FOGLIE n.4/2020

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Agricoltura • Agroalimentare • Turismo RURALE

AVANTI TUTTA !

Agroalimentare primo settore industriale italiano

agricoltura

Rete Lavoro Qualità: “La Gdo paghi quanto deve” Impianti viticoli, le autorizzazioni 2020 agroalimentare

Locale vs Globale ed il punto sulle etichette europee

N° 4 • 1 marzo 2020


ENOLIEXPO RINVIATA

NUOVE DATE: 11, 12 E 13 GIUGNO 2020 EnoliExpo di Bari, due filiere (olio e vino) in un’unica grande rassegna espositiva

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ecependo l’emergenza Coronavirus, riteniamo nostro dovere - in qualità di organizzatori della Fiera ENOLIEXPO e d’intesa con FederUnacoma, nostro partner dell’iniziativa - riposizionare lo svolgimento della medesima dall’11 al 13 Giugno 2020, presso la Fiera del Levante di Bari. Pur non essendo presente in Puglia alcuna emergenza Covid-19, crediamo corretto evitare qualsiasi tipo di aggregazione che comporti preoccupazione per espositori e visitatori, anche tenendo conto la valenza

nazionale della manifestazione. Da parte nostra è doveroso garantire uno svolgimento regolare e sicuro a livello di salute, dato ed il significativo movimento di persone che ENOLIEXPO genera, anche in linea con le decisioni prese da tutti gli altri organizzatori fieristici. Guardando fiduciosi al futuro ed auspicando che entro breve tempo possa rientrare questo stato di generale allarmismo e che trovino piena applicazione tutte le misure opportune per assicurare all’Italia intera una maggiore serenità e fiducia, d’accordo

con Fiera del Levante, l’appuntamento è dunque confermato per Giugno 2020. La scelta della nuova data, non dilatata nel tempo, risulta compatibile con i due settori agroalimentari di riferimento quali l’olivicoltura e la vitivinicoltura, senza interferire con altre manifestazioni nazionali che possano avere una qualche analogia. La Segreteria Organizzativa rimane a disposizione per chiarimenti e informazioni al numero 0532-909396.




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ditoriale

1 marzo 2020 - n. 4 - Anno 15

Quindicinale di Agricoltura Agroalimentare Turismo RURALE

Mipaaft: le ultime iniziative per il made in Italy agroalimentare

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Iscritto all’Albo Cooperative a Mutualità Prevalente N.A182952 Editrice

G.Ed.A. Giovani Editori Associati Soc. Coop. Via Alcide De Gasperi 11/13 - 70015 - Noci (BA) Direttore responsabile Vito Castellaneta Grafica e impaginazione G.Ed.A. Giovani Editori Associati Hanno collaborato Donato Fanelli, Antonio Resta, Rocco Resta, Nicola Trisolini, Paola Dileo, Micaela Cavestro, Rino Pavone, Mara Coppola Pubblicità G.Ed.A Rino PAVONE r.pavone@foglie.tv 380 6328672 Stampa Grafica 080 - Modugno (BA) Registrato al Registro Nazionale della Stampa Tribunale di Bari N. 61/06 del 15/11/2006 www.foglie.tv redazione@foglie.tv 347 9040264 Iscritta al Registro Operatori Comunicazione ROC n.26041 TESTATA GIORNALISTICA ACCREDITATA

ampagna pubblicitaria in periodo di virus e maggiori tutele: sono le iniziative a favore del Made in Italy lanciate in questi giorni dal Governo. “L’Italia fa bene. Chi lavora ogni giorno per produrre l’agroalimentare lo sa. Il nostro cibo è di altissima qualità e chi in questi giorni mette in discussione la qualità dei nostri prodotti deve essere messo di fronte a questa evidenza. L’Italia fa bene e i nostri controlli sulla qualità e sulla salubrità dei prodotti sono tra i migliori al mondo.” Così la Ministra Teresa Bellanova in un video su facebook in occasione dell’evento “L’Italia fa bene” ospitato al Ministero delle Politiche agricole, alimentari, forestali con un pranzo sociale a base di prodotti rigorosamente italiani. Bellanova ha invitato tutti i protagonisti dell’agroalimentare italiano a rilanciare sui canali social immagini e video dei loro prodotti utilizzando l’#litaliafabene: “L’Italia fa bene e invito chi ogni giorno mette competenze, professionalità e passione per fornire buon cibo e buon vino, a far conoscere le tecniche di produzione e la qualità dei nostri prodotti“. E ora anche uno strumento in più per la tutela dei prodotti made in Italy, le indicazioni geografiche, i consumatori. E soprattutto per il riconoscimento del valore prioritario della identità dei cibi, uno degli elementi fondativi alla base della Dieta

Mediterranea patrimonio dell’umanità. Infatti con la riforma, proponente il Ministro Bonafede e co-proponente la Ministra Teresa Bellanova, approvata dal CDM, si rafforzano gli strumenti normativi contro illeciti agroalimentari: frodi, contraffazioni e agropiraterie. “Il falso made in Italy”, ricorda la Ministra Bellanova,“costa al nostro Paese 100 miliardi di euro l’anno, contro i circa 42 di export dei prodotti autentici. Un vero e proprio furto di identità che danneggia i nostri produttori, mina la salute dei consumatori, ingannandoli, rischia di incrinare la reputazione del Paese. Con questo testo che prende le mosse da una proposta della Commissione Caselli, si garantisce l’effettiva tutela dei prodotti alimentari, si rielabora il il sistema delle sanzioni, si amplia la sfera delle tutele. Non a caso fin dal mio insediamento al Ministero ho sostenuto la necessita di rafforzare ulteriormente il sistema di controlli che già oggi ci pone fra i migliori al mondo per poter tutelare di più e meglio le nostre indicazioni geografiche e i nostri marchi e sconfiggere la concorrenza sleale che avvelena le filiere e produce distorsioni inaccettabili di mercato. Per questo un grazie a Giancarlo Caselli e a tutti i componenti dell’Osservatorio Agromafie che con il loro lavoro hanno contribuito in modo determinante alla definizione delle nuove norme”.



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ommario

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COLDIRETTI FOGGIA 19 Perde pezzi

editoriale

IN ITALY 5 MADE Le ultime iniziative del Mipaaf

8 AGRICOLTURA

giovani agricoltura 23 Under 35 pugliesi top in Italia

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20 CAVOLI AMARI

Ai tempi del Coronavirus

24 DIETA MEDITERRANEA Tornare alle origini

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agroalimentare

8 RETE LAVORO QUALITà

12 AGROALIMENTARE

10 IMPIANTI VITICOLI

14 ETICHETTE EUROPE

UVA DA VINO 18 Capitanata, nessuna riduzione produttività

16 ACQUISTI ONLINE ALIMENTARI 28 MOBILITà SOSTENIBILE Le sfide del futuro

“La Gdo paghi quanto deve” Le autorizzazioni 2020

Primo settore industriale italiano

Il punto della situazione La classifica 2019

zootecnia


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gricoltura

Bari, Lavoro Agricolo di qualità

“ La GDO paghi quanto deve”

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ARI – “Ben venga la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, ma CIA Agricoltori Italiani vuol porre un quesito alle istituzioni: se la GDO, Grande Distribuzione Organizzata, chiede che le imprese italiane che forniscono i prodotti rispettino determinati parametri, la stessa richiesta è o sarà fatta anche alle aziende straniere da cui si continua ad approvvigionare per tenere i prezzi corrisposti ai produttori a livelli di fame?”. La questione è stata posta durante l’incontro convocato dalla Prefettura di Bari per la “Istituzione della sezione territoriale della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità”. All’incontro, oltre che tutte le organizzazioni agricole, hanno partecipato anche i referenti INPS, Regione Puglia, Città Metropolitana di Bari, Ispettorato Territoriale del Lavoro, Inail, Asl e sindacati confederali. “Le imprese e le organizzazioni agricole non si sottraggono alla sfida”, ha dichiarato Giuseppe Creanza, direttore provinciale di CIA Levante, “anzi, noi rilanciamo. E’ giusto che

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di Rino PAVONE

le aziende italiane di qualità, quelle che con enormi sacrifici rispettano regole severissime e carichi burocratici assurdi, abbiano una corsia preferenziale per vendere i propri prodotti. Occorre però che anche la GDO, da parte sua, paghi un prezzo remunerativo ai produttori italiani e s’impegni a privilegiare il prodotto italiano che, com’è noto, per gli alti standard qualitativi imposti dalla legge e dai controlli, garantisce sicuramente una migliore salubrità ed

