Le ragioni di un Convegno Luca Basso Peressut
Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano
Due incontri sulla figura di Adriano Cornoldi, tenutisi a Venezia e a Milano in primavera e autunno del 2019, a dieci anni dalla sua scomparsa1, mi sollecitano, in concomitanza con il convegno di Napoli “Costruire l’abitare contemporaneo. Nuovi temi e metodi del progetto”, alcune brevi note che contestualizzano temi e vicende della ricerca e dell’insegnamento degli Interni in Italia nell’ultimo quarto di secolo, così come ho avuto modo di esserne partecipe personalmente. Ricordo che quando iniziai la mia carriera universitaria a Genova nei primi anni Novanta dello scorso secolo non esisteva ancora la “tripartizione” disciplinare (ICAR 14/15/16) che conosciamo oggi. Infatti, nel concorso del 1990 per professori associati, che vinsi per la cattedra di Museografia e dove Agostino Bossi ottenne la cattedra di Arredamento, si veniva chiamati per l’insegnamento di cui si diventava titolari, pariteticamente alle altre discipline del gruppo concorsuale unitario di Composizione architettonica. In tal modo i rimanenti pochi insegnamenti (su un totale di più di trenta) che erano riferibili alla nostra area culturale furono coperti da docenti di Progettazione architettonica (che in seguito scelsero di posizionarsi nell’ambito del settore ICAR 14). Si era in verità in una situazione che vedeva l’insegnamento delle discipline di Interni perdere gradualmente quell’importanza che Gianni Ottolini ha sempre sottolineato essere stata tipica degli anni Sessanta, per cui gli studenti, per diventare architetti, dovevano superare l’insieme degli insegnamenti della Progettazione architettonica, dell’Urbanistica e degli Interni. Solo dopo il Sessantotto e con l’affermarsi degli studi urbani come centrali nella cultura del progetto, gli Interni erano stati via via marginalizzati. La riforma dell’ordinamento didattico del 1993 che istituì le tre aree disciplinari (allora denominate H10A, H10B, H10C: Composizione architettonica e urbana, Architettura del Paesaggio e del Territorio, Architettura degli Interni e Allestimento)2, come parte del settore concorsuale di “Progettazione architettonica e urbana”, può essere perciò considerata un fatto positivo perché ha riconosciuto un’esistenza, una presenza della componente di Interni nell’ordinamento della didattica del progetto, stabilendone la rappresentanza nel quadro burocratico-tabellare delle facoltà di Architettura (anche se, lo sappiamo – ed è oggi questione all’ordine del giorno –, la mancanza per l’ICAR 16 del ruolo di “disciplina caratterizzante”, cioè obbligatoria, ha portato a un contenimento della presenza di questi insegnamenti nelle scuole di tutt’Italia.) Per un lungo periodo l’unico riferimento per lo sparuto gruppo dei docenti entrati a far parte del settore di “Architettura degli Interni e Allestimento” è stato il dottorato con la stessa denominazione3, fondato nel 1989 da Filippo Alison, Gianni Ottolini e Cesare Stevan in consorzio tra Milano e Napoli, a cui aderii solo nel 2000 dopo il mio rientro a Milano da Genova. Andrea Grimaldi più avanti tratta proprio di questo dottorato, dunque non mi soffermo, ricordando solo che io stesso, per pochi anni, ne sono stato coordinatore – raccogliendo l’eredità di Cesare Stevan e Gianni Ottolini – fino alla sua definitiva chiusura per effetto della legge Gelmini che ci ha obbligati a confluire, con altri due dottorati in Progettazione architettonica del Politecnico di Milano, in un nuovo dottorato che oggi si chiama Progettazione architettonica, urbana e degli Interni, che ho diretto fino al 2018. Sono stato così mio malgrado protagonista della fine di una vicenda durata più di un ventennio durante la quale sono state elaborate una
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