C.) in una sua lettera, GAIUS PETRONIUS ARBITER (27 d.C.-66 d.C.) nella descrizione della cena di Trimalcione, MARCO VALERIO MARZIALE (38 d.C.-104 d.C.) nei suoi epigrammi, ISIDORO DI SIVIGLIA (560 d.C.-636 d.C.). Colatura di alici Diffusa nel Salernitano e in particolare a Cetara, la colatura è una preparazione a base di alici. Il pesce è messo sotto sale e poi ricoperto con dischi di legno dal peso via via decrescente, per una pressatura che favorisce la fuoriuscita del liquido, che è poi esposto al sole e infine nuovamente conservato in botti di legno dalle quali cola lentamente (di qui il nome). Più in dettaglio, le alici fresche sono eviscerate e private delle teste, quindi sistemate in un barilotto di legno di rovere detto terzigno, perché ha la capacità di un terzo di botte, a strati alterni di alici e sale. Il contenitore viene poi coperto con un disco in legno detto

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tompagno fermato con grosse pietre. Sotto la pressatura e la maturazione delle acciughe in superficie affiora un liquido che è prelevato ed esposto alla luce del sole estivo. Dopo quattro o cinque mesi il liquido è nuovamente versato nel terzigno, dove si trovano le acciughe sotto sale, per essere poi recuperato attraverso un foro praticato al fondo della botticella e essere infine imbottigliato come un distillato di acciuga e usato anche al posto del sale per insaporire le verdure fresche o lessate e alcuni piatti di pasta o di pesce. La salsa liquida prodotta dal tradizionale procedimento di maturazione delle alici è trasparente, dal colore ambrato. Lo scorso ottobre la Colatura di alici di Cetara ha ottenuto il riconoscimento europeo della DOP, la Denominazione di Origine Protetta. Sardella Salsa tipica della cucina calabrese, soprattutto di Crucoli (KR), Cirò Marina (KR), Trebisacce (CS) e Cariati (CS). Si ottiene miscelando peperoncini rossi con pesci bianchetti di piccolissima taglia, sale e semi di finocchio.

Pasta d’acciughe Ricetta semplice e antichissima, si prepara pestando nel mortaio acciughe dissalate fino ad ottenere una salsa densa. Condimento rudimentale, si è raffinato nel 1800 quando sono cominciate ad essere pubblicate le cuciniere in vari Paesi. Nel 1885 famosa è la pasta d’acciughe fatta da BURGESS, confezionata in vasetti in stile vittoriano e oggi ricercati dai collezionisti. In Piemonte la pasta di acciughe è arricchita aggiungendo un tuorlo d’uovo sodo, capperi e mollica acetosa di pane ed è alla base del bagnèt verd, nel quale entra anche una buona quantità prezzemolo. Alcuni aggiungono l’aglio, altri i pinoli, quindi si passano tutti gli ingredienti nel mortaio fino ad ottenere una pasta omogenea che si serve in una ciotolina. La pasta d’acciughe in tubetto è prodotta per la prima volta verso il 1850 dal toscano CESARE BALENA, in Peretola, provincia di Firenze. La pasta d’acciughe può essere utilizzata per la preparazione di un antipasto o una merenda salata. Acciugata L’acciugata (anchoïade) è una salsa tipica della Provenza a base di acciughe, aglio, olio, aceto e erbe provenzali a piacere. Un tempo si usavano le acciughe salate di barile che andavano dissalate nell’acqua o nel latte e poi spinate. Patum peperium Ricetta inglese messa a punto nel 1828. Si tratta di una salsa densa e salata preparata unendo acciughe, burro e erbe (timo, rosmarino, origano, basilico, santoreggia, menta, maggiorana, salvia, finocchio). Si gusta spalmata sul pane tostato oppure come guarnizione di piatti di carne o patate. Salse di pesce asiatiche Le salse di pesce ottenute da un lungo processo di fermentazione sono un ingrediente essenziale in molti piatti, zuppe e curry delle cucine vietnamita, tailandese, laotiana, cambogiana, filippina, cinese e di altri Paesi del Sud-Est Asiatico.

