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COMPAGNIE DEL DIVINO AMORE E SPAZI DI ACCOGLIENZA

2. «Maestro dell’Osservanza» (attr.), Elemosina di sant’Antonio. Particolare della Pala di sant’Antonio abate, 1440 ca., proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino (?), Siena. National Gallery of Art, Washington. 3. Colantonio, particolare di una delle tavolette della predella del Polittico di san Vincenzo Ferrer, XV secolo. Proveniente dalla chiesa di San Pietro Martire a Napoli, l’opera è conservata nella Galleria Nazionale di Capodimonte. Ferrer (o Ferreri), domenicano, è noto per le sue opere di misericordia taumaturgiche. Lo si riconosce dalla mano destra alzata, gesto del predicatore.

fame. Dio procura acqua e manna, salvandolo dalla sua angosciosa situazione. La comunità cristiana imita l’azione di Dio, non permettendo che alcuno soffra o perisca di fame e di sete, principali impedimenti allo sviluppo umano. Vestire gli ignudi. In molte città, in tutte le parrocchie e grazie all’associazione Caritas, si raccolgono vestiti usati o nuovi per dotare di un cappotto o di biancheria quanti si trovano in diffi coltà. San Martino divise il mantello con un povero, e altrettanto fece san Giovanni di Dio. La dignità umana richiede di essere vestiti dignitosamente e il sentimento di fratellanza ci fa prestare attenzione a che il prossimo non soffra le inclemenze del tempo. Alloggiare i pellegrini. A Gerusalemme e a Roma in principio, e poi in tutte le comunità successive, si stabilirono spazi per ospitare i pellegrini e le persone di passaggio. Ogni cristiano aveva il diritto di essere accolto dalle comunità per le quali passava. Nel nostro mondo in maggioranza cristiano, questa urgenza sembra essere scomparsa, benché rimanga nell’inconscio dei credenti l’obbligo di non consen-

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tire che nessuna persona dorma per la strada per mancanza di accoglienza. Molte città hanno case di accoglienza che spesso sono dirette da religiosi o da laici dell’Azione Cattolica. Visitare gli infermi. Gesù visitava e curava assiduamente i malati, i più deboli in un’epoca in cui i medici scarseggiavano, mentre le cure si praticavano a casa ed erano spesso ineffi caci. Nelle nostre attuali parrocchie, ci si preoccupa perché gli infermi siano visitati, curati, protetti, convinti come siamo che l’abbandono e la solitudine costituiscano uno dei mali più dolorosi della nostra società. Santa Angela della Croce (1846-1932) fondò a Siviglia una congregazione con lo scopo di esercitare questo ministero con letizia, pietà e semplicità; molte altre religiose in altri luoghi si dedicano a questo stesso compito. Riscattare i prigionieri. Spesso si riscattavano schiavi o persone rapite per denaro. Durante le invasioni dei popoli barbari, molti vescovi, a partire da sant’Ambrogio, offrivano il denaro di cui disponevano per liberarli. Al tempo delle scorrerie dei saraceni si faceva lo stesso e alcuni cristiani si offrivano addirittura in cambio di chi era stato catturato. Nel 1944 fu il francescano Massimiliano Kolbe a scambiare la sua vita con quella di un padre di famiglia internato in un campo di concentramento. Seppellire i morti. Nel corso della storia troppi morti sono rimasti esposti alle intemperie, senza che nessuno si curasse di loro. I cristiani credono nella resurrezione dei morti e hanno venerazione per le loro spoglie mortali, apprestandone la sepoltura nella speranza del Giudizio fi nale. Le comunità cristiane non permettevano che alcun morto rimanesse senza cristiana sepoltura, né che la sua memoria andasse perduta. Il culto dei defunti è parte importante della liturgia cristiana. Non c’è popolo in Europa che non abbia un cimitero accanto alla parrocchia. Nel 1975, Isidoro Lezcano fondò a Tangeri i Fratelli della Resurrezione, con la missione di seppellire i morti. Con la stessa fi nalità, l’accompagnamento nei cimiteri, José María de Jesús Crucifi cado fondò nel 1953 a Guadix (Granada) i Fratelli Fossori della Misericordia.

