MATISSE. VENCE

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MATISSE


MARIE-THÉRÈSE PULVENIS DE SÉLIGNY

MATISSE V E N C E

La cappella del Rosario Campagna fotografica BAMS photo – Rodella


INDICE

International Copyright © 2013 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved Per tutte le opere di Henri Matisse riprodotte in questo volume © Succession H. Matisse by SIAE 2013

Prima edizione italiana settembre 2013 Traduzione dal francese, revisione e cura dell’edizione italiana di Roberto Cassanelli In copertina La cappella del Rosario, veduta d’insieme dell’interno Sul retro La cappella illuminata, di notte, percezione luminosa dell’opera di Matisse

La campagna fotografica della cappella, insieme alle immagini alle pagine 77, 94, 98, 102, 110, 114, 126-127, 176-179, è di BAMS – Photo Rodella. Archives Henri Matisse: 209 (in alto), 210 (in alto) © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais / Philippe Migeat: 213 (in basso) Città di Nizza – Service Photographique: 213(in alto), 214 (in alto) © Fonds Hélène Adant, Bibliothèque Kandinsky, MNAM, Centre Pompidou, Paris: 211(in alto), 215 François Fernandez: 173-175, 205, 206, 207, 208, 209 (a metà pagina), 210 (a metà pagina), 210-211 (in basso), 212, 213 (a metà pagina), 214 (in basso) © Lucien Hervé, Paris: 211 (a metà pagina) © Succession H. Matisse / Photo: Ville de Nice – Service photographique: 34 (in alto), 66, 67, 96, 100, 104, 106, 108, 112, 116, 208 (in alto) La pianta a pagina 34 è di Daniela Blandino.

Selezione delle immagini e impaginazione Pixel Studio, Milano Stampa e legatura Grafiche Flaminia, Trevi (Pg) luglio 2013 ISBN 978-88-16-60483-4

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA – Servizio Lettori, via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 e-mail: libreria@jacabook.it; internet: www.jacabook.it

Introduzione LA CAPPELLA DEL ROSARIO DI VENCE Capitolo primo GENESI DELLA CAPPELLA DEL ROSARIO Il destino di un incontro L’occasione della cappella Un appuntamento col mondo religioso Una «contemplazione attiva» per la creazione di uno spazio spirituale I domenicani del tempo di Matisse Capitolo secondo LA CAPPELLA: ARCHITETTURA E DECORAZIONE Verso un nuovo spazio Una chiesa gioiosa La porta del confessionale I pannelli in ceramica La Vergine col Bambino San Domenico La Via Crucis: la tragedia silenziosa della linea L’altare maggiore Il Crocifisso La vasca del giardino Le acquasantiere Capitolo terzo LA CAPPELLA, UN’OPERA DI LUCE

9 19 19 21 22 28 28 31 33 46 54 65 68 76 83 118 118 128 128

Lo spirito delle vetrate Trasparenza e opacità L’Albero della Vita La vetrata «del Pesce» La luce delle vesti liturgiche La cappella: una luce nella notte

139 139 154 162 169 172 180

Conclusione LA CAPPELLA DEL ROSARIO, LUOGO DI CULTO, D’ARTE E DI VITA DI FRONTE AL MONDO CONTEMPORANEO Matisse: un’opera di speranza La cappella di un artista

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Breve cronologia degli ultimi anni di Matisse Note Bibliografia Indice dei nomi

205 216 221 223


Alle domenicane della cappella del Rosario di Vence e in ricordo di suor Jacques-Marie

«Questa cappella è per me il risultato di tutta una vita di lavoro, e la fioritura di uno sforzo enorme, sincero e difficile»1.

Il progetto di quest’opera non avrebbe potuto concretizzarsi senza il sostegno, il consiglio, la competenza e l’amicizia di Sante Bagnoli, Vera Minazzi, Georges Matisse, Gwenaëlle Fossard, Sylvie Forestier, Wanda de Guébriant, Michel Herrmann, Nathalie Lavarenne, Giulia Valcamonica,Valentina Vincenti, Nathalie Scholz (edizione francese), Roberto Cassanelli (edizione italiana), Caroline Beamish e Alison Hissey (edizione inglese) e tutti coloro con i quali ho discusso della cappella, verso cui vanno tutti i miei ringraziamenti: Claude e Barbara Duthuit, Gérard, Evelyne Matisse, René Percheron, Barbara Freed, suor Jacques, suor Myriam, suor Magdalena, suor Bernadette, suor Marie-Pierre, padre Marc Chauveau, e i miei fratelli Jean-François e Paul-Antoine.

Nel 1947 Matisse inizia a ideare e realizzare la cappella del Rosario per la comunità delle suore domenicane di Vence, che verrà inaugurata il 25 giugno 1951. Si dedica al progetto per quattro anni, attingendo alle proprie emozioni. L’opera è frutto di una ricerca costante e assidua, rischiarata dagli scambi che l’artista intrattiene con i domenicani. Se la cappella di Vence può essere considerata il punto d’arrivo dell’intera parabola artistica di Matisse, per l’ordine dei domenicani costituisce la materializzazione della volontà di rinnovamento della visione religiosa e cultuale della Chiesa. Questo luogo di raccoglimento protegge le preghiere delle suore domenicane, ma accoglie anche numerosi visitatori provenienti da tutto il mondo.

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INTRODUZIONE

LA CAPPELLA DEL ROSARIO DI VENCE

«La coscienza dell’artista è uno specchio puro e fedele nel quale deve poter riflettere la propria opera, ogni giorno […]. La costante responsabilità di chi crea nei confronti di se stesso e del mondo non è una parola vuota: aiutando l’universo a costruirsi, l’artista conserva la propria dignità»2. Matisse paragona la cappella del Rosario a un libro, le cui pagine siano scritte col pennello in inchiostro nero di china su ceramiche bianche, animate dal colore delle vetrate. Dal 1932, d’altra parte, a partire dall’edizione delle poesie di Mallarmé, realizza numerosi libri illustrati, tutti caratterizzati dall’impostazione architettonica delle pagine, costruite con i caratteri tipografici del testo e le figurazioni – a penna e china, seppia e carta colorata e ritagliata (papier gouaché découpé). Come nella cappella, lo spazio vuoto della pagina s’intreccia con i temi, accentuandone la luminosità e la presenza. Ideando la cappella, Matisse supera la specifica ritualità religiosa di cui questa costituisce la cornice, animato dalla sua personale visione dell’archetipo della luce, dello spazio, del bianco senza limiti, che rappresenta l’infinito, la dimensione spirituale dell’uomo e la sua qualità mistica. La cappella è un luogo chiuso, edificato però intorno a una possibile direttrice di apertura, simboleggiata dall’accentuata, sproporzionata verticalità della guglia della campana. La cappella si slancia così verso il cielo, alla cui luce si apre con le vetrate, mutandosi quasi nel miraggio, reso concreto, della liberazione da ogni costrizione, sia materiale sia spirituale; un ritorno alla trasparenza, alla trascendenza, al sollievo dalle sofferenze di chi vi prega o di chi la visita, senza peraltro annullare le rispettive identità.

Lato nord-ovest della cappella del Rosario, con la vetrata de L’Albero della Vita.

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Pagina seguente: Veduta di Vence.

Vence Nel marzo 1943 un quartiere di Nizza viene bombardato e Matisse, di fronte alla minaccia dell’occupazione di alcuni edifici da parte dei tedeschi, lascia provvisoriamente l’appartamento-studio del Régina di Cimiez per trasferirsi a Vence, nell’immediato entroterra. Si stabilisce a Villa Le Rêve, dove rimane sino alla fine del 1948. Come tutti i luoghi dove l’artista ha vissuto, la villa si trasforma in uno spazio di lavoro e di creatività. Matisse vi realizza numerose opere, notevoli per l’originalità della tecnica utilizzata, in particolare per il modo in cui dipinge con stesure piatte di colore, un trattamento pittorico che caratterizza il periodo detto “di Vence”. Come di consueto è interamente assorbito dalla sua arte, e organizza la vita quotidiana attorno alle sedute di disegno e pittura. Una delle principali fonti di osservazione è il giardino della villa, di cui su vari album disegna ripetitivamente le forme vegetali. S’impossessa del soggetto e della sua struttura come della trama di un linguaggio. Nella semplificazione della figurazione grafica, foglie e rami divengono “segni”. «Un artista deve possedere la Natura. Deve identificarsi nel suo ritmo con sforzi che gli consentano di acquisire la maestria grazie alla quale, più tardi, potrà esprimersi nel suo proprio linguaggio»3. Matisse contempla la natura, che racchiude il segreto della creazione; desidera essere penetrato dalla sua bellezza, per rendere la sua opera viva e aperta agli altri. La grave operazione, cui è stato sottoposto a Lione nel 1941, e l’incontro nel 1942 con Monique Bourgeois, a quel tempo infermiera, che diverrà poi suor Jacques-Marie, conferiscono maggiore profondità spirituale alla sua arte e alla sua ispirazione: «In questo momento faccio tutte le mattine le mie orazioni, con la matita in mano davanti a un melograno ricoperto di fiori in diversi stadi di fioritura, guardando la loro trasformazione, e lo faccio non con spirito scientifico, ma penetrato di ammirazione per l’opera divina. Non è questo un modo di pregare? E faccio in modo (in fondo non faccio nulla da solo, perché è Dio che guida la mia mano) di rendere evidente anche agli altri la tenerezza del mio cuore»4. Il fiorire del disegno, l’ampliarsi dell’espressività attraverso il colore e la linea grafica creano un nuovo spazio pittorico. La realizzazione di “interni”, in particolare nel 1947, aperti sull’esterno attraverso una finestra5 prefigura l’approccio poi impiegato nella cappella. Le vetrate, con i motivi colorati e il gioco di contrasti fra trasparenza e opacità, mettono in comunicazione l’universo religioso interiore col mondo esterno. Le figurazioni di San Domenico, della Vergine col Bambino e della Via Crucis divengono, con l’estrema semplificazione del tratto, “segni”. Con la cappella l’arte di Matisse assume una nuova dimensione, nutrita dall’accresciuta coscienza della grandezza spirituale di ogni creazione artistica. «La maggior parte 10

dei pittori […] ricerca una luce esterna per poter vedere chiaro in se stessi. Mentre l’artista o il poeta possiedono invece una luce interna che trasforma gli oggetti per farne un mondo nuovo, sensibile, organizzato, un mondo vivo che è in sé segno infallibile della divinità, riflesso della divinità»6.

Matisse si stabilisce nel 1943 a Vence, a Villa Le Rêve. A febbraio, Louis Gillet, storico dell’arte e della letteratura, annota i pensieri dell’artista. Durante il periodo bellico, e dopo l’operazione cui è stato sottoposto a Lione nel 1941, il paesaggio di Vence e la vegetazione del giardino lo rigenerano. Il destino lo porterà a concepire la cappella del Rosario per le suore domenicane della vicina casa di riposo Lacordaire.

«Tutto è nuovo, tutto è fresco come se il mondo fosse appena nato. Un fiore, una foglia, un ciottolo, tutto brilla, tutto risplende, tutto è lustro, colorato, non potete immaginare come sia bello! Talvolta mi dico che profaniamo la vita: a forza di vedere le cose, non le guardiamo più. Concediamo loro solo dei sensi offuscati»7.

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La cappella del Rosario vista da Vence.

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Cappella del Rosario, veduta esterna.

«Bisogna essere sinceri, l’opera d’arte esiste pienamente solo se è carica di emozione umana e se è resa in tutta la sua sincerità, e non per l’applicazione di un programma convenzionale. È per questo che possiamo guardare le opere pagane degli artisti che precedono i Primitivi cristiani senza essere turbati. 16

Ma quando ci troviamo davanti a certe opere del Rinascimento la cui materia è troppo ricca, sontuosa, provocante, allora siamo imbarazzati nel vedere come un sentimento possa partecipare del cristianesimo con tanto fasto e artificio»8. 17


CAPITOLO PRIMO

GENESI DELLA CAPPELLA DEL ROSARIO

Il destino di un incontro È forse il destino che, con il concorso di circostanze imprevedibili, ha offerto a Matisse l’occasione di progettare una cappella. Nel 1943, a settantatré anni, abita in un grande edificio sulla collina di Cimiez, il Régina, un ex albergo che domina Nizza e la baia degli Angeli. Dopo la seria operazione cui è stato sottoposto a Lione, l’artista è sofferente e il suo stato di salute necessita della presenza costante di un’infermiera. Quando la persona incaricata deve assentarsi per un periodo di vacanza, Monique Bourgeois, un’allieva infermiera, si presenta per sostituirla: «Era il 26 settembre 1942. Suonai. Una ragazza, grande, bionda, pallida in volto, venne ad aprire e mi diede brevemente tutte le informazioni del caso»9. Inizia così il miracolo di una creazione, quella della cappella del Rosario delle domenicane di Vence. Monique Bourgeois, allora ventenne, aveva da poco perso il padre, il 31 gennaio 1942, ed ella stessa, nel 1940, si era ammalata ai polmoni. Nonostante la salute fragile, era andata all’ufficio di collocamento delle infermiere di Nizza e aveva preso l’autobus per salire a Cimiez. Trovò il pittore costretto a letto: «Sembrava mezzo addormentato, ma mi osservava attraverso gli occhiali cerchiati d’oro…»10. Nonostante lo sguardo scrutatore del maestro, e il sentimento di timore che ispira alla ragazza, tra i due nasce una corrispondenza di mente e di cuore. Monique darà a Matisse energie nuove, che gli consentiranno non solo di sopportare la sofferenza fisica, ma anche di affrontare l’ampiezza dell’impegno necessario per la realizzazione della cappella. «Matisse era a volte molto allegro, scherzoso e beffardo; il mio carattere giocoso si adattò benissimo e divenimmo presto complici»11. Matisse aiuta la ragazza a ottenere una borsa per proseguire gli studi. Li separano più di cinquant’anni. Egli ritrova nel suo viso la gaiezza che ama disegnare, e da infermiera Monique si trasforma in modella. Le sedute di posa si svolgono talvolta in modo imprevedibile. «Un giorno, nervosa, assunsi le posizioni più inverosimili. Matisse si arrabbiò e mi congedò. Senza rendermene conto avevo interrotto l’ispirazione del pittore. L’indomani dovetti fargli le mie scuse. Mi rimproverò dolcemente; gli promisi che sarei rimasta tranquilla»12. Matisse la raffigura in quattro dipinti, Monique (4 dicembre 1942), L’Idolo (L’Idole, dicembre 1942), Il Vestito verde e le arance (La Robe verte et les oranges, gennaio 1943), Tabac royal (marzo 1943). Monique lo osserva lavorare alle incisioni su linoleum per Pasiphaé di Montherlant13. Queste esperienze influiranno profondamente sulla giovane infermiera, che in seguito disegnerà e dipingerà. 19


Nel febbraio 1944 Monique Bourgeois entra nella comunità delle domenicane di Monteils. A settembre veste l’abito da novizia e assume il nome di suor Jacques-Marie. Matisse le scrive diverse lettere, interrogandosi talvolta sul senso della sua vocazione. Nel 1945 la salute della religiosa peggiora e deve essere ricoverata in clinica, la casa di riposo Lacordaire di Vence. Sapendo che Matisse abita vicino, gli fa per la prima volta visita come religiosa. L’anno dopo, l’8 settembre 1946, suor Jacques-Marie, dopo aver preso i voti, torna a Vence come suora per l’assistenza domiciliare. Matisse ne parla così: «È domenicana ed è sempre una magnifica persona. Chiacchieriamo di una cosa e dell’altra con un tono dolcemente scherzoso. Una volta andata via, Lydia14 mi ha confessato il suo stupore per la nostra conversazione. So che cosa la colpisce: vi avverte una certa tenerezza, anche inconscia. Ho riassunto quel che passa nell’animo di Lydia dicendo che è una specie di flirt, che vorrei scrivere fleurt15, perché è un po’ come se ci fossimo lanciati idealmente dei fiori, dei petali di rosa. E perché no! Nulla ci vieta questa tenerezza, che passa attraverso le parole e va oltre le parole»16. L’incontro con Monique Bourgeois, come infermiera prima e poi come religiosa, offre a Matisse l’occasione per accedere a una nuova dimensione di riflessione e creazione. Nel 1947 suor Jacques-Marie gli comunica il desiderio della sua comunità di dotare di una cappella la casa di riposo Lacordaire, e gli sottopone anche uno schizzo per una vetrata raffigurante l’Assunzione della Vergine, che ha dipinto all’acquarello la sera del 7 agosto 1947, mentre, sola, pregando, vegliava suor Jeanne del Santo Sacramento, sagrestana, in punto di morte: «Perché ho estratto un foglio di carta e mi sono messa a scarabocchiare? Non ne ho idea»17. L’ingenua freschezza dello schizzo interessa Matisse. «Avevo dipinto un’immagine che raffigurava una vetrata, e Matisse mi consigliò di realizzarla. Un progetto per la cappella era stato abbandonato, e voleva che la realizzassi in previsione della futura cappella. Ho sempre rimandato, non sentendomi in grado di realizzare una vetrata. Matisse insisteva, promettendomi il suo aiuto. Si andò avanti così per un anno, ma sapevo che quello che decideva Matisse era praticamente fatto»18. È in questo momento che nasce il progetto della cappella del Rosario di Vence, che prende forma e si sviluppa poco a poco nel corso degli anni seguenti19. Le prime ricerche sull’architettura e la decorazione sono svolte dall’artista a Vence, e proseguono poi al Régina, dove torna nel 1949. L’appartamento si trasforma in un vasto laboratorio sui cui muri si dispongono gli studi, molti dei quali alle dimensioni del vero. Le sofferenze causate dalla malattia e le inquietudini che assalgono l’artista influenzano l’ideazione dell’opera. La coesistenza di elementi antagonisti – da una parte i tormenti, dall’altra la pace e la serenità – trova un’eco nella resa stessa del disegno sulle ceramiche parietali ideate da Matisse per la decorazione della cappella: «Il pannello di San Domenico e quello della Vergine col Bambino hanno la medesima intensità decorativa, e la loro serenità ha un carattere di tranquillo raccoglimento che è loro proprio, mentre quello della Via Crucis è animato da uno spirito differente. È tempestoso»20. Nel giugno 1951 Matisse, malato, non può prendere parte all’inaugurazione della cappella, e scrive una lettera a monsignor Paul Rémond, vescovo di Nizza: «Quest’opera mi ha richiesto quattro anni di lavoro esclusivo e assiduo, ed è il risultato di tutta la mia vita attiva. Nonostante tutte le sue imperfezioni, la considero il mio capolavoro»21. Suor Jacques-Marie ha costantemente rappresentato il legame tra Matisse e la cappella. La religiosa ha raccolto un prezioso archivio sulla genesi dell’opera, e fino alla sua scomparsa, nel 2005, ha testimoniato la generosità di questa creazione22. 20

