Eleonora D’arborea, legislatrice Antonio Casu
1. Le ragioni di un mito Da oltre sei secoli, poche personalità storiche si sono mostrate capaci di radicarsi nella memoria identitaria di un popolo come Eleonora d’Arborea; e poche leggi fondamentali sono state rispettate e celebrate come la Carta de Logu. Molte sono le ragioni della persistenza del suo personaggio nell’immaginario collettivo, non solo dei sardi, che aiutano a comprendere ed al contempo vanno ben oltre il mito romantico che l’ha avvolta in un passato anche recente. In questa sede vorrei richiamarne essenzialmente tre. La prima. Eleonora è, innanzitutto, una regina, in un tempo dominato dai re. Una donna chiamata dalla storia ad assumersi gravose responsabilità, che non ha declinato, rivelando temperamento forte e risoluto. Poco conta, nel delinearne la figura, la qualificazione formale della sua corona, se cioè sia stata Giudice pleno iure ovvero si sia limitata al ruolo di reggente – anche se nella Carta de Logu, nelle sue lettere a Pietro IV di Aragona e nel trattato di pace del 1388 si firma “juyghissa d’Arbarèe” – facendo eleggere giudici, l’uno dopo l’altro, i suoi due figli. Sul piano sostanziale, infatti, Eleonora ha esercitato le prerogative regie, anche e soprattutto nei momenti di crisi dell’assetto politico e istituzionale del suo tempo.
Non è l’unico caso, nella storia della Sardegna giudicale. I nomi di queste donne ci giungono dal passato come anticipazione della modernità: Padulesa de Gunale ed Elena in Gallura, sua sorella Benedetta di Massa e Agnese a Cagliari, e poi ancora Agalbursa d’Arborea, Adelasia di Torres, e appunto Eleonora. D’altronde, poche altre regnanti hanno avuto un simile pieno riconoscimento interno ed esterno. Vedove, figlie o sorelle, sovrane pleno iure o reggenti, tra i primi decenni del XII e la fine del XIV secolo hanno guidato i quattro giudicati in una difficile transizione storica tra l’eredità politica e giuridica romano-bizantina e il nuovo equilibrio del Mediterraneo occidentale, tra l’influenza delle repubbliche marinare di Genova e Pisa e il peso crescente della corona d’Aragona. Segno evidente, questo, di una tradizione – che trova analogie in quella spagnola - assai distante dalla successione dinastica continentale, legata alla lex salica, che esclude la discendenza femminile dalla successione al trono, salvo estinzione del ramo maschile. Una tradizione diversa da quella osservata dalla corona di Sardegna sotto i Savoia, come si evinceva dallo Statuto albertino del 1848, che al secondo periodo dell’articolo 2 ribadiva che “il Trono è ereditario secondo la legge salica”.