Nota introduttiva al Terzo Convegno Nazionale di Architettura degli Interni Michelangelo Russo
Direttore del Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II
Una riflessione strutturale sul futuro dell’architettura e sul suo ruolo nella società viene decisamente sollecitata dal tema e dalla forma di incontro disciplinare organizzato dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II in collaborazione con l’Università di Roma La Sapienza, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e l’Università Iuav di Venezia, a cui è dedicato questo volume. Un ruolo che cambia in relazione al profondo mutamento del tempo contemporaneo, che va innanzitutto interpretato per sintonizzarlo con un modello formativo capace di essere innovativo. Interpretare il mutamento e perseguire l’innovazione sono prospettive di lavoro che restituiscono senso al nostro “stare dentro all’università”. I temi chiamati in gioco dal titolo Costruire l’abitare contemporaneo rimandano immediatamente a questa dimensione di ricerca: libera, aperta e multidisciplinare, capace di oltrepassare gli angusti recinti dei settori disciplinari. Una ricerca che è possibile sviluppare senza cadere nell’omologazione, riconoscendo innanzitutto l’importanza e la centralità dei saperi, tra identità e differenze: lavorando su contenuti, provenienze e genealogie, esplorando il loro campo di azione e di competenza; aree fertili della ricerca e della conoscenza, dai confini osmotici, mai netti né invalicabili. Confini labili per saperi senza limiti: in grado cioè di orientare strategie cognitive, capaci di approfondimento disciplinare, ma soprattutto di intessere relazioni e collegamenti con altri saperi, in forma di alleanza possibile e di una collaborazione che ritengo indispensabile per la conoscenza e il trattamento dei problemi complessi, come è quello del costruire, dell’abitare nel contesto mutevole della società e della città contemporanea. Abitare il contemporaneo vuol dire lavorare su un nuovo concetto di benessere delle persone, dunque ragionare sulla città e sul suo spazio pubblico e di relazione, sui contesti e sui loro valori storici e culturali, sui paesaggi e sulla loro resilienza, sulla capacità adattiva di rispondere ai mutamenti: del clima, della tecnologia, della società, degli abiti sociali, di stili di vita sempre più labili e mutevoli. Cos’è il wellbeing come condizione per uno spazio abitabile? Come può andare oltre la nozione di benessere, feticcio dell’individualismo di cui siamo ostaggio in tempo di globalizzazione (Z. Bauman), che ci rende incapaci di guardare alla bellezza dell’incontro con il prossimo, delle opportunità del multiculturalismo, dell’ospitalità come valore comune e condiviso? Qual è la scala appropriata per costruirne le condizioni? A ben vedere, si tratta di un tema complesso e a molte dimensioni, che non può essere trattato se non con un approccio intersettoriale e multiscalare, facendo ricorso al sincretismo delle provenienze. Una questione che richiede una risposta mai univoca, a dimostrazione del fatto che il dialogo e l’interazione tra saperi e visioni del mondo, tra tecniche e approcci, riguarda la natura stessa del fare architettura per conoscere e progettare lo spazio di vita, dalla casa fino alla città. Abitare rimanda immediatamente alla dimensione minima, domestica, dello spazio vitale, come habitat costruito alla scala capace di dare forma ai bisogni elementari e primari dell’uomo. La costruzione dello spazio abitabile richiede un’estrema competenza su come cambiano i modi della vita individuale e associata: consumare, nutrirsi, comunicare, connettersi alle reti, utiliz-
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