L’occasione della cappella Nel 1952, inviando un messaggio alla sua città natale, Le Cateau-Cambrésis, che gli rendeva omaggio dedicando una sala del palazzo comunale alla presentazione delle sue opere, Matisse evocava il suo percorso di vita e di lavoro. L’artista metteva in evidenza la determinazione con cui aveva trovato la propria strada di pittore sino a rivelarla a se stesso: «È nella creazione della cappella di Vence che mi sono alla fine risvegliato a me stesso […]»23. È un dato di fatto che l’insieme della decorazione della cappella sia in stretta e concreta relazione con le diverse tappe della sua creatività. La sua terra d’origine, il Nord, dove nacque nel 1869, e l’infanzia in Piccardia, trascorsa a Bohain-enVermandois, lasceranno tracce, in particolare della tradizione di vita laboriosa e della fabbricazione locale di tessuti variamente decorati. Nel 1891, dopo un lungo periodo di convalescenza, Matisse volge le spalle alla formazione giuridica, destinata ad assicurargli un posto di praticante in uno studio legale a Saint-Quentin. Una scatola di colori per dipingere e le cromolitografie proposte per lo studio costituiscono per il giovane la chiave di un nuovo destino. A Parigi, dopo varie esperienze, diviene allievo di Gustave Moreau, che gli predice il ruolo che avrà nel futuro della pittura24. Nel 1895 il pittore scopre la Bretagna in compagnia di Émile Wery25. Questo primo contatto costituirà l’elemento rivelatore della sua relazione con la natura e la luce. A trent’anni, dopo il matrimonio e in occasione del viaggio di nozze, visita l’Inghilterra, scoprendo le opere di Turner, di cui apprezza soprattutto l’intensa luminosità. Va poi in Corsica dove, per la prima volta, sperimenta l’incandescenza del paesaggio meridionale. Da questo momento Matisse si abbandona alla luce. Nell’estate 1904 raggiunge Paul Signac, maestro del divisionismo, a Saint-Tropez. L’anno successivo, insieme ad André Derain, si isola a Collioure. Dalla sua tavolozza scaturisce un nuovo modo di dipingere con l’utilizzo di colori spremuti direttamente dal tubetto: il “fauvismo”. Nel 1912 prende avvio una tappa ulteriore. In Marocco scopre lo spazio vivacemente colorato e l’ombra diffusa delle vie della Casbah. Le culture diverse e le loro arti lo attraggono. L’artista si circonda di numerosi oggetti e di mobili che, combinandosi, modulano lo spazio quotidiano, diversificando le decorazioni e allargando l’orizzonte delle possibilità di rappresentazione grafica e pittorica. Questa sensibilità, affinatasi nel corso di tutta la vita, si ritrova nel modo in cui Matisse avvia e porta a termine il progetto della cappella, la cui ideazione in qualche modo riprende, concentrandole, tutte le tappe di scoperta e ricerca da lui percorse, arricchite dalla prova della malattia e dalla sofferenza a causa della grave operazione del 1941, dalla quale si risolleva con nuova forza creativa. «Ho molto sofferto, ma ora sono più solido di prima»26. Da questa rinnovata energia ha origine un periodo ricco di colore e luce, che si rivela nelle illustrazioni per il Florilège des Amours de Ronsard27, con tavole d’impianto architettonico nelle quali testo e disegni sono in reciproco equilibrio. È il periodo in cui Aragon incontra Matisse. Lo scrittore desidera scrivere un libro sul maestro. «Signore, ho pensato di fare di lei un romanzo…»28. L’artista acconsente al progetto, che considera una testimonianza resa alla sua opera, soprattutto perché lo scrittore ha appena terminato la prefazione Matisse-en-France alla raccolta di disegni Thèmes et Variations29. Egli disegna diversi “temi”, visi, giovani donne languide, nature morte, che traccia innanzitutto a carboncino e di cui realizza diverse versioni a penna e china. La rapidità della linea, la semplificazione delle forme, l’energia del tratto legato all’emozione manifestano lo spirito di modernità 21


Pagine seguenti: Interno della cappella verso l’altare, con la vetrata de L’Albero della Vita e i pannelli in ceramica di San Domenico e della Vergine col Bambino. Interno della cappella verso l’ingresso dei fedeli, con il pannello in ceramica della Via Crucis.

che caratterizzerà la cappella. Nonostante la salute fragile, prosegue le ricerche. Per l’illustrazione dei Poèmes di Charles d’Orléans30 vuole immaginare la verità di un volto senza ispirarsi a raffigurazioni precedenti. S’interroga a tale proposito sulla nozione di rassomiglianza, e questioni analoghe si porrà quando dovrà tracciare i volti di san Domenico, della Vergine col Bambino e infine di Cristo. Il trasferimento nel 1943 a Vence segna il punto di avvio di una serie di dipinti d’interni caratterizzati dalla densità del colore, dalla creatività della linea e dalla composizione in uno spazio chiaro e definito, nonostante l’inquietudine causata dall’arresto della figlia Marguerite e della moglie Amélie per collaborazione con la Resistenza. Il 23 luglio 1944 scrive a Charles Camoin: «Sai già probabilmente che la povera signora Matisse è stata condannata a sei mesi […]. Da parte mia, credevo di aver provato tutto, sofferenze fisiche e morali. Ma no! C’era bisogno di quest’ultima prova. Non oso pensare a Marguerite, di cui non si sa nulla. […] Da tre mesi, per far fronte a questi problemi, lavoro il più possibile»31. Questo periodo riunisce dipinti concepiti senza limiti precisi, che appaiono, nella luminosità delle tonalità, come una sorta d’immaginario trompe-l’œil. L’artista raccorda il ristretto spazio dell’interno della casa con quello infinito dell’esterno, aperto sul cielo. Un approccio analogo verrà ripreso nella cappella del Rosario. Nel 1946 un film di François Campaux presenta Matisse come il pittore francese giunto all’apice della gloria e all’apogeo del dominio della sua arte e del suo stile. Nel 1947 il Musée National d’Art Moderne di Parigi, da poco costituito, accoglie nelle sue collezioni importanti opere del maestro32. L’animo di Matisse si apre ancora una volta alla novità con la realizzazione, su richiesta dell’editore Tériade, del volume Jazz33. È in questo contesto di generale riconoscimento della sua opera, e del posto che questa occupa nella storia dell’arte, che Matisse realizza nella più grande semplicità la cappella di Vence.

Un appuntamento col mondo religioso Monique Bourgeois illumina con la sua giovinezza le ore del pittore segnate dalla malattia e lo spinge a proseguire le sue ideazioni. Suor Jacques-Marie pone l’artista in relazione col mondo religioso, esperienza che per lui d’altra parte costituisce più un approfondimento che una vera e propria rivoluzione spirituale. «Non ho avuto bisogno di convertirmi per realizzare la cappella di Vence. La mia attitudine interiore non si è modificata; è rimasta quella che ho sempre avuto, quella che ho davanti a un volto, una sedia o un frutto»34. La materialità dell’opera si confronta 22

con la spiritualità del messaggio che deve trasmettere. Lo spirito dell’uomo si accosta al divino. «Ho iniziato dal profano, ed ecco che al crepuscolo della mia vita in modo del tutto naturale finisco col divino»35. L’artista lavora liberamente, come ha sempre fatto nel corso della vita, con umiltà e determinazione. Il suo approccio nasce dall’osservazione e dall’emozione. Egli vive la propria opera, seguendo con flessibilità le intuizioni e l’ispirazione. Il lavoro sostiene il corpo segnato dalla malattia, mentre l’animo si apre a una grande impresa. L’esperienza della remissione gli consente di attribuire un senso nuovo alla libertà, all’importanza dell’istante e alla stessa esistenza. «Nel corso della mia carriera, ho battagliato […]. Un giorno mi sono trovato davanti al traguardo tanto desiderato. Non sono io che l’ho scoperto, che ho realizzato il mio stato d’animo, mi sembra che un’idea, un ideale si siano imposti a me»36. Lo spirito della cappella, nell’oscillazione tra intuizione e sensazione, diviene movimento. L’opera diviene così la speranza di un adempimento. «La mia unica religione è quella dell’amore per l’opera da creare, l’amore per la creazione e per la massima sincerità»37. Matisse accosta il fenomeno religioso in modo intimo, dal punto di vista della creazione, in quanto egli stesso creatore. La progressione che s’impone nella realizzazione dell’opera, lo sforzo sostenuto, l’osservazione assidua della natura, tutto culmina in uno stato prossimo alla fede. «Credo in Dio? Sì, quando lavoro. Quando sono sottomesso e modesto, mi sento completamente aiutato da qualcuno che mi fa fare cose che vanno al di là di me»38. L’entusiasmo per la creazione introduce nell’opera una sorta di mistica fatta di fiducia ed esaltazione. «Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, e insieme la generosità e la profonda sobrietà che implica la genesi di ogni opera d’arte. Non è forse l’amore all’origine di ogni creazione?»39. Segnato da questo sentimento e da questo slancio, Matisse è alla ricerca di una forma di rappresentazione che, grazie al suo carattere universale, tocchi spontaneamente la sensibilità di ogni spettatore, chiunque esso sia. Nella cappella si sforza di creare un legame diretto tra espressione e sentimento. La vivacità del gesto ingenera la modulazione e la vita della linea. L’incontro obbligato con il mondo religioso e i suoi codici di rappresentazione è alla fine conveniente per l’artista. Si sente a proprio agio, e vi ritrova modi di riflessione e di espressione vicini a quelli cui è abituato. «Ogni arte degna di questo nome è religiosa. Anche una creazione formata da linee e colori: se questa creazione non è religiosa, non esiste»40. Tutto ciò conforta il pittore nello sviluppo della sua creatività, a differenza dell’esperienza vissuta in gioventù, nel mondo chiuso dell’arte accademica, «quando, lasciando il cavalletto, si riportava un senso di felicità o di scontento a seconda che “fosse 23




andata più o meno bene”, ma si perdeva ogni contatto col quadro che si stava facendo»41. Attraverso la “verità” della cappella Matisse cerca, al tramonto della vita, di raggiungere un nuovo paradigma.

Una «contemplazione attiva»42 per la creazione di uno spazio spirituale Per Matisse l’ideazione della cappella di Vence presenta le caratteristiche di una contemplazione attiva. In primo luogo l’artista s’interroga sui diversi modi di raffigurare i soggetti che affronta: la Vergine col Bambinio, San Domenico, la Via Crucis. In seguito, grazie al carattere del tutto personale che attribuisce alle figurazioni tradizionali, accede, al di là del visibile, alla contemplazione e rappresentazione di uno spazio soggettivo, il cui senso sia accessibile a tutti. La composizione dei tre pannelli in ceramica, nella semplicità del disegno, riflette un universo nel quale, secondo la concezione di Matisse, «l’immaginazione provvede a dare la profondità e lo spazio»43. L’attitudine dell’artista, come quella dello spettatore che in qualche modo lo emula, è descritta da Matisse stesso nei pensieri sul disegno de L’Albero. Il pittore scrive a Rouveyre a proposito della bellezza e del mistero di un tronco, del fogliame, propri del disegno che vi si ispira: «[…] la natura mi accompagna e mi esalta. Azione contemplativa, contemplazione attiva… come dire?»44. A ciò si aggiunge l’importanza del vuoto. «Avevo già osservato come nei lavori degli Orientali il disegno del vuoto lasciato intorno alle foglie contasse quanto quello stesso delle foglie»45. L’impianto grafico delle vetrate, la loro luminosità, i colori proiettati sulle pareti e sul pavimento della cappella esaltano lo spazio, modificando e ampliando i limiti visibili dell’architettura dell’edificio, al quale attribuiscono una dimensione spirituale che facilita al visitatore l’accesso a uno stato di meditazione e di contemplazione.

I domenicani del tempo di Matisse Nell’età contemporanea i domenicani hanno inteso rinnovare il prestigio del loro ordine e il modo in cui è stato percepito il loro messaggio religioso. In nome della libertà di pensiero, la Rivoluzione francese ha scosso l’insieme del mondo religioso, rimettendo in discussione l’identità stessa di alcuni ordini. I domenicani godono tradizionalmente di grande autonomia. Le suore formano un’entità religiosa posta sotto l’autorità di un superiore direttamente soggetto al papa. All’inizio del XIX secolo Henri Lacordaire rilanciò l’ordine dei predicatori, stabilendo il ritorno alla stretta osservanza della regola e adoperandosi per il rinnovamento delle chiese e delle cappelle domenicane, luoghi di meditazione e di predicazione di un pensiero religioso forte e strutturato, da condividere e trasmettere. Architettura e decorazione svolgono in tal senso un ruolo essenziale. La creatività degli architetti e degli artisti si esprime nel rispetto delle convenzioni pratiche e liturgiche dell’ordine, che è peraltro favorevole all’arte, che corrisponde alle sue aspirazioni. L’artista è riconosciuto come il depositario di tecniche che gli consentono di creare opere che esaltano la fede in Dio in modo più diretto di quanto non possa fare la parola. Attraverso la ricerca della bellezza, l’arte accede a uno statuto consonante con l’elevatezza dello spirito religioso. L’opera d’arte deve trasmettere, in modo universale, un 28

messaggio religioso, rendendo percepibile l’astrazione che questo comporta. È in tale contesto che i domenicani si rivolgono ad artisti di culture e sensibilità diverse, ritenendo che non sia necessario essere credenti per creare un’opera religiosa. Dal 1920 l’impegno di alcuni domenicani, come il canonico Jean Devémy, rende possibile realizzare nuove cappelle, come quella di Notre-Dame-de-Toute-Grâce, destinata ai degenti del sanatorio dell’altopiano di Assy in Alta Savoia46. Alcuni anni dopo, nel 1937, padre Marie-Alain Couturier si dedica al rinnovamento dell’arte sacra. Anima della rivista L’Art Sacré con padre Pie-Raymond Régamey, riflette sul ruolo dell’arte nella Chiesa in relazione al carattere spirituale che può rivestire la creazione artistica47. Apre così, nel modo più vasto, il mondo religioso agli artisti contemporanei di credenze e confessioni diverse. Anche il mondo della cultura inizia a interessarsi al problema, come testimonia la mostra al Petit Palais di Parigi, Vitraux et tapisseries (4-30 giugno 1939), nella quale «opere religiose erano fraternamente accanto a opere profane firmate da Braque, Picasso, Léger e Lurçat»48. Per la cappella di Assy, ad esempio, Rouault è invitato e realizzare le vetrate, Fernand Léger la facciata in mosaico e Bonnard la decorazione di un altare. Germaine Richier realizza il Crocifisso per l’altare maggiore, mentre Braque contribuisce con una decorazione, come pure Chagall. Nel 1948 viene coinvolto anche Matisse. L’artista, che già da un anno lavora alla cappella del Rosario di Vence, riprende la figura di San Domenico, che rappresenta a mezzo busto, affinché possa essere collocata in una nicchia al di sopra di un altare laterale. Il tratto, come nel caso della cappella di Vence, è a pennello. La linea nera spicca sulle piastrelle di ceramica gialla, mentre tralci di vite formano un pergolato che accompagna la curva dell’arcata. In questo periodo di effervescenza artistica la cappella del Rosario di Vence assume una dimensione singolare. Nelle ricerche e negli studi che conduce, Matisse è attento al punto di vista dei religiosi e della tradizione liturgica, pur cercando di superarli. Grazie alla semplificazione dell’espressione, riesce così a trascendere la materialità della raffigurazione e andare al di là del visibile. Sul pannello della Vergine col Bambino la lettura dell’iscrizione «Ave» può proseguire nella mente dello spettatore come una preghiera silenziosa. La natura divina, immateriale, entra in contatto con gli uomini grazie all’elevazione dello spirito che l’arte consente. L’interpretazione domenicana trova un’eco nella composizione intuitiva di Matisse. «Ave» corrisponde così a «Amor Verbum Æternitas», le tre lettere che formano una trinità, «Amore Parola Eternità», asse della predicazione domenicana. L’artista è consapevole della grande responsabilità di cui è stato investito avendo accettato di decorare un edificio che pone in relazione l’uomo col divino. Sa di dover inscrivere il suo lavoro nella lunga storia dell’arte sacra e dei suoi capolavori. Ciononostante non ne è dissuaso. Si tratta per lui di allargare i limiti della rappresentazione tradizionale dei temi religiosi.

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CAPITOLO SECONDO

LA CAPPELLA: ARCHITETTURA E DECORAZIONE

«In uno spazio assai limitato, poiché la larghezza è di cinque metri, ho voluto inscrivere, come sino ad ora avevo fatto in dipinti di cinquanta centimetri o di un metro, uno spazio spirituale, uno spazio cioè delle dimensioni che la stessa esistenza degli oggetti rappresentati non limita»49. Sin dall’inizio, nella realizzazione della cappella del Rosario, si impone la visione di Matisse. L’artista ritiene di essere stato «scelto»50, e ogni tappa della realizzazione è il frutto del confronto tra le informazioni che riceve dall’ambiente domenicano, le ricerche iconografiche e gli studi grafici che moltiplica. Come è stato già ricordato, la sua esperienza d’artista, le prove cui è stato sottoposto dalla malattia, l’incontro con suor Jacques-Marie costituiscono altrettanti elementi fondamentali della genesi dell’opera. Da molti anni Matisse era attratto inoltre dall’ideazione di opere di grandi dimensioni, che unissero decorazione e architettura, come La Danza (La Danse), realizzata nel 1931 per la Fondazione Barnes. L’incontro, nel 1947, col frate domenicano Louis-Bertrand Rayssiguier, allora novizio, in soggiorno temporaneo di riposo presso i domenicani di Passe-Brest a SaintPaul-de-Vence, ha svolto un ruolo molto importante nello sviluppo progettuale della cappella. Il domenicano ha nozioni di architettura, ed è considerato l’architetto della Provincia domenicana di Francia a Parigi. S’interessa all’arte contemporanea e desidera partecipare al movimento di rinnovamento dell’arte religiosa avviato da padre Couturier. Avendo saputo da suor Jacques-Marie che Matisse abita a Vence, desidera incontrarlo. Si reca così a Villa Le Rêve il 4 dicembre 194751, portando con sé una pianta già predisposta per la cappella da sottoporgli. Conosce l’interesse di Matisse per il progetto destinato alle suore domenicane di Vence. Tra il domenicano e l’artista si avvia così un dialogo e si stabilisce un’intesa sulle linee fondamentali del progetto. «Per definire la planimetria della cappella il giovane domenicano si era ispirato a piante e fotografie di chiese della Svizzera tedesca apparse qualche mese prime ne L’Art Sacré52, un semplice e sobrio parallelepipedo con una sporgenza laterale per il coro riservato alle religiose»53. Nonostante ciò, le loro concezioni si riveleranno rapidamente divergenti. In aprile Matisse decide che i pannelli decorativi debbano essere collocati in alto, in contrasto con l’intenzione di frate Rayssiguier di creare un equilibrio tra le vetrate e le composizioni figurate,

Lato sud della cappella, con il giardino e sul fondo la casa di riposo Lacordaire.

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Verso un nuovo spazio sul quale informa l’artista in maggio, annunciandogli che le vetrate sarebbero state poste alla stessa altezza delle figurazioni. Il 24 maggio, in occasione di un nuovo incontro, Matisse propone al contrario di accrescere l’importanza delle vetrate. Poiché la concezione dell’artista si discosta troppo da quella di frate Rayssiguier, quest’ultimo decide di farsi da parte. In accordo con padre Couturier prosegue comunque gli studi, e propone l’intervento di Le Corbusier54. Matisse respinge però i suggerimenti. In realtà non desidera l’intervento di un architetto, ma si conforma alle scelte di Auguste Perret, riconosciuto specialista nell’uso del cemento. Ai progetti esistenti vengono apportate alcune modifiche, con l’innalzamento in particolare del soffitto, proposta avversata da Matisse. Il pittore desidera che si faccia piuttosto appello, se necessario, a Milon de Peillon, un architetto di Nizza di sua conoscenza. «Ma aveva poco da dire in proposito, se non che aveva avuto l’ingenuità di promettere a Matisse di costruirgli “un piccolo gioiello” […]. Resterà comunque sempre l’“ombrello” professionale, giuridico e ufficiale del cantiere di Vence»55. Colloqui e scambi di lettere sulle vetrate proseguono con padre Couturier e con Paul Bony, maestro vetraio, realizzatore di vetrate d’artista come quella di Rouault per la cappella di Assy. La corrispondenza con quest’ultimo56 consente di chiarire il ruolo svolto da Matisse nella realizzazione delle vetrate di Vence. Dopo essersi anzitutto preoccupato del luogo preciso da attribuire a queste nell’edificio, Matisse s’informa sulla tecnica della vetrata, al fine di raggiungere la massima luminosità possibile. Discussioni e modifiche si succedono nel corso dei quattro anni impiegati per edificare la cappella. Indipendentemente dai suoi interlocutori, Matisse desidera che la cappella venga considerata un’opera d’arte nel suo insieme, alla stregua di un dipinto o di una scultura. Vuole conservare piena libertà di espressione, e si preoccupa di tutti gli elementi del progetto, studiati nei minimi dettagli, tra i quali s’impegna a stabilire elementi di collegamento. L’architettura e le vetrate sono subordinate al ruolo essenziale che Matisse attribuisce alla luce. A loro volta il colore, le figurazioni e l’arredo liturgico costituiscono l’universo interiore della cappella, dischiuso sulla natura e il paesaggio di Vence. La cappella s’inscrive in tal modo nella storia dell’arte come un’opera unica. Matisse restituisce a un luogo tradizionale una modernità che apre la strada a nuove forme di espressione artistica, fondate su una radicale semplificazione delle figurazioni e sulla predominanza del ruolo della luce in collegamento con la luminosità del colore.

