mente adatto a “mettere in scena” le “frizioni” progettuali, ciò che altrimenti non emergerebbe da una narrazione convenzionale e istituzionale. La selezione di film documentari proposta in questo saggio offre infatti uno sguardo del tutto inatteso sugli spazi, una prospettiva laterale, come se l’architettura fosse inquadrata in alcuni casi da un punto di vista nascosto, in altri seguendo personaggi in “soggettiva” o con l’approccio dell’osservazione situata aprendosi al dialogo interdisciplinare con la sociologia e l’antropologia. I documentari costituiti da diverse testimonianze (Edificio Master, The Infinite Happyness, Un piatto un ritratto) paiono come sinfonie di sguardi e micro-narrazioni che – nel loro insieme – fanno capire non tanto come è fatto l’edificio, come è stato concepito, ma quali possibilità genera, quali tipologie di vita offre, o nega, e quali invece nascono o vengono sviluppate in modo indipendente dall’idea originaria, o addirittura in aperta contrapposizione ad essa. I linguaggi che narrano l’architettura stanno cercando nuovi tipi di racconto volti a mettere al centro il modo in cui essa è vissuta più che la sua natura compositiva e funzionale. In quest’ottica le narrazioni audiovisive focalizzate sull’osservazione critica tipica di uno sguardo indiscreto possono costituire un’interessante chiave interpretativa in discontinuità con quella retorica che tratta l’architettura contemporanea come una messa in scena estetizzata e artefatta.
NOTE 1
L. Tozzi, Se a raccontare le opere sono i loro abitanti, «Pagina99», 21 maggio 2016, pp. 33-35: 34. http://www.bekalemoine.com (ultima consultazione 31/10/2019, ultimo aggiornamento s.d.) 3 G. Perec, L’Infra-ordinaire, Paris, Seuil, 1996; trad. it. L’infra-ordinario, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. 4 L. Tozzi, Se a raccontare le opere sono i loro abitanti, cit., p. 33. 5 Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale, a cura di F. Gennari Sartori, B. Pietromarchi, Torino, Bruno Mondadori, 2006. 2
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