è il frutto di un processo produttivo all’interno del quale per i lavoratori si rispettano tutti gli accordi presi nell’ambito dei contratti agricoli frutto di concertazione”, ha aggiunto Creanza. “Non bisogna bendarsi gli occhi e puntare il dito a casaccio, come sempre, contro gli imprenditori agricoli”, ha spiegato Felice Ardito, presidente provinciale di CIA Levante. “Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: serve che le regole siano certe e che vengano

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fatte rispettare anche alle aziende straniere, altrimenti siamo di fronte a una sleale concorrenza che abbassa artificiosamente i prezzi corrisposti ai nostri produttori. Vogliamo lottare veramente contro il caporalato, il lavoro nero e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura? Bene, allora cominciamo con l’alleggerire gli agricoltori di fardelli burocratici assurdi, e con il favorire un riequilibrio dei rapporti di forza tra aziende agricole e GDO. Cominciamo seriamente a porre in atto meccanismi che garantiscano un giusto livello remunerativo per i prodotti italiani, mettendo fine alle doppie aste al ribasso e a una im-

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portazione massiccia dall’estero di prodotti dei quali non conosciamo la qualità né le modalità di produzione”, ha proseguito Ardito. Per CIA Agricoltori Italiani, il punto d’equilibrio tra le istanze dei lavoratori, le necessità dei produttori e le esigenze della GDO può essere trovato solo e soltanto attraverso la riorganizzazione di un sistema che garantisca i lavoratori per i propri diritti, le aziende agricole per ciò che attiene al riconoscimento di prezzi remunerativi e la Grande Distribuzione Organizzata per quanto concerne l’ottenimento di prodotti qualitativi che rispettino la domanda di salubrità dei consuma-

tori. Occorre snellire le procedure ed evitare che una semplice sanzione ricevuta da un’azienda impedisca alla stessa l’adesione alla Rete di Qualità. Gli oneri sociali cui devono far fronte le imprese sono troppo elevati, occorre un impegno immediato del Governo per una loro riduzione alla media europea. E’ un lungo cammino, ma è l’unica strada per ottenere la costruzione di filiere produttive e commerciali corrette, capaci di salvaguardare i legittimi interessi di tutti e, soprattutto, di garantire ai cittadini di avere sulle proprie tavole dei prodotti sani, gustosi, che rispondano a criteri di qualità e di eticità.

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Definite le modalità operative

Le autorizzazioni 2020 per gli impianti viticoli

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on la Circolare n.11517 del 13 febbraio 2020 AGEA, (agenzia per le erogazioni in agricoltura) ha definito le modalità operative per il rilascio delle autorizzazioni per i nuovi impianti, per i reimpianti viticoli e per la costituzione e l’aggiornamento del Registro Informatico Pubblico delle autorizzazioni degli impianti viticoli, conformemente al Regolamento UE n.1308/2013. Come è noto, ormai dal 1 gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2030, i vigneti di uva da vino possono essere impiantati o reimpiantati solo se è stata concessa l’autorizzazione ai sensi dei D.M. n.1213/2015, 12272/2015,527/2017 e 935/2018. Dette autorizzazioni che hanno sostituito i “diritti di impianto” della vecchia normativa, sono gratui-

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di Avv. Angela Quatela te, non trasferibili tra produttori e concesse ai richiedenti che presentino apposita domanda all’Autorità Competente. L’istanza e la successiva concessione dell’autorizzazione potranno essere inoltrate tramite apposite funzioni e procedure automatiche, disponibili in ambito SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) o OP/Regioni. La concessione e la registrazione dell’autorizzazione potrà avvenire nell’ambito di 4 procedimenti amministrativi: 1) Rilascio di autorizzazioni per nuovi impianti (annuale): il Mipaaf con decreto n.6049 del 14/11/2019 ha stabilito che la superficie nazionale autorizzabile per l’anno 2020 è di 6722 ettari, determinata dal 1% della superficie vitata nazionale riscontrata alla data del 31 luglio

2019 e dalle eventuali superfici assegnate nella campagna precedente ma rese disponibili a seguito di comunicazioni di rinuncia. Il rilascio delle ridette autorizzazioni è soggetto al rispetto di una serie di criteri di ammissibilità e di priorità dettagliatamente indicate nella Circolare n.11517/2020. Specificatamente in ordine ai criteri di ammissibilità giova evidenziare che al fine di contrastare fenomeni elusivi del criterio di distribuzione proporzionale, dal 2017 nelle domande di autorizzazione per nuovi impianti dovranno essere specificate la dimensione richiesta e la Regione nella quale si intende localizzare la superficie oggetto della richiesta e quindi le autorizzazioni concesse dalla campagna anni 2017 e 2018 non sono più trasferibili da una

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regione ad altra, poichè in contrasto con il criterio di ammissibilità. In ogni caso il vigneto impiantato a seguito di autorizzazione dovrà essere mantenuto per un numero minimo di 5 anni, salvo i casi di forza maggiore e/o per motivi fitosanitari che in caso di estirpo anticipato non daranno origine ad autorizzazione di reimpianto. Si confermano i criteri di priorità già riconosciuti nelle campagne precedenti e quindi a) a favore delle organizzazioni senza scopo di lucro con fini sociali che hanno ricevuto terreni confiscati per reati di terrorismo e criminalità purchè siano soddisfatte determinate indicate condizioni; b) per le particelle agricole caratterizzate da superfici soggette a siccità,con scarsa profondità radicale, con problemi di tessitura e pietrosità del suolo, in forte pendenza, in zone di montagna o ubicate in piccole isole; c) per le superfici in cui l’impianto di vigneti contribuisce alla conservazione dell’ambiente (es.produzione biologica). Il periodo di riferimento per la presentazione delle domande (DM n.12272/2015) va dal 15 febbraio al 31 marzo e devono contenere l’indicazione della o delle regioni alle quali si intende richiedere le autorizzazioni, le superfici richieste e la scelta dei criteri di priorità di cui si chiede il riconoscimento. La Regione Puglia per questa campagna ha applicato quale limite massimo per domanda 20 ettari. Predisposta la graduatoria di assegnazione, il Ministero comunicherà telematicamente l’elenco del-

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le aziende, alle quali sono concesse le autorizzazioni di nuovo impianto, alle Regioni competenti che entro il successivo 1 giugno rilasceranno le autorizzazioni; di tanto verrà data idonea pubblicità con la pubblicazione dell’elenco ministeriale sul Bollettino Ufficiale Regionale così da consentire eventualmente ai beneficiari, entro i successivi 30 gg. di rinunciarvi. Le autorizzazioni hanno validità di 3 anni dal rilascio. 2) Conversione dei diritti di reimpianto in autorizzazioni Il titolare del diritto di reimpianto deve presentare telematicamente alla Regione che ha in carico il diritto la richiesta di conversione in autorizzazione, non oltre la data di scadenza del diritto e non oltre il 31/12/2020. 3) Rilascio autorizzazioni per reimpianto Le autorizzazioni per reimpianti sono concesse ai produttori che hanno estirpato una superficie vitata e che presentano una richiesta alla Regione competente che sarà quella che effettuerà il controllo dell’avvenuto estirpo. I produttori potranno presentare la domanda entro la fine della seconda campagna successiva all’estirpazione e le Regioni rilasceranno le autorizzazioni entro tre mesi dalla richiesta e avranno validità di 3 anni dal rilascio. 4) Reimpianti anticipati La procedura di reimpianto anticipato consente di effettuare un nuovo impianto con l’impegno di estirpare, nella medesima Regione, un’equivalente superficie vitata

entro la fine del quarto anno dalla data in cui le nuove viti sono state impiantate. Non è consentita la richiesta di modifica della regione di riferimento per le autorizzazioni al reimpianto anticipato. Elencati molto sinteticamente i processi amministrativi autorizzatori, la Circolare non manca di illustrare tutto il sistema sanzionatorio così come previsto nella L.238/2016 (c.d.T.U.del Vino). Purtroppo,annualmente la superficie nazionale autorizzabile risulta sempre essere inferiore rispetto alla domanda delle singole aziende, per cui non ci resta che auspicare che i beneficiari ne sappiano sfruttare al meglio la preziosa risorsa, puntando sempre più sull’eco-sostenibilità della produzione di qualità.