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Alcune opere precedenti di Matisse, grazie all’esperienza acquisita per loro tramite, hanno contribuito indirettamente all’ideazione della cappella di Vence. Nel 1931 la commissione, da parte del dottor Alfred C. Barnes, di tre pannelli decorativi per la sua fondazione a Merion negli Stati Uniti gli offre l’occasione di proiettare il suo lavoro in una nuova dimensione, legata all’architettura e allo spazio. Matisse doveva creare una decorazione che occupasse tre arcate al di sopra di tre alte finestre. Invece di prevedere per ciascuna delle tre superfici disponibili singoli soggetti, riprende per l’insieme il tema della danza, già affrontato nel 1905-1906 ne La Felicità di vivere57, e in seguito nel 1909-1910 in un’opera di grandi dimensioni58 destinata allo scalone monumentale della residenza privata del collezionista russo Sergej Šcukin a Mosca. A ventisei anni di distanza trasforma la composizione per integrarla nelle tre arcate della parte alta della parete. Dopo numerosi studi, ottiene l’effetto desiderato: il movimento dei danzatori trasforma la percezione dello spazio creando un’illusione di continuità tra le arcate. L’ostacolo determinato dai pilastri è superato con la loro trasformazione in un elemento scenografico della decorazione59. Il contrasto cromatico e il gioco luminoso delle finestre, in controluce, amplificano la composizione. «La mia decorazione collega tra loro le differenti parti del soffitto e dell’intera parete facendone un vasto insieme luminoso. L’ho paragonata al grande portale di una cattedrale, sormontato dalla sua lunetta»60. Sin dall’inizio Matisse domina lo spazio pittorico in un modo nuovo, che segnerà l’arte del XX secolo. In particolare nel periodo fauve l’artista utilizza in modo originale il cromatismo, rendendo il modellato di un volto con la giustapposizione di colori accesi e differenziando i piani del dipinto con l’impiego di vari colori, tra cui i complementari. Altrettanto inedita e inattesa è la percezione dello spazio e la relazione che stringe con ciò che osserva: «Il mio scopo è rendere la mia emozione. Questo stato d’animo è creato dagli oggetti che mi circondano e dalle loro reazioni su di me: dall’orizzonte sino a me stesso, compreso me stesso. Poiché molto spesso mi metto nel dipinto e ho coscienza di ciò che esiste dietro di me. Esprimo lo spazio e gli oggetti che vi si trovano con la stessa naturalezza, come se avessi davanti solo il mare e il cielo, cioè quanto vi è di più semplice al mondo»61. L’artista ama confondere cielo e mare, come gli capitò di sperimentare nel corso dei bagni nelle lagune degli atolli della Polinesia, in occasione del soggiorno a Tahiti nel 1930, e a tale confusione s’ispira nelle opere successive. A ciò si aggiunge, verso la metà degli anni Quaranta, il fondamentale passaggio alle composizioni 33


Pagine seguenti: Lato sud della cappella, con particolari architettonici.

INGRESSO DALLA SAGRESTIA CONFESSIONALE PANNELLO DI SAN DOMENICO

INGRESSO

PANNELLO DELLA VERGINE COL BAMBINO

INGRESSO PER IL CLERO

PANNELLO DELLA VIA CRUCIS

VETRATA DELL’ALBERO DELLA VITA

ALTARE

monumentali realizzate in papier gouaché découpé, nelle quali s’immerge in nuove combinazioni di forme e colori. L’ambiente chiuso della cappella diviene uno spazio immaginato e pensato da Matisse. Verso il novembre 1948 il progetto è definito. Nel 1949 l’artista lascia Vence per tornare al Régina, dove lo spazio e le pareti corrispondono alle dimensioni della cappella. Lavora così in scala reale, trovando grande libertà di movimento e di modificazione delle composizioni. Le pareti dell’appartamento vengono ricoperte dai disegni frutto degli studi, dai bozzetti per le vetrate in papier gouaché découpé, e dal modellino della cappella realizzato con suor Jacques-Marie, che gli consente di chiarirsi le idee62. La semplicità della sua pianta e della decorazione danno concretezza a questa volontà. Frate Rayssiguier raccoglie, il 22 luglio 1948, i pensieri di Matisse, che citano i suggerimenti dell’architetto Perret63: «Mi ripete ciò che ha già detto ieri: quello che gli interessa è mettere lo spazio e la luce in un volume che, in sé, non ha particolare interesse»64. La struttura della cappella suggerisce sorprendentemente un effetto di ampiezza. Una porta di modeste dimensioni, senza particolari caratteristiche, dà accesso all’interno, articolato in tre spazi differenziati dalla loro semplice disposizione. Sin dal momento dell’ingresso, il fedele si trova nello spazio destinatogli, da cui l’insieme dell’ambiente gli si rivela. Sul fondo, a sinistra, gli stalli in legno sono riservati alle monache. La collocazione in diagonale dell’altare maggiore, sopraelevato di due gradini su una pedana di marmo, pone il sacerdote di fronte alle religiose e ai fedeli. Dietro l’altare, uno spazio lasciato libero consente gli spostamenti nel corso delle celebrazioni. Questa calcolata disposizione, legata alle differenti funzioni di religiosi e fedeli, partecipa della limpidezza dello spazio e favorisce il contatto diretto degli uni con gli altri. Attraverso la ristrettezza degli assi visivi e la semplificazione delle linee Matisse riesce a creare una sensazione di vuoto e di infinito.

ENTRATA PER I FEDELI E I VISITATORI

STALLI PER LE RELIGIOSE DOMENICANE VETRATE

INGRESSO DAL GIARDINO

Henri Matisse e suor Jacques-Marie, Modello dell’interno della cappella di Vence, 1948, tecnica mista. Musée Matisse, Nizza. Planimetria generale.

VETRATE

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A fronte e pagine seguenti: Ingresso della cappella (ingresso dei fedeli) con vedute dell’interno verso l’altare e la vetrata de L’Albero della Vita.

Una chiesa gioiosa Come dirà Matisse stesso, la sua opera è iniziata dal profano per concludersi, al crepuscolo della vita, col divino65. Ancora vivo l’artista, alcuni autori lo hanno interrogato sulla cappella del Rosario. Nel luglio 1948 Alfred H. Barr jr, uno dei primi a scrivere sull’opera di Matisse, ha raccolto alcuni pensieri che testimoniano la gioia da lui provata nel realizzare la cappella. Come ripeterà più volte, si è sentito profondamente coinvolto in alcuni lavori che gli hanno trasmesso un particolare sentimento di pienezza. Matisse ha sempre ricordato con entusiasmo la cappella. Quando la stampa inizia a parlare del progetto, ad esempio il New York Times Magazine, Matisse dichiara che l’opera, senza precedenti dopo sessant’anni di attività artistica, non rappresenta un pentimento. Matisse dichiara a Barr: «A mio modo ho sempre cantato la gloria di Dio e la sua creazione. Non sono cambiato. Questa sarà l’occasione di mettere in campo le ricerche di tutta una vita»66. L’opera finita mantiene il carattere di un abbozzo, e presenta una struttura aperta, certamente non ripiegata in modo dogmatico su se stessa. Nonostante le convenzioni e i condizionamenti, vive ancora oggi nello stesso spirito di sviluppo di cui Matisse l’ha voluta impregnare, del dinamismo e della gioia del processo della creazione artistica.

«Una chiesa piena di allegria – uno spazio che renda felice la gente […]. Saranno forme di colore puro, molto brillanti. Nessuna figura, solo il profilo delle forme. Immaginate il sole riversarsi attraverso la vetrata – lancerà riflessi colorati sul pavimento e sulle pareti bianche»67. 46


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A fianco e pagine seguenti: Interno, vedute d’insieme.

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A fronte e pagine seguenti: Porta d’ingresso al confessionale tra i pannelli in ceramica della Vergine col Bambino e della Via Crucis, con insieme e particolari della porta dall’interno e dall’esterno.

La porta del confessionale Nella cappella il confessionale, luogo del sacramento della penitenza, è legato alla simbologia della «luce» nella sua concezione, configurazione e circolazione. In origine il confessionale, luogo riservato alla confessione dei peccati, era costituito, come il battistero, da un’edicola collocata all’esterno dell’edificio sacro. Nella cappella di Vence il confessionale occupa un posto diverso. Per i domenicani la prima tappa del percorso religioso è l’incontro dell’uomo con se stesso di fronte al divino. La confessione costituisce perciò un atto fondamentale nella relazione individuale del fedele con Dio. Nella cappella la porta del confessionale è posta all’angolo tra il pannello della Vergine col Bambino e quello della Via Crucis. Tale collocazione ha un significato particolare. Si trova infatti tra la raffigurazione della speranza della nascita e il dramma della condizione umana, che rappresenta la speranza della resurrezione insita nella confessione. L’ambiente è accessibile dallo spazio riservato ai fedeli. Si tratta di una disposizione diversa rispetto a quella consueta nelle chiese. Il piccolo ambiente, dalle pareti bianche, è illuminato da una vetrata traslucida. Qui il fedele entra in dialogo con se stesso, stando non in un luogo di isolamento, ma di luce. La porta mantiene la struttura naturale delle venature del legno in cui è stata scolpita. Dipinta di bianco, è costituita da otto pannelli con motivi a giorno, l’uno diverso dall’altro. Differenti sono anche le fonti d’ispirazione. Tra gli oggetti e gli elementi di arredo di cui si circonda, Matisse ha delle stuoie del Congo in fibra di palma con decorazioni geometriche, e gelosie di finestra arabe (moucharabieh) già impiegate come elementi decorativi nelle “odalische” degli anni Venti. La porta del confessionale s’ispira a tali modelli. In alcune ore del giorno il confessionale si colora in modo singolare di una tinta malva, creata dal riverbero della luce solare sul bianco delle pareti, in contrasto con l’atmosfera multicolore filtrata dalle vetrate della navata. Nel corso del viaggio in Marocco, nel 1912, Matisse era stato colpito dalla luminosità che il sole conferiva alle vie della Casbah di Tangeri. Il bianco e il calore assolato dei muri, in contrasto con la frescura delle ombre, i colori delle porte e delle vesti, intrecciando percezioni sensoriali e visive, attribuiscono alle opere dell’artista una profondità e una visione inattese degli spazi. Zorah sulla terrazza galleggia così in un universo aereo, aperto e luminoso68. Il senso di leggerezza creato dalla luminosità diffusa nell’ambiente coinvolge paradossalmente la raffigurazione di Cristo in croce, sul pannello in ceramica al di sopra della griglia del confessionale. Come nei pannelli della cappella, Matisse utilizza pennello e smalto nero, col tratto che spicca sul fondo in smalto bianco. Due linee ondulate addolciscono la raffigurazione del corpo crocifisso. Rappresentato in una posa come di danza, con un arco di cerchio a formare busto e braccia, Cristo è come sollevato da un vento divino, e la lievità della sua ascensione pare quella dell’anima assolta dalla confessione. 54




Interno del confessionale e particolare della griglia con il pannello in ceramica della Crocifissione. Pagine seguenti: Particolari della porta d’ingresso al confessionale.

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I pannelli in ceramica

«I pannelli in ceramica sono formati da grandi piastrelle di terracotta smaltata di bianco, e recano disegni filiformi neri, che li decorano pur lasciandoli chiarissimi. Ne risulta un insieme nero su bianco nel quale domina il bianco, di una densità in equilibrio con la superficie della parete opposta, costituita dalle vetrate […]»69. La realizzazione dei disegni sulle piastrelle di ceramica comporterà molte difficoltà e necessiterà di diversi tentativi. Matisse le desiderava rettangolari e non quadrate. Nel 1949 la loro realizzazione è affidata alla ditta Ramier di Vallauris. Matisse, che negli anni del periodo fauve ha già praticato la decorazione della ceramica con il ceramista André Metthey, si esercita su piatti, ma si tratta di prove non conclusive. Oltre ai problemi posti dalla cottura e dall’ottenimento del fondo in smalto bianco, occorreva assicurarsi che da una piastrella all’altra il nero del disegno fosse perfettamente uniforme. «In un primo momento si era deciso di tracciare i disegni in nero su biscuit ricoperto sul lato decorato da uno strato di ossido di stagno in polvere – ma questo strato assorbiva troppo rapidamente il nero per tracciarvi un tratto, e l’esecuzione era molto difficile. Inoltre la fragilità delle piastrelle così preparate complicava grandemente il loro trasporto. Si decise perciò […] che il fondo bianco sarebbe stato cotto prima di essere decorato. L’esecuzione dei disegni era garantita, e si sarebbero eseguiti come su un piatto»70. La cottura si presentò complessa, e la maggior parte delle piastrelle si ruppe, come scrive il 19 agosto 1949 suor Jacques-Marie: «Le piastrelle hanno mal sopportato la nuova cottura. La maggior parte si è rotta. Ne restano 50 su 200, e male smaltate»71. Il problema troverà soluzione solo qualche mese più tardi, in novembre. Il tratto spicca sul bianco delle piastrelle, poste l’una accanto all’altra, conservando perfettamente la continuità. I disegni filiformi tracciati in nero sono frutto di una lunga pratica, nutrita di riflessione e sforzi, e sono caratteristici dell’arte di Matisse. Il 30 ottobre 1941 Matisse indirizzava ad André Rouveyre le seguenti parole: «La mia ispirazione disegnativa sta per finire, e sono sul punto di tornare alla pittura»72. Sei mesi più tardi, il 3 aprile 1942, scrive al figlio Pierre: «Da un anno ho fatto un enorme sforzo nel disegno. Dico sforzo, ma è un errore, perché ciò che è accaduto è una fioritura dopo cinquant’anni di sforzi. La stessa cosa ho fatto in pittura»73. In questo periodo Matisse realizza la serie di disegni a penna e carboncino poi raccolti in Thèmes et Variations, opera pubblicata nel 1943, con un’introduzione di Louis Aragon intitolata Matisse-en-France. L’insieme presenta uno dei princìpi essenziali della produzione grafica dell’artista. Matisse parte dalla rappresentazione di un tema: un volto, un oggetto. Per comprendere le forme e appropriarsene moltiplica le linee, cancellando quelle che non vuole conservare. Si costituisce così una sorta di sfumato grigio dal quale è generato il disegno definitivo. Nel giugno 1942 l’artista spiega al figlio la necessità che avverte di impregnarsi del tema, tanto in pittura quanto nel disegno: «[…] fare in pittura quel che ho fatto nel disegno… tornare alla pittura senza contraddizione come nelle dalie […]»74. Nella realizzazione dei tre pannelli della cappella di Vence, San Domenico, la Vergine col Bambino e la Via Crucis, Matisse percorre la stessa via. Il disegno di ciascuna raffigurazione è in relazione col carattere specifico del soggetto: la flessuosità e la statura imponente del San Domenico, l’allegoria al centro della rappresentazione 65


Vergine col Bambino su sfondo di stelle Studio per il pannello della cappella di Vence, 1949, pennello e inchiostro di china su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Studio per la Vergine col Bambino Cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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della Vergine col Bambino, la “scrittura” scandita dalla successione delle stazioni della Via Crucis. Il pittore si appoggia alle informazioni fornitegli dai frati domenicani e ai riferimenti pittorici, accademici o classici, che copia, senza peraltro rinunciare all’interpretazione personale dei soggetti. Come in Thèmes et Variations, attraverso la ripetitività del lavoro grafico, entra nel ritmo vivo del disegno. La perfetta conoscenza del soggetto, nel quale s’immerge, lo libera, consentendogli di tracciare a suo piacimento la linea giusta, in diretta corrispondenza con l’emozione. Punto di arrivo della sua esperienza, e della maestria da questa generata, è il mistero di un tratto autonomo e vivo. «Quello che più mi preme? Lavorare sul modello sino ad averlo in me quanto basta per poter improvvisare, lasciar correre la mano riuscendo a rispettare la grandezza e il carattere sacro di ogni cosa vivente»75. La possibilità, sempre presente, di modificare la direzione del tratto e di cancellarne la traccia fa sì che questo si blocchi al momento opportuno, non essendo altro che la rappresentazione possibile di un momento particolare. Ciò conferisce ai disegni di Matisse una qualità particolare, che segnerà la grafica del XX secolo. Dagli inizi dell’Ottocento il disegno non costituisce più uno stadio preparatorio della pittura. «Dar vita a un tratto, a una linea, fare esistere una forma, ciò non si risolve nelle convenzioni accademiche, ma al di fuori, nella natura, con l’osservazione penetrante delle cose che ci circondano»76. Con la realizzazione della cappella di Vence, Matisse dà vita al disegno. Disegna con precisione e libertà sui pannelli di piastrelle di ceramica come se si trattasse di un supporto uniforme. Dipinge direttamente col pennello sulle piastrelle poste sul pavimento. Come un calligrafo, modula il tratto per attribuirgli vivacità, sfruttando la flessibilità dello strumento utilizzato. Questi disegni, che divengono una sorta di scrittura, s’integrano nello spazio della cappella e interagiscono con le composizioni e i colori luminosi delle vetrate.