Capitolo 19 FRANCESCO D’ASSISI

Il poverello d’Assisi, il povero e il fratello universale, che sperimentò il senso più vivo del rapporto fi liale con il Padre, «l’immagine più fedele che si sia mai avuta di Nostro signore» (Benedetto XV), ha lasciato nella memoria del cristianesimo il rifl esso umano più compiuto di quell’amore di Dio che illumina l’esistenza degli uomini. Arricchì la spiritualità cristiana con una dinamica dimensione ecologica, manifestata nella religione, nella letteratura e nell’arte, fi no al punto di esprimere con un linguaggio ridente e gioioso il suo acuto e brillante senso della natura e della creazione. La mattina del 17 settembre 1224, sullo splendido monte Alverno, Francesco si sentì trafi tto da un dolore molteplice, straziante e soave: sulle sue mani, sui piedi e sul costato erano visibili e sanguinanti le piaghe della passione. L’appassionato testimone di Cristo portava nella carne le stimmate del suo Dio, si trovava unito in maniera misteriosa, ma reale e percepibile, nel dolore e nello strazio, al Salvatore crocifi sso. Francesco, che si era identifi cato con Cristo povero, con Cristo vicino a tutti, con Cristo ammiratore dei gigli del campo e degli uccelli, in quel giorno ottenne nel suo corpo i segni della morte in croce del suo Maestro. Era senza dubbio un segno sconcertante e portentoso della sua identifi cazione con Cristo. La vicenda era cominciata anni prima in una piazza di Assisi, quando il giovane Francesco rispose alle pretese e alle minacce del padre spogliandosi di tutti i vestiti e annunciando a coloro che assistevano stupefatti all’avvenimento che era Dio il suo vero padre. Non rinnegava quelli che aveva amato, ma annunciava le sue priorità assolute: Dio e la povertà, cioè il rifi uto totale di possedere anche il più piccolo dei beni di questo mondo, che fi niscono sempre per possederci e condizionarci; povertà che era il mezzo e il fi ne della santità che richiedeva, povertà che consisteva nella fame del regno di Dio e della sua giustizia. «Andrò nudo incontro al Signore». Da questo momento si nascose nella luce di Cristo povero e stette a completa disposizione dei suoi fratelli. Si dedicò ai più poveri, in particolare ai lebbrosi. La sua reazione istintiva era stata fi no a quel momento il rifi uto disgustato di quella malattia maledetta. Un giorno incontrò sulla sua strada un lebbroso che scuoteva le sue nacchere per annunciarsi. Francesco saltò giù da cavallo, si avvicinò al lebbroso, afferrò la sua mano e ne baciò la carne putrefatta. Vincendo se stesso cominciò la sua grande avventura. Da quel momento, Francesco si aprì in pieno a Cristo. Continuò a essere un uomo, ma in lui dimorava Cristo. Con semplicità evangelica si prodigò a riparare le chiese e la Chiesa in rovina, in un grande rinnovamento d’amore, l’amore che predicava Gesù. Comprendeva e interpretava le Scritture con esigente spontaneità, con allegria, sine glossa. Il Gesù che lo interpellava era immediato, vicino. La carità per il prossimo non era un’astrazione ma un moto irrefrenabile dell’anima, con cui offriva agli altri cristiani la sua totale disponibilità e l’ideale che Dio aveva proposto nelle Scritture. La storia della prima fraternità francescana è la storia di un amore per Dio traboccante e di un amore per gli uomini di pari intensità. Questi religiosi non sono rimasti nella storia per le loro attività a favore dei poveri, ma per la loro identifi cazione e il loro amore nei confronti di chi, nella scala della società umana, si trovava agli ultimi gradini. Non avevano nulla, non potevano nulla, praticavano l’umiltà, la povertà e la castità, per identifi carsi con gli ultimi di questo mondo. Per questo chierici e laici avevano la stessa importanza nella fraternità, non studiavano, non possedevano nulla né personalmente né comu-

1. San Francesco e il povero. Miniatura da un manoscritto della Legenda Maior di san Bonaventura. Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, XIV secolo. La riforma della Chiesa avviene storicamente per un ritorno deliberato alla povertà evangelica, che include anche l’assistenza agli emarginati. La fi gura di san Francesco, la cui grandezza nell’umiltà sarà riconosciuta dalla tradizione protestante, ne è un esempio che attraversa i secoli.