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groalimentare

Unico in salita di produzione

L’AGROALIMENTARE E’ IL PRIMO SETTORE INDUSTRIALE ITALIANO

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dati Istat indicano che nel 2019 la produzione industriale italiana è calata dell’1,3%. Ma se due settori storici dell’industria manifatturiera italiana come la moda e l’automotive hanno registrato cali rispettivamente del 4,6% e 4,4% vi è anche un settore che ha aumentato la produzione del 3% ovvero l’agroalimentare. Il cibo, fa notare Coldiretti, è diventato la prima ricchezza del paese con una filiera dal campo alla tavola incluso l’horeca, che ha raggiunto la cifra di 538 miliardi, il 25% del PIL, con 3,8 milioni di occupati. Cresciuto considerevolmente anche l’export, con una crescita del 4% che fa segnare il nuovo record, dopo i 41,8 miliardi registrati nel 2018, con i due terzi delle esportazioni avvenute all’interno dell’Unione Europea. Chiaro che in questo 2020 il Made in Italy agroalimentare è chiamato a superare due durissi-

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me prove rappresentate dai dazi americani e dalla Brexit che potrebbero seriamente compromettere le esportazioni verso il terzo e quarto partner commerciale per l’industria agroalimentare italiana. Un’altra nota di Coldiretti va notare appunto come le esportazioni di Parmigiano reggiano siano già calate del 54% a Novembre e del 43% a Dicembre rispetto ai dati del 2018. Non bisogna ovviamente dimenticare i 100 milioni dell’Italian Sounding, vera e propria spina nel fianco per l’agrifood nostrano, con gli Stati Uniti in prima linea nelle false produzioni made in Italty seguiti da Canada, Australia e Sudamerica. Palese che l’assioma “-Italian Sounding = +PIL” sia tutto da dimostrare, ma è chiaro che protocolli d’intesa come quello firmato ad Anuga possano contribuire a tutelare le nostre eccellenze agroalimentari. Coldiretti fa poi

notare che a tale crescita del cibo italiano nel mondo abbia senz’altro contribuito la diffusione della Dieta Mediterranea patrimonio Unesco così come i primati conquistati dal comparto agricolo nostano: 297 Dop/Igp, 415 vini Doc/Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole bio, la decisione di non coltivare ogm, 40mila aziende agricole impegnare nel custodire semi o piante a rischio di estinzione così come il primato della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari. E il nostro paese si conferma anche leader nella biodiversità, grazie alle 504 varietà iscritte al registro delle viti contro le 278 dei cugini francesi e 553 cultivar do olive contro le 70 spagnole. È proprio il caso di dire “Cibo italiano avanti tutta”.

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groalimentare

Tematiche europee

ETICHETTE A SEMAFORO, NUTRI-SCORE E BATTERIA: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

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l Nutri-Score e l’etichetta a batteria sono diventate nelle ultime settimane un tema oggetto di dibattito su giornali, tv, social e anche su diversi siti internet e blog. In vista della loro eventuale introduzione nella regolamentazione europea, da molte settimane la stampa italiana specializzata e ancor più quella riferibile ad alcuni settori politici, si è focalizzata nel confronto tra due diverse “nuove” facoltative forme visive di informazione sulla qualità e composizione degli alimenti. Si tratta di due sistemi visivi volontari che andrebbero ad aggiungersi a quelle obbligatorie e facoltative, già presenti e codificate dai Regolamenti comunitari. Il Nutri-Score, proposto inizialmente dalla Francia, a cui ha dato il proprio assenso anche la Germania, la Spagna e Belgio, è già utilizzato in Francia dal 2016 e in Belgio e Spagna dal 2018. La sua adozione a livello comunitario è stata proposta alla UE, e la relativa domanda è stata solo registrata il 30 aprile 2019, ma mai discussa, recepita od autorizzata (Decisione (UE) 2019/718 della Commissione, notificata con il numero C-2019- 3232).

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Questa etichettatura, proposta dall’EREN, un gruppo di ricerca pubblica francese sulla nutrizione guidato da un docente dell’Università di Parigi-13 insieme ad ISERM, INRA e CNAM, si basa essenzialmente sul punteggio nutrizionale FSA creato a suo tempo dall’Agenzia alimentare del Regno Unito. Questa proposta ha anche ricevuto un parere positivo da 5 esperti italiani nel settore. Il Nutri-Score, utilizza un “semaforo”, con lettera e colore associato per valutare globalmente il valore nutrizionale su 100 grammi di alimento integrando tra loro le quantità dei componenti l’alimento già presenti nell’etichetta obbligatoria (energia, proteine, grassi, grassi saturi, carboidrati, zuccheri, fibra, sale). Quando le loro percentuali superano i limiti ritenuti come accettabili rispetto alla quantità giornaliera di assunzione raccomandata dalla EU, il colore risultante varierà, in gradazione, dal verde (altamente consigliato) al giallo, all’arancione, fino al rosso (altamente sconsigliato). Ciò dovrebbe consentire al consumatore una scelta ragionata. La Nutrinform Battery è una proposta in corso di elaborazione con il contributo

di quattro ministeri: quello della Salute, degli Esteri, dell’Agricoltura e dello Sviluppo economico. Mentre sembra finalmente in dirittura di arrivo il decreto interministeriale per l’adozione su base volontaria in Italia dell’etichetta a batteria, il Governo italiano si propone di inviare a breve alla UE anche la richiesta di valutarla, come controproposta alla etichetta a semaforo Nutri-Score, per una possibile introduzione come normativa europea. Essa in pratica traduce visivamente la tabella nutrizionale e prende in considerazione il fabbisogno energetico fornito da ogni singola porzione. La sua elaborazione in Italia proviene da un gruppo di studio composto dall’Istituto superiore di Sanità, dal Consiglio superiore dell’Agricoltura e dal CREA, in collaborazione con Federalimentare, Coldiretti e LUISS. La Nutrinform Battery è composta da 5 box indicanti rispettivamente energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale, e suggerisce, per singola porzione ed all’interno di ogni box la specifica percentuale rispetto alla quantità giornaliera di assunzione raccomandata dalla EU. Ciò dovrebbe consentire al consumatore www.foglie.tv


una scelta immediata ragionata. Alcune considerazioni sui due sistemi Ambedue i sistemi tendono a dare un giudizio sulla qualità nutrizionale dell’alimento, e la loro utilizzazione sembra essere utile in particolare per una serie di prodotti trasformati come gli yogurt, gli snack, i biscotti, le pizze, le salse, le bevande gassate, i succhi di frutta ed alcune classi di prodotti surgelati. Possono anche trovare spazio, anche se in misura minore, nelle confezioni di sottaceti e sottolio. Per ovvi motivi, non sembrano invece di immediata utilità ed applicazione in tutti i prodotti da banco (gastronomia, affettati, frutta e ortaggi) e nei numerosi prodotti porzionati quando vengono confezionati estemporanemente in loco (carni, formaggi, salumi). Ambedue le proposte mirano ad attribuire un punteggio all’alimento, ma come è visibile nel confronto qui sotto riportato in figura, la loro duplice lettura può talvolta essere recepita in modo diverso dal consumatore, dando luogo ad interpretazioni non coincidenti. Di conseguenza il rischio, ancora latente ma crescente, è quello che il confronto in atto tra le due proposte si collochi, presso la UE, più ad un livello politico di posizione, nazionalistico, di “campanile” tra Paesi e Governi interni alla UE piuttosto che su un corretto esame dei possibili vantaggi e/o svantaggi verso il solo soggetto che deve essere l’interessato: il Consumatore Europeo. È bene ricordare che le informazioni facoltative, i cosiddetti claims, previsti dal Regolamento (CE) n. 1924/2006 del 20 dicembre 2006 e dal Regolamento (UE) N. 432/2012 del 16 maggio 2012, sono finalizzati solamente a facilitare e migliorare la lettura ragionata e di immediata interpretazione dell’etichetta da parte del Consumatore, senza mai far emergere, anche nascostamente od indirettamente, informazioni scorrette di “parte”, di “Regione” o di “Paese”. Nutriscore: 1. Obbiettivamente lo schema a 5 colori è visivamente di facile ed immediata lettura, così come presente già (ma l’esempio non è gradito a tutti) nella la classificazione in classi energetiche degli elettrodomestici. 2. Il Nutri-Score, che valuta quantità pari a 100 grammi di prodotto, permette di confrontare correttamente tra loro solo prodotti appartenenti ad una stessa caN° 4 - 1 marzO 2020

tegoria. Nel quotidiano può accadere che un consumatore non attento, basandosi solo sul colore del “semaforo”, metta sullo stesso piano alimenti molto diversi tra loro anche se non appartenenti alla stessa categoria Nutrinform Battery: 1. Visivamente, la grafica risulta obbiettivamente non di immediata lettura, per la presenza dei numerosi riferimenti numerici presenti. 2. Essa valuta la singola porzione (il cui peso però può talvolta essere variabile da ditta a ditta) permettendo quindi di confrontare correttamente tra loro solo categorie di prodotti confrontabili quando di identica quantità. 3. Il sistema fornisce correttamente importanti informazioni qualitative generali, tenendo conto dell’alimento nel suo insieme, nel rispetto dei principi della dieta mediterranea, basata sulla conosciuta e nota “piramide alimentare”, che non esclude alcun cibo, ma ne indica le quantità consigliate. Alcuni casi particolari Prendiamo ora in esame una vasta categoria di prodotti non solo italiani ma anche europei e che fanno già parte delle Regolamentazioni comunitarie sui marchi e denominazioni (DOC, DOP, IGT, STG ecc.). A questo gruppo di prodotti, tuttora oggetto di accesa discussione, appartengono i vini, gli oli, i formaggi, gli aceti balsamici, i prosciutti (vigilati inoltre anche dai Consorzi di Tutela) ma anche diverse tipologie di carni, ortofrutticoli e cereali, frutta, salumi, pesci, crostacei e molluschi, pane e prodotti di pasticceria e panetteria, quando confezionati e proposti dalle Industrie alimentari. È importante innanzitutto ricordare che tutte le informazioni necessarie alla loro identificazione sono ovviamente già presenti nella parte obbligatoria della etichetta