La Vergine col Bambino I fedeli che entrano dalla porta loro destinata trovano, sulla parete di destra, il pannello di piastrelle di ceramica bianca con la Vergine col Bambino. Il volto privo di tratti e le mani disgiunte, la Vergine accompagna col suo gesto quello del figlio, che lascia librarsi con le braccia già a forma di croce. Il disegno, a smalto nero steso a pennello, preserva il biancore madreperlaceo e luminoso del supporto. Matisse disegna direttamente sulle piastrelle come farebbe 68

con un disegno su carta: «Appena il mio tratto commosso ha modellato la luce del foglio bianco, senza toglierle la qualità del suo toccante candore, non posso più aggiungere né riprendere nulla»77. La raffigurazione della Vergine col Bambino attraversa, con modalità molto differenti, il mondo cristiano, dalla Vergine Theotokos sino alla semplice rappresentazione simbolica della maternità. Matisse compie diversi studi alla ricerca di una propria interpretazione. Nel 1947 disegna una giovane donna che allatta un bambino, modello di cui non si avvarrà nella cappella78, ma che utilizza per illustrare il Tableau de sainteté, poema di Charles Cros. Nel corso delle ricerche l’artista attribuisce un carattere materno alla Vergine, che regge un bambino paffuto. Nel disegno finale mantiene la frontalità della Vergine, che richiama quella delle Maestà bizantine. Preferisce tuttavia esprimere una personale interpretazione sia nella raffigurazione sia nella simbolica attribuita al tema, come testimoniano le riflessioni riferite da frate Rayssiguier: «Ha schizzato una nuova Vergine; “ho avvicinato le teste come in certe icone russe”, “era troppo inumano”, “bisogna che vi sia più amore”»79. Matisse si concentra sulla rappresentazione di una madre il cui destino è dominato dall’offerta sacrificale del figlio. Inscrive entrambi in uno spazio aereo nel quale il gesto di offerta della Vergine è simboleggiato da semplici tratti a rappresentare le dita delle mani, che non si congiungono né per reggere il bambino né per trattenerlo. Matisse riassume questo destino nell’iscrizione in alto a sinistra del pannello, con le parole dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele, «Ave…», e con quelle dell’accettazione della Vergine, «Fiat voluntas tua»80. Capita spesso all’artista, sia in pittura sia nel disegno, di rappresentare frontalmente i modelli femminili, creando una relazione diretta con lo spettatore, frontalità che d’altra parte caratterizza anche l’icona, nella quale l’incrocio degli sguardi tra immagine e spettatore evoca la relazione tra uomo e divinità. Un altro aspetto che si ritrova nell’opera di Matisse è la questione, in un dipinto o in un disegno, della scelta di raffigurare o meno i tratti del volto. Nel corso di tutta la sua attività Matisse sviluppa una concezione particolare del ritratto, che mette in relazione l’identità di una figura e la spiritualità della vita che questa rappresenta. Ricerca una nuova espressione artistica, che tenta di andare al di là della materialità iconografica, guidando lo sguardo impigrito dello spettatore. «Bisogna mettere sotto i loro occhi un’immagine che lasci dei ricordi e li conduca un po’ più in là… Ma è un’arte di cui oggi non abbiamo più bisogno. È un’arte superata»81. Dipinti come Donna con la gandoura blu82, Katia con l’abito giallo83, Donna con perle84 passano così dalla rappresentazione dei tratti del volto alla loro assenza. Il viso assume l’intensità del vuoto. L’artista ha sempre cercato di rendere, più che la rassomiglianza col 69


Interno della cappella, pannello in ceramica della Vergine col Bambino.

modello, l’intensità espressiva del viso. Può così evocare lo sguardo col semplice tratto di una forma nera oblunga. D’altra parte l’assenza dei tratti tradizionalmente utilizzati per delineare un volto cattura l’attenzione dello spettatore, che è portato fuori dalle convenzioni abituali. I motivi che circondano la Vergine sono essi stessi aerei. Intorno non vi sono più i fiori di giglio come nei precedenti studi, ma forme poco identificabili che ricordano elementi vegetali o nuvole. La rappresentazione del Bambino è notevole per la sensibilità intuitiva manifestata dall’artista. «Ieri, mi è venuto di invecchiare Gesù Bambino – di un infante ho fatto un ragazzo – sono uscito dalla tradizione»85. Il Bambino, con le braccia a forma di croce, evoca la sua futura crocifissione. Nonostante ciò, il gesto può essere anche interpretato come un segno di accoglienza e protezione. Posto all’altezza delle spalle della Vergine, richiama la figurazione medievale della «Madonna del Soccorso». Un tratto lega il corpo del Bambino a quello della Vergine, come a dimostrare l’unicità del loro destino. Un’altra raffigurazione della Vergine col Bambino è all’esterno, sulla facciata ovest, al di sopra della vetrata dell’Albero della Vita. Chiusa all’interno di un tondo, con i tratti intrecciati, la forma della Vergine appare più avvolgente, se non altro per la forma circolare delle braccia. Sul tabernacolo dell’altare, in rame cesellato, Matisse offre un ulteriore aspetto della sua interpretazione della Vergine col Bambino, oltre che di San Domenico. Come in ogni sua altra opera, l’artista adatta il progetto al luogo al quale è destinato, l’architrave della porta, l’altare maggiore, un pannello murale. Ciò gli consente di declinare in tutta la loro ricchezza i sentimenti e le caratteristiche che un tema possiede. Così, al di sopra della porta d’ingresso dei visitatori, l’appropriata inclinazione dei volti della madre e del figlio esprime con un tratto essenziale la tenerezza materna. Presente in vari luoghi della cappella, con un’espressione ogni volta particolare, la Vergine offre a Matisse l’occasione per variazioni attorno a ciò che simboleggia, essendo ritenuta dai domenicani il simbolo della finalità della vita umana, nell’unione di nascita e resurrezione. Tali variazioni, così come il disegno finale, sono per Matisse «come una preghiera che si ripete sempre meglio. Non ho mai potuto fare cose che non sentissi in me»86. Parlando dei fiori che circondano la Vergine, Matisse aggiunge: «Questi fiori li avevo in me da anni, li avevo osservati a Vence nelle aiuole del giardino»87.

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Pagine seguenti: Esterno della cappella, ingresso per i fedeli e i visitatori con il pannello in ceramica di San Domenico e la Vergine col Bambino. Pannello della Vergine col Bambino.

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Lato nord-ovest della cappella, tondo in ceramica della Vergine col Bambino.

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Studio per il San Domenico 1950-1951, litografia. Collezione privata. Pagine seguenti: Pannello in ceramica di San Domenico nel contesto della parte absidale.

San Domenico «Basta un segno per evocare un volto, non c’è nessun bisogno d’imporre alla gente degli occhi, una bocca… bisogna lasciare il campo libero all’immaginazione dello spettatore»88. Matisse ha scelto di porre la raffigurazione di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei predicatori, sulla parete a destra della vetrata dell’Albero della Vita, nello spazio liturgico dedicato alla celebrazione della messa, alle spalle dell’altare maggiore, di fronte agli stalli riservati alle suore domenicane. L’abito tradizionale domenicano si compone di una tunica bianca, stretta in vita da una cintura in cuoio, di uno scapolare privo di maniche con cappuccio, posto sulle spalle a coprire la parte alta del busto e le braccia sino ai gomiti. All’esterno del convento il frate domenicano indossa una cappa nera, composta da un mantello con cappuccio. A partire dal XV secolo i domenicani mettono alla cintura un rosario formato da cinque decine di grani. Matisse scelse di raffigurare il santo col mantello mentre regge nella mano destra il Vangelo, fondamento della meditazione e della predicazione. Partendo da questi elementi – il mantello, il cappuccio, lo scapolare e il Vangelo, a cui si aggiunge il volto –, lavora alla raffigurazione del santo. Prende inizialmente come modello padre Couturier, di corporatura imponente, e varia poi gli studi, modificando scala e proporzioni. Imprime in sé la forma del costume e dei suoi componenti, cercando di cogliere il messaggio spirituale di cui il santo è depositario. Sceglie di enfatizzare le linee dell’unica mano raffigurata, quella che regge il testo sacro. A tale scopo conduce diversi studi89 sul polittico di Isenheim di Grünewald, e sulle raffigurazioni del Cristo Pantokrator90 per la «mano mistica» del 1948-1949. Poco a poco s’impone la semplificazione delle forme, che si sostituisce al manierismo iniziale del modello. L’unica mano visibile del santo, che regge il Vangelo, colpisce lo spettatore per la sua sproporzione e il modo con cui sembra fuoriuscire dal mantello. Matisse rompe anche con la tradizione che consente d’identificare il santo dal suo attributo, il giglio mariano. Ogni elemento dell’opera acquisisce così una propria identità, amplificata dalla rigorosa semplificazione dei tratti. Il Vangelo è identificabile per la presenza di una semplice croce posta su una superficie delimitata su tre lati. Nella versione finale il pittore moltiplica le linee dell’abito per attribuire al personaggio una statura imponente. Sottolinea la sinuosità del cappuccio della cocolla per accompagnare il capo e il volto del santo, sfruttando l’originale elaborazione estetica della veste. La materialità del santo e la sua presenza nel mondo sono 76




sottolineate dall’assenza dell’aureola. L’insieme identifica il santo come permanentemente presente tra i confratelli e di fronte ai fedeli. Così come per la Vergine, mancano i tratti del volto.

La Via Crucis: la tragedia silenziosa della linea «Bisogna che sia così penetrato, così impregnato del mio soggetto da poterlo disegnare a occhi chiusi… […]. Ciò scaturisce naturalmente da me, e allora il segno stesso è nobile»91. Matisse realizza la Via Crucis permeato da un sentimento di intima vicinanza alla «pateticità di questo dramma così profondo»92. Le quattordici stazioni della Via Crucis, riunite in un unico pannello, simboleggiano in uno sguardo d’insieme la salita al Calvario. Presentate come un unico evento, si differenziano dalle figurazioni presenti tradizionalmente nelle chiese, dove ogni stazione è separata dall’altra. Matisse vi aggiunge la propria visione della relazione tra la Via Crucis e la luce della redenzione. Solo quando il visitatore si volta, la Via Crucis si consegna al suo sguardo. Può allora vedere il pannello in ceramica che riunisce le quattordici stazioni93. La figurazione è diversa rispetto agli altri pannelli. Si tratta di un racconto visivo nel quale la cadenza e l’accentuazione delle linee corrispondono a ciò che Matisse definisce un «dramma […] che fa straripare sulla cappella lo spirito appassionato dell’artista»94. Nella semplicità dell’intenso candore della cappella, animata dai colori delle vetrate, la Via Crucis assume una dimensione particolarmente commovente. Le stazioni sono distribuite su un pannello di 4 metri di lunghezza per 2 di altezza. L’opera si distingue dalle Viae Crucis tradizionali, il cui uso si è generalizzato nelle chiese dal XII secolo in poi, nelle quali le stazioni sono disposte tutt’intorno alla navata maggiore o alle laterali, come punti di sosta processionali destinati a far rivivere simbolicamente, per mezzo di un trasferimento fisico del fedele o dello spettatore, le tappe della sofferenza di Cristo. Qui lo sguardo abbraccia l’insieme delle stazioni, riunite su un’unica superficie, cosa che favorisce la concentrazione e la contemplazione: «Le ceramiche sono l’essenza spirituale e spiegano il monumento. Così, nonostante l’apparente modestia, divengono il punto cruciale cui tocca precisare il raccoglimento che dobbiamo provare»95. Si tratta di un percorso rappresentato nell’unità di tempo e luogo, che concentra l’interesse sul dramma della crocifissione, descritto da Matisse come il più grande 83


dramma dell’umanità. Invece di riunire semplicemente le scene su un unico pannello, l’artista, con linee ritmicamente incisive, incastra le stazioni le une nelle altre, a formare un tutt’uno. Questa interdipendenza concentra l’interesse dello spettatore sull’atteggiamento di Gesù e sullo svolgersi degli eventi, piuttosto che sull’aspetto decorativo delle scene, qui assente. Nessuno dei vincoli di ideazione ed esecuzione che potrebbero gravare su un artista abituato alle convenzioni e ai canoni della pratica religiosa ostacola Matisse. Egli è pienamente cosciente del contesto religioso nel quale opera, ma ciò non lo induce a operare particolari trasformazioni nel modo di credere. Si considera un rivelatore di emozioni e di sentimenti. Ciò che ricerca, ciò che desidera condividere e provocare è altrove: un’emozione spirituale percepibile dai credenti e dai non credenti. Il vettore utilizzato a tal fine è il tracciato della linea e la sua specifica modulazione nelle diverse tappe di ascesa al Golgota. Sin dalla prima stazione, Gesù davanti a Pilato, si determina un andamento ritmico. Nei primi studi Gesù è una figura di piccole dimensioni, schiacciata dalla monumentalità del trono di Pilato. La versione finale presenta Gesù con tratto fermo, con la testa alla medesima altezza di quella di Pilato. Le stazioni si succedono nella concatenazione delle linee e delle forme. La croce che porta Gesù96 s’integra nella curva della sua schiena, nell’unione di sofferenza e sforzo. Quando Gesù cade per la prima volta97, faccia a terra, la linea spezzata accentua l’immagine della caduta. Negli studi l’intensità emotiva dell’incontro di Maria col figlio98 si legge nello sguardo, prima di scomparire nella versione finale. Gesù è ritto in piedi di fronte alla madre, che s’inclina all’indietro come per lasciar passare il figlio nell’accettazione del suo destino. I tratti della croce sono in primo piano, sbarrando la silhouette di Gesù che crolla a terra e di Simone che gli viene in aiuto99. Per la sesta stazione Matisse sceglie di rappresentare il velo della Veronica come un quadrato sospeso in aria con dei nodi, il cui aspetto decorativo contrasta con la morbidezza dei tratti del volto di Cristo. È l’unico volto della cappella. Con la seconda caduta di Gesù100 Matisse accentua il ritmo della linea e dello spazio. Il corpo di Gesù è così imponente da contrapporsi alla scena della crocifissione. Per l’ottava stazione Matisse evoca le Pie donne in modo minimalista, con tre tratti verticali. Nella scena della terza caduta101 Gesù rivolge il viso al cielo. Attraverso una serie di curve, conduce lo sguardo verso il terzo livello, la parte alta della composizione, il luogo del supplizio dove tutto si conclude con la morte di Cristo. Gesù è spogliato delle vesti102: Matisse rappresenta la scena con tratti fortemente marcati, quelli della scarificazione, per esprimerne tutta la violenza. Il momento in cui Cristo viene crocifisso103 scandisce simmetricamente l’insieme della compo84

sizione. La croce104 costituisce l’asse verticale, l’axis mundi che collega il cielo alla terra, ancorato alla settima stazione. Maria e Giovanni ai piedi della croce hanno proporzioni che amplificano l’aspetto visivo della scena e il suo carattere tragico. L’asse centrale della crocifissione si prolunga nell’architettura stessa della cappella, di fronte alla vetrata con L’Albero della Vita. L’intreccio delle linee della discesa dalla croce105 ne restituisce la dinamicità e lo sforzo. Per contrasto, la deposizione nel sepolcro106, punto conclusivo del dramma della Passione, è costituito da linee infine placate, nel momento di transizione che precede e annuncia la resurrezione. Nonostante le sue caratteristiche inusitate rispetto al tema, la Via Crucis s’inscrive nel cuore del percorso di Matisse, per il quale egli offre alla cappella un’opera in cui la semplificazione del tratto si congiunge con quella della sua ricerca del segno, nella creazione di un linguaggio figurativo segnaletico107, che possa essere compreso e fatto proprio da chiunque. Con le sue specifiche caratteristiche, la Via Crucis partecipa della visione d’insieme della cappella e della sua luce: «Voglio che i visitatori della cappella provino un sollievo spirituale. Che, anche senza essere credenti, si trovino in un ambiente in cui lo spirito si eleva, il pensiero s’illumina, il sentimento stesso si fa più leggero»108. Sulla superficie, ritmata dalla quadrettatura formata dalle piastrelle in ceramica, l’opera è costruita nell’insieme come una partitura musicale e una coreografia. Le stazioni non sono tutte alla medesima scala. Come in un pezzo musicale, il disegno accentua un elemento del dramma piuttosto che un altro. Lo stesso metodo si ritrova frequentemente nelle opere di Matisse, dove ad esempio si enfatizzano particolari elementi del volto o del corpo. Nel ritratto del 1936 Donna sulla sedia rossa, del Baltimore Museum of Art, le mani sono sovradimensionate e conducono lo sguardo verso il volto, composto da semplici tratti, della giovane, i cui occhi sono raffigurati come mandorle nere109. La concezione della Via Crucis supera l’aspetto puramente cronologico e narrativo della Passione di Cristo. Diviene rappresentazione globale di una tragedia, la cui forza richiama al raccoglimento, e un sentiero che guida lo sguardo di stazione in stazione, ciascuna delle quali chiaramente identificata e numerata lungo un percorso che si snoda dal basso verso l’alto, dalla terra al cielo, su tre livelli, da sinistra a destra e poi da destra a sinistra, un movimento inverso che scandisce le tappe fondamentali della Passione, come riferito da France-Illustration nel numero del Natale 1951, a proposito del modo in cui Matisse immagina l’opera: «All’inizio, avendola concepita nel medesimo spirito dei due primi pannelli, ne aveva fatto una processione dove le scene si succedevano le une alle altre. Ma, preso dal pathos di questo dramma così profondo, ha rivoluzionato l’ordine della composizione»110. 85


Pagine seguenti: Veduta dal luogo dell’officiante: il Crocifisso dell’altare è in asse con il Crocifisso della Via Crucis. Veduta d’insieme della cappella dall’altare: sul fondo il pannello della Via Crucis. Pannello della Via Crucis, insieme.

Tale rivolgimento è il punto di arrivo di lunghe ricerche. Matisse moltiplica gli studi a carboncino, a matita e a penna, lavorando secondo il suo consueto metodo d’impregnarsi del soggetto, in vari formati, esplorando diverse ispirazioni e sfumature. Dall’osservazione degli studi e dal confronto con la versione finale tracciata sulle piastrelle, si evince come abbia progressivamente ridotto gli elementi che compongono le scene. Numerose fotografie scattate al Régina documentano i diversi stadi di maturazione della composizione. Matisse giustappose i disegni e finì per incastrarli gli uni negli altri, creando una grande scena, un unico racconto, una pagina monumentale scritta di getto. Alcune linee interferiscono con quelle di altre stazioni e talvolta si confondono tra loro. Così nel Cristo portacroce le linee della croce si confondono con quelle della schiena di Cristo. L’elaborazione della Via Crucis costituisce per l’artista un impegno complesso. L’insieme della composizione subisce numerose trasformazioni man mano che s’impossessa del tema. «L’artista ne è divenuto del tutto naturalmente il principale attore: invece di riflettere il dramma, l’ha vissuto e così l’ha espresso. Ha piena coscienza del movimento spirituale che comunica all’osservatore questo passaggio dalla serenità al dramma»111. «La Via Crucis è finita […]. Non si tratta più del percorso processionale del cartone preparatorio, ma di una specie di grande dramma nel quale le scene, anche se sempre accompagnate da un numero, si mescolano, partendo da Cristo in croce, che ha assunto una dimensione onirica – come tutto il resto del pannello […]. Avverte il dramma. La Crocifissione è composta come i Calvari bretoni. Per me è un grande risultato. L’esecuzione è grossolana, anche molto grossolana, per la disperazione della maggior parte di coloro che la vedranno. Dio mi ha retto la mano. Che cosa ci posso fare? Inchinarmi – ma gli altri non ne sanno nulla»112. L’espressività del tratto è animata dalla particolare sensibilità che Matisse ha per il tema: «Bisogna che io sia così penetrato, così impregnato del mio soggetto, da poterlo disegnare a occhi chiusi… […] Bisogna che io arrivi a disegnare con gli occhi bendati […]. Ciò scaturisce naturalmente da me»113. A tal fine utilizza il suo metodo consueto. Come punto di partenza studia le principali raffigurazioni dei grandi maestri della Via Crucis e vi si ispira. Per la prima stazione, Gesù davanti a Pilato, riprende, tra gli altri, il Giudizio di san Giacomo di Mantegna114, e la predella con la Crocifissione dalla pala di San Zeno115, di cui studia l’espressione dolente della Vergine sorretta dalle Pie donne, episodio che verrà raffigurato, nell’ottava stazione, solo con tre tratti. La discesa dalla croce è ispirata a un’opera di Rubens copiata in gioventù116. Il Cristo morto di Philippe de Champaigne117 si collega agli studi per la quattordicesima stazione, la deposizione di Cristo nel sepolcro. Nono86

stante tutte le ricerche, Matisse resta incerto sul giudizio che verrà dato sull’opera: «Temo che questo pannello verrà difficilmente accettato, poiché non corrisponde troppo alla concezione dei fedeli di Vence»118. Il modo in cui affronta il tema, utilizzando un’originale scrittura figurata, resta personalissimo. L’insieme, da cui innegabilmente promana un senso di dolore e di tragedia, può apparire di lettura complessa, e costituisce ancora oggi un punto interrogativo per quanto riguarda la sua interpretazione. Il pannello è posto di fronte al sacerdote e rivolto verso l’altare. Tale collocazione rende il dramma invisibile ai fedeli in preghiera. La sua presenza è peraltro costantemente avvertita come un invito a rivolgersi alla luce spirituale, simboleggiata dall’irradiamento della vetrata dell’Albero della Vita, concepita come via al Paradiso.

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Gesù davanti a Pilato Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Vence, Congrégation des dominicaines du Rosaire de Vence.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Gesù davanti a Pilato.


Cristo portacroce Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Cristo portacroce.


Gesù incontra la madre Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Vence, Congrégation des dominicaines du Rosaire de Vence.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Gesù che incontra la madre.


Simone aiuta Gesù Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Simone che aiuta Gesù.


Il velo della Veronica Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Vence, Congrégation des dominicaines du Rosaire de Vence.

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Pannello della Via Crucis, particolare con il velo della Veronica.


Le Pie donne Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino e sfumino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con le Pie donne.


Figura giacente Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con figura giacente.

