Storie di Lotta e Sopravvivenza

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Ringraziamenti Al Dirigente Scolastico Luciano Zito per aver sostenuto la realizzazione del progetto A Rita Borali per la preziosa collaborazione Ai ragazzi, protagonisti entusiasti e consapevoli A Marco Segala, Maria Grazia Ravara e Chiara Borsotti Per aver creduto e fortemente voluto dar voce e forma al progetto Ai Testimoni Maria Bertazzoni, AnnamWaria Crasti, Giancarlo Macillis, per l’appassionata testimonianza A Vincenzo Tschinke, nipote di Angela Daneu Lattanzi, per aver fornito e condiviso con grande generosità la documentazione fotografica e bibliografica sulla nonna.




Sommario Il Progetto..............................................................................................................................................1 Vincenza Spatola S-Cool.....................................................................................................................................................3 Nadia Maria Pizio Il corso di fumetto................................................................................................................................4 Giorgio Giunta

Parte prima La Shoah e la Seconda Guerra Mondiale

La storia di Luciana Nissim.................................................................................................................7 Giulia Weiquian Wu La storia di Alba Valech Capozzi........................................................................................................13 Martina Paties Montagner La storia di Frida Misul........................................................................................................................20 Martina Manzoni La storia di Giuliana Tedeschi.............................................................................................................30 Sara Ibrahim La storia di Maria Bertazzoni..............................................................................................................38 Federica Fontana La storia di Angela Daneu Lattanzi....................................................................................................45 Gaia Izzo

Parte seconda Esodo Istriano

La storia di Annamaria Crasti..............................................................................................................52 Mattia Bertolotti e Syria Baini La storia di Giancarlo Macillis.............................................................................................................62 Giulia Macillis e Francesca Schifano

Parte terza Lotta alla mafia

La storia di Lea Garofalo.....................................................................................................................70 Yara Amigoni La Storia di Rita Atria...........................................................................................................................78 Destiny Aghariagbonse La storia di Felicia Impastato .............................................................................................................84 Noemi Romeo e Beatrice Rizzo Nota sitografica e bibliografica...........................................................................................................92



Il Progetto Il progetto Storie di lotta e di sopravvivenza. Donne protagoniste nella Storia di ieri e di oggi fa parte del Piano dell’Offerta Formativa che il Liceo Statale “Primo Levi” di San Donato Milanese ha proposto nell’anno scolastico 2019/2020 in collaborazione con il Comune di S. Giuliano Milanese, nell’ambito dei Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento. Ideato e progettato dalla scrivente con Rita Borali, docente di Storia e Filosofia, e con Giorgio Giunta, artista e docente presso la S-Cool che ha sponsorizzato il corso di fumetto, è stato concepito come ideale prosecuzione della mostra che la scuola ha organizzato, sempre in collaborazione con il Comune, in occasione delle giornate della Memoria e del Ricordo, dedicata al campo di Fossoli (Carpi, Modena), prima come luogo di transito e poi come Villaggio San Marco, centro di raccolta per esuli giuliano dalmati. Questa pubblicazione raccoglie le graphic novels realizzate da alcuni studenti in occasione di un evento pensato per la Giornata internazionale della donna e per la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, poi rimandato a causa dell’emergenza pandemia. Da Fossoli sono transitate Luciana, Alba, Frida e Giuliana, alle quali alcune studentesse hanno dato voce, raccontandone frammenti di vita, come testimonianza di lotta e di sopravvivenza alle atrocità dell’Olocausto. Nello stesso periodo, a Palermo, un’altra giovane donna si è distinta per il coraggio, Angela Daneu Lattanzi. Le tavole a lei dedicate si concentrano sul ruolo che ha avuto, come bibliotecaria a Palermo durante la Seconda Guerra Mondiale, nel salvataggio di libri e manoscritti pregiati e rari, nascondendoli fuori città e nell’impegno profuso, nell’immediato dopoguerra, nella ricostruzione delle biblioteche distrutte dai bombardamenti sul territorio siciliano. Mai la sua storia, in tempi in cui il patrimonio culturale è minacciato dai fondamentalismi e dalle guerre attualmente in corso, può costituire un modello virtuoso di coraggio e di consapevolezza del valore identitario del patrimonio culturale per una Nazione. Ritroviamo bambina Maria Bertazzoni nelle pagine a lei dedicate per rivivere con il suo sguardo infantile la storia di suo padre, Egidio, antifascista convinto, deportato e ucciso per i propri ideali. L’esodo giuliano dalmata viene riproposto attraverso le storie di Annamaria Crasti e Giancarlo Macillis, nonno di Giulia, una studentessa del liceo, prima raccolte attraverso l’ascolto diret1


to dei protagonisti e poi riscritte graficamente dagli studenti: sono microstorie che si intrecciano con la grande Storia e che ci aiutano a capire una delle pagine più controverse del XX secolo. Alla lotta alla mafia si collegano le graphic dedicate a Rita Atria, a Felicia Impastato e a Lea Garofalo, alla quale il nostro liceo ha dedicato l’aula della legalità, donne che hanno scelto la strada della giustizia e della libertà. Storie dunque di lotta per la sopravvivenza e di resilienza, di ricerca di libertà e di giustizia, valori che gli studenti hanno saputo interiorizzare e attualizzare, rendendoli universali, attraverso un linguaggio, quello del fumetto, immediato e adatto ad un pubblico giovane.

Vincenza Spatola

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S-Cool

S-cool crede nel potere dei giovani nella loro capacità di CREARE e di IMMAGINARE. Crediamo che l’umanità intera abbia bisogno di questa capacità e siamo consapevoli che spesso i giovani nella società vengono messi in secondo piano in quanto troppo giovani, immaturi, incapaci di poter coprire ruoli di responsabilità e rappresentanza, per questo a Loro noi abbiamo chiesto con impegno di dimostrare le loro capacità. S-COOL è una startup nata per azione commerciale ma con grande motivazione umanistica e culturale. Grazie a questa opportunità vogliamo dare ai giovani e alla creatività di tutti lo spazio e il modo di esprimersi al meglio. Ha potere chi vive la vita con entusiasmo e a queste persone vogliamo offrire i nostri spazi e la nostra disponibilità per realizzare progetti sempre nuovi, utili a tutti. L’incontro casuale con la Professoressa Vincenza Spatola è stato un po’ come guardarsi allo specchio, vedere in Lei un grande entusiasmo e passione per il proprio ruolo, perciò non è stato difficile dare il via a questo progetto, instaurando un rapporto di fiducia e supporto reciproco, che si è potuto realizzare Grazie alle capacità degli Allievi del liceo Primo Levi di San Giuliano e San Donato Milanese, i quali hanno dimostrato di essere all’altezza di realizzare un progetto in totale agio ed autonomia, un progetto che ha richiesto competenze in ambito artistico, storico, linguistico, culturale e tecnico. Attraverso S-COOL hanno avuto la possibilità di cimentarsi nella tecnica del disegno anatomico e scenografico e di esprimersi attraverso tecniche di sceneggiatura e inquadratura. Hanno individuato personaggi salienti della nostra storia, dalle Shoah, alle Foibe, alla mafia. Hanno rappresentato personaggi di cui non ci si può dimenticare, ed attraverso fogli da disegno, matita e china, hanno saputo rappresentare i loro volti, la sofferenza e le emozioni. L’emozione di chi ha vissuto con coraggio e giustizia. Ad ogni incontro, ad ogni disegno e tema trattato, si è concretizzata la stessa emozione nei nostri cuori ed il saper emozionare è una grande capacità! In conclusione, finché i giovani vorranno esprimersi, noi daremo loro il nostro supporto per il bene comune. Attraverso la collaborazione con gli enti locali e le Direzioni scolastiche il mondo che ogni giorno vediamo potrà essere dipinto come gli occhi del nostro cuore desiderano vederlo. Un ringraziamento particolare alla Professoressa Spatola, alla Direzione del Liceo Primo Levi, al Docente Giorgio Giunta e in particolare ai ragazzi che hanno realizzato questo progetto, perché Insieme si può scrivere una storia e un futuro migliore! La cultura apre le porte!

