NO. 7 I'GIORNALINO

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RACCONTI

Emulazione di Giovanni Cavalieri Il mare era tranquillo, quasi piatto, e le nuvole all’orizzonte si erano schiarite. I lunghi remi dellanave muovevano i flutti, facendo avanzare l’imbarcazione in mezzo al freddo Mare del Nord. Lavela, rossa come le rose in primavera, gonfia per il vento, spingeva ulteriormente la nave. In cima all’albero stava uno stendardo raffigurante un corvo bianco su campo nero che, sospinto dal vento, si muoveva in modo sinuoso. La prua aveva la forma di un serpente e con ai lati due scudi rotondi. Mentre la maggior parte degli uomini remava, altri narravano tra loro le storie di dei ed eroi. Einar osservava gli altri uomini dalla poppa della nave, mentre muoveva il timone, più simile ad un remo che a un timone vero e proprio. Lo muoveva con le sue mani grandi e forti. Il vento gli scompigliava i lunghi capelli del colore dell’oro; alla vita teneva una cintura in pelle d’orso, con infoderata una spada di media taglia, con una guardia corta e il pomo a cinque lobi, tipico delle spade vichinghe; sopra la tunica di lana, portava una cotta di maglia che lo copriva dalle spalle alle ginocchia. Mentre muoveva il timone, scrutava l’orizzonte, alla ricerca di qualcosa: ma non scrutava solo il mare, anche i volti dei suoi compagni, segnati dalle intemperie e da giorni di navigazione. Alcuni remavano, con il v\olto a terra o nascosto da elmi possenti e lunghe barbe, alcune simili a vecchie pellicce, altre rosse come il fuoco che ardeva di notte nelle case, tenendo al caldo coloro che vi abitavano. Tra questi, alto e solenne, vide un uomo: era alto, quasi un quarto dell’albero maestro a cui era appoggiato; sopra una tunica di tessuto, portava una corazza di pelle a scaglie, simili a quelle di un drago; sulle spalle portava un’ascia barbuta dal lungo manico e uno scudo circolare e alla vita 19

teneva una spada lunga dal pomo a tre lobi; sopra l’armatura in pelle, portava una folta pelliccia di lupo che lo teneva caldo, protetto dalla morsa del gelo; l’uomo aveva una mascella prorompente e un naso piatto, lineamenti duri che però nascondevano un’indole gentile e generosa. I lunghi capelli castani, con qualche ciocca grigia, rivelavano un’età avanzata. Aveva occhi profondi, grigi come il mare che la nave solcava da giorni. Einar riconobbe quell’uomo: era Tryggvi, figlio di Arne. Aveva quasi cinquant’anni, ma ne dimostrava sessanta, ed era ammirato da tutti perché forte e coraggioso, ma anche saggio e generoso. Proveniva dalle Götaland, nel sud della Svezia, e questa era ormai la sua decima scorreria: già vent’anni prima, aveva partecipato ad altre razzie in terra inglese, depredando villaggi e abbazie, uccidendo molti soldati nemici, sia Sassoni che Franchi. Più volte aveva dimostrato il proprio valore, acquisendo il soprannome di “Brynjor”, la corazza. C’era chi lo paragonava a Thor, il dio del tuono, che munito della sua forza e del suo martello, Mjöllnir, aveva più volte protetto i nove mondi dalla minaccia degli Jotunn, i Giganti di Ghiaccio. C’è chi diceva infatti che Tryggvi discendesse lui stesso da Thor, ma l’uomo non aveva bisogno di essere ritenuto figlio di qualche divinità per ricevere altra ammirazione. Per lui era sufficiente essere se stesso, un semplice uomo delle Götaland che combatteva e badava alla sua famiglia. E forse era proprio la sua umiltà uno degli aspetti che lo rendeva ammirevole davanti agli occhi della gente. Einar continuava a muovere il timone, con la stessa monotonia che affliggeva da giorni lui e il resto dell’equipaggio a bordo del Drakkar. D’un tratto Tryggvi si spostò dall’albero maestro su cui si teneva appoggiato in piedi e si diresse verso Einar. «Tutto bene Einar?» chiese l’uomo con tono calmo. «Sì, certo!» rispose Einar, tutt’altro che tranquillo. «C’è qualcosa che non va? Tremi come una foglia!» notò l’uomo. E in effetti c’era


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