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2. Giotto, Sogno di Innocenzo III. Scena dal ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco, 1295-1300. Basilica superiore di San Francesco, Assisi. Si tratta del sogno in cui il papa vede Francesco sostenere la Chiesa. È forse una delle immagini più signifi cative della «rivoluzione francescana». Il santo, e pertanto la sua opera e il suo ordine, nella loro assoluta povertà di partenza, sono il sostegno, cioè i riformatori, della Chiesa.

nitariamente. Nella nuova fraternità di san Francesco la differenza di condizione e di origine non svolgeva alcun ruolo, fatto che annullava l’idea medievale secondo cui le classi sociali che costituivano la città terrena si dovessero in defi nitiva alla volontà ordinatrice di Dio. Fu una vita in cui, dopo aver lasciato tutto ai poveri, si trasformarono in fratelli in perfetta uguaglianza, facendosi e presentandosi come «ignoranti e sottomessi a tutti». Era una vita condotta nella precarietà dell’alloggio e dei pasti, con l’impegno del lavoro manuale, rifi utando privilegi, chiese e dimore che non fossero conformi alla «santa povertà». Questo spogliarsi dell’individuo rappresentava un gesto di amicizia e fraternità verso i poveri, i più piccoli, un rifi uto di qualsiasi barriera che separasse dai diseredati e dagli infermi. Questo atteggiamento, portato da Francesco e dai suo primi compagni alle estreme conseguenze, si trasformava in testimonianza reale del Cristo che non ha dove posare il capo, compagno di viaggio di tutti i diseredati che sono stati nel mondo. San Francesco esortava i suoi discepoli a «rallegrarsi quando si sarebbero trovati tra persone disprezzate e rifi utate, tra i poveri e i deboli, i malati e i lebbrosi e quanti chiedono l’elemosina per la strada». Lo scopo di Francesco fu di istruire gli uomini con l’esempio più che con le parole: «Tutti i fratelli predichino con le opere!», aveva scritto nella Regola dell’ordine, e osservò sempre questo precetto. Tommaso da Celano, che lo conobbe così bene, scrisse che Francesco rimase sempre identico «nella vita e nelle parole»22. Ma per Francesco non era la povertà la meta, né un fi ne in sé, ma il cammino verso Cristo, verso la partecipazione al suo regno. La più rigorosa povertà non è l’ideale dell’ordine, ma una concretizzazione, benché molto importante, della vita secondo il Vangelo di Gesù Cristo. Questa povertà radicale dà impulso a un amore tale che fa sì che l’uno serva l’altro, si preoccupi per lui e gli procuri il necessario per vivere. Questo amore fraterno, concreto e spontaneo, è precisamente uno dei tratti decisivi del modello cristiano che san Francesco indicò ai suoi seguaci. Disprezzando tutto ciò che è terreno e non amando più se stessi di un amore egoista, trasformavano gli altri in oggetto del loro amore; cercavano di dedicare completamente se stessi, quale cosa più preziosa, per soddisfare così i bisogni dei fratelli e delle sorelle. La sua proposta e la sua vita («il modello dei Minori») sono rimaste nella mente e negli ideali dei cristiani e di molti altri che cristiani non sono, come l’approssimazione migliore all’amore fraterno, gioioso e generoso di Cristo e come la possibilità reale di mettere in pratica la radicalità delle proposte di Gesù. La vita secondo il Vangelo signifi cò per Francesco ripercorrere il cammino di Cristo, seguire le sue orme, senza lasciarsi distrarre da niente e nessuno. La nota che segue costituisce, probabilmente, le sue ultime volontà, trasmesse alle «povere signore», le sorelle che vivevano a San Damiano: «Io, frate Francesco, piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della santissima madre sua e perseverare in essa fi no alla fi ne; e vi prego, signore mie, e vi consiglio, perché viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E abbiate molto a cuore di non recedere in alcun modo in perpetuo da essa, per la dottrina o per il consiglio di chicchessia». Santa Chiara, tanto vicina al modo di pensare e di vivere di Francesco, scrisse: «Il Figlio di Dio si è fatto per noi via, che con la parola e l’esempio ci ha mostrato e insegnato il nostro beatissimo Padre Francesco, vero suo amatore e imitatore». Noi possiamo aggiungere che la carità è una forza che non diventa mai spettacolo. Se lo fa, è un dono per tutti, come fu Francesco23 .