Nadia Maria Pizio S-COOL

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Il corso di fumetto Ho imparato a leggere con Topolino ancor prima di andare a scuola e da allora non ho mai smesso di circondarmi di nuvole parlanti, anche se fino a qualche anno fa il fumetto era considerato un intrattenimento di serie B. Addirittura negli anni 70 , il periodo d’oro dei neri “Diabolik, Kriminal, Satanik” si accusavano i “giornaletti” delle peggiori nefandezze e di deviare le menti dei giovani virgulti. Non ho mai dato peso a queste accuse preferendo ascoltare e leggere gli ottimi saggi Oreste del Buono, direttore di Linus e curatore di una fantastica collana di Oscar Mondadori dedicata ai comics e Umberto Eco che nel suo “apocalittici e integrati”, sdoganava il fumetto come forma d’arte lettterario/cinematografica, nel celeberrimo capitolo (che consiglio a tutti di rileggere) dedicato alla vivisezione vignetta per vignetta della tavola d’esordio di Steve Canyon di Milton Caniff. Questa passione smodata mi ha portato così alla scuola del fumetto di Milano e oggi alla collaborazione con varie riviste, soprattutto di enigmistica. Purtroppo con il fumetto si guadagna meno dell’impegno che richiede e ciò valeva sia per i tempi d’oro della seconda metà del secolo scorso, ma soprattutto oggi ove le edicole chiudono i battenti e le riviste da me tanto amate, si contano sulle punte delle dita. Oggi vanno di moda le graphic novel, che poi sono sempre storie a fumetti solo con un nome più altisonante, spesso dietro a questa terminologia pomposa si celano storie mediocri, però ben copertinate e con un prezzo alla portata non di tutti, ma altrettanto spesso abbiamo anche a che fare con capolavori della letteratura classica, opere come l’Eternauta, Batman e Devil di Miller o Watchman o ancora Maus di Art Spiegelman che tra l’altro tocca un tema a noi molto vicino. Si sta perdendo però a scapito di questi volumi da libreria, tutto il fumetto popolare venduto a pochi euro, avventure di intrattenimento puro, senza impegno ma ben scritte ed ottime palestre per futuri disegnatori di grido, un po’ perché mancano soggettisti e sceneggiatori, tutti ormai impegnati a creare l’opera della vita e un po’ (tanto) perché mancano i lettori adolescenti che da sempre sono stati i fruitori numeri uno di questo genere.

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Oggi i ragazzi hanno tv, videogame, internet, video e musica a portata di smartphone, tutti media a fruizione passiva che vincono a man bassa sul fumetto che invece richiede tempo di lettura, partecipazione gusto del disegno e della scrittura cinematografica. Per questo sono stato particolarmente felice di avere a che fare con questo gruppo di ragazzi (in verità più che altro ragazze, non me ne voglia l’unico maschietto) che hanno affrontato con impegno ed entusiasmo questo nuovo modo di raccontare le storie, piuttosto nuovo anche per loro. Il tema era complicato, difficile, duro e spesso disturbante, ma necessario da mettere su carta. Tutti/e hanno realizzato opere mirabili, anche e soprattutto chi (e ce n’erano) non si era mai cimentato con matite e chine, realizzando storie credibili, efficaci, ben sceneggiate, ben disegnate e supportate da dialoghi funzionali al racconto e di questo devo fare loro i miei più sinceri complimenti, guardavo le loro tavole nascere sotto i miei occhi con malcelato orgoglio e questo potrete constatarlo voi stessi sfogliando questo catalogo. Ecco io spero che questo sia però solo un piccolo seme gettato tra di loro e che possa germogliare in una futura e auspicabile passione verso il fumetto. Passione non solo per la sua versione alta (graphic novel) ma anche per tutte quelle serie popolari che spesso languono in edicola e possa generare per imitazione tra i loro amici e amiche, nuovi lettori e perchè no, realizzatori di storie. Perché pedere il fumetto sarebbe un peccato imperdonabile che non dobbiamo permetterci.

Giorgio Giunta

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“Morire, è facile. Ma devi lottare per vivere”

Art Spiegelman

Parte prima La Shoah e la Seconda Guerra Mondiale

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La storia di Luciana Nissim Nota biografica Nata a Torino il 20 ottobre 1919 in una famiglia borghese ebraica, Luciana Nissim si trasferisce a Biella per motivi di lavoro del padre, dove trascorre gran parte della sua infanzia e adolescenza, brillando negli studi a tal punto da essere ammessa alla facoltà di medicina dell’Università di Torino nel 1937. Nonostante le leggi raziali, riesce a laurearsi nel 1943. Pochi mesi dopo, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, Luciana viene arrestata e poi imprigionata al Campo di Fossoli insieme a Vanda e Primo Levi, due suoi coetanei conosciuti durante gli studi, poiché accusati di sostenere il movimento partigiano. I tre vengono, in seguito, deportati ad Auschwitz-Birkenau. Una volta arrivata al campo di concentramento, Luciana viene quasi immediatamente notata per la sua laurea e quindi reclutata come infermiera del Revier, non venendo costretta al taglio dei capelli e riuscendo a sottrarsi ai lavori forzati. Nell’agosto del 1944 riesce ad ottenere il trasferimento al campo di Hessisch Lichtenau, dove rimane fino alla Liberazione. Difatti, con l’avanzata degli alleati, le SS si vedono costrette ad evacuare i campi e la donna, approfittando della confusione del momento, riesce a fuggire insieme ad una compagna, trovando rifugio presso una fattoria. Scrive nuovamente a Franco Momigliano, un suo caro amico, dopo averlo precedentemente avvisato con una lettera della sua imminente fuga, trovando in lui il conforto necessario per attutire tutti i sentimenti negativi che la opprimevano. Il 20 luglio 1945, fa ritorno a Torino, dove ad aspettarla ci sono la famiglia e gli amici, tra cui anche Primo Levi, anch’egli sopravvissuto all’olocausto. Immediatamente scrive la propria testimonianza nel racconto Ricordi della casa dei morti e il libro viene pubblicato nel 1946 nel volume Donne contro il mostro, insieme alla testimonianza analoga di Pelagia Lewinska. Il 24 novembre dello stesso anno sposa Franco Momigliano, con cui lavora all’Olivetti dal 1947 al 1954. Nel 1956 i coniugi Momigliano si trasferiscono a Milano e qui Luciana inizia a dedicarsi alla psichiatria, operando nei servizi sociali e psichiatrici infantili, per poi ottenere la Specializzazione in psichiatria nel 1959. Nel 1965 diviene analista della Società Psicoanalitica Italiana e nel 1978 diventa a tutti gli effetti psicoanalista, oltre ad essere divenuta il Presidente del centro di Psicoanalisi di Milano. Si impegna a sviluppare una psicoanalisi dal “volto umano”, attenta alle emozioni trasmesse dal paziente e basata sull’ascolto rispettoso da parte dell’analista. Nel 1995, Luciana si ammala di tumore e muore il 1 dicembre 1998, nella sua casa a Milano.

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Nota dell’autore Il fumetto racconta la storia di Luciana Nissim, una donna sopravvissuta ai campi di concentramento. Più specificamente, mi sono focalizzata su alcuni momenti salienti della vita di Luciana: la laurea in medicina, la sua deportazione prima a Fossoli, poi ad Auschwitz ed infine a Lichtenau; la fuga dal campo e la sua vita dopo la deportazione. Il motivo per cui ho deciso di rappresentare la laurea di Luciana, come prima vignetta in assoluto, è per mettere in evidenza l’importanza che questo titolo di studio ha avuto nella sua esperienza come deportata. Infatti Luciana viene reclutata come infermiera al campo di Auschwitz e ciò le permette di ottenere il trasferimento all’infermeria del campo di Lichtenau, dove rimane fino alla Liberazione. L’ultima parte del fumetto si concentra sulla nuova vita di Luciana a Milano, dove si trasferisce con il marito e dove si dedicherà alla psichiatria. Per la realizzazione delle tavole ho utilizzato matita e china. I disegni, e in particolare i volti, sono stilizzati.