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Cristo è spogliato delle vesti Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, inchiostro di china steso a pennello e matita su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Cristo spogliato delle vesti.


Cristo è inchiodato alla croce Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Collezione privata.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Cristo inchiodato alla croce.

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Cristo crocifisso Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con Cristo crocifisso.


Discesa dalla croce, da Rubens Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, matita e penna su carta. Collezione privata.

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Pannello della Via Crucis, particolare con la discesa dalla croce.


Figura giacente Studio per la Via Crucis della cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.

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Pannello della Via Crucis, particolare con la deposizione di Cristo nel sepolcro.

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Crocifisso dell’altare, bronzo dorato.

Pagine seguenti: Altare, particolare della mensa con la suppellettile liturgica.

L’altare maggiore L’altare è innovativamente rivolto verso le religiose domenicane e i fedeli. La tradizione, dopo il concilio di Trento (1545-1562), aveva fatto dell’altare maggiore un elemento costitutivo della parete di fondo del coro. L’officiante si trovava simbolicamente di fronte a Dio, e si rivolgeva ai fedeli solo in specifici momenti. Nella nuova tradizione liturgica a seguito del Concilio Vaticano II (1962-1965) il sacerdote guarda i fedeli. L’altare della cappella del Rosario è posto in diagonale rispetto alla navata per potersi rivolgere alle religiose, i cui stalli sono disposti lateralmente, e contemporaneamente ai fedeli.

Il Crocifisso Il Crocifisso della mensa d’altare offre un’ulteriore interpretazione del Cristo in croce, più volte raffigurato nella cappella. Tema centrale, domina la Via Crucis e torna nel confessionale, nella sagrestia e sull’architrave di una delle porte d’ingresso della cappella. Ciascuna raffigurazione proposta da Matisse presenta una differente sfumatura. Come negli altri studi preparatori per la cappella, s’immerge nella storia dell’arte. Studia il polittico di Matthias Grünewald per l’altare maggiore di Isenheim119, ma alla fine opta per un approccio diverso rispetto a quella crocifissione, dall’espressione dolente e dalle mani torturate. Il corpo del Cristo di Matisse ha una forma liscia e allungata, che lo avvicina ai crocifissi primitivi. Modella con un’unica serie di tratti il corpo di Cristo e la parte alta della croce a cui sono inchiodate le mani. Imprime alle braccia un movimento circolare, come un gesto di orazione e di riunione universale, a forma di calice, secondo le raffigurazioni più tradizionali.

«[…] per l’altare: l’officiante sta davanti al pubblico. Bisognava decorare l’altare in modo lieve, affinché l’officiante potesse vedere i fedeli, e i fedeli vedere l’officiante. Vi è perciò negli elementi una leggerezza che corrisponde a questa necessità. Questa leggerezza comunica un senso di liberazione, di affrancamento; tanto che la mia cappella non è: “Fratelli, si deve morire”; ma, al contrario: “Fratelli, si deve vivere!”»120. 118

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Il tabernacolo della mensa d’altare.

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Mensa d’altare con Crocifisso e reggi-cero.


Lampada dell’altare.

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Piastrella in ceramica della Crocifissione sulla grata del confessionale.

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Piastrella in ceramica con la Crocifissione all’ingresso della sagrestia.


A fronte: Giardino della cappella, vasca dei pesci rossi. Pagine seguenti: Ingresso delle religiose con acquasantiera in ceramica. Ingresso dalla sagrestia con acquasantiera in ceramica.

La vasca del giardino Su richiesta di Matisse, presso la cappella è stata realizzata una vasca nella quale, tra piante acquatiche, nuotano pesci rossi. Lo specchio d’acqua richiama il desiderio di armonia con la natura ricercato dall’artista, e il suo gusto per la fluidità delle forme e delle linee, che implicitamente domina nella luminosità dell’insieme della cappella. È presente in particolare nel gioco dei riflessi colorati delle vetrate proiettati sulle pareti e sul pavimento, ed entra in sintonia con la trasparenza della tovaglia d’altare ricamata con forme di pesci. Non sorprende pertanto che, mentre svolge le sue ricerche, Matisse scriva in una lettera a frate Rayssiguier del 5 ottobre 1948, da Vence, della nuova idea di una vetrata che chiama «fiume d’acqua di vita, limpida come il cristallo»121. Abbandonato il progetto di questa vetrata, Matisse «conserverà il ricordo delle sue acque vive in una vasca a sud della facciata meridionale della cappella»122, dove si riflettono la guglia e la sequenza delle arcate con le vetrate.

Le acquasantiere Si entra in cappella da tre porte, differenziate secondo lo stato di vita, laico o religioso, delle persone che se ne servono. Esse contribuiscono a regolamentare e ritualizzare gli ingressi e le uscite in occasione delle cerimonie con l’uso armonioso dello spazio. Provenendo dall’esterno, superato il portale lungo la route de Saint-Jeannet, il fedele o il visitatore, scesi alcuni scalini, entra in cappella dalla porta posta a destra della Via Crucis. Gli si rivela così lo spazio religioso, il cui asse centrale si conclude con la vetrata dell’Albero della Vita. Se si proviene dal giardino, un piccolo corridoio di accesso, a sinistra dell’altare maggiore, è riservato alle religiose. In occasione delle celebrazioni il sacerdote, indossate in sagrestia le vesti liturgiche, raggiunge l’altare dalla porta a destra del pannello con San Domenico. In corrispondenza di ciascun ingresso è posta un’acquasantiera. Collocate di norma all’interno dell’edificio sacro, sono qui invece all’esterno. Dopo aver bagnato la punta delle dita nell’acqua benedetta, il fedele può farsi il segno della croce invocando Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, impregnandosi dello spirito di benedizione. Le tre acquasantiere sono dei colori scelti da Matisse, che le ha progettate123. Le vaschette bianche, circondate da petali di ceramica blu, sono state realizzate dalla ceramista e scultrice Andrée Diesnis124, la cui opera è stata particolarmente incoraggiata dall’artista con la commissione, nel 1952, del lavabo della sagrestia. 128






CAPITOLO TERZO

LA CAPPELLA, UN’OPERA DI LUCE

«Voglio che i visitatori della cappella provino un sollievo spirituale. Che, anche senza essere credenti, si trovino in un ambiente dove lo spirito si eleva, il pensiero s’illumina, il sentimento stesso si fa più leggero. Il beneficio della visita nascerà facilmente, senza che ci sia bisogno di battere la testa per terra»125. La cappella è costruita attorno alla luce, come l’eco del ruolo mistico che questa svolge nella dottrina dei domenicani, e in relazione a quello didattico nei confronti dei fedeli. Le vetrate costituiscono così il veicolo dell’espressione di Dio, una stupefacente mediazione tra uomo e divinità. Storicamente, le vetrate rappresentano la luce celeste. Esse si slanciano verso le volte della chiesa, immagine del cielo. Matisse pensa però alla luce in modo differente. Trasforma la percezione spaziale della cappella, e con la disposizione dal pavimento al soffitto delle vetrate determina una continuità tra il luogo simbolico della cappella e la natura che la circonda. La cappella s’integra nell’ambiente che le sta intorno e si illumina a seconda delle ore del giorno.

Lo spirito delle vetrate Le vetrate della cappella offrono a Matisse l’occasione per ricerche molto intense. Studia e sviluppa in diverse tappe temi e motivi, soffermandosi sui particolari tecnici della realizzazione dei vetri e del loro assemblaggio. Tutto concorre alla definizione dello spazio interno e alle modalità della percezione dall’esterno. Sin dalle origini l’architettura religiosa ha cercato la luce per mezzo dell’amplificazione delle aperture, l’altezza delle strutture, il colore delle vetrate. Lo spazio della cappella è ristretto, e per di più questa s’appoggia al pendio della collina, lungo la strada per Saint-Jeannet. Per le vetrate erano perciò disponibili un unico lato, quello dell’unica navata, e la parete retrostante l’altare maggiore. Matisse opta per pannelli irradiati dalla luce solare che li attraversa, ma soprattutto dalla propria luminosità, creata dagli stessi colori. Per l’artista i colori partecipano all’elevazione dei cuori e dei canti. Il 24 ottobre 1948, dopo aver ascoltato la messa solenne celebrata nella Sainte-Chapelle a Parigi, scrive a frate Rayssiguier: «Nel nostro edificio è importante che il livello di elevazione religiosa dello spirito provenga naturalmente dalle linee e dai colori che agiscono nella loro eloquente semplicità […]»126. Non gli pare necessaria la presenza di un organo, e il 16 ottobre 1948 accenna alla questione in una lettera a padre Couturier: «È stata concepita come semplice cappella»127. Tale semplicità offre all’artista l’occasione di esprimersi con mezzi diversi. «È così che dei colori puri possono agire sull’intimo sentimento con tanta più forza quanto più 139


Pagine seguenti: Riflessi di luce verso il pannello in ceramica del San Domenico. Veduta d’insieme dell’interno della cappella, con i pannelli in ceramica della Vergine col Bambino e della Via Crucis, attraversato da riflessi di luce.

sono semplici. Un blu ad esempio, accompagnato dall’irradiarsi dei suoi complementari, agisce sul sentimento come un energico colpo di gong»128. Le vetrate della cappella, attraverso la trascendenza dei colori, divengono una fonte vibrante di emozioni. L’artista si riferisce a un ricordo d’infanzia, quando creò una scenografia attorno a una raffigurazione dell’eruzione del Vesuvio. A suo dire nella cappella si ritrovano un analogo gioco di luci e la medesima intensità. Come nei dipinti del periodo di Vence, Matisse utilizza contemporaneamente lo spazio interno e quello esterno. Le finestre raffigurate nei dipinti sono trasformate in alte vetrate. La loro luminosità capta e riempie lo sguardo. Il loro riflesso mescola in modo straordinario la realtà degli spazi. L’atmosfera che muta con le ore del giorno, secondo il ritmo stesso della natura, accorda il sentimento religioso in relazione alla vita e alla creazione. La cappella diviene un luogo d’incontro con se stessi. Il gioco tra l’opacità e la trasparenza riflette l’intimità del pensiero, che può ripiegarsi su se stesso o aprirsi al mondo. In questo luogo di pace possono intrecciarsi letture laiche e religiose. Durante il soggiorno a Tahiti, Matisse ha avuto la rivelazione dei riflessi del cielo e della trasparenza delle lagune degli atolli. Sente che cielo e terra possono confondersi, e l’orizzonte scomparire. L’unità degli elementi è assicurata dalla luce. Il pensiero di Matisse sembra fare l’esperienza di un’unità rivelata, al di là della sua “chiusura”. È ciò che propone con la sua ideazione, e questa particolare nozione si ritrova anche nella sua pittura, ad esempio nel Silenzio abitato delle case129, dove i personaggi leggono libri con le pagine bianche che contengono la luce della tela. La concezione delle vetrate della cappella è associata a una tappa unica nel percorso creativo dell’artista, che si apre, con la tecnica del papier gouaché découpé, a un rinnovamento della sua ispirazione e alla molteplicità delle sue interpretazioni: «Creando questi papiers découpés colorati mi sembra di andare con gioia incontro a ciò che si preannuncia. Mai, credo, ho avuto tanto equilibrio come nella realizzazione di questi papiers découpés. So però che solo tra molto tempo ci si renderà conto di quanto ciò che faccio oggi sia in accordo col futuro»130. Questa tecnica apre all’artista nuovi orizzonti, e gli offre la possibilità di creare grandi composizioni, nelle quali moltiplica a piacimento le disposizioni. L’appartamento del Régina vede le pareti ricoprirsi di progetti, tra cui i differenti stadi per le vetrate della cappella del Rosario. Circondato dai progetti e dagli studi, Matisse s’immerge nell’opera, e vi si proietta completamente. «Quando entro nella cappella sento che sono interamente io ad essere là – insomma tutto ciò che ho avuto di meglio, quando ero bambino […]»131. Il sogno e l’inatteso s’introducono così nella cappella. Il blu, il giallo e il verde, attraversati dalla luce del sole, si mescolano tra loro. Un raggio proietta un’iridescenza color malva sulle pareti. Il variare secondo le ore del giorno dei colori le ravviva, ampliandone i limiti spaziali. 140



Pagine 144-153: I colori delle vetrate riflessi sul pavimento in marmo della cappella.

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Pagine seguenti: Insieme della vetrata del coro. Vetrata della navata. Vetrata de L’Albero della Vita, particolari.

Trasparenza e opacità Nel 1948-1949 l’ideazione delle vetrate si collega alla volontà di Matisse di utilizzare il colore come fonte di luce e di spazio. Il blu oltremare, il verde bottiglia, il giallo limone, riuniti in ciascuna vetrata, entrano in corrispondenza con il tratteggio bianco-nero dei pannelli in ceramica: «Devo fare il giocoliere, tenendo in equilibrio espressivo due forze, il colore della vetrata della parete destra e il bianco e nero su tutta quella di sinistra […]»132. Il contrasto tra l’opacità e la trasparenza del vetro è parimenti frutto di una scelta deliberata. La «mancanza di trasparenza del giallo blocca lo spirito dello spettatore e lo trattiene nella cappella, [consentendogli di] perdersi attraverso il blu e il verde sin nei giardini circostanti»133. La trasparenza dei vetri blu134 e verdi consente di percepire il paesaggio esterno. Il giallo, opaco e intenso, rappresenta il bagliore provocato dalla luce divina. «Il giallo è smerigliato, è solo traslucido, mentre il blu e il verde restano trasparenti, perciò totalmente limpidi»135. Questo giallo intenso provoca un abbacinamento che ricorda la luce divina. In modo imprevedibile i raggi del sole diffusi dai tre colori creano nell’atmosfera bianca della cappella un riflesso magenta, come una sorta di richiamo alla presenza divina, simboleggiata tradizionalmente dalla lampada rossa accesa in permanenza nelle chiese. «Ho tentato di realizzare questo equilibrio di forze, i blu, i verdi, i gialli delle vetrate compongono all’interno una luce che non è, a dire il vero, nessuno dei colori impiegati, ma il vivo prodotto della loro armonia, dei loro reciproci rapporti»136. Nonostante le difficoltà incontrate nel corso della realizzazione delle decorazioni della cappella137, Matisse riesce a imporre la propria visione, che unisce, secondo le ore della giornata, i riflessi colorati delle vetrate alle figurazioni di San Domenico, della Vergine col Bambino e della Via Crucis, tracciate a pennello e smalto, «disegni filiformi neri»138 su grandi pannelli di piastrelle in ceramica bianca. Matisse lavora alle sei vetrate della parete laterale, alle nove poste dietro gli stalli delle religiose e a quella principale, alle spalle dell’altare maggiore creando un insieme di temi e colori unificato dall’ispirazione. Il Musée Matisse di Nizza conserva nelle proprie collezioni due studi preparatori per la versione finale della vetrata dell’altare maggiore139. Con la luminosità delle vetrate, Matisse trascende lo spazio e la luce, creando uno spazio spirituale. Gli effetti di luce prodotti dalle vetrate e quelli della parete laterale gli evocano «tutta un’orchestra di colori»140 proiettata sul pavimento e sulle pareti bianche della cappella. Al di là dello spazio spirituale così creato, il gioco dei colori delle vetrate e il loro 154

differente grado di trasparenza attribuiscono al paesaggio percepito l’aspetto di una realtà altra, al di là del mondo reale. «È così che quando, attraverso la vetrata, dall’interno si vede una persona che va e viene in giardino, a solo un metro dalla vetrata, sembra appartenere a un mondo del tutto diverso da quello della cappella»141.

«La vetrata deve avere l’espansione di un canto d’organo, senza che vi sia bisogno di parole»142. 155





Pagine seguenti: Vetrata de L’Albero della Vita, insieme e particolari.

L’Albero della Vita «Nessuna figura, se non il profilo delle forme»143. Sin dall’ingresso lo sguardo del visitatore è assorbito dalla luminosità della vetrata dell’Albero della Vita, alle spalle dell’altare maggiore, in una doppia finestra centinata. Prima di giungere alla definizione finale del soggetto, Matisse, come di consueto, ha proceduto nella ricerca per tappe successive, ispirandosi a fonti diverse. Si succedono così due composizioni in papier gouaché découpé. L’artista finirà per abbandonarle, continuando nella ricerca della semplificazione delle forme e dei simboli. Dapprima realizza la Gerusalemme celeste (Jérusalem céleste, inizi 1948). La sua visione della città ideale del futuro, discesa dal cielo, descritta nell’Apocalisse, nella quale regnano giustizia e fratellanza, è costituita da superfici colorate geometriche in cui si armonizzano le sfumature di cinque colori – rosso, malva, giallo, verde e blu – per costituire un pendant alla vetrata delle Api. Nel 1949 lavora a una nuova composizione, la Vetrata blu pallido (Vitrail bleu pâle). Su campiture geometriche si stagliano forme vegetali, ricordi del viaggio a Tahiti del 1930. Rendendosi conto tuttavia di non aver calcolato le difficoltà tecniche che presenta il montaggio di una vetrata, Matisse concepisce una nuova composizione, nella quale i motivi vegetali si mutano nei fiori gialli di un cactus, un fico d’India dai rami blu, simboleggiante la vita che resiste all’aridità e alla morte: «Pianta grassa di cui parla l’Apocalisse: vive e fiorisce su un terreno arido del deserto, portandovi i suoi frutti»144. Il sentimento della vita che nell’insieme ispirano le forme vegetali caratterizza l’opera di Matisse, che trova nelle forme e nelle strutture del fogliame, di un frutto, di un fiore l’energia che vivifica la linea. L’osservazione, la costruzione del gesto attribuiscono un senso di vitalità alla trasposizione delle forme attraverso la linea. L’opera celebra la relazione spirituale dell’artista con la natura, cui attribuisce un’identità nuova e unitaria. Così scrive Matisse a proposito del fico d’India: «In un fico d’India nessuna foglia è uguale a un’altra; hanno tutte forme differenti, e ciononostante ciascuna grida: fico»145. Matisse rimane aderente all’iconografia tradizionale. L’Albero della Vita si presenta come un arazzo appeso, con la curva di sospensione visibile nella parte alta della vetrata. Tale elemento richiama la tradizione medievale dell’evocazione dello spazio chiuso del giardino (hortus conclusus)146 e degli arazzi riccamente decorati. Qui ad essere offerta allo spettatore, preservando l’intimità dello spazio della cappella, è la ricchezza della luminosità e dei colori. 162

Marie-Alain Couturier, nel libro Se garder libre, ha lasciato una preziosa testimonianza dell’impegnativo lavoro svolto da Matisse nell’ideazione delle vetrate: «Quando Matisse ha abbandonato, per la seconda volta, il grande cartone della vetrata da porre dietro l’altare a Vence, […] non aveva evidentemente più nulla in mente, non sapeva più che cosa fare. […] “Metterò probabilmente una macchia di colore, e poi tutto verrà di conseguenza”. Insiste sempre molto (ma come un operaio, non in modo sistematico) su questa “unità viva e vitale, organica, dell’opera d’arte in gestazione”»147. Padre Couturier cita Matisse anche nel Diario: «Ho voluto creare uno spazio spirituale in un ambiente di dimensioni ridotte», e aggiunge: «[Matisse pensa a] uno spazio infinito…»148. La ricerca dell’apertura spaziale trova la sua estrinsecazione nell’alleggerimento delle forme e dei simboli. L’intera concezione della cappella risponde a tale esigenza. In tal modo si crea uno spazio percepibile a seconda della luce. Il riflesso sul marmo della vetrata ingenera col riverbero dei colori una realtà delicata e transeunte. La visione di questo effetto inatteso attribuisce alla cappella il mistero della realtà di un riflesso che amplia in modo simbolico tanto lo spazio quanto lo spirito. Questa alterazione percettiva della realtà della materia è alla base dell’inedita spiritualità che la cappella ispira.