Capitolo 20 I MENDICANTI

Nel corso del XII secolo numerosi laici cristiani manifestarono in diverse forme la propria interpretazione della povertà come una caratteristica fondamentale del cristianesimo e la convinzione di essere chiamati a partecipare all’annuncio del Vangelo e alla predicazione della Parola di Gesù. In questi stessi anni, i terzi ordini e le confraternite di penitenza manifestarono queste stesse ansie di formazione spirituale e di più profonda vita religiosa espresse dai laici; tali ansie e ricerche, se non risultavano originali nelle chiese o nei monasteri, lo erano però nell’anima credente di un popolo che, benché spesso non possedesse una formazione dottrinale adeguata, sperimentava però il bisogno genuino di seguire Cristo e di partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Valdo, ricco mercante di Lione, fu una delle più signifi cative tra queste fi gure. Vendette tutti i suoi beni e si mise a seguire il Signore annunciando ovunque ciò che il Vangelo chiedeva. Povertà e predicazione divennero due bisogni genuini e imprescindibili per molti laici, che decidevano di osservare come precetti le esortazioni evangeliche. Desideravano seguire nudi il Dio nudo incarnato in Gesù. L’espressione di questo sentimento conobbe ogni genere di sviluppo; era una questione che appassionava e in cui mantenere l’equilibrio risultava sempre complicato. La scelta della povertà radicale poteva sfociare in movimenti anti-istituzionali o rivoluzionari e la predicazione effettuata da persone spesso carenti di qualsiasi formazione si traduceva in pittoresche eresie o in dottrine prive di equilibrio, che fi nivano per essere accettabili e seguite da chi era scontento dell’immagine che offrivano tanto il clero quanto i religiosi e l’episcopato. Innocenzo III decise di incanalare queste ansie e queste aspirazioni, presenti soprattutto in Francia e in Italia, favorendo e adattando le proposte di alcuni personaggi che si trasformeranno in punti di riferimento della storia ecclesiastica. I catari, i «fratelli» e le «sorelle» valdesi, gli umiliati di Lombardia, gli speronisti e altri gruppi simili nacquero spesso da questa stessa ansia di uno spiritualismo esigente, forse esageratamente riformista, ma molto presente nel popolo cristiano, che fu in parte assorbito o modifi cato in senso ecclesiale dai nascenti ordini mendicanti, i più signifi cativi dei quali furono Francescani e Domenicani. Dante scrive nella Divina Commedia a proposito dei loro fondatori: «L’un fu tutto serafi co in ardore; l’altro per sapïenza in terra fue di cherubica luce uno splendore» (Paradiso XI,37-39). Nel XII secolo, nelle città che vanno sorgendo grazie ai commercianti, che si dedicano a mille nuove attività, liberi dal potere dei signori feudali, ai margini dell’infl usso diretto delle abbazie – che per secoli avevano segnato la vita cristiana del popolo credente –, ma aperti alla nuova predicazione di valdesi, patarini e catari, tutti ribelli contro la Chiesa, si impose la necessità di trovare una risposta adeguata a quelle nuove esigenze, tanto spirituali quanto sociali, che si erano impossessate della gente. Queste dottrine e le oscure profezie di Gioacchino da Fiore turbavano l’animo dei popoli europei, molto propensi all’azione e alle novità. In questa situazione, che cosa offriva la Chiesa ai nuovi borghesi che detestavano il latino, che si annoiavano per i lunghi canti liturgici, che non avevano tempo per andare nei monasteri, che cominciavano a leggere e a scrivere per proprio conto, che suscitavano inquietudini morali e religiose per il loro modo di vivere e per il carattere delle loro attività economiche? Domenico di Guzmán (1170-1221), sacerdote originario di Caleruega, sull’aspro altopiano di Castiglia, fu colpito dalla vita povera e austera dei catari e dalla

1. Anonimo, San Giovanni da Capestrano predica sulla piazza del duomo di Bamberga. Olio su tavola, 1470-1475. Historisches Museum, Bamberga.