Giulia Weiquian Wu

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La storia di Alba Valech Capozzi Nota biografica Alba Valech Capozzi nasce a Siena il 9 maggio 1916 nella numerosa famiglia di David Mosè Valech, proprietario di un negozio di orologeria, e di Livia Forti. Il 6 novembre 1943 Alba si sposa con Ettore Capozzi nella villetta "il Branchino" ai Cappuccini, sita in periferia di Siena, nella quale visse con il marito e la sua famiglia fino all'arrivo dei militi fascisti che, accompagnati da una SS italiana, avevano il compito di individuare e segregare la popolazione di origine ebraica. L'intera famiglia insieme ad Alba ed Ettore viene scortata nella caserma di Piazza d'Armi a Bologna. Qui il destino di Alba e della famiglia si divide: Alba viene aggregata al gruppo dei misti e successivamente rilasciata in quanto sposata con un ariano, mentre il resto dei famigliari viene fatto partire con il convoglio per Auschwitz il 9 novembre. In seguito Alba ed Ettore rientrano a Siena per poi, dopo un mese, trasferirsi a Milano. In questa città Alba, ancora sconvolta per quanto accaduto, non rinuncia a voler avere notizie della sua famiglia. Un giorno di primavera, mentre Ettore è al lavoro, le SS Italiane irrompono a casa e prelevano con forza Alba. Il 5 aprile 1944 Alba, insieme a molti altri ebrei, viene reclusa a San Vittore e poi successivamente trasferita al campo di concentramento di Fossoli in provincia di Modena. Nel campo Alba ritrova le compagne che avevano condiviso con lei l'esperienza della reclusione a San Vittore("la Trude” - Geltrude Echstein -la Cellini, la Marchesini) e conosce e conoscerà altre donne che le saranno di conforto. Nel luglio 1944 vive i momenti che precedono e seguono la fucilazione del Cibeno; mentre il 1° agosto, prima della solita visita di Ettore, Alba è costretta a partire per Auschwitz. Dopo un tentativo fallito di fuga, si sente tremendamente sola e il freddo, la fame, la febbre e le lacrime, la portano allo stremo delle sue forze. Nonostante le precarie condizioni di salute riesce a superare una selezione e viene trasferita nel campo di Kaufering. Lavora per un periodo a Melders e per una fabbrica di dinamite a Molls. 1° maggio 1945: Alba e qualche altra sopravvissuta, abbandonate dai soldati tedeschi in fuga, assistono all'arrivo degli alleati americani. Emozioni come gioia, rabbia e dolore si mescolano alla speranza di poter rivedere i suoi cari; purtroppo i genitori e i fratelli più piccoli non faranno ritorno. Alba sarà una delle sette donne che per prime racconteranno all'Italia Auschwitz. Dopo la deportazione, Alba ed Ettore si trasferiscono a Genova, e a metà degli anni 40 nasce la figlia Livia. Alba resta sempre legata alla famiglia rimasta a Siena, dove torna frequentemente. Nel 1972 Ettore muore prematuramente e solo la nascita del nipote riuscirà ad alleviare in parte il dolore per la perdita. Si spegnerà a Genova nel 1999.

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Nota dell’autore Nel mio fumetto narro la storia di Alba Valech Capozzi, ebrea italiana sopravvissuta agli orrori dei campi di sterminio ed una delle prime superstiti ad aver raccontato Auschwitz all’Italia. Ho scelto di iniziare a rappresentare la sua storia partendo da un evento positivo quale il matrimonio con Ettore Capozzi, il grande amore della sua vita, che in quanto ariano la preserverà dal primo arresto. Successivamente mi sono concentrata sui momenti che precedono il secondo fermo, cercando di raffigurare la disperazione e l’angoscia di Alba che cerca invano di ottenere informazioni sulla sua famiglia deportata. Le tavole centrali sono dedicate all’arresto e ai vari trasferimenti di Alba partendo dal campo di Fossoli. Ho cercato di trasferire su carta il groviglio di emozioni che la protagonista di questa triste storia ha provato sulla propria pelle: tristezza, delusione, paura, incredulità. Emozioni accompagnate anche da condizioni di vita disumane. Alba come tutti gli altri deportati ha patito il freddo, la fame, la febbre. Ciò che mi ha colpito di più di Alba è stata la forza che ha avuto nel sopportare tutto ciò che le è capitato e che l’ha portata a lottare per la sopravvivenza fino alla fine. Il suo è stato un lungo viaggio, che lei stessa ha affrontato continuando ad aggrapparsi alla speranza di poter rivedere e abbracciare un giorno Ettore e la sua famiglia. Per quanto riguarda la scelta dei colori per la realizzazione del lavoro, ho utilizzato prevalentemente il bianco e un tratto minimalista, non solo per non appesantire la storia già di per sé intensa, ma anche per dare voce alla speranza che accompagna Alba fin dall’inizio. Ho inoltre disegnato molti volti, rendendoli espressivi in modo tale che da soli potessero raccontare e rievocare le situazioni vissute dai protagonisti. Mi è sempre piaciuto disegnare e questo corso di fumetto credo sia stata un’ ottima opportunità per mettermi in gioco, sperimentare nuove avventure e condividere questa mia passione con i miei compagni e con Giorgio, il quale è sempre stato molto disponibile ad aiutarci e a darci consigli su come rendere al meglio la nostra creazione.

Martina Paties Montagner 14







La storia di Frida Misul Nota Biografica Frida Misul nasce a Livorno da una famiglia ebraica, figlia di Gino Misul e Zaira Samaia. Studia canto e dopo l’introduzione delle leggi razziali fasciste del 1938 continua ad esibirsi sotto lo pseudonimo di Frida Masoni mentre aiuta a gestire la friggitoria di famiglia. Il periodo dopo l’8 settembre 1943 è molto duro sia per la morte della madre sia per la preoccupazione per le sorti dei familiari: il padre e le due sorelle minori. Il 1 aprile 1944 viene arrestata ad Ardenza (LI) e detenuta nelle carceri di Livorno e da lì inviata al campo di transito di Fossoli e poi deportata ad Auschwitz il 16 maggio, per non aver rivelato il nascondiglio di suo cugino Umberto Misul, unitosi ai partigiani. Viene immatricolata con il numero A-5383. Stremata dai lavori forzati viene ricoverata nell’ospedale del campo, dove riesce a scampare alla morte grazie alla sua voce da cantante. Viene adibita nel Kanada a condizioni di lavoro fisicamente meno brutali e la domenica canta per le SS. La stessa storia si ripete al campo di Villistat, Germania, dove era stata trasferita il 16 novembre. Il suo triste viaggio la conduce al campo di Theresienstadt, fino alla Liberazione del 9 maggio 1945. Dopo aver trascorso tre mesi in un ospedale sovietico e poi in un campo di raccolta americano, Frida può finalmente tornare a Livorno dalla sua famiglia, che era riuscita a scampare alle deportazioni. Frida sentirà di essere stata tradita non dall’Italia ma dall’Italia fascista e deciderà di ricostruire la sua vita nel paese che rinasce dopo la guerra: si innamorerà, sarà moglie e madre, commessa in un negozio di elettrodomestici poi nella farmacia comunale. Cittadina conosciuta e amata a Livorno, farà sentire la sua voce di testimone nel libro Fra gli artigli del mostro nazista: la più romanzesca realtà, il più realistico dei romanzi. La sua voce di soprano invece resterà per sempre muta, come “sepolta nel campo”, come se quel dolce sogno d’arte fosse stato spazzato via per sempre dall’offesa ricevuta. Morirà nel 1992 e le verrà dedicata una via della sua amata città natale, Livorno.