«Si può dire che l’arte imita la natura: grazie al carattere vitale che il lavoro di un creatore conferisce all’opera d’arte. […] l’opera apparirà così feconda e dotata dello stesso fremito interiore, della stessa risplendente bellezza che possiedono le opere della natura»149. 163




Pagine seguenti: Vetrata «del Pesce», all’ingresso per i visitatori e i fedeli, particolare e veduta d’insieme.

La vetrata «del Pesce» All’ingresso della cappella Matisse pone simbolicamente una vetrata con un pesce preso in una nassa. Rivolto a una stella blu, incarna l’essere umano che tenta di liberarsi dagli ostacoli materiali. All’inizio del 1950 l’artista interroga padre Couturier sulla possibilità di realizzare «[…] una vetrata bianca con queste cose – in alto una stella blu porta sotto e dietro il soggetto, indicando la rete davanti a un pesce. Ho bisogno della rete per fare dei riquadri. Posso simboleggiare Cristo con un pesce davanti a una rete – la rete può simboleggiare le prove affrontate da Cristo?»150. Matisse si concentra sull’opalescenza del vetro, sul quale si stagliano i tratti della rete. Chiede a Bony di schiarire il vetro, e spera che le vetrate possano essere ultimate per l’inaugurazione della cappella151. Durante questo periodo Matisse realizza vetrate anche per altre destinazioni, come Pesci cinesi (Poissons chinois, 1951) per la sala da pranzo della villa dell’editore Tériade, e La Vite (La Vigne, 1951) per la casa del figlio Pierre, a Saint-Jean-CapFerrat (Alpi Marittime).

«L’opera è emanazione, proiezione di se stessi. I miei disegni e le mie tele sono frammenti di me stesso. L’insieme costituisce Henri Matisse. L’opera rappresenta, esprime, perpetua […]. Un artista deve perciò sforzarsi di esprimersi nella sua totalità, sin dall’inizio. […] Se è sincero, umano e costruttore, troverà sempre un’eco nelle generazioni future»152.

Esterno della cappella, lato nord-ovest e guglia della campana.

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Modello per la casula bianca (faccia posteriore) Studio per i paramenti liturgici della cappella di Vence, 1950-1952, papiers gouachés découpés su carta intelata. Musée Matisse, Nizza. Modello per la casula bianca (faccia anteriore) Studio per i paramenti liturgici della cappella di Vence, 1950-1952, papiers gouachés découpés su carta intelata. Musée Matisse, Nizza.

La luce delle vesti liturgiche Casule (o pianete), stole e manipoli sono tra gli elementi decorativi fondamentali della cappella. I paramenti sono di colori diversi a seconda del tempo liturgico, dall’Avvento alla Pentecoste. Matisse li progetta utilizzando la tecnica del papier gouaché découpé. Per sei casule realizza ventidue modelli. Il sacerdote, rivestito dell’abito dell’officiante, svolge, attraverso la gestualità, un ruolo eminente nello spazio della cappella. Matisse interroga padre Couturier sulla tradizione di queste vesti: «Ho bisogno dei suoi consigli per le vesti liturgiche. Quali sono i colori delle casule?»153. Il religioso risponde: «I colori delle diverse casule sono: bianco, verde, rosso, viola, nero. In più, se si vuole, per le grandi feste, un tessuto d’oro»154. Il 12 novembre 1951 padre Couturier assicura Matisse sulla sua totale libertà di scegliere la decorazione delle casule: «Le regole liturgiche non prescrivono alcuna speciale decorazione […]»155. Forte di queste informazioni, Matisse realizza un gran numero di studi in papier gouaché découpé. Ciascuno, a grandezza naturale, è formato dal lato anteriore e da quello posteriore della casula, che accompagnano gli accessori: stole, manipoli, veli da calice, borse dei colori corrispondenti al tempo liturgico – bianco, nero, verde, rosso e viola, cui si aggiunge il rosa156. Matisse organizza la composizione delle casule ai lati di un asse centrale, costituito da una banda verticale sormontata da una croce. Nella decorazione delle casule ritrova l’universo delle forme che gli è familiare. Pur rispettando nella sostanza la tradizione liturgica, l’artista s’impegna a creare un insieme rinnovato di motivi, ispirati in primo luogo al mondo vegetale, animale e in particolare alle alghe delle lagune del Pacifico. I ricordi del viaggio a Tahiti invadono le vesti sacerdotali «nella forma di immagini ossessive: madrepore, coralli, pesci, uccelli, meduse, spugne…»157. Le stelle, i pesci, le palme, le spighe di grano assumono in tal modo un significato simbolico. I temi sono concepiti per svolgersi sulle spalle del sacerdote, accompagnandone i movimenti, in rapporto di simmetria col motivo centrale della croce su entrambi i lati della casula. Nella loro grande semplicità, questi temi rappresentano i “segni” attraverso i quali Matisse cerca di esprimere ciò che definisce la «verità essenziale»: «Esiste una verità essenziale da rivelare dello spettacolo degli oggetti da rappresentare. È la sola verità che importa»158. Matisse conferisce a ciascuna veste liturgica la forza e la densità necessarie a creare emozione. Questa relazione diretta tra significato liturgico e sentimento attribuisce all’officiante che l’indossa, nel corso di una cerimonia religiosa, il valore simbolico del tempo sacro159. L’ampia veste entra in relazione con lo spazio della cappella, divenendo un legame dinamico tra le composizioni colorate delle vetrate e la resa grafica dei pannelli in 172

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Pagine seguenti: Casula bianca, veste liturgica, seta, cappella del Rosario, Vence (faccia anteriore e posteriore). Casula rosa, veste liturgica, seta, cappella del Rosario, Vence (faccia anteriore e posteriore).

Modello per la casula rosa (faccia posteriore) Studio per i paramenti liturgici della cappella di Vence, 1950-1952, papiers gouachés découpés su carta intelata. Musée Matisse, Nizza.

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Modello per la casula rosa (faccia anteriore) Studio per i paramenti liturgici della cappella di Vence, 1950-1952, papiers gouachés découpés su carta intelata. Musée Matisse, Nizza.

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A fronte: Lato nord-ovest della cappella, la vetrata de L’Albero della Vita illuminata di notte. Pagine seguenti: La cappella illuminata, di notte, percezione luminosa dell’opera di Matisse.

ceramica con San Domenico, la Vergine col Bambino e la Via Crucis. Non si tratta solo della decorazione di una veste, ma della creazione di una nuova dimensione. Come Matisse desidera, il colore diviene mobile e prende vita. Le vesti vengono realizzate utilizzando tessuti diversi per colore e non per trama, a formare così una sorta di patchwork. Matisse ha attentamente sorvegliato la trasposizione in tessuto dei progetti da parte dei laboratori d’arti applicate delle domenicane di Cannes e, in alcuni casi, della congregazione a Crépieux-le-Pape. Sei vesti sono tuttora conservate nella sagrestia della cappella. Con gli anni i colori sono sbiaditi. Per poter far rivivere i colori originali, suor Jacques-Marie e Lydia Delectorskaya, forti della loro esperienza al momento dell’ideazione e della fabbricazione delle vesti liturgiche, decisero di farne realizzare una nuova serie, a partire dai campioni in papier gouaché découpé conservati negli Archives Matisse a Parigi, col sostegno finanziario della famiglia Maeght.

La cappella: una luce nella notte «Credo che un giorno la pittura da cavalletto non esisterà più, a causa del cambiamento dei costumi. Ci sarà la pittura murale. Sempre più i colori vi colpiscono. Un certo blu vi entra nell’anima. Un certo rosso agisce sulla vostra tensione. Un certo colore tonifica. È la concentrazione dei timbri. Si apre una nuova era»160. Il ruolo che ogni colore svolge e le sensazioni che induce costituiscono uno dei punti essenziali dell’opera di Matisse. Nel caso delle vetrate della cappella vari progetti si succedono, con l’introduzione di varianti nell’associazione delle forme e dei colori, alla ricerca di un effetto di luminosità che possa raggiungere l’incandescenza. Il modello in papier gouaché découpé per Le Api161 è uno degli studi realizzati per le vetrate che scandiscono la parete sud-ovest della cappella. I riquadri di colore giallo, rosso e blu formano arcate che determinano assi dinamici sui quali sono le api. Queste formano riquadri bianchi e neri, che richiamano i colori dell’abito delle suore domenicane. Poeticamente e simbolicamente, le api, considerate operose come le religiose, si stagliano su un fondo di fiori e di luce. L’artista abbandonerà i colori caldi della prima ideazione e lo stesso soggetto. Il progetto sarà tuttavia realizzato per essere collocato come “parete vetrata”162 in una sala della scuola materna Henri-Matisse a Le CateauCambrésis, città natale dell’artista. Alla ricerca di una composizione più serena, Matisse si indirizza verso nuove vie, la cui luminosità apre alla meditazione. Utilizza il colore per affermare una rinnovata visione del luogo di culto. A questa percezione si aggiunge oggi la possibilità di vedere la cappella illuminata di notte. Illuminata all’interno in occasione di eventi particolari, come alcune celebrazioni liturgiche, concerti, conferenze, la cappella si staglia brillante nel paesaggio di Vence. 180




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CONCLUSIONE

LA CAPPELLA DEL ROSARIO, LUOGO DI CULTO, D’ARTE E DI VITA DI FRONTE AL MONDO CONTEMPORANEO

«Sono giunto lentamente a scoprire il segreto della mia arte. Consiste in una mediazione ricavata dalla natura, nell’espressione di un sogno sempre ispirato dalla realtà»163.

La cappella di Vence è al tempo stesso il luogo di preghiera delle suore domenicane e un luogo di culto aperto ai visitatori. Rappresenta il particolare legame creatosi tra l’artista e le domenicane, tra cui suor Jacques-Marie, recentemente scomparsa164. Sin dall’inizio l’artista considera, nella concezione dell’opera, la presenza delle suore: «Ho inserito il bianco e nero delle vesti delle suore come uno degli elementi compositivi della cappella, e per la musica ho preferito alla sonorità eccessiva – piacevole, ma esplosiva – degli organi la dolcezza delle voci femminili capaci d’insinuarsi coi canti gregoriani nella luce trepida e colorata delle vetrate»165. Per queste ragioni l’altare è disposto, come già ricordato, in diagonale, per stare di fronte agli stalli delle religiose e alla navata dove si raccolgono i fedeli giunti per assistere alle celebrazioni. Nella sua concezione Matisse considera la cappella non solo come un luogo di vita, ma anche come uno spazio speciale, che rispetta l’intimità di ciascuno. L’ambiente è infatti simile a una casa, e la guglia è concepita dall’artista come il filo di fumo di un focolare. «La guglia che regge la campana incombe pesantemente sulla cappella – dovrà essere come fumo che sale svelto e leggero nella tranquillità della sera»166. La slanciata guglia, fortemente sproporzionata rispetto all’edificio, è visibile da lontano e costituisce un punto di riferimento nel paesaggio circostante Vence. Il tetto di tegole verniciate in bianco e blu, disposte in modo da suggerire un motivo ondulato, richiama la composizione de L’Onda (La Vague)167. La sinuosità del fumo, lo spazio delle nuvole e il blu del cielo sono così confusi in un’interpretazione contemporanea di rappresentazioni tradizionali che mescola la croce e la falce di luna in un simbolismo divenuto universale. L’ideazione, nell’intimità dell’appartamento del Régina, dei diversi elementi decorativi della cappella, spinge l’artista ad attribuire all’opera un carattere familiare. Per le sedie destinate ai fedeli prende così a modello quelle che gli stanno intorno. Come mostrano alcune fotografie scattate nell’appartamento-studio del Régina, il seggio del celebrante è collocato al sommo di un’impalcatura formata da casse. «Ho realizzato questa cappella con l’unica volontà di esprimermi a fondo. Ho avuto l’occasione di esprimermi totalmente attraverso la forma e il colore. Questo lavoro ha costituito per me un insegnamento»168. La cappella vuole essere un’opera che, offrendo una visione del tutto rispettosa della tradizione religiosa, rinnova nell’espressione artistica il punto di vista con cui la si osserva. Si distingue dalle raffigurazioni allegoriche, ad esempio quelle di Chagall nel suo Messaggio Biblico (Message Biblique)169, o simboliche, come quelle de La Guerra e la Pace (La Guerre et la Paix) di Picasso170 e di altri artisti171. Lo spazio accoglie il visitatore offrendogli un’esperienza indefinibile, che appartiene a un universo mistico, creato da Matisse «per la grande famiglia umana, alla quale deve essere rivelata un po’ della fresca bellezza del mondo attraverso la mia intermediazione»172. 189


Pagine seguenti: Interno della cappella, veduta d’insieme verso l’altare. Particolari degli stalli per le religiose.

Matisse: un’opera di speranza

La cappella di un artista

«Come se stessi per realizzare una grande composizione […]. Come se avessi tutta la vita davanti a me, infine tutta un’altra vita… […] in qualche paradiso dove dipingerò degli affreschi»173.

La cappella di Vence è un’opera singolare, concepita e realizzata in un’epoca di particolare importanza per il mondo religioso. Soprattutto i domenicani fanno appello ad artisti senza legami con qualsivoglia ortodossia religiosa per la realizzazione e la decorazione di diversi edifici dell’ordine. Le chiese e le cappelle di Assy178, Les Bréseux179, Audincourt180, Ronchamp181 ricevono così il contributo di artisti “moderni” di orientamento diversissimo. Il lasciare campo libero all’espressione artistica in un ambito significativo del sacro ha generato polemiche, ma ha costituito anche il mezzo per stimolare l’interesse di un vasto pubblico verso questi luoghi religiosi. In un tale contesto di rinnovamento architettonico e decorativo, la cappella di Vence costituisce un’eccezione, in quanto opera di un unico artista. L’omogeneità dell’ideazione garantisce una significativa coerenza tra le varie realizzazioni e intensifica la loro potenza ed espressività spirituale. Lo sguardo non si disperde. La sensibilità non è distratta dalle sensazioni eterogenee prodotte dalle opere di artisti differenti. S’impone la forza dell’arte di Matisse, schiarendo la mente e lo spirito e rendendoli disponibili alla trascendenza. La cappella di Vence può così accogliere numerosi visitatori di diverse culture provenienti da tutto il mondo.

Attraverso le sue realizzazioni l’artista acquisisce la sensazione di andare al di là di se stesso e della propria esistenza. «Un artista è un esploratore. Che cominci a cercarsi, a vedersi agire. In seguito non si vincoli. Soprattutto non deve sentirsi facilmente soddisfatto»174. Questa libertà di concepire il mondo a suo modo, secondo le sue sensazioni e sentimenti, consente a Matisse di individuare nell’arte e nella creazione artistica una fonte di speranza, come dichiara sin dall’inizio: «È col sentimento costante dell’importanza della decisione presa, nonostante la certezza di trovarmi sulla mia vera strada, dove mi sentivo veramente nel mio clima, e non davanti a un orizzonte chiuso come nella mia vita precedente»175. In tutta la sua opera egli lavora per trasmettere un’energia vitale. La cappella di Vence, punto di arrivo di un’intera vita, porta in sé l’impronta dello slancio vitale che le ha insufflato l’artista. Avendo raggiunto in qualche modo un’esistenza propria, sottoposta ai costanti mutamenti di percezione visiva che il ritmo delle ore del giorno le imprime, essa diviene una meridiana, integrata nella realtà del tempo e dello spirito. La realizzazione di una tale opera presuppone l’esistenza di un’energia personale che può continuamente rigenerarsi, e che richiama in ciò stesso l’idea di redenzione al di là delle difficoltà e dei limiti del mondo materiale. «Solo la forma plastica ha un autentico valore; ho sempre pensato che una gran parte della bellezza di un quadro deriva dalla lotta che l’artista ha ingaggiato con i limiti del suo mezzo espressivo»176. «In arte la verità, il reale, comincia quando non si comprende più nulla di quel che si sta facendo, di ciò che si sa, mentre resta in voi un’energia tanto più forte quanto più è contrariata, compressa, soffocata»177.

«Sono andato a vedere la cappella di Vence. Tutto è gioia e limpidezza, giovinezza. I visitatori […] sono compresi, rapiti e affascinati. La sua opera mi ha dato un soffio di coraggio – non che mi mancasse, ma ne ho riempito dei fiaschi. Questa cappella è una grande testimonianza – quella del vero. Grazie a Lei ancora una volta la vita è bella. Grazie»182. Le Corbusier 190

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In questa pagina: Veduta generale degli stalli per le religiose. Pagine seguenti: Il tetto della cappella ricoperto con tegole verniciate, veduta d’insieme e particolare. La guglia delle campane, vedute d’insieme e particolari.

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BREVE CRONOLOGIA DEGLI ULTIMI ANNI DI MATISSE a cura del Musée Matisse, con la supervisione di Wanda de Guébriant – Archives Henri Matisse

Henri Matisse nasce il 31 dicembre 1869 a Le Cateau-Cambrésis, città nel Nord della Francia, e trascorre l’infanzia a Bohain-en-Vermandois, in Piccardia. Il pittore considera la cappella del Rosario delle domenicane di Vence il punto culminante della sua intera opera. Una biografia figurata dell’artista dal 1930 (data del viaggio a Tahiti) consente di seguire nel dettaglio la creazione delle grandi composizioni scaturite dall’impiego del papier gouaché découpé, col quale Matisse affronta la sua opera nella prospettiva di un continuo rinnovamento. Matisse muore il 3 novembre 1954 a Nizza, città nella quale ha soggiornato e vissuto a partire dal 1918, e dove ha realizzato gran parte delle sue opere.

Autoritratto 1944, litografia su carta pergamena. Musée Matisse, Nizza.

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1930

A FINE FEBBRAIO MATISSE PARTE PER TAHITI, VIA NEW YORK E SAN FRANCISCO, PER UN SOGGIORNO DI SEI MESI, DAL QUALE TORNA CON UNA GRAN QUANTITÀ DI FOTOGRAFIE E UNA QUARANTINA DI DISEGNI. AFFASCINATO DAGLI STATI UNITI, DA NEW YORK E DALLE CITTÀ AMERICANE, VI SI RECA TRE VOLTE NELLO STESSO ANNO. È GIURATO AL PREMIO CARNEGIE, ATTRIBUITO A PICASSO. A FINE ANNO IL DOTTOR ALFRED C. BARNES GLI COMMISSIONA UNA GRANDE DECORAZIONE PER LA SUA FONDAZIONE A MERION IN PENNSYLVANIA.

NELLE OPERE DELL’ARTISTA COMPAIONO I RICORDI DEL VIAGGIO IN OCEANIA, IN PARTICOLARE NELLE DUE VERSIONI DI FINESTRA A TAHITI (PAPEETE-TAHITI, 1935, OLIO SU TELA, MUSÉE MATISSE NIZZA; FENÊTRE À TAHITI II, 1936, GUAZZO SU TELA, MUSÉE DÉPARTEMENTAL MATISSE, LE CATEAU-CAMBRÉSIS).

1936

Oceania, il mare Dai papiers gouachés découpés originali del 1946 (Musée Départemental Matisse, Le Cateau-Cambrésis), serigrafia colorata a pochoir su tela di lino, stampa Zika Ascher, Londra 1948, esemplare 25/30. Musée Matisse, Nizza.

La Danza [versione di Parigi] Studio d’insieme, 1930-1931, matita su carta. Musée Matisse, Nizza.

1931

RIENTRATO A NIZZA, AFFITTA UNO STUDIO AL N. 8 DI RUE DÉSIRÉ-NIEL PER REALIZZARVI LA GRANDE DECORAZIONE DE LA DANZA (LA DANSE). LE ILLUSTRAZIONI PER L’EDITORE ALBERT SKIRA DELLE POÉSIES DI MALLARMÉ, REALIZZATE NELLO STESSO PERIODO E PUBBLICATE L’ANNO DOPO, DIPENDONO LARGAMENTE DAL SOGGIORNO A TAHITI.

1932

SECONDA VERSIONE DE LA DANZA, A CAUSA DELLE DIMENSIONI ERRATE.

La Danza [versione di Merion] Studio per il pannello di sinistra, 1931, matita su carta. Musée Matisse, Nizza.