loro predicazione evangelica, in contrasto con la vita opulenta dei monasteri e la predicazione astratta del clero. A suo giudizio, la predicazione doveva basarsi su Cristo e sulla povertà: «Abbiamo rinunciato al secolo e abbiamo dato ai poveri ciò che possedevamo, seguendo il consiglio del Signore. Abbiamo deciso di essere poveri, per non preoccuparci del domani, e non riceviamo da nessuno oro, argento o nulla di simile, salvo i vestiti che indossiamo e il pane quotidiano»24 . Conoscitore del movimento di riforma canonica che si era diffuso in Europa nei decenni precedenti, Domenico fondò assieme ai suoi primi compagni l’ordine dei Frati Predicatori, decidendo di vivere poveri, senza possedere nulla, ricorrendo in caso di necessità all’elemosina. Rifi utavano le rendite fi sse e i beni immobili. Non volevano fi nire per essere poveri individualmente ma ricchi istituzionalmente, come era la norma degli ordini monastici, né volevano isolarsi nei loro conventi; decisero invece di dedicarsi a tutti, specialmente agli abbandonati e agli indigenti. Le loro chiese dovevano essere tanto semplici quanto quelle dei primi tempi dei Cisterciensi. Francescani e Domenicani crearono i terzi ordini, una delle istituzioni che ebbero maggior successo durante questi secoli, attirando effi cacemente i laici preoccupati della vita spirituale, che in questa maniera si sentivano associati alla spiritualità dei Mendicanti. San Francesco aveva creato il Terzo Ordine francescano, i «terziari», i «fratelli e sorelle della penitenza», che, rimanendo nel mondo, assumevano l’obbligo di mortifi carsi, recitare certe preghiere e compiere opere di misericordia, servendo i poveri e gli infermi. Comparve anche un Terzo Ordine di san Domenico. Fu un modo di entrare nelle città, infi ltrandosi profondamente nelle società urbane. Grazie ai terzi ordini la predicazione evangelica divenne uno strumento capace di creare fermenti e dare forma cristiana alla società urbana nascente, e grazie ad essi ci si dedicò nei conventi alla cura delle anime, con la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti, le confraternite e le devozioni, specialmente quella del rosario.

2. Francesco Rosselli (attr.), Tavola Strozzi. Particolare con al centro la chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Olio su tavola, 1472. Museo Nazionale San Martino, Napoli. È a Napoli che Tommaso d’Aquino entra nell’ordine domenicano.

3. Facciata della chiesa di Santo Domingo di Oaxaca, Messico, concepita come un grande retablo: sopra il portale, le statue di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei Predicatori, e di sant’Ippolito, che regge in mano una chiesa. I Domenicani, come i Francescani, fonderanno conventi in tutto il mondo.