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Nota dell’autore Nel breve fumetto ho rappresentato in sintesi la vita di Frida Misul, dalla sua infanzia sino al ritorno a casa dopo l’Olocausto; appunto per questo sono presenti solo i momenti significativi della sua triste storia, in particolare la deportazione nei campi di concentramento. La sua testimonianza è una delle tante, ma dare importanza ad ognuna di esse è fondamentale per comprendere i dolori che ognuno ha provato: la persecuzione razziale ha colpito milioni di persone, ma ciascuna la ha vissuta in maniera differente, e allo stesso modo noi possiamo trarre da ognuna insegnamenti diversi. Quella di Frida è una storia di speranza: dopo i terribili anni che ha vissuto calpestata dal razzismo, è stata capace di rialzarsi e crearsi una nuova vita. Ho accentuato la cupezza della vicenda usando chiaroscuri e una scala cromatica forte e contrastante. Ho usato uno stile semirealistico per poter rappresentare al meglio e realisticamente i luoghi, le persone e le espressioni, in modo da far sentire il lettore il più vicino possibile alla storia.

Martina Manzoni

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La storia di Giuliana Tedeschi Nota biografica Giuliana Fiorentino nasce a Milano il 9 aprile 1914. Passa gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza a Napoli, dove la famiglia si trasferisce a causa del lavoro del padre. Torna, poi, a Milano, dove nel 1936 si laurea all’Università di Milano in Glottologia, ricevendo a seguito di un concorso la possibilità di insegnare alle medie superiori. Le leggi razziali fasciste emanate nel 1938, però, le impediscono di far carriera come professoressa. Nel 1939 si sposa con l’architetto Giorgio Tedeschi e dal matrimonio nascono due bambine: la prima nel 1940 e la seconda nel 1942. Un anno dopo la nascita della seconda figlia, la famiglia Tedeschi si trasferisce a Torino, città d’origine di Giorgio, e l’8 marzo dello stesso anno, Giuliana viene arrestata con il marito dalle SS ed imprigionata nelle carceri Nuove di Torino. Le bambine vengono, invece, messe in salvo dalla fidata domestica, Annetta Barale. I coniugi Tedeschi rimangono rinchiusi in carcere sino alla fine di marzo, quando vengono trasferiti con un treno passeggeri al campo di concentramento di Fossoli di Carpi. Qui vengono,poi, raggiunti dalla suocera Eleonora Levi, arrestata pochi giorni dopo di loro. Il 5 aprile 1943, Giuliana viene portata, con il marito e la suocera, alla stazione di Carpi e caricata su un vagone piombato di un treno che raggiunge la stazione di Auschwitz il 10 aprile 1943. Giuliana viene fatta scendere dal vagone ed incolonnata per la selezione: viene separata dal marito e dalla suocera, che viene sin da subito selezionata per le camere a gas. Giuliana è poi condotta a piedi all’interno del campo di Birkenau dove le vengono tagliati i capelli e segnata la pelle con il numero di matricola 74847. Viene trasferita nel campo di lavoro ed impiegata nel recupero delle parti riciclabili delle scarpe logore scartate dagli internati. Nel gennaio 1945 il campo viene evacuato e i detenuti costretti a marciare sino al campo di Ravensbruck. Giorgio perde la vita durante la marcia. Arrivata a Ravensbruck, Giuliana viene trasferita al sottocampo di Malchow. Viene liberata da russi e francesi durante la marcia di evacuazione da quest’ultimo lager e, il 5 settembre 1945, arriva finalmente a Milano, dove si ricongiunge con le figlie. Tornata a Torino, Giuliana trova impiego come docente al liceo classico e inizia un’intensa attività di testimonianza e di memoria della deportazione e della persecuzione nazifascista. Muore il 28 giugno 2010, all’età di 96 anni, nella sua casa di campagna.

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Nota dell’autore Nel mio fumetto ho raccontato l’esperienza vissuta da Giuliana Tedeschi all’interno dei campi di sterminio Della sua vita mi ha colpito principalmente vedere come, effettivamente, i campi abbiano distrutto intere famiglie: Giuliana è stata arrestata assieme al marito, costretta a far scappare le figlie pur di proteggerle, ad allontanarle dai propri genitori affidandole alla domestica nella speranza che trovassero rifugio sicuro, lontano dagli orrori delle persecuzioni naziste. È stata deportata, separata dal marito, e una volta incontrata la suocera nello stesso campo, è stata separata anche da quest’ultima, in quanto le SS selezionarono la signora per la camera a gas. Nei campi giunsero anche i cugini di Giuliana, Vittorio e Natalia Tedeschi, ma vennero subito separati anche loro. Natalia e Giuliana finirono in campi separati, sole. Di Vittorio invece non si sa molto, se non che perse la vita all’interno di un campo. Durante una marcia di evacuazione perse la vita anche il marito di Giuliana. Io personalmente credo che la famiglia sia l’appiglio più grande, l’ancora di salvezza a cui si affidano tutti. É per questo motivo che ho voluto concentrarmi, nella narrazione, principalmente sulle vicende della suocera e del marito, e non su quelle dei cugini, per sviluppare maggiormente il rapporto affettivo del nucleo familiare. Ho voluto mostrare i momenti più dolorosi della sua storia: l’allontanamento delle figlie, (probabilmente una delle scelte più dolorose per una madre); il trasferimento, una volta arrivata ad Auschwitz, della suocera nelle camere a gas; e la morte del marito durante la marcia di evacuazione dal campo. Tutti i momenti che immortalano la distruzione graduale di una famiglia. Proprio perché parlo di una distruzione, di qualcosa a parer mio lacerante, ho voluto utilizzare per lo più il nero, facendo interi sfondi scuri per evocare l’orrore della deportazione. Mi sono concentrata più sulle persone che sugli sfondi, scarnificandoli e descrivendoli con uno stile minimalista. Ho disegnato molti volti cercando di renderli il più espressivi possibile, per restituire l’oppressione e l’angoscia provate dai protagonisti. Ho usato, oltre alla china, la matita, lasciandola sotto in alcune scene per rendere meglio la grafica, spesso sfumandola per rendere delle ombre. Ho scelto di non utilizzare nessun colore oltre al nero della china, il grigio della matita e il bianco del foglio, per una mia scelta stilistica. Ringrazio Giorgio che mi ha guidato e mi ha assecondato nelle scelte formali, permettendomi in piena libertà di esprimere il mio stile e la mia chiave di lettura per quanto riguarda la storia di Giuliana, che spero risulti interessante ai lettori.

Sara Ibrahim 31








La storia di Maria Bertazzoni Nota biografica Maria Bertazzoni è nata a Milano nel 1935; il padre Egidio era insegnante di lettere alla Scuola del Libro della Società Umanitaria e la madre Giuseppina era insegnante elementare in una scuola statale di Melegnano. Maria è figlia di quello che potremmo definire un Giusto, un uomo che ha perso la vita per essersi opposto al fascismo, senza armi ma con ostinazione. È una di quelle che si definiscono vittime collaterali, che ha subìto tutti gli orrori del fascismo “di riflesso”, rimanendo in seconda fila. Prima ancora che lei nascesse, Egidio aveva rischiato il confino, perché le sue posizioni politiche erano note. Rifiutò di tesserarsi fino al 1940; per dare stabilità alla famiglia Giuseppina decise di iscriversi al Fascio. La prima di tante lettere di minaccia al padre arrivò nel 1941, dopo che Egidio ebbe uno scontro con un importante uomo fascista del paese. Dopo un’udienza vinta, si vide comunque ritirare la tessera di iscrizione al Fascio. Nel 1943 i bombardamenti su Milano distrussero anche parte della Società Umanitaria: questo fu il pretesto per il mancato rinnovamento della cattedra di Egidio. In realtà le ragioni erano politiche. Maria era contenta di passare del tempo col padre, però anche lei aveva delle responsabilità: in casa ascoltavano in segreto Radio Londra, e se la bambina si fosse fatta sfuggire quest’informazione l’intera famiglia sarebbe stata in grande pericolo. Una notte del gennaio 1944 circa venti soldati portarono via Egidio, senza un mandato ufficiale. Dicevano che sarebbe tornato un’ora dopo, in realtà fu arrestato. Lo trattennero nell’edificio della questura, che ospitava una Legione Autonoma Mobile, insieme ad altri detenuti politici; li picchiavano e davano loro scarsissimo cibo. Un giorno, senza preavviso, lo trasferirono a San Vittore. Dopo un lungo silenzio concessero a Egidio di scrivere una lettera alla famiglia; molto più tardi, quando il suo nome comparve finalmente negli elenchi dei detenuti, Maria e sua madre andarono a fargli visita. Giacomo, il fratello di diciassette anni, restò a casa perché poteva essere arrestato. Egidio venne rilasciato, ma meno di un mese dopo, il 29 febbraio 1944, fu arrestato nuovamente. La famiglia non lo rivide mai più. Egidio venne portato prima a Reichenau e poi a Mauthausen. Maria restava spesso a casa da sola e al suono delle sirene portava nel rifugio una valigetta. Nel 1945 venne comunicato alla famiglia che Egidio era deceduto nell’agosto del 1944, ma non seppero niente sulle circostanze. Giacomo non accettò di restare nel dubbio e raccolse 38