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Queste salse possono essere aggiunte a qualsiasi piatto durante il processo di cottura o mescolate ad altri condimenti in differenti maniere a seconda degli usi locali di ogni Paese menzionato, col pesce, i crostacei, i molluschi, il pollo e tutti i tipi di carne. Nella Cina del Sud le salse di pesce sono usate spesso nella zuppa, nel brodo e per la casseruola. Tra le molte varietà di queste salse ve ne sono di forti e meno forti; alcune sono fatte con pesce crudo, altre con pesce essiccato, alcune con vari tipi di pesce, altre con solo una varietà, composte solo dalle viscere o di solo sangue, al naturale o più o meno salate, con o senza erbe e o spezie e talune piccanti. Nel Sud-Est asiatico la salsa di pesce è spesso composta da acciughe o seppie, sale e acqua, il tutto è messo in casse di legno a fermentare e pressato lentamente fino a fare fuoriuscire il liquido chiamato diversamente secondo i luoghi e usato con moderazione perché dal sapore piuttosto intenso. Nel Laos e nella regione del NordEst tailandese al confine laotiano si produce una salsa densa che ha un sapore e odore molto forti ottenuta con una lunga macerazione di pesci d’acqua dolce. La salsa semisolidapasta di acciughe indonesiana trasi, la cambogiana prahok, le malesi krill, belacan o budu e la filippina patis sono varianti sullo stesso tema. Nelle Filippine, Laos e Isan la salsa di pesce si usa spesso da sola come condimento delle verdure crude, a volte amalgamata con acqua e qualche volta intiepidita. In Thailandia le varianti di salsa di pesce sono usate per cucinare e come condimento. Alcune di queste salse di pesce meritano un breve cenno. Nuoc mam Salsa di pesce del Vietnam dove costituisce l’insaporitore per eccellenza. Il pesce di mare e di lago, fresco o essiccato, è fermentato a lungo in casse di legno con acqua e sale, insieme a crostacei, visceri, sangue e spezie che variano a seconda delle ricette e che sempre contengono il peperoncino.

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La Nuoc cham è una salsa vietnamita con la quale si condiscono molte ricette tradizionali locali. Apprezzata variante del Nuoc mam, il gusto del pesce fermentato è attenuato dal succo di lime e ingentilito dallo zucchero (photo © Alleko). Nuoc cham È la più celebre e apprezzata variante del Nuoc mam e il gusto del pesce fermentato è attenuato dal succo di lime e ingentilito dallo zucchero. Fish sauce Una salsa liquida di acciughe, sapida, versatile, tipica della gastronomia asiatica e usata di solito per marinare carni e pesci e insaporire insalate. Padaek Molto usata in Thailandia e Laos, è una salsa dall’odore forte, preparata con pesci di lago, crusca di riso e sale fermentata per almeno sei mesi, preferibilmente un anno. Sambal Terasi Salsa indonesiana utilizzata per insaporire insalate e stufati preparata con acciughe, peperoncini piccantissimi, zucchero di canna, succo di lime e mescolata con una pasta densa a base di gamberetti essiccati e fermentati. Bagoòng Condimento diffuso nelle Filippine preparato con una grande varietà

di pesci, in particolare acciughe, persico, aringhe, ma anche vongole, gamberetti e ostriche. Unitamente al sale, la fermentazione dura dai due a tre mesi; spesso il tipico colore rosso è conferito dall’aggiunta di colorante. Patis È una salsa densa delle Filippine ottenuta da pesce, con grande prevalenza dei gamberetti, e sale, con una fermentazione durante la quale eventualmente si aggiunge salamoia e che dura dai sei mesi ad un anno. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 138, fabbrica di garum a Baelo Claudia, città romana sulla costa meridionale spagnola. In Età imperiale era uno dei principali centri per la produzione della salsa. Baelo Claudia si trova infatti sull’Atlantico, su un tratto di mare molto frequentato dai tonni, ingrediente principale del garum di alta qualità. La pesca del tonno, in questa zona, è un’attività millenaria (photo © Álvaro Germán Vilela – stock.adobe.com).

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3, Impasse de la Vigie 35400 Saint Malo Tel.: +33 299 892 885 – Fax: +33 299 891 354 E-mail: togie@wanadoo.fr Web: www.togie.fr



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