Si diede senza dubbio valore alla povertà, ma con la coscienza che si dovesse concedere uno statuto spirituale valido alla nuove attività intellettuali, giuridiche, economiche e artigianali della borghesia. Si legittimarono i guadagni dei commercianti e, di conseguenza, alcune forme di usura, dando avvio a una società nella quale il lavoro non era ormai più una penitenza ma un’attività positiva, in cui lavoratori e produttori intellettuali ed economici trovavano giustifi cazione morale e riconoscimento sociale. La loro sensibilità nei confronti della povertà e il loro rapporto con parte della borghesia nascente, che li aveva accolti, fecero sì che il loro apostolato si dedicasse tanto ai gruppi emergenti quanto alla moltitudine di emarginati, vittime dello sfruttamento e della nuova economia monetaria, nobili decaduti, prostitute e poveri che la città ospitava e produceva allo stesso tempo. Al potere e alla prepotenza feudali, i Frati Minori opposero l’umiltà; all’avidità della ricca borghesia, la povertà; agli egoismi, agli odi e alle differenze di classe, la carità, la fraternità degli uomini in Cristo, l’amore per Dio e per le creature. Non c’è dubbio, nonostante questo, che i Mendicanti si posero in una posizione apparentemente ambigua, giacché, costituendo una risposta al nuovo tipo di ricchezza urbana, avevano dedicato il loro apostolato agli abitanti delle città; ma non c’è neppure dubbio che essi riuscirono a ottenere frutti straordinari nella dinamica della vita religiosa e umana del Medioevo. Da una parte, il programma religioso di Francesco d’Assisi, programma vissuto con intensità dal santo e dai suoi compagni più fedeli, era lo stesso che aveva proclamato Gesù sul monte delle beatitudini e implicava una scala di valori radicalmente opposta a quella del mondo, in duro contrasto con la società dell’epoca, quando le prospere città italiane mettevano in primo piano gli interessi economici e i poteri politici ed ecclesiastici riducevano il proprio orizzonte all’ambizione e alla sete di grandezza terrena. D’altro canto, i Francescani, timidi ma veri discepoli di Francesco, costituirono la coscienza critica di una società che spesso vide in loro uno sprone alla vita religiosa, un’occasione di pentimento, un programma di riforma e di impegno per una società più giusta. In realtà, nella storia dei Mendicanti troviamo rappresentato l’atteggiamento tradizionale della Chiesa di fronte alle novità, alle nuove situazioni sociali e culturali: in un primo tempo le rifi uta per i loro pericoli e aspetti negativi, ma a poco a poco si va adattando alle nuove aspirazioni, mentre le modula e le rende più conformi allo spirito evangelico. In questo modo si legittima l’uso del denaro, la remunerazione del lavoro, i salari dei maestri e il profi tto dei mercanti. Nel XII secolo apparvero anche altri due ordini mendicanti: quello dei Carmelitani e quello degli Eremiti di sant’Agostino. Tra questi religiosi e le città si stabilì un rapporto speciale e, in un certo senso, complementare: mentre essi furono capaci di comprendere e rispondere al bisogno di rinnovamento religioso e all’inquietudine morale di molti cittadini, la città offriva l’ambito, il sostegno economico e la problematica propria della nuova situazione economica e sociale. È così che la città fornì i bisogni e le domande, mentre i religiosi seppero rispondere con le idee e il linguaggio appropriati. Troviamo rappresentata questa complementarità nel famoso progetto della città ideale eseguito da Francesc Eiximenis: al centro è posta la cattedrale e in ciascuno dei quattro quartieri in cui è divisa la città troviamo la chiesa e il convento di uno dei quattro ordini medievali25 .

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4. Copia del IX secolo del cosiddetto Itinerarium Aetheriae, racconto da parte di Eteria, o Egeria, del proprio pellegrinaggio in Terra Santa. Questo diario redatto nel IV secolo è importantissimo per le informazioni sul viaggio, gli ambienti e la liturgia in Terra Santa.

5. Disegno di ampolla (con recto e verso) che i pellegrini riportarono come «memoria» da Gerusalemme. Museo e Tesoro del Duomo, Monza. Sul recto vi si raffi gurano la croce e la resurrezione, sul verso gli apostoli.

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Capitolo 21 PELLEGRINI E OSPEDALI

«Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa» (1 Pietro 1,8), scrive l’autore della Prima Lettera dell’apostolo Pietro. Ci sono state molte persone, nel corso dei secoli, che hanno ignorato la lettera dei Vangeli, ma che tuttavia hanno avuto un’idea elevata e amorevole di Cristo. Non credo che sia inverosimile pensare che molti lo abbiano scoperto nelle buone azioni dei propri fratelli, che confermavano la buona novella udita nelle chiese, nelle vite dei santi e nelle tradizioni familiari. Le notizie della nuova religione volarono da un luogo all’altro del mondo conosciuto per mezzo di messaggeri itineranti, di soldati che percorrevano l’Impero senza nascondere la propria fede, di commercianti e pellegrini che si recavano in luoghi santifi cati dalla vita o dal martirio di cristiani famosi. Si moltiplicarono le diocesi, ci furono vescovi «girovaghi», che cioè portavano il messaggio in luoghi inospitali, lontani dai cammini conosciuti, dopo aver adottato il modo di vita dei nomadi; persone dalla fede ardente che dedicavano la propria vita a predicare là dove non esistevano comunità cristiane. Siria, Mesopotamia, Arabia furono evangelizzate grazie al nomadismo delle tribù già cristianizzate. La presenza nei deserti di monaci e asceti, che impressionavano con l’austerità delle loro vite, con la predicazione spontanea e con l’accoglienza di quanti oltrepassavano la soglia dei loro monasteri, ebbe come frutto la conversione di molti membri delle tribù beduine che percorrevano i sentieri siro-orientali. Allo stesso modo, le strade romane si trasformarono, in mille maniere diverse, in canali di evangelizzazione. In realtà, per il cristianesimo, ogni fedele è un esiliato, un pellegrino, che sta provvisoriamente sulla terra con la speranza di raggiungere la sua vera patria in cielo. Abitano la terra, ma sono cittadini del cielo. Il tempo intermedio costituisce una peregrinazione per le vie del mondo, un’occasione ascetica per essere perdonati e acquistare meriti. Questa costante mobilità, questa tradizione di viaggi, rimarrà per sempre connessa al cristianesimo grazie ai pellegrinaggi in luoghi considerati santi, nei quali la presenza della divinità risulta più vicina e accessibile. Elena, la madre dell’imperatore Costantino, si recò a Gerusalemme con l’intenzione di percorrere devotamente i luoghi nei quali era vissuto il Salvatore, dando inizio così a una pratica pietosa che giunge ai nostri giorni. Egeria, una matrona della Galizia, viaggiò con i suoi compagni per l’Oriente, informandoci tramite i suoi scritti sui costumi cristiani e sulle liturgie celebrate a Gerusalemme, Betlemme e altri luoghi santi. Più tardi, nel corso dei secoli, milioni di persone hanno percorso strade più o meno lunghe per visitare santuari, eremi, cappelle, in cui hanno venerato sepolcri, reliquie e immagini di personaggi centrali nella vita religiosa di quelle regioni. Nel Medioevo, poveri e ricchi, sani e malati, giovani e anziani si ponevano in cammino verso i santuari per implorare aiuto, espiare i propri peccati e rendere grazie per il soccorso ricevuto. Tutto l’Occidente era attraversato da vie sulle quali innumerevoli pellegrini si dirigevano a Gerusalemme, Roma o Santiago, Aquisgrana, Canterbury o Einsiedeln. Portavano con sé le loro pene e i loro dolori, ma anche la loro cultura e i loro modelli di vita e di comprensione della realtà. Per questi pellegrini, tutti gli esseri e tutte le cose incontrati sul cammino potevano acquistare valore di segno provvidenziale. In quello stesso tempo, i monaci irlandesi lasciavano per amore di Dio la sicurezza dei loro monasteri, allo scopo di vivere nel poco ospitale continente l’ideale ascetico dell’abbandono della propria terra e della diffusione della fede. Colombano, Bonifacio, Willi-

1. Il ponte sul fi ume Arga a Puente la Reina, punto di convergenza dei cammini per Santiago de Compostela attraverso i Pirenei provenendo dalla Francia. I ponti nel Medioevo erano essenziali per agevolare i pellegrini. 2. Hospital de San Nicolás de Puente Fitero, Itero del Castillo, Spagna. Questo antico ospizio per pellegrini sul cammino di Santiago è stato ora restaurato e nuovamente reso agibile per i pellegrini dalla confraternita di San Jacopo di Perugia.