informazioni e dati per ricostruire l’accaduto. Nel 1964 scoprirono dell’esistenza di centri per l’eutanasia, Vernichtungslager, e che Egidio era morto in uno di questi ad Hartheim. La storia di questa famiglia è raccontata da Maria nel libro Memorie di una vita offesa del 2017. Dopo la morte di Giacomo nel 1994 venne in possesso della valigetta che portava con sé nel rifugio sotto casa, ma sono passati molti anni prima che sia riuscita a condividere la sua storia.

Nota dell’autore Ho realizzato una serie di tavole sulla storia di Maria Bertazzoni. Ho voluto rappresentare i momenti più importanti della vicenda della famiglia: dal licenziamento del padre, con una analessi sull’annullamento della sua tessera del Fascio, fino al primo arresto. Mi sono fermata al primo arresto perché un racconto lungo sarebbe stato dispersivo e la narrazione avrebbe perso di intensità. Infatti, pur omettendo ulteriori episodi della vicenda, il messaggio risulta chiaro e incisivo. L’impaginazione non è tradizionale; spesso volutamente le vignette non rispettano gli standard in quanto a distanza tra loro e lungo i bordi delle tavole. Ho cercato di dare l’impressione che il racconto si sviluppasse da solo, che le vignette e le didascalie si poggiassero in maniera autonoma sul foglio, come se la storia stessa avesse vita propria. La quantità di vignette nelle singole tavole aumenta col procedere del racconto, e l’ordine diminuisce. Ho voluto restituire la crescente tensione emotiva e il senso di smarrimento anche dal punto di vista grafico. Maria Bertazzoni è l’unica componente della famiglia ancora in vita, ed è grazie a lei che la sua storia è arrivata a noi. Per queste ragioni sono assenti dialoghi, l’unica voce è quella della signora Bertazzoni, nelle didascalie, che racconta la vicenda come una voce fuoricampo. La voce potrebbe essere tanto di Maria bambina, quanto di lei adulta. I verbi sono al passato, spesso remoto, per rimandare anche al tempo che le è stato necessario per accettare di rivivere e raccontare questi episodi. Le ombre sono marcate e caratterizzano i volumi. Gli occhi sono appena accennati, così come il resto della fisionomia dei personaggi. Con questi espedienti la scena acquista più drammaticità e appare ancora di più come un ricordo. Il solo occhio “caratterizzato” presente costituisce l’unico elemento dell’ultima vignetta, in dettaglio, inquadratura di per sé drammatica. La scelta di una palette cromatica in bianco e nero è stata comune, all’inizio del progetto, per conservare una certa solennità.

Federica Fontana 39







La storia di Angela Daneu Lattanzi Nota biografica Angela Daneu Lattanzi nasce ad Alessandria d’Egitto il 5 ottobre 1901 e muore a Palermo il 24 aprile 1985. Seconda di tre figli, vive ad Alessandria fino al termine del liceo, per poi trasferirsi con la madre e la sorella a Roma dove si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia. Parallelamente studia violoncello al Conservatorio di Santa Cecilia e si diploma nel 1926. Nel 1924 si sposa con Emilio Lavagnino, storico dell’arte ; si trasferiscono prima a Palermo e poi a Napoli dove nasce sua figlia, Alessandra Lavagnino, che diventerà una apprezzata scrittrice e docente di Parassitologia presso l’Università di Palermo. Nel 1929, tornati a Roma, si dedica allo studio di storia della musica , storia dell’arte e tedesco. Nel 1934 vince il concorso di bibliotecario aggiunto e le viene affidata la Biblioteca Casanatense. Ottenuto nel 1937 l’annullamento del matrimonio con Lavagnino, si trasferisce a Palermo dove le viene assegnata la Biblioteca Nazionale di Palermo; si sposa con Antonio Daneu, critico d’arte, collezionista e antiquario. All’inizio della guerra viene coinvolta in azioni di salvataggio del materiale di pregio della biblioteca, colpita durante i bombardamenti, trasferendo libri antichi e rari a Polizzi Generosa, presso il convento di San Martino delle scale e presso il convento di Monreale. Nel 1943 è soprintendente alle biblioteche per la Sicilia occidentale, incarico coperto per ben 23 anni; dal 1943 al 1945 è anche reggente della Biblioteca nazionale, di cui curerà la ricostruzione postbellica. Si dedica allo studio di manoscritti miniati, pubblicando articoli sulla rivista” Accademie e biblioteche d’Italia”; come soprintendente si occupa anche di formazione, proponendo la sua concezione moderna di biblioteca pubblica, aperta e attenta alle esigenze di un’utenza diversificata. Negli anni ’50, in tal senso, coinvolge la Croce rossa italiana e il Ministero dell’Interno nella costituzione di biblioteche ospedaliere e promuove l’acquisto di due bibliobus per permettere a tutti di accedere al prestito di libri. Idea ulteriormente consolidata anche grazie all’ esperienza maturata in America nel 1956, dove studia il sistema di public libraries. Lasciato l’incarico di soprintendente per sopraggiunti limiti di età, si dedica all’insegnamento e allo studio, all’arte e alla musica, con riconoscimenti in Italia e in America. Alla sua vita e a quella della sorella Luigia Augusta, bibliotecaria presso La Biblioteca Casanatense per 36 anni, si ispirerà Alessandra Lavagnino per il romanzo Le bibliotecarie di Alessandria, pubblicato nel 2002 per i tipi di Sellerio editore.

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Nota dell’autore Angela Daneu Lattanzi é stata un apprezzabile bibliotecaria di Palermo, oltre che salvatrice di parte del patrimonio culturale italiano. Una donna d’arte e cultura come lei meritava di essere raccontata: per la realizzazione della mia graphic novel ho selezionato i momenti personali e professionali più significativi. Ho scelto di realizzare le tavole in bianco e nero, cercando di utilizzare prevalentemente il nero per i momenti di maggiore difficoltà. Ritengo che sia stata una grande donna da cui tutte noi dovremmo prendere spunto. Il corso di fumetto mi è stato utile per conoscere l’interessante vita di una persona di cui non conoscevo l’esistenza, mi ha resa consapevole dell’impegno che c’è dietro anche alle piccole cose, ed è stata un’esperienza che mi ha permesso di dare sfogo alla mia creatività.