unitamente alla garanzia di produzione in aree geografiche delimitate e nel rispetto dei disciplinari di produzione. Per questi prodotti è stato recentemente proposta da alcuni la loro esclusione da ambedue i sistemi facoltativi di etichettatura, poiché la “storia” di ognuno di essi sarebbe di per sé sufficiente per garantirne la qualità. Questa ipotetica esclusione sembra invece, a nostro avviso, non consigliabile, perché potrebbe apparire, pur essendo l’informazione facoltativa, come una limitazione alla trasparenza e potrebbe quindi essere considerata come discriminatoria, escludente e in definitiva negativa per quelle categorie. Lo stesso concetto vale anche per le bevande alcoliche (vini, birre, superalcolici) quando tutelate da marchi e denominazioni. Anche se in esse è talora prevalente l’aspetto edonistico su quello nutrizionale (talvolta negativo per il contenuto in alcool), la possibilità di utilizzare ambedue le proposte comunque potrebbe avere un effetto positivo, anche se con risultati attesi forse diversi. Conclusioni L’impressione che emerge è che con le etichette a “semaforo” francesi si corra il rischio di semplificare molto, anzi troppo, l’indirizzo del consumatore nella sua scelta, portandolo progressivamente ad essere non più un soggetto pensante ma un semplice acquirente su base cromatica. Quelle italiane a “batteria”, sicuramente più complete ed esaurienti, non aggiungono però in pratica molto di più a quanto, seppur sinteticamente già presente per legge sulle confezioni. Ciò potrebbe allungare il “tempo di osservazione e lettura” da parte dell’acquirente, con un evidente possibile rischio di trascurare o vanificare l’importanza dell’informazione.

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groalimentare

70,3€ media mensile a novembre 2019

LA CLASSIFICA 2019 DEI PRODOTTI F&B PIU’ ACQUISTATI ONLINE

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novembre 2019, il carrello medio della spesa è stato di 70,3 euro, in crescita del 10% rispetto allo stesso mese del 2018. I prodotti più acquistati a livello nazionale sono quelli appartenenti alla categoria formaggi e salumi, per un ammontare complessivo pari al 12,7% del totale della spesa. Seguono frutta e ver-

dura (all’11,3%) e acqua, bibite e alcolici (10,3%). Sono i dati salienti dell’analisi di Supermercato24 sulla spesa online degli italiani. La spesa media per frutta e verdura in Italia a novembre 2019 è stata di 8 euro. Rispetto al mese precedente non si registrano variazioni degne di nota, mentre anno su anno vi è una crescita del 12%.

Formaggi, salumi e gastronomia12,7% Frutta e verdura11,3% Acqua, bibite e alcolici10,3% Carne e pesce10,1% Colazione, dolciumi e snack8,6% Sughi, scatolame, condimenti7,5% Latte, burro e yogurt6,6% Surgelati e gelati5,9% I consumatori che hanno effettuato acquisti online su Supermercato24 hanno speso mediamente 7,1 euro per carne e pesce, con un aumen-

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to del 25% rispetto allo stesso mese del 2018. La categoria dei formaggi e salumi, risultata la più venduta, ha registra-

to a sua volta un aumento del +16% rispetto a novembre 2018. Non sono variate invece in modo significativo le vendite di acqua, bibite e alcolici. www.foglie.tv



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gricoltura

La provincia di Foggia è una delle aree italiane con la media più alta di produzione

Uva da vino, Cia Capitanata: “Nessuna riduzione della produttività”

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OGGIA – “La Capitanata è una delle aree italiane con la più alta media per ettaro di produzione delle uve da vino. C’è una discussione in atto, all’interno della filiera vitivinicola nazionale, rispetto alla necessità di ridurre le quantità di prodotte per ettaro al fine di riequilibrare il meccanismo domanda-offerta per ottenere prezzi più remunerativi. E’ una discussione utile e necessaria ma, in accordo con il 90% di tutte le componenti della filiera, CIA Agricoltori Italiani sostiene che la riduzione da concordare debba essere progressiva e non immediata, perché l’interesse prioritario da difendere è quello di favorire e non di penalizzare i produttori, la loro capacità produttiva e la programmazione della stessa”. A intervenire sulla questione, fortemente dibattuta in questi giorni anche e soprattutto a livello nazionale, è Nicola Cantatore, direttore provinciale di CIA Capitanata. “Negli ultimi 10 anni”, ha aggiunto Michele Ferrandino, presidente provinciale dell’organizzazione per tutta l’area del Foggiano, “i nostri produttori hanno dichiarato e certificato all’Agea di aver prodotto quantità più elevate della media nazionale di uva da vino per ettaro. Si tratta di produzioni importanti non solo quantitativamente, ma anche dal punto di vista qualitativo, con una crescita rilevante di quote di mercato”. La Capitanata, in sostanza, sarebbe penalizzata se, a livello

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nazionale, fosse imposta tout court, senza distinzioni tra i diversi territori, una riduzione delle quantità prodotte da attuare nel giro di un solo anno. Una decisione simile, infatti, andrebbe a penalizzare i produttori vitivinicoli.“Per questo motivo”, ha spiegato Cantatore,“CIA Agricoltori Italiani e la quasi totalità delle diverse componenti la filiera vitivinicola italiana stanno decidendo, attraverso un approfondimento e un’analisi tutt’ora in corso, quali siano i migliori meccanismi da attuare progressivamente, con l’obiettivo specifico di tutelare le esigenze e gli interessi dei produttori vitivinicoli”, ha aggiunto il direttore provinciale di CIA Capitanata. “Riteniamo che, per ciò che attiene a questa importante questione, sia condizione inderogabile quella di trovare un’intesa concordata, ben ponderata in tutti i suoi possibili sviluppi, e soprattutto che realizzi un equilibrio capace di soddisfare tutte le componenti in gioco. Il settore vitivinicolo, in Puglia e in modo particolare in provincia di Foggia, ha fatto passi da gigante negli ultimi 20 anni. Sono cresciute e vanno consolidandosi esperienze innovative di cantine dove si è realizzato quel ricambio generazionale che, in altri settori del comparto, tarda ad affermarsi. Si tratta di un settore dove sempre maggiore è l’apporto positivo delle donne e all’interno del quale vanno sviluppandosi integrazioni con turismo e multifunzionalità.

E’ anche alla luce di queste dinamiche che va ponderata qualsiasi decisione rispetto agli assetti produttivi. Noi ci siamo e crediamo che ‘fughe in avanti’ e prese di posizione ‘in solitaria’ non siano la strada giusta per centrare quegli obiettivi di redditività e sviluppo che sono condizione irrinunciabile di una crescita di tutto il settore vitivincolo”, ha concluso il presidente provinciale di Cia Capitanata Michele Ferrandino.

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Anche Giuseppe De Filippo

Coldiretti Foggia perde pezzi:. “Non siamo yes-man”

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oldiretti continua a perdere pezzi. Dopo le dimissioni del presidente provinciale, Giuseppe De Filippo, lascia anche Vittorio Feola, presidente della Coldiretti di Orta Nova. “In seguito alle dimissioni del nostro presidente provinciale Giuseppe De Filippo, persona a cui va la mia più grande stima e gratitudine per il lavoro svolto, ho maturato la decisione di lasciare anche io la presidenza della Coldiretti di Orta Nova”, spiega

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Feola. “Avevamo iniziato un bel percorso insieme, ma purtroppo i vertici regionali hanno dimostrato di avere altre priorità rispetto al bene della nostra agricoltura”. “Lascio la sezione di Orta Nova come la più virtuosa della provincia, soprattutto grazie alle persone che vi lavorano. Ho un difetto, non riesco ad essere uno ‘yes-man’ e allora sono costretto a lasciare, facendo una dovuta precisazione. La presidenza della Coldiretti non dà diritto ad alcun compenso quindi, in questo

periodo di un anno in cui ho ricoperto questo ruolo, sono stato mosso soltanto dall’amore per la mia terra e non da alcun interesse, tanto più che economico”. “Lascio con un’altra amara considerazione”, conclude Vittorio Feola. “Contrariamente a quanto si dice, nella nostra provincia, a quanto pare l’unione non fa la forza. Ringrazio il direttore provinciale, Marino Pilati, persona sempre disponibile e preparata, a lui l’arduo compito di ricostruire la Coldiretti Foggia”.

