I Nostri Cani - marzo 2021

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marzo 2021

Il professor Guidobono Cavalchini parla della sua ultima opera

in trecento pagine Docente universitario nell’ateneo di Milano, ricercatore fra i più noti, giudice ENCI ed allevatore, fa il punto su una razza che ha contribuito alla storia della cinofilia nazionale L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò è la prima di quella che viene. Così il tempo presente.

quieta la campagna piemontese di Tortona, raccontano delle genti di una metropoli avviata alla resurrezione industriale e geniali agricoltori del riso curvi sulla loro fatica: tempi lontani, ciascuno raggomitolato nelle sue storie quotidiane e tutti insieme ad animare un diario di stagioni remote a cui la memoria dà voce e la nostalgia rende affettuoso lo sfogliarle. Proprio come fa il professor Luigi Guidobono Cavalchini in quel suo libro “Il Bergamasco. Da cane dei pastori a cane dei signori” che, pagina dopo pagina ricostruisce e vivifica l’icona di un tempo di cui è parte e continua a vivificare. Allevatore, giudice ENCI, docente universitario fra i più noti e stimati della Facoltà di Veterinaria in Milano, una riconosciuta notorietà nella Società civile che gli ha valso l’onorificenza di “Benemerito del comune di Bergamo”. I perché di un così importante riconoscimento sono molti e fra questi quello di aver salvaguardato una razza – il Cane da pastore bergamasco - che appartiene per carattere ed indole a quelle terre e ne è uno dei simboli nel mondo. Nella biografia fra i traguardi di un percorso accademico importante ed unanimemente riconosciuto, la

(Leonardo da Vinci)

Racconta… e la voce evoca il mormorio dello Scrivia, l’affluente del Po che, nel nome, ricorda l’affisso dei suoi Pastori bergamaschi fondato dal padre e nel fluire dell’acqua il rinnovarsi delle generazioni. Le parole giungono, lievi come increspature d’onda, vivono l’attimo d’un respiro e lasciano il posto ad altre annodandosi in un racconto che ancor oggi par cronaca tanto la voce le rende vivide. Si annodano invece a vicende di tempi lontani quando i buoi trascinavano gli aratri e pochi grandi immaginavano le nazioni del continente sotto una sola bandiera e render vano quanto soleva dire il brasiliano Paulo Coelo “ogni giorno abbiamo un piede nella favola e l’altro sull’abisso”. Dicono, nelle pagine di Luigi Guidobono Cavalchini, di giorni sereni fra lo studio ed i grandi prati che fanno 28


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