Gaia Izzo

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“Nessuno in un mondo dove basta accendere la radio o la TV o comprare un giornale per sentire di guerra e di morti. Volevo che il mio libro fosse letto, da qui l'humor di cui è pervaso, e da qui la scelta di partire dalla storia con la minuscola che con la maiuscolaâ€? Marjane Satrapi

Parte seconda Esodo Istriano

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La storia di Annamaria Crasti Nota Biografica Annamaria Crasti nasce il 20 aprile 1941 ad Orsera d’Istria dalla madre Benedetta Quarantotto Crasti (soprannominata “Beneta”, nata ad Orsera nel periodo austriaco il 15 novembre 1914) e dal padre Giovanni Crasti nato a Montona (nel periodo austro-ungarico), il 2 luglio 1913. Tre anni più tardi nasce ad Orsera sua sorella Franca Crasti, e nel 1947, a Trieste (successivamente all’esodo) nasce il fratello Giuseppe (Pino) Crasti. Nella sua infanzia hanno avuto rilevante importanza le sue due nonne: quella materna, Francesca Tessaris Quarantotto (soprannominata “La Notaia”), nata ad Orsera nel periodo austro-ungarico il 18 Settembre 1872, e quella paterna, Anna Milos Crasti (soprannominata “La Fattora”), nata a Monghebo il 13 Marzo 1890. All’età di quasi sei anni inizia la lunga catena di trasferimenti della signora Crasti: eventi che segnano la separazione dalla sua tata Maria Poropat di sedici anni: i primi giorni del mese di marzo dell’anno 1947 sono i giorni della sua prima fuga con la madre verso Trieste; ma solo nei primi di giugno dello stesso anno riparte per tornare ad Orsera. A causa del divieto dei titini di riunirsi con i suoi genitori (che si trovano a Trieste) viene trattenuta nel suo paese. Qui trascorrerà un anno con le nonne, che le daranno tutto l’affetto di cui lei ha bisogno in questo periodo difficile. Il 10 Maggio 1962, a soli 49 anni il padre perde la vita in un incidente tra camion. A partire da quel momento saranno anni molto difficili per lei: la gestione dell’azienda di famiglia in cui ha lavorato per molti anni e la responsabilità del nucleo familiare la travolgono a tal punto che deve interrompere gli studi universitari . È proprio in questo periodo che conosce quello che sarà lo spiraglio di luce in tutto quel buio di sofferenza: il suo futuro marito Claudio Fragiacomo, nato a Trieste il 20 settembre 1940 (ingegnere elettronico), con cui si sposerà il primo Giugno 1968 (a Trieste). Dopo due anni di matrimonio nasce Andrea, il loro primogenito. I coniugi si trasferiscono a Milano, in via Edolo, dove resteranno fino al 1972. Nello stesso anno infatti partono per raggiungere Francoforte sul Meno (Germania) in cui resteranno per un anno, per poi stanziarsi definitivamente a Segrate nella periferia sud di Milano. Qui nel 1978 nascerà Laura, la secondogenita. Con il matrimonio con il signor Fragiacomo e con l’arrivo dei due figli, la vita della signora Crasti può definirsi serena e soddisfatta. L’amore per la famiglia e il ricordo della sua cittadina natale sono sempre vivi nel suo animo e nella sua mente, grazie anche alla vecchia casa colonica che compra nel 1996 a Malvicino (Piemonte). Questa grande casa, «la casa che ho più amato 52


nella mia vita, dopo quella di Orsera», immersa nel bosco, «per me dietro quelle colline c’è il “mio” mare, quello di Orsera». Nel 2015 arriva un nipote speciale, «il figlio tanto voluto di Andrea»: Luca (due anni), adottato dalla Mongolia (Cina). Questo è l’ultimo grande avvenimento nella vita della signora Crasti, descritto così: «la cosa più bella che potevamo desiderare e che ci è, mi è capitata». Annamaria Crasti è una donna con una storia da raccontare, una storia di esodo, sofferenza, dolore, ma anche di rinascita e cultura, una storia di esperienze che la hanno arricchita e fatto acquisire quella responsabilità nel raccontare il suo passato, quello della sua famiglia e di chi, come lei, ha vissuto anni di fughe continue e l’esodo e quella speranza di mantenerlo vivo a distanza di anni grazie ai ricordi e alle testimonianze che narra nelle scuole. Qui si confronta con ragazzi molto giovani e inesperti, incantandoli e istruendoli contemporaneamente grazie ai suoi racconti delicati e pieni di amore.

Note degli autori Dopo aver preso parte alla testimonianza di Annamaria Crasti, esule istriana in seguito alla tragedia delle foibe, io e la mia compagna di classe Syria Baini abbiamo realizzato una graphic novel che potesse rappresentare i momenti salienti della sua esperienza di vita, adottando due metodi di narrazione diversi per la rappresentazione della vicenda. In particolare, io mi sono dedicato al contesto storico di riferimento per la necessità di restituirne una chiara collocazione nella storia contemporanea, riproponendo un excursus filtrato dai ricordi d’infanzia del personaggio. Per questo ho elaborato uno stile più realista, affidandomi parzialmente alle fonti fotografiche fornitemi dalla stessa testimone, e riadattandole in modo conforme al mio stile personale anche attraverso l’uso di software di grafica digitale. Attraverso l’espediente del flashback, sono riuscito a costruire un racconto lineare e cronologico, ripercorrendo le memorie e gli episodi della vita di Annamaria. L’idea che volevo trasmettere, era infatti quella che fosse lei stessa a raccontare la sua storia, per restituire l’esperienza che abbiamo vissuto noi studenti durante l’ascolto.

Mattia Bertolotti 53


Nel corso dell’anno con la mia classe ho a assistito a degli incontri con Annamaria Crasti: una donna che nel fiore della sua età ha vissuto in prima persona l’esodo istriano ed indirettamente la tragedia delle foibe. A differenza di Mattia, coautore del graphic novel dedicato alla storia della “Signora Crasti”, che ha proposto una lettura storica del contesto e cronologica, io ho scelto di selezionare episodi che hanno in qualche modo segnato significativamente la famiglia Crasti. Per questo motivo, se Mattia ha utilizzato uno stile più realistico per la sua rappresentazione, io mi sono servita di uno stile espressionistico e minimalista per la descrizione degli ambienti, in quanto non avevano a parer mio un’importanza fondamentale. I momenti che ho scelto di tratteggiare non seguono un ordine cronologico e vengono introdotti da una tavola iniziale che raffigura una radio nell’atto di divulgare il notiziario. La radio è lo strumento di informazione e di propaganda per eccellenza della guerra, lo strumento grazie al quale Annamaria, come chiunque ne fosse proprietario, aveva la possibilità di informarsi sugli eventi in corso. La mia storia inizia così, attraverso le notizie che arrivano e che entrano nelle famiglie. In contrasto o parallelismo, ho scelto di chiudere il mio lavoro con la rappresentazione di Fertilia, il paesino Sardo in cui la nuova comunità istriana riuscì a trovare pace una volta finito l’inferno dell’esodo. Qui, l’annuncio, per telefono, del Don del paese, che invita appunto i suoi concittadini a trasferirsi con lui. Ultimo riquadro, il Va’ Pensiero di Verdi, l’unione delle voci di chi durante la guerra erano state offeso, spezzato, sradicato dal suo contesto. Le tavole di mezzo potrebbero essere disposte in qualsiasi ordine, infatti ognuna narra una episodio o uno stato d’animo che almeno una volta nella vita una qualsiasi vittima della guerra ha provato. Troviamo tre principali tipologie di vittime: il soldato, l’infoibato, la donna, i bambini, e poi i parenti, le madri, i figli, le mogli, i mariti, o anche solo amici, come nel caso della tata della signora Crasti. La scelta di non realizzare dialoghi, se non nell’ultima tavola, è voluta. Queste voci sono sì tratte da esperienze vissute da Annamaria, ma potrebbero essere estese universalmente, e inoltre, credo che il monologo o flusso di coscienza sia l’espediente più efficace per esprimere i pensieri più intimi di una vittima della guerra. I tratti grossolani e spessi, quasi come se le figure non fossero definite, come se i disegni fossero ancora bozzetti, enfatizzano ancora di più questo aspetto dilaniante. La scelta di realizzare questa storia è stata del tutto istintiva: in un primo momento ho creduto fosse la solita testimonianza fredda e distaccata, tipica di chi ha sofferto tanto nella vita; poi però, quando ho letto l’amore e la gratitudine negli occhi della signora Crasti, non ho potuto fare a meno di dar voce ad una donna tanto coraggiosa e ammirevole, e attraverso la sua storia, a tutte quelle persone che, come lei, hanno vissuto un tale dramma senza aver avuto la possibilità di raccontarlo qui ed oggi.