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groalimentare

Focus con il prof. Montemurro

I cavoli al tempo del coronavirus e ... dintorni di Prof. Pasquale MONTEMURRO

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Il titolo del film ‘Amore al tempo del colera’, tratto da quello omonimo del libro Gabriel García Márquez si potrebbe, fantasiosamente, in questo momento parafrasare in ‘I cavoli al tempo del coronavirus’. La trama potrebbe consistere in un dialogo intessuto tra due amici, di nome Franco e Mario, che si incontrano e discutono del coronavirus. Franco esordisce chiedendo: “Ma secondo te il coronavirus diventerà pandemico?”. La risposta di Mario non tarda con Ma che cavolo dici!’ ... ed ancora in modo più deciso Non dire cavolate! “Tu non sei mica un medico e quindi” Non ne capisci un cavolo! A quel punto, Franco riprende dicendo “Ma se dovesse arrivare?”. Allora Mario replica “Non ci vorrebbe proprio”, aggiungendo che “se il virus dovesse arrivare, sarebbe un evento inopportuno, perché apparirebbe” ... come un cavolo a merenda! “E poi, se è davvero tanto pericoloso, in questo caso sarebbero” Cavoli

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amari! Ma poi Franco continua domandandogli: “Ma tu cosa faresti?” A quel punto Mario ribatte piuttosto seccato: “Beh, e a te che interessa cosa farei: Son cavoli miei! Ed ancora Franco riprende “Sì, ma ricorda che è necessario che tu prenda delle precauzioni, evitando gli ambienti chiusi ed affollati, lavandoti spesso le mani, usando una mascherina, e quant’altro”. A quella osservazione, ancora più infastidito Mario risponde E che cavolo! “Io devo andar girando con una mascherina? Ma non se parla proprio! Io la mascherina non la metto nemmeno a carnevale”. Franco replica dicendogli “Lo sai che mi dai proprio l’impressione di” Essere nato sotto un cavolo? “Amico mio, non fare la” Testa di cavolo! Ed ancora Non fare un cavolo “sarebbe per te molto pericoloso. Tu ti devi proteggere, perché se prenderai delle precauzioni” Salverai capra e cavoli, “se invece andrai in giro senza prenderle, potresti incontrare qualcuno che ti

trasmette il virus: sai come si dice” Tanto va la capra al cavolo, che ci lascia il pelo! “Ed allora potresti anche morire e” ... andare a ingrassar cavoli! “In ogni modo, se dovessi prendere il virus ed avere la febbre, spero che tua moglie ti assista e ti coccoli, magari dicendoti, come fanno i Francesi, ‘Mon petit chou’, che tradotto vuol dire mio piccolo cavolo”. Ma poi, nel concludere il loro dialogo, visto che a quanto pare il coronavirus avrà sicuramente un’influenza negativa dal punto di vista economico, i nostri due amici potrebbero essere senz’altro d’accordo su quanto affermava Giulio Andreotti, il quale era dell’idea che L’inflazione non è un cavolo che vale mille lire, sono mille lire che valgono un cavolo. Ma certamente, il grande statista non avrebbe mai accettato di andare a piantar cavoli; infatti, non si è mai ritirato a vita privata, abbandonando la vita pubblica per trovare soddisfazione in un’esistenza più semplice, come invece www.foglie.tv


fece nell’anno 305 d.C., il sessantaduenne imperatore romano Diocleziano; quest’ultimo lasciò Roma ed il potere per ritirarsi nella cittadina dalmata di Salona, l’attuale Spalato, dove si era fatto costruire un imponente palazzo, e trascorrere i suoi giorni curandosi dei lavori della campagna. La storia ricorda che quando fu sollecitato a tornare a Roma ed alla vita politica, rifiutò fermamente rispondendo che I suoi cavoli lo rendevano più felice di qualsiasi impero. Ma tutta questa storia immaginaria non vuole assolutamente banalizzare o addirittura dissacrare il cavolo, considerato sacro dagli antichi Greci in quanto come ha scritto il poeta Luciano di Samorata, ritenevano che l’ortaggio fosse nato dal sudore di Zeus. E poi, anche se da un lato purtroppo non può combattere il coronavirus, è da ricordare che un altro proverbio recita Il cavolo manda medici e medicine al diavolo, tante sono le sue virtù medicamentose e salutistiche elencate fin dal IV sec. a.C. dal medico greco Crisippo, mentre Ippocrate (460-377 a.C.) lo consigliava contro coliche e dissenterie. Plinio il Vecchio, nel I secolo dell’era cristiana, lo definiva la pianta miracolosa che aveva permesso ai Romani di fare a meno dei medici per sei secoli. I Romani, poi, lo mangiavano crudo, prima dei banchetti, per facilitare l’assorbimento dell’alcool, gli attribuivano un’azione antidepressiva, in grado di scacciare la malinconia e la tri-

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stezza, come pure un rimedio per curare l’impotenza. La diffusione del cavolo sulle mense non venne meno con il passare del tempo, anche se per un certo periodo fu considerato il cibo per i giorni di magro. Nel ‘500 veniva usato come lassativo: il suo succo unito al miele era ritenuto ideale per la cura della raucedine e della tosse. Presso le popolazioni marinare, il cavolo (assieme alla cipolla) era l’alimento tipico degli equipaggi delle navi, utilizzato per compensare le diete necessariamente povere durante i viaggi per mare. Nel 1630 il brodo di cavolo era raccomandato in tutte le affezioni polmonari. Contro lo scorbuto, una malattia causata dalla carenza di Vitamina

C, il capitano Cook fu tra i primi a salvaguardare la salute del suo equipaggio: infatti, in ben tre anni di navigazione in tutte le latitudini non perse nessuno dei suoi 118 uomini, in quanto faceva mangiare loro anche dei cavoli cotti o crudi. Più tardi, ai tempi di Collodi, in pieno Ottocento, una merenda a base di cavolo era il massimo, come dimostra la felicità di Pinocchio nel riceverla dalla Fata Turchina. Ad elogiare il cavolo è stato anche il grande cuoco settecentesco Vincenzo Corrado, che nel suo ricettario intitolato “Del cibo pitagorico, ovvero Erbaceo per uso de’ nobili e de’ letterati” (Napoli 1781), ricorda che “Marco Catone e Apicio (Marcus Gavius Apicius è stato un gastronomo cuoco e scrit-

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tore romano vissuto fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., autore del De re coquinaria, L’arte culinaria), lodavano tanto il cavolo cappuccio, che arrivarono a dire esser’epilogate in questo tutte le virtù e sapori dell’altr’erbe; vale a dire che di questa foglia n’erano avidissimi anche gli antichi, siccome ne sono i moderni...”. In seguito, la ricerca scientifica ha confermato molte delle qualità di vari tipi di cavolo, che oltre a vitamina A, C ed Acido Folico, contengono importanti principi attivi come i Glucosinati, circa un centinaio, capaci di liberare isotiocianati, come il Sulforafano, e indoli come l’Indolo-3-Carbinolo, tutti potenti detossificanti, protettori del sistema cardiocircolatorio e, secondo studi molto recenti, anche antitumorali; da ricordare che, essendo queste sostanze idrosolubili, devono essere cotti il meno possibile e con poca acqua, stufandoli o saltandoli in padella. E’ noto che nella “Dieta Mediterranea”, il cavolo, parola che deriva dal latino tardo caulus, a sua volta dal greco καυλός, ossia ‘fusto’ o ‘stelo’, ha un posto certamente di rilievo, anche se più che di cavolo, è meglio parlare di cavoli, visto che è un termine generico che indica molte tipologie. Ma quanti cavoli sono i cavoli? Le tipologie coltivate (ce ne sono anche di selvatiche) sono una dozzina, tutte appartenenti alla famiglia botanica delle Brassicaceae, nome attribuito dal botanico italiano Teodoro Caruel, che lo ha tratto dal celtico bresic (“cavolo”); tutte quante le tipologie sono identificate con il binomio Brassica oleracea, ma singolarmente sono distinte in varietà, tra le quali le più coltivate sono la botrytis che è il cavolfiore, la sabauda ossia il cavolo verza, l’italica ovvero il cavolo broccolo e la capitata cioè il cavolo cappuccio; ricoprono superfici minori la rubra (cavolo rosso), la gemmifera (cavoletto di Bruxelles), la gongylodes (cavolorapa o testa di morto), la sabellica (cavolo riccio), l’acephala (cavolo nero toscano ed il “cole rizz”, coltivato quasi esclusivamen-