1933

Oceania, il cielo, Dai papiers gouachés découpés originali del 1946 (Musée Départemental Matisse, Le Cateau-Cambrésis), serigrafia colorata a pochoir su tela di lino, stampa Zika Ascher, Londra 1948, esemplare 10/30. Musée Matisse, Nizza.

IN MAGGIO SI RECA A MERION PER LA COLLOCAZIONE IN OPERA DE LA DANZA. La Danza Studio per l’incisione all’acquaforte, 1935 ca., papier gouaché découpé. Musée Matisse, Nizza.

1934 1935

LYDIA DELECTORSKAYA DIVIENE SUA MODELLA, E IN SEGUITO ASSISTENTE.

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LÉONIDE MASSINE GLI COMMISSIONA LE SCENE E I COSTUMI PER IL BALLETTO LE ROUGE ET LE NOIR (L’ÉTRANGE FARANDOLE) PER I BALLETS RUSSES. GRAZIE ALLA MEDIAZIONE DI RAYMOND ESCHOLIER, LA PRIMA VERSIONE DE LA DANZA (BARNES) È ACQUISITA DAL MUSÉE D’ART MODERNE DE LA VILLE DE PARIS. MATISSE DONA LES BAIGNEUSES DI CÉZANNE, DI SUA PROPRIETÀ, AL MUSÉE DES BEAUXARTS DE LA VILLE DI PARIGI.

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1937


1938

IN GENNAIO ACQUISTA UN APPARTAMENTO NELL’EX HÔTEL RÉGINA DI NIZZA, SULLA COLLINA DI CIMIEZ, DOVE SI STABILISCE ALLA FINE DI OTTOBRE. IL 4 FEBBRAIO È PROMOSSO UFFICIALE DELLA LEGION D’ONORE.

1939 1940

LA DICHIARAZIONE DI GUERRA CONDIZIONA IN PARTE IL SEGUITO DEGLI AVVENIMENTI. PRIMA DI RECARSI A NIZZA, IL 18 OTTOBRE, TRASCORRE UN MESE A ROCHEFORT-EN-YVELINES. TORNATO A PARIGI ALLA FINE DI APRILE 1940, ANNULLA IL PREVISTO VIAGGIO IN BRASILE. NON POTENDO RAGGIUNGERE NIZZA, IL 20 MAGGIO PARTE CON LYDIA DELECTORSKAYA PER BORDEAUX E CIBOURE, DOVE SI TRATTENGONO PER OLTRE UN MESE, SINO ALL’ARMISTIZIO. RIENTRATO A NIZZA IL 29 AGOSTO, DA SETTEMBRE SI RIMETTE AL LAVORO, IN PARTICOLARE AL DIPINTO NINFA NELLA FORESTA – LA VERZURA (NYMPHE DANS LA FORÊT – LA VERDURE, MUSÉE MATISSE, NIZZA), INIZIATO NEL 1935.

1941

1942

ALLA FINE DI GIUGNO, DI FRONTE ALLA MINACCIA DELL’OCCUPAZIONE DEL RÉGINA DA PARTE DEI TEDESCHI, SI STABILISCE A VILLA LE RÊVE A VENCE. DIPINGE DEGLI INTERNI, APERTI ATTRAVERSO UNA FINESTRA SUL PAESAGGIO. SI DEDICA ALLE TAVOLE PER LA PASIPHAÉ DI MONTHERLANT E A QUELLE, IN PAPIER GOUACHÉ DÉCOUPÉ, PER JAZZ. PUBBLICAZIONE DI THÈMES ET VARIATIONS PER LE EDIZIONI MARTIN FABIANI.

Ninfa nella foresta – La Verzura 1935-1942/43, olio su tela. Musée Matisse, Nizza.

Jazz – La Laguna (tav. XVIII) Tavola colorata a pochoir dai collages e sui découpages di Henri Matisse (Tériade, Paris 1947). Musée Matisse, Nizza.

IN GENNAIO LO STATO DI SALUTE DI MATISSE RENDE NECESSARIO IL RICOVERO D’URGENZA NELLA CLINIQUE SAINT-ANTOINE DI NIZZA, E IN SEGUITO IL TRASFERIMENTO ALLA CLINIQUE DU PARC DI LIONE. DURANTE LA LUNGA CONVALESCENZA, ALLEVIATA DAI COLLOQUI CON PIERRE COURTHION, IL 22 MAGGIO LASCIA LIONE PER NIZZA, DOVE RIPRENDE IL LAVORO CON LE SERIE THÈMES ET VARIATIONS E L’ILLUSTRAZIONE DEL FLORILÈGE DES AMOURS DE RONSARD. INTRATTIENE CORRISPONDENZA CON MONTHERLANT E ARAGON, CHE INCONTRA A DICEMBRE.

A SETTEMBRE UN’INFERMIERA, MONIQUE BOURGEOIS (DIVENUTA IN SEGUITO SUOR JACQUES-MARIE), È ASSUNTA PER VEGLIARE LE NOTTI DI MATISSE.

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1943

Ritratto di donna (Tema O 1) Nizza, febbraio 1942, carboncino e sfumino su carta. Musée Matisse, Nizza.

Polinesia, il mare Dai papiers gouachés découpés originali del 1946 (Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou, Parigi), arazzo di lana a basso liccio, Manufacture Nationale de Beauvais, 1948. Musée d’Orsay, Parigi, in deposito al Musée Matisse, Nizza.

PER L’INTERO ANNO IL PITTORE RESTA A VENCE. IN ESTATE LAVORA ALLE ILLUSTRAZIONI PER I FLEURS DU MAL DI BAUDELAIRE. ARRESTO DELLA FIGLIA MARGUERITE DUTHUIT E DELLA MOGLIE AMÉLIE PER COLLABORAZIONE CON LA RESISTENZA. PUBBLICAZIONE DI PASIPHAÉ PER LE EDIZIONI MARTIN FABIANI.

1944

ALL’INIZIO DELL’ANNO LAVORA ALLA LEDA, DECORAZIONE DI UNA PORTA PER GLI ANCHORENA. DA LUGLIO A NOVEMBRE PREPARA A PARIGI CON LYDIA DELECTORSKAYA LA MOSTRA RETROSPETTIVA MATISSE AL SALON D’AUTOMNE. NELLO STESSO TEMPO LAVORA AI CARTONI PER GLI ARAZZI LE CIEL E LA MER. IN DICEMBRE, MOSTRA DELLE SUE OPERE ALLA GALERIE MAEGHT.

1945

IN APRILE TERMINA LA LEDA. INIZIO DEL «REPORTAGE» FOTOGRAFICO SUL PITTORE DI HÉLÈNE ADANT, CHE PROSEGUIRÀ SINO ALLA SUA MORTE. PRIMA MOSTRA A NIZZA, ORGANIZZATA DA AIMÉ MAEGHT AL PALAIS DE LA MÉDITERRANÉE. FILM HENRI MATISSE DI FRANÇOIS CAMPAUX. PUBBLICAZIONE DELLE LETTRES PORTUGAISES DI MARIANA ALCAFORADO ILLUSTRATE DA MATISSE, E DI VISAGES, CON UN TESTO DI REVERDY.

1946

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1947

IL 16 GENNAIO È PROMOSSO COMMENDATORE DELLA LEGION D’ONORE. DOPO UN ANNO TRASCORSO A PARIGI, DALL’APRILE 1947 AL GIUGNO 1948 TORNA A VENCE. SERIE DI DIPINTI DI INTERNI. L’EDITORE TÉRIADE PUBBLICA JAZZ.

IN FEBBRAIO MOSTRA ALLA GALLERIA DI PIERRE MATISSE A NEW YORK E, DA GIUGNO A SETTEMBRE, AL MUSÉE NATIONAL D’ART MODERNE DI PARIGI. 12 DICEMBRE: POSA DELLA PRIMA PIETRA DELLA CAPPELLA DI VENCE.

Hélène Adant, Le Grand Atelier (Il grande studio), studi per la cappella di Vence Le Régina, Nizza, 1949 ca. fotografia. Photothèque du Centre de Documentation, Musée Matisse, Nizza. Jazz – Il Lanciatore di coltelli (tav. XV) Tavola colorata a pochoir dai collages e sui découpages di Henri Matisse (Tériade, Paris 1947). Musée Matisse, Nizza.

Lucien Hervé, Le Grand Atelier (Il grande studio), studi per la Via Crucis e San Domenico Nizza, 1949, fotografia. Photothèque du Centre de Documentation, Musée Matisse, Nizza.

Natura morta con melagrane Vence, 1947, olio su tela. Musée Matisse, Nizza.

1948

UNA MOSTRA RETROSPETTIVA DELLE SUE OPERE SI TIENE A PHILADELPHIA IN APRILE-MAGGIO. LAVORA ALLA CONCEZIONE DELLA CAPPELLA DEL ROSARIO PER LE DOMENICANE DI VENCE. IL 30 DICEMBRE TORNA AL RÉGINA, I CUI SPAZI SONO PIÙ ADATTI AI GRANDI FORMATI DEI PROGETTI PER LA CAPPELLA.

Le Api Primo modello per la vetrata della navata della cappella del Rosario di Vence, Vence, 1948, papiers gouachés découpés. Musée Matisse, Nizza.

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1949


1950

IN GENNAIO-MARZO MOSTRA ORGANIZZATA DALL’UMAM (UNION MÉDITERRANÉENNE POUR L’ART MODERNE) ALLA GALERIE DES PONCHETTES DI NIZZA. COMMISSIONE DI UN SAN DOMENICO IN CERAMICA PER LA CAPPELLA DELL’ALTOPIANO DI ASSY. REALIZZAZIONE DI GRANDI COMPOSIZIONI IN PAPIER GOUACHÉ DÉCOUPÉ. PUBBLICAZIONE DEI POÈMES DI CHARLES D’ORLÉANS. PRESENTAZIONE DEI MODELLINI DELLA CAPPELLA DI VENCE ALLA MAISON DE LA PENSÉE FRANÇAISE A PARIGI. È PREMIATO ALLA XXV BIENNALE DI VENEZIA, E DIVIDE IL PREMIO CON HENRI LAURENS.

Grande Testa-Maschera Nizza, 1951, pennello e china su carta. Musée d’Orsay, Parigi, in deposito al Musée Matisse, Nizza.

L’Onda Nizza, 1952 ca., papier gouaché découpé. Musée Matisse, Nizza.

Ballerina creola Nizza, 1950, papier gouaché découpé. Musée Matisse, Nizza.

1951

LAVORA ALLE CASULE PER LA CAPPELLA, ALLA VETRATA E A UN PANNELLO IN CERAMICA PER LA SALA DA PRANZO DELLA VILLA DELL’EDITORE TÉRIADE. IL 25 GIUGNO, ASSENTE L’ARTISTA, È INAUGURATA LA CAPPELLA DI VENCE. MOSTRA RETROSPETTIVA AL MUSEUM OF MODERN ART DI NEW YORK.

Albero (Platano) Nizza, 1951, pennello e inchiostro di china su carta pergamena, correzioni a guazzo bianco. Direction des Musées de France, in deposito al Musée Matisse, Nizza.

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A MARZO TERMINA LA TRISTEZZA DEL RE (LA TRISTESSE DU ROI). SERIE DEI NUDI BLU (NUS BLEUS). PASSA A NIZZA L’ESTATE. LAVORA A COMPOSIZIONI MONUMENTALI IN PAPIER GOUACHÉ DÉCOUPÉ: LA PISCINA (LA PISCINE), IL PAPPAGALLINO E LA SIRENA (LA PERRUCHE ET LA SIRÈNE), FIORI E FRUTTI (FLEURS ET FRUITS) (MUSÉE MATISSE, NIZZA). L’8 NOVEMBRE SI INAUGURA IL MUSÉE MATISSE DI LE CATEAU-CAMBRÉSIS.

La Tristezza del re Nizza, 1952, papier gouaché découpé. Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou, Parigi.

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1952


MOSTRA DI COMPOSIZIONI IN PAPIER GOUACHÉ DÉCOUPÉ ALLA GALLERIA BERGGRUEN DI PARIGI, E DI SCULTURE ALLA TATE GALLERY DI LONDRA. IN PREVISIONE DELLA CREAZIONE DI UN MUSEO, MATISSE DONA ALLA CITTÀ DI NIZZA NATURA MORTA CON MELAGRANE (NATURE MORTE AUX GRÉNADES), BALLERINA CREOLA (DANSEUSE CRÉOLE), OCEANIA, IL CIELO (OCÉANIA, LE CIEL), OCEANIA, IL MARE (OCÉANIE, LA MER), E QUATTRO DISEGNI DELLA SERIE THÈMES ET VARIATIONS. SINO A METÀ OTTOBRE SOGGIORNA A VENCE, A VILLA LA JONQUE. IL 16 OTTOBRE MARGUERITE DUTHUIT TRASCORRE COL PADRE UN MESE E MEZZO.

Grande Acrobata Nizza, 1952, pennello e china su carta. Musée d’Orsay, Parigi, in deposito al Musée Matisse, Nizza.

Hélène Adant, Le Grand Atelier (Il grande studio) Le Régina, Nizza, 1953, fotografia. Photothèque du Centre de Documentation, Musée Matisse, Nizza.

AD ECCEZIONE DI UN BREVE SOGGIORNO ESTIVO A VENCE, MATISSE NON ABBANDONA NIZZA, DOVE MUORE IL 3 NOVEMBRE 1954. RIPOSA NEL CIMITERO DI CIMIEZ.

Nudo blu IV Nizza, 1952, papier gouaché découpé. Musée d’Orsay, Parigi, in deposito al Musée Matisse, Nizza.

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1953

Hélène Adant, Henri Matisse e suor Jacques-Marie nella cappella di Vence 1953 ca., fotografia. Fonds Hélène Adant, Bibliothèque Kandinsky, Centre Pompidou, Parigi.

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«Cette chapelle est pour moi l’aboutissement de toute une vie de travail et la floraison d’un effort énorme, sincère et difficile»; pensiero di Matisse, in Chapelle 1951; Écrits 1972, p. 258 (Scritti 1979, p. 221). «La conscience de l’artiste est un miroir pur et fidèle où il doit pouvoir réfléchir son œuvre, chaque jour […]. La responsabilité permanente du créateur envers soi même et envers le monde n’est pas un mot creux: en aidant l’univers à se construire, l’artiste maintient sa propre dignité»; lettera di Matisse ad André Verdet, 1954, in ESCHOLIER 1956, p. 271; Écrits 1972, p. 313, nota 34 (Scritti 1979, p. 289, nota 34). «Un artiste doit posséder la Nature. Il doit s’identifier avec son rythme par des efforts qui lui feront acquérir cette maîtrise grâce à laquelle, plus tard, il pourra s’exprimer dans son propre langage»; lettera a Henry Clifford, Vence, 14 febbraio 1948, pubblicata in inglese come prefazione al catalogo Philadelphia 1948, e in francese nel catalogo Parigi 1961; cfr. Scritti 1979, p. 274. «Je vais en ce moment tous les matins faire ma prière, le crayon à la main devant un grenadier couvert de fleurs à leurs divers degrés et je guette leur transformation, en fait je le fais non avec un esprit scientifique mais pénétré d’admiration pour l’œuvre divine. N’est-ce pas une façon de prier? et je fais en sorte (au fond je ne fais rien de moimême car c’est Dieu qui conduit ma main) de rendre évident pour d’autres la tendresse de mon cœur»; lettera a suor Jacques-Marie, Vence, 20 giugno 1945, in JACQUES-MARIE 1993, p. 165. Il tema della finestra torna in diversi momenti della produzione di Matisse. «La plupart des peintres […] cherchent une lumière extérieure pour voir clair en euxmêmes. Tandis que l’artiste ou le poète possèdent une lumière intérieure qui transforme les objets pour en faire un monde nouveau, sensible, organisé, un monde vivant qui est en lui-même le signe infaillible de la divinité, le reflet de la divinité»; in TÉRIADE 1930; Écrits 1972, p. 105 (Scritti 1979, p. 58). «Tout est neuf, tout est frais comme si le monde venait de naître. Une fleur, une feuille, un caillou, tout brille, tout chatoie, tout est lustré, vernis, vous ne pouvez vous imagi-

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ner comme c’est beau! Je me dis quelquefois que nous profanons la vie: à force de voir les choses, nous ne les regardons plus. Nous ne leur apportons que des sens émoussés»; pensieri di Matisse raccolti in GILLET 1943; Écrits 1972, pp. 289-290 (Scritti 1979, pp. 253-254). «Il faut être sincère, et l’œuvre d’art n’existe pleinement que lorsqu’elle est chargée d’émotion humaine et qu’elle est rendue dans toute sa sincérité et non pas par l’application d’un programme conventionnel. C’est ainsi que nous pouvons regarder les œuvres païennes des artistes avant les Primitifs chrétiens sans être gênés. Mais quand nous nous trouvons devant certaines œuvres de la Renaissance dont les matériaux sont trop riches, somptueux, provocants, alors nous sommes gênés de voir qu’un sentiment puisse participer du christianisme avec tant de faste et de fabriqué»; in VERDET 1952; Écrits 1972, p. 57, nota 26 (Scritti 1979, pp. 36-37, nota 26). JACQUES-MARIE 1993, p. 15. Ibid., pp. 15-16. Ibid., p. 19. Ibid., p. 26. MONTHERLANT 1944. Lydia Delectorskaya, modella, aiuto di studio e segretaria di Matisse dal 1932 al 1954. Gioco di parole intraducibile, che si fonda sull’assonanza tra l’inglese flirt e il francese fleurt, “fiorisce”. [ndr] «Elle est dominicaine, c’est toujours une magnifique personne. Nous causons de choses et d’autres sur un certain ton, un peu de douce taquinerie. Lorsqu’elle a été partie, Mme Lydia m’a dit son étonnement sur notre mode de conversation. Je sais ce qui la frappe: c’est qu’on y sent une certaine tendresse, même inconsciente. J’ai résumé ce qui se passe dans l’esprit de Lydia en disant que c’est une sorte de flirt, j’aimerais écrire “fleurt”, car c’est un peu comme si nous nous jetions des fleurs à la figure, des roses effeuillées. Et pourquoi pas! Rien ne défend cette tendresse qui se passe de mots et qui déborde des mots»; lettera ad André Rouveyre, 27 aprile 1947, in PERCHERON, BROUDER 2002, p. 62. Ibid., p. 62. Ibid., p. 63.