Syria Baini 54









La storia di Giancarlo Macillis Nota Biografica Giancarlo Macillis nasce ad Albona, in Istria, il 22 dicembre del 1926. Trascorre la sua infanzia nella città natia con la sua famiglia: la madre, la sorella, ed il padre, maestro. Al termine della scuola secondaria di primo grado inizia a lavorare in uno studio di un fotografo come aiutante. All’età di 18 anni è costretto ad arruolarsi nell’esercito tedesco a causa della leva obbligatoria. Svolge l’addestramento in una base militare al confine dell’Austria, vicino a Pontebba. Fortunatamente non si troverà mai in prima persona sul campo di battaglia. Quando la seconda guerra mondiale giunge al termine, i soldati tedeschi del suo accampamento tornano in Austria, Giancarlo però diserta, essendo italiano e volendo restare nella sua terra. Si nasconde nel solaio di una fattoria a Portogruaro. Grazie all’aiuto del fattore riesce a salvarsi, consegnando le armi ai partigiani del paese. Torna ad Albona, l’Istria però era stata conquistata dalla Jugoslavia. La sua famiglia si vede costretta a scappare perché italiana e non slava. Si dividono lungo il viaggio: Giancarlo va con la madre e la sorella fino a Venezia su un piroscafo. Il padre va in Campania dove continua a fare il maestro, poi a Trieste. La madre la sorella prendono un treno che va ad Ancona, Giancarlo parte alla volta di Genova e da qui a Rapallo, dove molti profughi istriani venivano ospitati in alberghi. Poco tempo dopo trova lavoro come conducente di autobus, che farà per il resto della sua vita. A Genova conosce Gabriella, una giovane donna, con la quale si sposerà qualche anno dopo. Si trasferiscono a Milano ed hanno due figli, Marco e Marina.

Giulia Macillis 62


Nota dell’autore Per il mio lavoro ho deciso di rappresentare gli eventi più significativi della biografia del nonno di una mia carissima amica, Giulia Macillis. Giancarlo Macillis è stato, infatti, disertore dell’esercito tedesco in Istria. Ho rappresentato inizialmente dei frammenti della vita militare ed il giorno in cui Giancarlo ha scelto di disertare; in seguito ho approfondito il viaggio del resto della sua famiglia in Italia ed il complicato rapporto tra istriani e italiani; le ultime tavole sono dedicate all’inizio di una nuova vita a Genova, città in cui Giancarlo incontrerà Gabriella, che diventerà sua moglie. La mia narrazione è realistica; ho scritto la sceneggiatura con l’aiuto di Giulia che ha intervistato il nonno e ha raccolto la documentazione necessaria per il racconto. Ho utilizzato matita e china. Il tratto grafico è perlopiù stilizzato e minimalista, soprattutto nella resa dei volti dei personaggi.

Francesca Schifano

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“Forse un mondo onesto non esisterĂ mai, ma chi ci impedisce di sognare? Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremoâ€?. Rita Atria

Parte terza Lotta alla mafia

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La storia di Lea Garofalo Nota biografica Lea Garofalo nasce il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro ed è stata una testimone di giustizia. Decide di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco e per questo sottoposta a protezione dal 2002. Lea, interrogata dal Pubblico Ministero Antimafia Salvatore Dolce, riferisce dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo. Inoltre, Lea attribuisce la colpa dell’omicidio di Floriano Garofalo al cognato, Giuseppe, e all’ex convivente, Carlo Cosco, fornendone anche il movente. Nel 2006 viene estromessa dal programma di protezione perché l’apporto dato non era stato significativo in quanto ritenuta collaboratrice non attendibile. La donna si rivolge allora prima al TAR e poi al Consiglio di Stato: nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma (sempre come collaboratrice di giustizia e mai come testimone), ma nell’aprile del 2009 decide all’improvviso di rinunciare a ogni tutela e di ritornare a Petilia Policastro, dove riallaccerà i rapporti con l’ex compagno Carlo Cosco. Il 5 maggio 2009 si presenta a casa sua Massimo Sabatino sotto mentite spoglie, recatosi sul posto per rapire e uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all’agguato grazie all’intervento della figlia Denise e informa i carabinieri dell’accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell’ex compagno. Il 20 novembre del 2009 Cosco chiama Lea a Milano, con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise. La sera del 24 novembre, approfittando di un momento in cui Lea rimane da sola, Carlo la conduce in un appartamento che si era fatto prestare per quello scopo. Ad attenderli in casa c’è Vito Cosco detto “Sergio”. In quel luogo Lea viene uccisa, il suo cadavere sarà portato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Lì verrà poi carbonizzato.

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Nota dell’autore Ho deciso di raccontare l’intera vita di Lea Garofalo in quanto questo avrebbe permesso ai lettori di comprenderne in pieno il carattere forte e risoluto. Credo infatti che se una persona non conosce le esperienze di un’altra non può capirne in pieno i sentimenti e le decisioni. Riguardo alle soluzioni grafiche, in generale ho deciso di prediligere tonalità chiare perché, nonostante sia una storia dal finale infelice, è comunque una storia che dà speranza e racconta la forza di una donna che non ha voluto abbassare la testa di fronte alla criminalità. Il tratto è minimalista e a volte espressionista. A episodi descritti realisticamente, con inserti topografici puntuali e immediati per accompagnare il lettore nei luoghi di Lea (l’ospedale, il palazzo di giustizia di Milano, il castello sforzesco) ho alternato vignette evocative, dalle tonalità più scure, per enfatizzare la violenza e la crudeltà di alcuni episodi, come nella prima tavola, in cui ho voluto riprodurre in un angolo la sagoma del suo corpo, per indicare che nonostante lei non esistesse più, la macchia di odio e violenza lasciata dal suo assassinio non se ne sarebbe mai andata. In alcuni casi ho introdotto ambientazioni d’invenzione, come quando Lea incontra Carlo Cosco; ho deciso che questo sarebbe avvenuto in un parco perché i parchi sono comuni e quella era una cosa normale: Lea era ormai una ragazza e guardava il ragazzo di cui era innamorata come ogni altra ragazza innamorata avrebbe fatto in vita. Alcuni stati d’animo sono stati evocati da oggetti, come nell’ultima tavola dedicata alla vendetta, rappresentata con una pistola perché le pistole sono simbolo di morte e il metallo con cui sono realizzate é freddo, come la vendetta della mafia su Lea, una vendetta compiuta dopo anni. L’ultima vignetta richiama chiaramente la prima: il fuoco che ha bruciato per giorni il corpo di Lea Garofalo, ne ha disperso nell’aria le ceneri ma non il ricordo.

Yara Amigoni

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La Storia di Rita Atria Nota biografica Rita Atria nasce a Partanna, in provincia di Trapani, il 4 settembre 1974, da Vito Atria e Giovanna Cannova. Gli uomini della famiglia, il fratello Nicola, di dieci anni più grande, e il padre Vito appartenevano a una cosca mafiosa. Rita ha sempre avuto un rapporto privilegiato con il padre, un mafioso vecchio stampo, che aiutava i pastori a ritrovare le pecore, che in realtà rubava per poterle riscattare con il pagamento di un pizzo. La madre, invece, era sempre ostile nei confronti della figlia, probabilmente perchè non era stata frutto di un atto d’amore, ma di violenza. Nel 1985, quando Rita aveva solo undici anni, il padre viene ucciso perché si era opposto all’ingresso della droga a Partanna. Nicola, il fratello, medita vendetta e cerca di rintracciare i killer del padre, ma allo stesso tempo fa affari con questi ultimi e diventa uno spacciatore. Ma nel 1991, dopo circa sei anni, nel tentativo di attaccarli, sbaglia l’agguato e viene ucciso nella sua pizzeria a Montevago. Rita, quindi, nasce e cresce in questo contesto famigliare e non conosce lo Stato. In seguito all’omicidio del fratello, la cognata Piera Aiello che era presente all’assassinio del marito, per vendicarlo denuncia i suoi killer; collabora con la polizia andando contro la legge dell’omertà e per questo, come testimone di giustizia viene trasferita a Roma sotto protezione. Rita segue il suo esempio. Qualche mese dopo, il 5 novembre 1991, si reca in segreto a Marsala. Viene ricevuta dal Procuratore Paolo Borsellino e interrogata dal magistrato Alessandra Camassa, a cui rivela tutto ciò che sa sulla cosca a cui appartenevano il padre e il fratello. Grazie a questa collaborazione, viene a conoscenza di molti aspetti del padre di cui prima era all’oscuro. All’inizio è incredula e stenta a crederci, ma con il tempo elabora la verità e comincia a vedere un altro aspetto dello Stato. Subisce una profonda trasformazione e converte la sua sete di vendetta in ricerca di giustizia. Le sue dichiarazioni portano all’arresto di decine di mafiosi, provocando una tale reazione da parte del paese da essere rinnegata da sua madre che preferisce una figlia morta che infame. A questo punto anche Rita viene trasferita a Roma sotto protezione e con nuovi documenti. Prima della sua morte, si sfoga spesso scrivendo pensieri di una forza sconvolgente come: “Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combatterla nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci’’ “Andate dai ragazzi che vivono all’interno della mafia e dite loro che fuori esiste un altro mondo’’ Abbandonata dai familiari e con il fidanzato lontano per lavoro, trova in Paolo Borsellino un secondo padre che le infonde speranza. 78