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te a Carbonara e Ceglie del Campo), l’alboglabra (broccolo cinese). Da notare che specialmente in fatto di cavolfiori se ne vedono di tutti i colori; oltre al classico di colore bianco, se ne vedono di tipi con tonalità di verdolino chiaro come per la cima di col barese, di verde pisello per il Romanesco, con i suoi tipici fioretti a punta, di verde intenso nel tipo Anconetano, di violetto nel Siciliano, un tipo ricco di antociani; ultimamente, nei mercati sono molto più frequenti i cavolfiori dalla tinta arancione della varietà Cheddar, che contengono una quantità di beta-carotene (la vitamina A) di ben 25 volte maggiore di quella dei cavoli bianchi. Ma i cavoli hanno trovato posto anche nella letteratura; curiosa è la poesia “La farfalla e il cavolo” di Luigi Fiacchi (1820) detto Clasio, Accademico della Crusca, che recita così: Una certa farfalletta, mossa un dì dall’appetito, svolazzava in sulla vetta, d’un bel cavolo fiorito. Ma suggendo in breve istante, ora questo ed or quel fiore, nauseata e disprezzante, “Ah!” dicea, “Che reo sapore! Ai miei dì non ritrovai, cibo mai si disgustoso. Cavol mio per me non fai. Sovra te più non mi poso”. A siffatto complimento. tosto il cavol replicò:“Ma signora, a quel ch’io sento, molto il gusto

in voi cangiò. Vi conobbi in altri redi, in più misera fortuna. Foste bruco ed io vi diedi cibo e cuna. Fu allor per voi ben grato, il sapor delle mie foglie, ma cangiando il vostro stato, voi cangiaste ancor le voglie”. Dalla favola s’intende, ciò che segue l’uom leggero: se la sorte sale o scende, sale o scende il suo pensiero. Ma… l’uomo saggio mai non falla. Né superbia né viltà. O sia bruco o sia farfalla, immutabile si sta! I cavoli sono presenti anche nell’arte, grazie ad esempio a Simone del Tintore che ha raffigurato un cavolo cappuccio nel dipinto Natura morta con frutta, vegetali e fiori (1699), conservato a Milano nelle Raccolte Artistiche del Castello. Anche a Vincent Van Gogh i cavoli sono stati una fonte di ispirazione; infatti, ha immortalato un cavolo cappuccio nella Natura morta con ortaggi e frutta (1881), conservato nel Van Gogh Museum di Amsterdam, ed un cavolo verza, nella Natura morta con cavolo e zoccoli (1881), ammirabile nel Kröller Müller Museum di Otterlo, sempre in Olanda. In fondo in fondo, si potrebbe concludere che per i cavoli non vale l’espressione di farsi i cavoli propri, visto in quanti cavoli di fatti umani li troviamo infiltrati. www.foglie.tv


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gricoltura

SPINTA SU INNOVAZIONE E GENIO CREATIVO

GIOVANI: AGRICOLTORI UNDER 35 PUGLIESI AL TOP IN ITALIA

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a Puglia è al top per numero di imprese giovani under 35 in agricoltura, si posiziona al secondo posto della classifica nazionale grazie alla spinta all’innovazione dei giovani e intraprendenti agricoltori in erba, con le aziende condotte da giovani che si rivelano dinamiche e coraggiose, possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, hanno il 50 per cento di occupati per azienda in più e un fatturato più elevato del 75 per cento della media, nonostante la battuta d’arresto registrata nel 2019. E’ l’analisi di Coldiretti Puglia sulla base dei dati Unioncamere, presentata al Millenials Camp organizzato dai giovani di Coldiretti a Lecce per analizzare lo scenario dell’imprenditoria giovanile che tra tradizione e innovazione sta puntando su biodiversità e genio creativo. “Una presenza che ha di fatto rivoluzionato il lavoro della terra dove sette imprese under 35 su dieci operano in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili”, ha spiegato il presidente di Coldiretti Lecce, Gianni Cantele. N° 4 - 1 marzo 2020

Ed è rilevante tra i giovani imprenditori – sottolinea la Coldiretti – anche la presenza femminile che sfiora 1/3 del totale (32 per cento) secondo una analisi Coldiretti/ Ixè. E’ in atto dunque un cambiamento epocale che non accadeva dalla rivoluzione industriale il mestiere della terra non è più considerato l’ultima spiaggia di chi non ha un’istruzione e ha paura di aprirsi al mondo, ma è la nuova strada del futuro per le giovani generazioni istruite. “Sul bando del PSR per i giovani, a fronte delle 5.202 domande presentate, solo 750 sono state ammesse all’istruttoria, poco più di 1 domanda su 10 e non risulta ancora pagata neppure una domanda di insediamento. Una sconfitta per le speranze di tanti giovani pugliesi, ma anche per il Paese che perde opportunità strategiche per lo sviluppo in un settore chiave per la ripresa economica, l’occupazione e la sostenibilità ambientale soprattutto nel Mezzogiorno dove maggiore è il bisogno occupazionale e più elevati sono i tassi di fuga dei giovani come dimostra l’analisi di SVIMEZ sull’emigrazione che supera l’immigrazione al sud”, ha lamentato la leader dei giovani di Coldiretti Puglia, Benedetta Liberace. A dare coraggio e spunti su come trasformare ostacoli in opportunità ci ha pensato l’ospite d’eccezione sarà Alberto Paglialonga, fondatore e titolare di Deghi S.p.A.,

azienda di e-commerce che è riuscita a battere il colosso Ikea per il Premio Negozio Web Italia 2018-2019, nonostante non avesse la connessione veloce, perché a San Cesareo in provincia di Lecce l’Adsl non era ancora arrivata. “Se tra i giovani imprenditori agricoli c’è chi ha scelto di raccogliere il testimone dai genitori, la vera novità rispetto al passato sono gli under 35 arrivati da altri settori o da diverse esperienze familiari che hanno deciso di scommettere sulla campagna con estro, passione, innovazione e professionalità, i cosiddetti agricoltori di prima generazione e tra questi nuovi giovani imprenditori della terra, ben la metà è laureata, il 57 per cento ha fatto innovazione, ma soprattutto il 74 per cento è orgoglioso del lavoro fatto e il 78 per cento è più contento di prima”, ha raccontato il direttore di Coldiretti Puglia, Pietro Piccioni. Di innovazione tra tradizione grazie alla biodiversità e genio creativo hanno parlato Giacomo Giannoccaro, Ricercatore del Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali (Disaat) dell’Università di Bari e Alessandra Spennato del Dipartimento Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento. Il Millenials Camp si è concluso in bellezza con la degustazione di vini del Salento guidata dai sommelier di AIS Lecce, coordinati dal delegato Amedeo Pasquino.

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Incontro – dibattito all’Istituto Missionari Comboniani di Bari

Dieta Mediterranea 2020: “Guardiamo alle origini” di Paola DILEO Il 16 novembre 2010 l’UNESCO ha iscritto la Dieta Mediterranea nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, su proposta di Italia, Spagna, Grecia e Marocco, definendola “un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola”.

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a quanta consapevolezza si ha oggi su questo “stile di vita” riconosciuto tra i più sani ed equilibrati al mondo, già a partire dalle nostre civiltà mediterranee? Tanti i luoghi comuni, da sfatare, che negli anni hanno plasmato questa cultura alimentare e dei nostri antenati greci e romani. È in questo solco che s’inserisce “Dieta Mediterranea 2020”, un incontro divulgativo-formativo promosso da “Medici con il Camper” in collaborazione con “L’ orto della salute” e la “Fondazione Nikolaos”. L’evento tenutosi lo scorso 14 febbraio a Bari, presso l’Istituto dei Missionari Comboniani, è stato organizzato dal dott. Enzo Limosano, dopo un’esperienza di viaggio con

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alcuni volontari a Burkina Faso, che ha messo in luce una dieta locale povera di alimenti rispetto alla nostra. Di qui l’esigenza di aprire un dibattito sulla Dieta Mediterranea e la sua autenticità, con il contributo del prof. Pasquale Montemurro (ordinario di Agronomia all’ Università degli Studi di Bari) e alla dott.ssa Laura dell’Erba (medico specialista in Endocrinologia , Malattie del ricambio e Medicina Nucleare) che hanno riferito rispettivamente su “Le radici culturali dei prodotti agricoli pugliesi dal Neolitico al Rinascimento” e “Piatto tradizionale della cucina pugliese nella Dieta Mediterranea”. Alla dott.ssa Dell’Erba chiediamo:

Mangiare in Italia, possibilmente di fronte al mare, può definirsi Dieta Mediterranea? Certamente no, la Dieta Mediterranea corrisponde ad un insieme equilibrato di abitudini di vita, non solo alimentari, tradizionalmente seguite fino alla metà del secolo scorso, dai popoli mediterranei, pur con differenze culturali, etniche e religiose. Il termine è stato coniato agli inizi degli anni 60 dal dott. A. B. Keys, per indicare una delle tradizioni alimentari più sane al mondo, ideale per ridurre o preservare da patologie correlate a scorretta alimentazione (obesità, diabete, ipertensione, cancro, malattie cardiovascolari) e per www.foglie.tv


allungare la vita. Quali sono le caratteristiche della vera “Dieta Mediterranea”? In testa c’era la frugalità dei pasti, quindi uso abbondante di verdure, legumi, frutta, di tutti i cereali in forma integrale (frumento, riso, mais, farro, avena, segale, orzo) e di acqua pura (almeno 1l e mezzo – 2 l); l’impiego di cibi naturali, senza additivi e conservanti chimici; utilizzo di prodotti locali e di stagione, consumati preferibilmente freschi; un uso limitato di carni e formaggi; un uso parsimonioso di grassi vegetali come l’olio Evo (alimento principe della Dieta Mediterranea era un tempo molto costoso); grassi animali solo in determinati periodi dell’anno. A ciò si aggiungeva uno stile di vita molto attivo, si viaggiava soprattutto a piedi, per lavoro, scuola, negozi ecc. Un esempio di piatto tipico della Dieta Mediterranea… Il piatto unico, completato da frutta secca o di stagione. In genere il piatto unico era a base di legumi e pasta o legumi e verdura o pasta e verdura, arricchito da formaggio o olio evo crudo. Un piatto che risultava completo e armonioso dal punto di vista nutrizionale (con poche calorie 400- 550 a porzione), in grado di saziare e favorire la regolarità gastrointestinale.

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La Dieta Mediterranea 2020 va quindi corretta? Negli ultimi 50-60 anni i cambiamenti delle abitudini di vita, specie in campo alimentare, sono stati decisamente superiori a quelli verificatesi negli ultimi 2000 anni. L’organismo umano non ha avuto il tempo di adattarsi (occorrono migliaia di anni per l’evoluzione) e reagisce con disordini metabolici e crollo delle difese immunitarie. A quali sfide siamo chiamati per uno stile di vita sano? Trattasi di sfide non facili, quali uscire dall’alimentazione odierna (ipercalorica e a base di cibi spazzatura) lontana dalla dieta mediterranea delle origini; rinunciare il più possibile ai mezzi di trasporto, evitare di stare seduti per ore davanti al televisore. Un auspicabile ritorno alle origini, rivalutando piatti poveri, ma estremamente benefici per la salute; la cucina tradizionale pugliese può offrirci tanto, un esempio? L’impanata, è un fiore all’occhiello della nostra cucina tipica. Una pietanza deliziosa e salutare, dotata di proprietà preventive e talora curative. Una ricetta che risale a 2300 anni fa, a base di purea di fave e cicoriette spontanee lessate, condite con olio evo crudo, cui vengono associati a seconda del territorio alcuni contorni (nel barese si ag-

giungono tocchetti di pane casereccio raffermo, cipolla fresca affettata, peperoni friggitelli e/o olive fritte). Un piatto toccasana per salute… Quali le proprietà? Certamente la variante barese con questi contorni, è più sfiziosa e saporita, ma allo stesso tempo nutriente e salutare. Ha un’azione benefica sul Sistema Nervoso Centrale, adatta a chi è debilitato, convalescente, stressato, ideale per gli sportivi; ha un’azione preventiva su artrite e osteoporosi; potrebbe prevenire il diabete (la ricchezza di fibre delle fave rallenta e riduce l’assorbimento di zuccheri e grassi a livello intestinale); protegge la mamma e il nascituro; riduce il rischio e l’insorgenza di tumori; riduce il rischio di malattie cardiocircolatorie (la dopamina e l’epinefrina hanno azione antipertensiva). Fave, cicoriette spontanee e cipolla (preferibilmente rossa), sono infatti una miniera di sali minerali, in particolare di potassio, necessario per l’attività muscolare e cardiaca, fortifica le ossa, ha azione diuretica e alcalinizzante, previene calcolosi e infezioni urinarie; sono ricchi di ferro e rame, essenziali per la formazione di globuli e quindi per il trasporto di ossigeno nel sangue. I peperoni verdi poi, hanno un elevatissimo contenuto di vit. C (fino a 220mg/100 g) utile all’assorbimento del ferro.

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UPL per le drupacee

Una linea di soluzioni complete per la difesa e per la biostimolazione Il gruppo UPL conferma l’impegno a fornire mezzi tecnici con qualità formulativa di eccellenza: il brand DISPERSS®, che supera il mero concet to di microgranuli idrodisperdibili ( WG ), è elemento distintivo della società a livello internazionale.

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ra le soluzioni in formulazione Disperss® per la difesa delle drupacee UPL propone Poltiglia Disperss®, formulato a base di rame brocantite al 20%, caratterizzato da assenza di calce libera, pertanto con pH neutro che ne conferisce una ampia miscibilità e compatibilità, oltre che un’elevata selettività sulla coltura. Poltiglia Disperss® garantisce inoltre una elevata micronizzazione delle particelle a garanzia di elevata copertura e una qualità formulativa idonea all’uso anche con volumi di acqua ridotti, oltre che un’etichetta tra le più complete. All’interno del portfolio di prodotti per le drupacee UPL offre anche Syllit 65, Dodina al 65% in formulazione microgranulare per il controllo della bolla, del corineo e della monilia del pesco, della cilinN° 4 - 1 marzo 2020

drosporiosi e antracnosi su ciliegio (con azione collaterale su Monilia). Syllit 65 è caratterizzato da un’azione preventiva e da un’elevata resistenza al dilavamento (entro 2 ore penetra nei tessuti della pianta), senza perdite di efficacia sia a basse che ad alte temperature e attivo anche su vegetazione bagnata. Oltre a Poltiglia Disperss® e Syllit 65, l’offerta tecnica di UPL comprende anche Malvin® 80 WG, a base di Captano all’80% formulato in granuli idrodisperdibili, dotato di un’eccellente attività preventiva di contatto, un ampio spettro di azione (Bolla, Monilia, Corineo) ed un meccanismo d’azione multisito, ideale per la gestione delle resistenze. Con Polithiol®, innovativa formulazione a base di olio minerale paraffinico (400 g/l) attivato con

coformulanti specifici tra cui zolfo, che supera il concetto di semplice miscela dei due elementi, UPL offre un prodotto in grado di controllare su drupacee Cocciniglie, Acari ed Eriofidi che svernano sulla pianta. Polithiol è impiegabile nei trattamenti al bruno fino alla fase di gemma gonfia. Il pacchetto prodotti UPL non comprende esclusivamente prodotti per la difesa ma anche soluzioni specifiche per la biostimolazione, con i biostimolanti della linea Goemar, prodotti a base di GA142, filtrato di crema di Ascophillum nodosum , che ottimizzano la fisiologia della pianta nelle differenti fasi: tra questi BM86® promuove un’allegagione di qualità e CALIBRA®, concepito per promuovere una fruttificazione di qualità ed un aumento delle classi di calibro superiori.

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Automobile tradizionale ed elettrica: due mondi a confronto.

La sfida della mobilità sostenibile

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l 17 febbraio, presso l’Accademia Pugliese delle Scienze, si è tenuta una conferenza che ha visto protagoniste l’automobile elettrica e quella tradizionale a combustione interna, un faccia a faccia tra il passato, il presente e il futuro. L’incontro è stato moderato dal presidente dell’Accademia, il Prof. Eugenio Scandale, il quale ha aperto il dibattito con l’interrogativo :”Esiste il vero vantaggio dal punto di vista ambientale a spingere nella direzione della locomozione elettrica?” Il primo a prendere la parola è l’Ing. Sergio Bruno “gli ultimi anni, per quanto riguarda il progresso e l’evoluzione tecnologica sulle auto elettriche hanno visto una serie di cambiamenti; alcuni regolamenti regionali, nazionali, iniziano a favorire la mobilità sostenibile” ha affermato Bruno.

