«Poiché le guerre hanno origine nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace.» 16 novembre 1945, Londra di Maria Cristina Montanari L’uomo da sempre scandisce il proprio passo sulla terra a ritmo di guerra: conflitti violenti tra individui, fazioni, etnie, Stati o blocchi di nazioni si intrecciano alla nostra storia con il loro carico di stragi e distruzione inciso nella carne viva dei popoli, senza che questo possa impedire altri orrori. Da migliaia di anni, tuttavia, l’uomo testimonia anche una diversa tensione del suo spirito che lo porta ad esprimersi in modo sublime, creando ciò che genericamente chiamiamo “arte” e che la Convenzione de L’Aja del 1954, al suo primo articolo, ha elencato con esattezza come “beni culturali”. Il “bene” della cultura è ancora più chiaramente compreso ed enunciato cinquant’anni dopo, nella Convenzione di Faro del 2015 che all’articolo 2 definisce come “eredità culturale” le “risorse” che le popolazioni riconoscono come espressione dei loro valori e che contribuiscono a costituire la “comunità culturale”. In questa definizione si condensa il grande valore relazionale che il patrimonio artistico riveste per la vita e l’evoluzione della nostra specie, un valore che ha portato ai giorni nostri anche al riconoscimento normativo e alla diffusione di pratiche di “welfare culturale” intese come azioni di tutela e promozione della salute fisica e psichica delle persone attraverso percorsi artistici e creativi che sono prescritti da medici e operatori sanitari. La Convenzione de L’Aja ha come obiettivo proprio la protezione di questo incommensurabile “bene” in caso di conflitto armato ed è frutto di un’evoluzione del pensiero sul diritto bellico che prende le mosse già dalle conferenze per la pace che si tennero sempre a L’Aja tra fine Ottocento e inizio Novecento, così come più specificamente si ispira anche al Trattato di Washington del 1935 sulla Protezione delle istituzioni artistiche e scientifiche e dei monumenti storici. Se nei primi decenni del Novecento il patrimonio artistico rappresentava uno degli elementi utili a esaltare l’appartenenza nazionalistica, alla fine della Seconda guerra mondiale anche il pensiero sui beni culturali sarà segnato dalla spinta ideale di collaborazione pacifica fra i popoli. La Costituzione dell’UNESCO nel 1945 sottolinea nel suo preambolo proprio l’importanza di educare lo spirito degli uomini come strumento per garantire la pace, ponendosi come primo obiettivo la mutua comprensione tra le nazioni, seguito dalla promozione dell’educazione e della cultura e poi dalla conservazione del patrimonio universale del “sapere”.Il balzo in avanti delle tecniche di guerra, compiuto nella Seconda guerra mondiale, aveva decuplicato le capacità di distruzione e reso evidente la necessità di porre limiti e regole ai conflitti, o almeno tentare di porli. E pur restando la difesa degli esseri umani la priorità, si avverte l’importanza di tutelare anche le loro espressioni artistiche riconoscendole come elementi imprescindibili di una vita dignitosa che passa attraverso la cultura e l’educazione oltre che attraverso la giustizia, la libertà e la pace. La Dichiarazione universale del 1948 riconoscerà fra i diritti fondamentali dell’uomo, all’art. 27, che «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.» Questo diritto ha rischiato di 28