Scrive ’Forse un modo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, ce la faremo’’. Ma il 26 luglio 1992, saputo dell’attentato a Paolo Borsellino, perde ogni speranza e il suo sogno si spezza: “Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito”. Qualche giorno prima per la sua sicurezza le danno un appartamento a Roma in Viale Amelia e in un momento di grandissima solitudine, il 26 luglio 1992, decide di togliersi la vita gettandosi dal sesto piano della palazzina. Scrive : “Borsellino sei morto in ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta’’. Come afferma nel suo testamento, scritto a dicembre soltanto un mese dopo essere entrata nel programma di protezione testimoni, lei era certa che l’avrebbero trovata e uccisa e a quel punto forse il suo gesto sarebbe caduto nel dimenticatoio. Il funerale di Rita non viene celebrato e le porte della chiesa restano chiuse; le mogli di alcuni mafiosi che sono stati incarcerati in seguito alla testimonianza di Rita, le girano le spalle in segno di protesta e la madre che ormai la considerava soltanto un’ infame non si presenta nemmeno. Qualche mese dopo la morte della figlia, viene sorpresa mentre prende a martellate la sua fotografia sulla tomba di famiglia a Partanna. Per questo viene condannata a due mesi e 20 giorni di carcere.

Nota dell’autore Rita Atria nasce a Partanna in una famiglia mafiosa e, in seguito all’assassinio del padre e del fratello, a soli diciassette anni, decide di collaborare con la giustizia. Nel fumetto ho rappresentato i momenti più significativi del suo percorso, includendo vicende accadute anche dopo il suo suicidio. Le sue testimonianze infatti provocarono profondo disprezzo nei suoi confronti e ciò è visibile nella prima tavola, in cui illustro la reazione della madre sulla sua tomba: è furiosa non per la morte della figlia, ma per il fatto che abbia tradito la regola dell’omertà, disonorando la famiglia e per questo non è degna di sepoltura. L’ultima tavola invece mostra una chiesa vuota, perché nessuno osa presentarsi al suo funerale. In questa tavola ho riportato alcune frasi che Rita ha lasciato nel suo diario, per far comprendere maggiormente al lettore i motivi del suo gesto. Dopo l’uccisione dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con cui si era confidata e aveva collaborato per l’incarcerazione di numerosi uomini mafiosi, Rita si suicida. Non perché si fosse arresa bensì per evitare che tutto il lavoro fatto fino a quel momento fosse stato vano. Nonostante la protezione data dalla polizia, era sicura che prima o poi dei mafiosi l’avrebbero trovata e uccisa e a quel punto sarebbe tutto tornato come prima. Ho scelto un tratto minimalista, asciutto per non togliere nulla alla protagonista e alle sue parole.

Destiny Aghariagbonse 79






La storia di Felicia Impastato Nota biografica Felicia Impastato, nata Felicia Bartolotta il 24 maggio 1916 a Cinisi (PA), è stata un’attivista antimafia italiana ed è famosa soprattutto per essere la madre della vittima di mafia Giuseppe “Peppino” Impastato. Ribelle sin dalla giovane età, Felicia sposa nel 1947, contro il volere della famiglia d’origine, l’allevatore Luigi Impastato e dal matrimonio nascono tre figli: Giuseppe nel 1948, Giovanni nel 1949, morto a soli tre anni e l’ultimo, chiamato anche lui Giovanni, nato nel 1953. Il matrimonio con Luigi è un matrimonio difficile; il cognato di Felicia è infatti il capomafia del paese, Cesare Manzella, e la famiglia Impastato ha molte conoscenze mafiose. Il figlio Peppino inizia a ribellarsi contro la mafia fondando un giornalino e Radio aut, una rete libera da cui denuncia le attività mafiose del boss Gaetano Badalamenti nel territorio di Cinisi e della vicina Terrasini. Nel 1978, dopo l’assassinio di suo figlio Peppino da parte della mafia, Felicia decide di rompere il silenzio uscendo il terzo giorno dopo la morte e andando ai seggi elettorali a votare la lista del figlio alle elezioni comunali; si costituisce parte civile nel processo aperto sulla morte di Peppino chiedendo assieme al figlio Giovanni “giustizia, non vendetta” nei confronti dei suoi assassini e dei mandanti. Ottenuta nel 2002, dopo numerosi processi, la condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, il mandante dell’omicidio, e del suo vice Vito Palazzolo nel 2001, Felicia ha continuato a dare la sua testimonianza sino alla propria morte, avvenuta il giorno 7 dicembre 2004 nel suo paese natale, Cinisi.

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Nota dell’autore La graphic novel descrive i momenti della vita di Felicia Bartolotta dal matrimonio con Luigi Impastato, piccolo allevatore legato alla mafia di Cinisi, all’uccisione del figlio Peppino e al processo contro Gaetano Badalamenti, mandante dell’omicidio. Abbiamo scelto la forma del racconto in prima persona: Felicia ci accompagna nei ricordi della sua vita che si intreccia con quella del figlio, sempre ferma di fronte alla scelta di restare fedele e di sostenere il figlio ribelle, nella sua ricerca di Giustizia, anche dopo l’assassinio del figlio, durante il processo. Il tratto è nitido e minimalista; le scelte espressive e l’impaginazione variano in funzione della narrazione. Abbiamo lavorato in sinergia, condividendo il progetto dalla stesura della sceneggiatura alla realizzazione delle tavole.

Noemi Romeo e Beatrice Rizzo

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Nota sitografica e bibliografica Per la storia del Campo di Fossoli e per la mostra Come il Profumo dei lillà . Profili di donne passate dal campo di Fossoli (1943-1944): www.centrostudifossoli.org www.fondazionefossoli.org Per Angela Daneu Lattanzi Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/daneu.htm A. LAVAGNINO, Le bibliotecarie di Alessandria, Sellerio editore, 2002 Per Maria ed Egidio Bertazzoni M. BERTAZZONI, Memorie di una vita offesa. Come la mia famiglia divenne vittima della ferocia nazista, Mimesis, 2017 F. Fontana, E. Ragusa, R. Ricotti, A. Ganzi, V. Verre, G. Ganzi, S. Nocerino, E. Rossi, Una valigia (fare memoria per non fare a memoria), in A. FENIELLO, P. PETTERUTI PELLEGRINO (a cura di), Tutta un’altra storia, Leprintimes 2018, pp. 75-85 Per esodo giuliano dalmata www.fondazionefossoli.org Per Peppino e Felicia Impastato www.centroimpastato.com/associazione-casa-memoria-felicia-e-peppino-impastato-di-cinisi/ www.casamemoria.it/ www.change.org/o/associazione_di_volontariato_peppino_impastato_e_adriana_castelli_milano www.gariwo.net Per Rita Atria, Lea Garofalo www.gariwo.net 92



Progetto grafico e impaginazione Giorgia Zardini


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