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di Mara Coppola Fino a qualche anno fa erano in commercio pochi modelli di automobili elettriche, attualmente ogni casa automobilista offre un’offerta variegata. “L’auto elettrica consuma meno, come viene prodotta quell’energia? Si spera con le energie rinnovabili” esorta l’Ing. Bruno. Si avverte l’esigenza di allontanare l’inquinamento dalle strade, senza dubbio la via del miglioramento risiede nell’utilizzo di macchine elettriche. A questo punto è intervenuto l’Ing. Elia Distaso “La nostra è una dipendenza vera e propria nei confronti dei combustibili di derivazione petrolifera. Serve un piano per uscirne” afferma l’ingegnere. “Quando si vuole fare una rivoluzione è importante avere le istruzioni d’uso. L’idea è di andare in concerto nell’evoluzione dei sistemi elettrici a

combustione interna, è troppo rischioso abbandonare uno dei due e la scelta potremmo pagarla cara”. Conclude Distaso. Il Prof. Scandale ha aperto così una sorta di “tavola rotonda” dando la parola ad alcuni accademici di spicco. “Mobilità del futuro, ovvero mobilità sostenibile, dev’essere qualcosa che va’ oltre le singole motorizzazioni; che ha degli obiettivi legati sia all’inquinamento, al traffico e alla sicurezza. Bosch ha supportato diverse città a creare dei modelli di smart city. Nelle città, l’elettrico, giocherà un ruolo fondamentale, però i motori a combustione interna continuano ad essere fondamentali”. Sostiene l’Ing. Arvizzigno (Ceo CVIT-Bosch) “L’idea in questo momento è molto virtuosa nella produzione

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di energia elettrica, il 40% deriva da gas naturale. Un altro 40% da rinnovabile, per l’Italia può essere conveniente; la Puglia ha avuto un rapidissimo sviluppo delle rinnovabili e dobbiamo utilizzare questo potenziale”. Esorta il Prof. Massimo La Scala. E’ intervenuto il prof. De Palma del Politecnico di Bari affermando : “ Non si può affrontare il problema della mobilità senza considerare quello della transizione energetica. Per cambiare il mix energetico di una nazione occorre una strategia e bisogna agire in modo graduale e con molta attenzione, si vanno a toccare gli equilibri fondamentali. Di qui a trent’anni vedo un mix di propulsioni di diverso tipo: elettrico, ibrido, combustione interna”. Il prof. Riccardo Amirante (Distretto energie rinnovabili Puglia) ha esposto i 3 obiettivi fondamentali che il Distretto si pone in merito.

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“Il primo obiettivo fondamentale è quello di valorizzare la cultura dell’efficienza energetica in senso lato,come questa energia possa essere convertita il più efficacemente possibilein lavoro utile, questa è una tappa fondamentale. Il secondo obiettivo è promuovere delle politiche per il risparmio energetico; la migliore energia è quella che non viene consumata. Cambiare lo stile di vita delle infrastrutture, della società, in modo tale che l’energia sia sufficiente per tutti”sostiene Amirante. Purtroppo il 60% del patrimonio energetico mondiale è consumato dal 20% della popolazione, questa non è quindi una condizione di equilibrio sostenibile. Il terzo obiettivo è quello di stimolare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ha concluso la conferenza il Presidente della Regione Puglia,

Michele Emiliano “Se si smette di produrre motori diesel devo attuare la task force dell’occupazione per evitare che Bosch licenzi centinaia di persone; e devo inventare un sistema per fare in modo che il progresso tecnologico non corrisponda ad un eccesso di risparmio di manodopera” esorta il Presidente della Regione. “Nel momento in cui un sistema politico per ragioni di convenienza o di pazzia, decide di affidarsi a scienziati che mettono le firme sotto alcune affermazioni scientifiche, sono caduti nell’abisso dell’orrore e dell’infamia imperitura. Quindi politica e approccio scientifico alla decisione politica, ricerca e società, sono in definitiva la stessa cosa. Se noi siamo un paese considerato da molti civile e apprezzato, è perché siamo riusciti a tenere in equilibrio questi elementi” conclude Emiliano.

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Da Georgofili.info

Globale contro Locale di Dario Casati

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opo gli anni ruggenti della globalizzazione sembrava che la tipica alternanza di fasi di grandi aperture agli scambi commerciali e di altre, all’opposto, caratterizzate da improvvisi ritorni al protezionismo ed a spinte autarchiche si fosse ripresentata improvvisamente. In realtà non è esattamente così, anche se le grandi sfide sui dazi che coinvolgono economia e politica ne sembrano la prova. Chi è contrario al libero scambio, oltre a resuscitare i dazi, propone una serie di alternative che dovrebbero sconfiggerne gli eccessi introducendo forme di scambio basate su volumi più contenuti e modalità più etiche. Una di esse, dotata di un indiscutibile richiamo, è il localismo e cioè la riconduzione degli scambi ad aree e a dimensioni degli affari più ridotti e legati a specifici ambiti territoriali. I prodotti tipici di specifici territori con le denominazioni di origine protette si muovono in questo senso. Ma, come spesso accade, non sempre ciò è vero perché la realtà, specie in economia, è molto più complessa di quanto si creda. Prendiamo il caso dell’aperitivo analcolico in bottiglietta, leader di mercato, il Crodino, riportato alla cronaca in questi giorni. Lo produce il gruppo leader delle bevande alcoliche in Italia e al sesto posto al mondo: Campari, con un fatturato nel 2018 di 1.711 milioni. Fondato nel 1860 è una delle non numerose multinazionali italiane, anche se la sede è in Lussemburgo per ragioni comprensibili. Nella sua crescita avvenuta sia per via interna, con incrementi di produzione e di fatturato, sia attraverso acquisizioni e fusioni, la Campari ha agito in tutti i comparti

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delle bevande sia alcoliche, con superalcolici, aperitivi, vini sia analcoliche, incluse le acque minerali. Una serie di operazioni di recente ne ha delineato meglio la configurazione. Ha acquistato prestigiosi marchi internazionali e nello stesso tempo ha ridotto sia i vini sia le bevande analcoliche, concentrandosi su aperitivi e superalcolici di alta qualità. Fra l’altro ha ceduto nel 2017 alla danese Royal Unibrew, produttrice della birra Ceres, analcolici e acque che nel frattempo aveva acquisito dall’olandese Bols: Crodo Lisiel, Lemonsoda, Oransoda, etc. ottenute sia dalle acque di Crodo sia della Levissima. L’accordo esclude un solo prodotto, appunto il Crodino. Creato nel 1964 è prodotto sin dall’inizio nell’insediamento di Crodo, nell’Ossola, in Valle Antigorio, nonostante diversi tentativi di delocalizzazione poi rientrati. La sua composizione, come per altri prodotti famosissimi ad esempio la Coca Cola, non è coperta da brevetto, ma è una ricetta segreta. Una strategia in apparenza meno protettiva, ma che presenta vantaggi in particolari condizioni. Nell’accordo era previsto che per tre anni rimanesse a Crodo, dove si concentravano le altre bibite, in particolare Oransoda e Lemonsoda. Al termine Campari avrebbe trasferito la lavorazione nel grande stabilimento di Novi Ligure. In vista del termine alla fine del 2020 dal territorio sorgono proteste proprio sulla localizzazione. La questione dei posti di lavoro, si parla di 80 unità, di cui 20 dedicate esclusivamente al Crodino, è risolvibile perché la linea Oransoda/Lemonsoda è in grado di assorbirle. Il punto è il legame del marchio e del prodotto con la località di Crodo. Un prodotto globale ed

esportato, ma un nome che richiama il luogo in cui si attinge l’acqua. La strada scelta non è la denominazione d’origine, ma un marchio industriale evocativo della provenienza. L’esito della vicenda, sia pure con qualche rimpianto, è scontato. Ma il caso non è unico. Lo scorso autunno l’acqua Lurisia è stata ceduta dal gruppo Acque Minerali (al 4° posto in Italia) a Coca-Cola HBC. Lurisia è acqua ufficiale di Slow Food e di Eataly e produce anche bibite. Una è un Chinotto che si dichiara in etichetta “il vero” e “presidio del chinotto di Savona” di Slow Food. Quest’ultima, appresa la notizia, ha dichiarato che intende concludere la collaborazione con Lurisia. Peraltro la bevanda, prodotta con chinotti “della riviera ligure”, dunque non solo savonesi, era imbottigliata in uno stabilimento del gruppo Acque Minerali a Boffalora Ticino (MI) a circa 230 km. Il richiamo al territorio in apparenza è forte, ma non difendibile e sembra prevalere la scelta del marchio acquistato da Coca Cola. Tutto ciò non riguarda solo le acque minerali. Esiste anche in altri settori per i richiami geografici. Basti pensare al liquore Amaretto di Saronno, divenuto “DISARONNO” per poter difendere il marchio o al Calzaturificio di Varese, oggi “DIVARESE” per lo stesso motivo. Entrambe le imprese sono forti esportatrici e dunque preferiscono marchi evocativi della provenienza alla denominazione d’origine. Lo stesso è accaduto per l’Emmental svizzero. La partita fra immagine globale e locale in questi esempi vede vincente la prima, un esito su cui è bene riflettere per le future strategie dell’alimentare. www.foglie.tv




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