brordo, Chiliano, Anscario e molti altri furono grandi missionari nell’Europa centrale e settentrionale. Luxeuil (590), Fulda (744), Corbie (657), Echternach (708), San Gallo (750), Corvey (822) furono importanti abbazie fondate da costoro, veri focolai di evangelizzazione dei popoli, che esercitarono un impressionante infl usso di cristianizzazione e di irradiazione culturale. Le loro biblioteche, il loro sforzo laborioso di copia dei manoscritti, che ci ha conservato buona parte della cultura greco-romana, gli scritti dei monaci, le cronache dell’epoca furono il frutto del loro fervore religioso e culturale. Questa cultura e questa spiritualità erano inoltre segnate dai santi delle località attraverso cui passavano i quattro grandi cammini francesi che confl uiscono a Puente la Reina, in territorio spagnolo, da cui continua un cammino unico che conduce fi no alla soglia del portico della Gloria a Compostela. Questi santi, le loro vite e i loro miracoli, catturarono l’immaginazione delle popolazioni, presentando loro con creatività e forza il messaggio tremendo del giudizio divino e della salvezza eterna. Per la gente, santi e asceti erano testimoni viventi e visibili del mondo futuro e della maniera esemplare di vivere nel presente. I pellegrini giravano per i vari santuari, in cui si trovavano le reliquie di tanti famosi santi del passato, cercando in essi speranza e perdono. Là i ciechi recuperavano la vista; i sordi l’udito; i muti la parola; gli zoppi le proprie gambe; i posseduti dal demonio venivano purifi cati e ogni tipo di infermità era curata o alleviata. Queste guarigioni incrementavano la fede e la speranza della moltitudine dei pellegrini, convinti che quei santi avessero la missione concreta di aiutarli nelle diffi coltà e nelle speranze, grazie ai loro meriti e alle preghiere che potevano rivolgere da vicino al nostro Signore Gesù Cristo. Lungo questo itinerario, accanto ai santuari del cammino sorgevano alberghi e ospedali, nei quali venivano accolti, rifocillati e curati quanti soffrivano per l’inclemenza del tempo o per l’infermità dei corpi. San Domenico della Calzada e sant’Adelelmo di Burgos sono due esempi insigni di questa dedizione generosa ai bisogni dei camminanti, cui si facilitava il percorso gettando ponti, progettando nuove strade e migliorando l’ospitalità e l’accoglienza. La Guida del pellegrino di Santiago descrive questi ospedali come «case di Dio», in cui si verifi cano «il recupero delle forze dei santi pellegrini, il riposo di chi è stanco, la consolazione degli infermi, la salvezza dei morti e la protezione dei vivi». Bonifacio VIII istituzionalizzò e regolò quest’ansia di purifi cazione e perdono, insita nell’essere umano ed esaltata fi no al parossismo durante gli anni centenari, convocando il primo giubileo o anno santo nel 1300, quando decine di migliaia di pellegrini giunsero a Roma alla ricerca di qualcosa che quietasse l’angoscia del loro spirito. Il papa non prese questa decisione di sua propria iniziativa, ma a causa invece della richiesta insistente dei pellegrini giunti in città, che seguivano gli antichi nell’affermare che «ogni cristiano che visiterà i sepolcri degli apostoli durante quest’anno centenario riceverà il perdono dei suoi peccati». La richiesta si estese per tutta la cristianità, avida di una soluzione alle sue inquietudini in un momento

3. Un pellegrino viene curato per le ferite ai piedi. Rilievo del Portale del Giudizio del battistero di Parma. Parma era situata sulla via francigena, che portava dall’Europa a Roma; era perciò un luogo di sosta per i pellegrini. 4. San Giacomo e Cristo giudice in maestà. Particolare del Pórtico de la Gloria, cattedrale di San Giacomo, Santiago de Compostela. Cristo mostra le piaghe gloriose, circondato dai simboli degli evangelisti e dagli angeli con gli strumenti della passione.

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di tensione escatologica, sotto l’infl usso delle idee del cisterciense Gioacchino da Fiore (ca. 1135-1202). La promessa di «un perdono completo e generoso» a tutti quelli che avessero visitato la tomba di san Pietro e la basilica del Laterano durante un periodo di quindici giorni, dopo aver confessato i propri peccati, colpì e affascinò l’immaginazione e la speranza dei cristiani, aumentando la centralità spirituale di Roma. Si trattò dell’esercizio più spettacolare del potere pontifi cio da quando Urbano II aveva concesso la prima indulgenza in occasione della crociata. Nel corso di un anno intero, da un Natale all’altro, tutti coloro che avevano adempiuto le condizioni imposte dal papa poterono benefi ciare di questa indulgenza straordinaria, per la quale la Chiesa osava disporre dell’inesauribile tesoro dei meriti accumulati da Cristo e da tutti i santi, per distribuirlo tra i fedeli. Si trattava di un’estensione sorprendente, ma gioiosa e foriera di speranza, della salvezza di Cristo a tutti i membri del suo Corpo mistico. Né le pestilenze, né le guerre, né le enormi diffi coltà che non pochi di loro avevano sofferto poterono impedire ai pellegrini, prima ogni cinquant’anni e in seguito ogni venticinque, di lanciarsi per i loro cammini e visitare i sepolcri degli apostoli. Giungendo a Santiago de Compostela e attraversando il meraviglioso portico della Gloria, la gloria celeste ci si fa incontro, con Cristo, il suo apostolo, i profeti, gli altri apostoli e i santi. Quattro straordinari angeli trombettieri, posti ai quattro angoli, che si riferiscono chiaramente ai quattro punti cardinali, hanno il compito di radunare gli eletti affi nché intonino un cantico nuovo. Fra di questi stiamo noi, i pellegrini della terra.

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