19. JACQUES-MARIE 1993. 20. «Le panneau de Saint-Dominique et celui de la Vierge et de l’Enfant Jésus sont à la même hauteur d’esprit décoratif, et leur sérénité a un caractère de tranquille recueillement qui leur est propre, tandis que celui du Chemin de croix s’anime d’un esprit différent. Il est tempétueux»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 260 (Scritti 1979, p. 223). 21. «Cette œuvre m’a demandé quatre ans d’un travail exclusif et assidu, et elle est le résultat de toute ma vie active. Je la considère malgré toutes ses imperfections comme mon chefd’œuvre»; dalla lettera di Matisse a monsignor Rémond, vescovo di Nizza, letta da padre Couturier in occasione dell’inaugurazione della cappella, giugno 1951, e pubblicata in L’Art Sacré, 11-12, luglio-agosto 1951; Écrits 1972, p. 257 (Scritti 1979, p. 220). 22. La storica dell’arte Barbara Freed ha dedicato un film a suor Jacques-Marie: Un Modèle pour Matisse: histoire de la chapelle du Rosaire à Vence, 2007. 23. «C’est dans la création de la chapelle de Vence que je me suis enfin éveillé à moi-même»; messaggio di Matisse alla città natale in occasione dell’inaugurazione del Musée Henri Matisse a Le Cateau-Cambrésis (dip. del Nord) l’8 novembre 1952; Écrits 1972, p. 320 (Scritti 1979, p. 280). 24. «Semplificherete la pittura», gli disse Gustave Moreau; Écrits 1972, p. 81 (Scritti 1979, p. 45). 25. Émile-Auguste Wery (1868-1935), amico e sodale di Matisse; cfr. GUENNE 1925 (Scritti 1979, p. 43). [ndr] 26. «J’ai beaucoup souffert mais je me trouve maintenant plus solide qu’avant»; lettera a Raymond Escholier, 20 aprile 1941; Écrits 1972, p. 283 (Scritti 1979, p. 247). 27. MATISSE 1948. 28. ARAGON 1971, I, p. 16 (rist. 1998, p. 33); trad. it. 1971, I, p. 16. 29. MATISSE 1943. 30. MATISSE 1950. 31. «Tu sais probablement que la pauvre Mme Matisse a été condamnée à six mois […]. Pour mon compte, je croyais avoir tout éprouvé, souffrances physiques et morales. Eh bien non! Il me fallait cette dernière épreuve. Je n’ose pas penser à Marguerite, dont on ne sait rien. […] Depuis trois mois, pour supporter mes soucis, j’ai travaillé le

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plus possible»; lettera a Charles Camoin, 23 luglio 1944; Écrits 1972, p. 292 (Scritti 1979, p. 256). Si tratta dell’acquisto, voluto da Jean Cassou, della prima versione de La Danza (La Danse, in origine destinata alla Barnes Foundation, Merion, Pennsylvania). MATISSE 1947. «Je n’ai pas éprouvé le besoin d’opérer une conversion pour exécuter la chapelle de Vence. Mon attitude intérieure ne s’est pas modifiée; elle est demeurée celle que j’ai eue, celle que j’ai devant un visage, une chaise ou un fruit»; cit. in LEJARD 1951; Écrits 1972, p. 264 (Scritti 1979, pp. 227-228). «J’ai commencé par le profane, et voici qu’au soir de ma vie, tout naturellement je termine par le divin»; pensieri riferiti da monsignor Rémond, in L’Art Sacré, luglio-agosto 1951; Écrits 1972, p. 264 (Scritti 1979, p. 227). «Au cours de ma carrière, j’ai bataillé […]. Un jour, je me suis trouvé devant l’issue tant désirée. Ce n’est pas moi qui l’ai découverte, qui ai réalisé mon état d’âme, il me semble qu’une idée, un idéal, se sont imposés à moi»; pensieri riferiti da monsignor Paul Rémond, cit. supra, nota 35 (Scritti 1979, p. 227). «Ma seule religion est celle de l’amour de l’œuvre à créer, l’amour de la création et de la grande sincérité»; cit. in VERDET 1952, p. 53; Écrits 1972, p. 265 (Scritti 1979, p. 228). «Si je crois en Dieu? Oui, quand je travaille. Quand je suis soumis et modeste, je me sens tellement aidé par quelqu’un qui me fait faire des choses qui me surpassent»; da MATISSE 1947; Écrits 1972, p. 238 (Scritti 1979, p. 203). «Il y faut un grand amour, capable d’inspirer et de soutenir cet effort continu vers la vérité, cette générosité tout ensemble et ce dépouillement profond qu’implique la genèse de toute œuvre d’art. Mais l’amour n’est-il pas à l’origine de toute création?»; pensieri raccolti da Régine Pernoud, in PERNOUD 1953; Écrits 1972, p. 323 (Scritti 1979, p. 283). «Tout art digne de ce nom est religieux. Soit une création faite de lignes, de couleurs: si cette création n’est pas religieuse, elle n’existe pas»; cit. in CHARBONNIER 1960; Écrits 1972, p. 267 (Scritti 1979, p. 230). «Lorsqu’on quittait son chevalet, on emportait un sentiment de bonheur ou de mécontentement selon que ça “avait plus ou moins bien marché”, mais on perdait tout contact avec son tableau en train»; lettera ad André Rouveyre, Nizza, inizi giugno 1943; Écrits 1972, p. 169 (Scritti 1979, pp. 130-131); FINSEN 2001, lettera 359. «La mia contemplazione non può essere semplicemente ammirativa, ma dev’essere attiva […]» («Ma contemplation ne peut être simplement admirative mais elle doit être active […]»); lettera a suor JacquesMarie, Vence, 20 giugno 1945, in JACQUESMARIE 1993, p. 165. «L’imagination se charge de donner la profondeur et l’espace»; cit. in DIEHL 1954;

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Écrits 1972, p. 65, nota 37 (Scritti 1979, p. 39, nota 37). «La nature m’accompagne et m’exalte. Action contemplative, contemplation active… comment dire»; cit. in L. Aragon, «Matisseen-France», in ARAGON 1971, I, pp. 105-106 (rist. 1998, p. 133, nota 2); trad. it. 1971, I, pp. 105-106; Écrits 1972, p. 169, nota 20 (Scritti 1979, p. 165, nota 20). «J’avais déjà remarqué que dans les travaux des Orientaux le dessin des vides laissés autour des feuilles comptait autant que le dessin même des feuilles»; lettera ad André Rouveyre, Nizza, inizi giugno 1943; Écrits 1972, p. 168 (Scritti 1979, p. 129); FINSEN 2001, lettera 359. Costruita tra il 1937 e il 1946 e consacrata nel 1950, la chiesa dell’altopiano di Assy (comune di Passy) è un luogo di culto e di creatività artistica. Dal 2004 è classificata monumento storico. Lungo la strada che porta all’altopiano di Assy sono collocate, oltre a diverse altre, nove statue monumentali di Calder. Dislocate lungo i 15 km del pendio, tra il pianoro e la tenuta di Plaine-Joux, le sculture fanno di Passy un grande museo immerso nella natura. Cfr. M.-A. COUTURIER, Un’avventura per l’arte sacra. Testi in L’Art Sacré scelti da P.-R. Régamey, a cura di M.A. Crippa, Milano, Jaca Book, 2011. [ndr] Nel catalogo della mostra Champlitte 2005, p. 7. «Dans un espace très restreint, puisque la largeur est de cinq mètres, j’ai voulu inscrire, comme je l’avais fait jusqu’ici dans des tableaux de cinquante centimètres ou d’un mètre, un espace spirituel, c’est-à-dire un espace aux dimensions que l’existence même des objets représentés ne limite pas»; pensieri raccolti da Maria Luz e approvati da Matisse, pubblicati in XXe Siècle, n. 2, janvier 1952; Écrits 1972, p. 246 (Scritti 1979, p. 210). «Non è un lavoro che ho scelto, ma un lavoro per il quale sono stato scelto dal destino alla fine della mia strada […]» («Ce n’est pas un travail que j’ai choisi, mais bien un travail pour lequel j’ai été choisi par le destin sur la fin de ma route […]»); in Chapelle 1951; Écrits 1972, p. 258 (Scritti 1979, p. 221). BILLOT 1993, p. 10. La rivista L’Art Sacré è stata fondata da Joseph Pichard nel luglio 1935; nel 1937 è passata a Les Éditions du Cerf, domenicane, sotto la direzione dei padri Couturier e Régamey, che l’hanno votata all’arte religiosa contemporanea e al tema della creatività artistica (cfr. supra, nota 47). BILLOT 1993, p. 12. Le Corbusier avrebbe realizzato la cappella di Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp nel 1950-1955. PERCHERON, BROUDER 2002, p. 182. PERCHERON, BROUDER 2002, p. 183. Le Bonheur de vivre, The Barnes Foundation, Merion, Pennsylvania. La Danse, Ermitage, San Pietroburgo. Matisse utilizzerà il motivo delle arcate per il

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balletto Le Rouge et le noir (L’Étrange Farandole) del 1938. «Ma décoration liait entre elles les différentes parties du plafond et du mur dans son entier pour en faire un vaste ensemble lumineux. Je l’ai comparée à la grande porte d’une cathédrale surmontée de son tympan»; note su La Danse di Merion; Écrits 1972, p. 137 (Scritti 1979, pp. 103-104). «Mon but est de rendre mon émotion. Cet état d’âme est créé par les objets qui m’entourent et qui réagissent en moi: depuis l’horizon jusqu’à moi-même, y compris moimême. Car très souvent je me mets dans le tableau et j’ai conscience de ce qui existe derrière moi. J’exprime aussi naturellement l’espace et les objets qui y sont situés que si j’avais devant moi la mer et le ciel seulement, c’est-à-dire ce qu’il y a de plus simple au monde»; conversazione con Tériade, in TÉRIADE 1929; Écrits 1972, pp. 99-100 (Scritti 1979, pp. 55-56). BARR 1951, p. 280. Auguste Perret ha realizzato nel 1948 alcuni disegni per la cappella di Vence che presentavano sulle facciate in pietra delle protezioni dal sole. Cfr. MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, pp. 16-17. BILLOT 1993, pp. 15-17. Pensieri riferiti da monsignor Paul Rémond, cit. supra, nota 35; cfr. Écrits 1972, p. 264. BARR 1951, p. 281 (testo originale in inglese). «Une église pleine de gaieté – un espace qui rende les gens heureux. […] Ce seront des formes de couleur pure, très brillantes. Pas de figures, rien que le patron des formes. Imaginez le soleil se déversant à travers le vitrail – il lancera des reflets colorés sur le sol et les murs blancs»; pensieri raccolti da Rosamond Bernier, in BERNIER 1949 (testo originale in inglese); Écrits 1972, p. 262 (Scritti 1979, p. 226). Zorah sur la terrasse, olio su tela, Tangeri 1912; Mosca, Museo Puškin. [ndr] «Ces panneaux de céramique sont constitués de grands carreaux de terre cuite émaillée en blanc et portent des dessins noirs filiformes qui les décorent tout en les laissant très clairs. Il en résulte un ensemble noir sur blanc, dans lequel le blanc domine, d’une densité formant un équilibre avec la surface du mur opposé, constituée par des vitraux», in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, p. 222). PERCHERON, BROUDER 2002, p. 233. Ibid., p. 234. «Mon inspiration dessinée tire à sa fin et je vais rentrer dans la peinture»; lettera a Rouveyre, 30 ottobre 1941; Écrits 1972, p. 189 (Scritti 1979, p. 146); FINSEN 2001, p. 68. «Depuis un an j’ai fait un effort énorme en dessin. Je dis effort c’est une erreur, car ce qui est venu c’est une floraison après cinquante ans d’effort. J’ai fait la même chose en peinture»; lettera al figlio Pierre, 3 aprile 1942; Écrits 1972, p. 190 (Scritti 1979, pp. 147-148). «[…] faire en peinture ce que j’ai fait en dessin… rentrer dans la peinture sans con-

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tradiction comme dans les dahlias»; lettera al figlio Pierre, 7 giugno 1942; Écrits 1972, p. 190 (Scritti 1979, p. 148). «Ce qui m’importe le plus? De travailler mon modèle jusqu’à ce que je l’aie suffisamment en moi pour pouvoir improviser, laisser courir ma main en parvenant à respecter la grandeur et le caractère sacré de toute chose vivante»; testimonianza raccolta da Gaston Diehl, in Peintres d’Aujourd’hui, coll. Comoedia-Charpentier, giugno 1943; Écrits, p. 196 (Scritti 1979, p. 153). «Donner de la vie à un trait, à une ligne, faire exister une forme, cela ne se résout pas dans les académies conventionnelles mais au-dehors, dans la nature, à l’observation pénétrante des choses qui nous entourent». Pensiero di Matisse raccolto in VERDET 1970, pp. 114-115; Écrits 1972, p. 251 (Scritti 1979, p. 214). «Aussitôt que mon trait ému a modelé la lumière de ma feuille blanche, sans en enlever sa qualité de blancheur attendrissante, je ne puis plus rien lui ajouter, ni rien en reprendre»; in MATISSE 1939; Écrits, p. 160 (Scritti 1979, p. 125). Maternità (Maternité), guazzo su linoleum, 1939, illustrazione per i versi di Charles Cros, ripr. in Poésie 42, n. V (dell’annata), n. 11 (della serie), novembre-décembre 1942; cfr. L. Aragon, «Un personnage nommé La Douleur», in ARAGON 1971, I, p. 175 (rist. 1998, p. 216); trad. it. 1971, I, p. 175. Conversazione di frate Rayssiguier con Matisse, 2 agosto 1949, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 222. «Sia fatta la tua volontà». «Il faut leur mettre sous les yeux une image qui leur laisse des souvenirs et les entraîne même un peu plus loin… Mais, c’est là un art dont nous n’avons plus besoin maintenant. Cet art-là est dépassé»; cit. in CHARBONNIER 1960; Écrits, p. 267 (Scritti 1979, p. 230). Femme à la gandoura bleue, 1951, olio su tela, Musée Départemental Matisse, Le Cateau-Cambrésis. Katia en robe jaune, 1951, olio su tela, Pierre and Tana Matisse Foundation Collection, New York. Femme aux perles, 1942, olio su tela, collezione privata «Hier il m’est arrivé de vieillir l’Enfant Jésus – d’un bébé j’en ai fait un jeune garçon – je suis sorti de la tradition». Lettera a padre Couturier, 15 maggio 1949, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 188. «Comme une prière qu’on redit de mieux en mieux. – Je n’ai jamais pu faire les choses que je ne sentais pas en moi»; dal Diario di padre Couturier, 16 agosto 1949, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 225; Écrits 1972, p. 270 (Scritti 1979, p. 233). «Ces fleurs, je les avais en moi depuis des années, je les avais observées à Vence dans la bordure du jardin»; ibidem. «Il suffit d’un signe pour évoquer un visage, il n’est nul besoin d’imposer aux gens des yeux, une bouche… il faut laisser le champ

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libre à la rêverie du spectateur». Pensieri riferiti in MARTIN 1955; Écrits 1972, p. 274, nota 18 (Scritti 1979, p. 239, nota 18). 89. Colloquio di frate Rayssiguier con Matisse, 12 aprile 1949, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 175. Cfr. Studio di mani giunte (Étude de mains jointes), 1949, carboncino su carta, Musée Matisse, Nizza. 90. Ad esempio l’icona del Cristo Pantokrator, XIII secolo, della Galleria Tret’jakov di Mosca. Il Cristo Pantokrator è una raffigurazione caratteristica dell’arte bizantina. Cristo, a mezzo busto, regge con la mano sinistra il libro delle Scritture, mentre la destra è sollevata nel gesto dell’allocuzione. 91. «Il faut que je sois si pénétré, si imprégné de mon sujet, que je puisse le dessiner les yeux fermés… […] Ça sort naturellement de moi, et alors le signe lui-même est noble»: pensiero di Matisse annotato nel Diario di padre Couturier, dicembre 1948, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 123. 92. «[…] le pathétique de ce drame si profond»; MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 260 (Scritti 1979, p. 223). 93. Come riprodotto, ad esempio, all’interno della copertina del catalogo della mostra Parigi 2001. 94. «[Un] drame […] qui fait déborder sur la chapelle l’esprit passionné de l’artiste»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 260 (Scritti 1979, p. 223). 95. «Les céramiques sont l’essentiel spirituel et expliquent la signification du monument. Aussi deviennent-elles, malgré leur apparente modestie, le point important qui doit préciser le recueillement que nous devons éprouver»; ibidem. 96. Seconda stazione: Gesù è caricato della croce. 97. Terza stazione. 98. Quarta stazione. 99. Quinta stazione: Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene. 100. Settima stazione. 101. Nona stazione. 102. Decima stazione. 103. Undicesima stazione. 104. Dodicesima stazione: Gesù muore sulla croce. 105. Tredicesima stazione. 106. Quattordicesima stazione. 107. VERDET 1970, p. 74; Écrits 1972, p. 265 (Scritti 1979, p. 229). 108. «Je veux que les visiteurs de la chapelle éprouvent un allégement d’esprit. Que, même sans être croyants, ils se trouvent dans un milieu où l’esprit s’élève, où la pensée s’éclaire, où le sentiment lui-même est allégé»; in CHARBONNIER 1960; Écrits 1972, p. 267 (Scritti 1979, p. 230). 109. Femme à la chaise rouge, olio su tela, 1936; Baltimora, Baltimore Museum of Art, The Cone Collection; BARR 1951, p. 476. 110. «Tout d’abord, l’ayant conçu dans le même esprit que celui des deux premiers panneaux, il en avait fait une procession par la succession des scènes. Mais, s’étant trouvé empoigné par le pathétique de ce drame si profond, il a bouleversé l’ordonnance de

sa composition»; Écrits 1972, p. 260 (Scritti 1979, pp. 223-224). 111. «L’artiste est devenu tout naturellement le principal acteur: au lieu de refléter ce drame, il l’a vécu et l’a exprimé ainsi. Il a bien conscience du mouvement d’esprit que donne au spectateur ce passage de la sérénité au dramatique»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 260 (Scritti 1979, p. 224). 112. «Le Chemin de croix est terminé […]. Ce n’est plus le chemin de procession du carton, mais une sorte de grand drame dans lequel les scènes, quoique toujours accompagnées d’un chiffre, s’entremêlent en partant du Christ en croix qui a pris une dimension de rêve – comme tout le reste du panneau […]. Il sent le drame. C’est le Calvaire composé d’une façon analogue aux calvaires bretons. C’est un grand résultat pour moi. L’exécution en est rude, très rude même, à désespérer la plupart de ceux qui le verront. Dieu m’a tenu la main. Qu’y puis-je? M’incliner – mais les autres n’en savent rien»; lettera a padre Couturier, 27 febbraio 1950, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 309. 113. «Il faut que je sois si pénétré, si imprégné de mon sujet, que je puisse dessiner les yeux fermés… […] Il faut que j’arrive à dessiner les yeux bandés […]. Ça sort naturellement de moi»; pensiero di Matisse annotato nel Diario di padre Couturier, dicembre 1948, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 123. 114. Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari. [ndr] 115. Tours, Musée des Beaux-Arts. [ndr] 116. Anversa, Cattedrale. [ndr] 117. Parigi, Louvre. [ndr] 118. «Je crains que ce panneau soit difficilement accepté, car il ne correspond pas trop à la conception des fidèles de Vence»; lettera a padre Couturier, 27 febbraio 1950, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 309. 119. Colmar, Musée d’Unterlinden. [ndr] 120. «Pour l’autel: un officiant est placé devant le public. Il fallait décorer l’autel de façon légère, afin que l’officiant puisse voir ses fidèles et que les fidèles puissent voir l’officiant. Il y a donc dans les éléments une légèreté qui correspond à ce besoin. Cette légèreté donne le sentiment de dégagement, de franchissement; si bien que ma chapelle n’est pas: Frères, il faut mourir; c’est au contraire: Frères, il faut vivre!»; CHARBONNIER 1960; Écrits 1972, p. 266 (Scritti 1979, p. 230). 121. «[…] fleuve d’eau de la vie, limpide comme le cristal»; cfr. MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 80. 122. PERCHERON, BROUDER 2002, p. 139. 123. PERCHERON, BROUDER 2002, pp. 260-261, fig. 283 (acquasantiera dei fedeli). 124. Jean Mouraille, giornalista e scrittore, ha dedicato un libro ad Andrée Diesnis (19211981); cfr. MOURAILLE 1988. L’artista, che s’ispirava a temi religiosi come la fede, la famiglia, la figura femminile, diceva: «Voglio parlare con le persone il linguaggio di

sempre». Le sue ceramiche-sculture, opere monumentali o semplici oggetti, sono presenti in diversi edifici religiosi: chiese di Nizza, oratorio del col de Restefond, cappella del Rosario a Vence, Hôpital des Enfants malades e cappella dei domenicani a Parigi, chiesa di Saint-Joseph, cappella del Seminario e Carmelo ad Avignone, chiesa cattolica a Teheran, ecc. 125. «Je veux que les visiteurs de la chapelle éprouvent un allégement d’esprit. Que, même sans être croyants, ils se trouvent dans un milieu où l’esprit s’élève, où la pensée s’éclaire, où le sentiment lui-même est allégé. Le bénéfice de la visite naîtra aisément, sans qu’il soit besoin de se cogner la tête par terre»; CHARBONNIER 1960; Écrits 1972, p. 267 (Scritti 1979, p. 230). 126. «Dans notre construction il est important que l’état d’élévation religieuse des esprits vienne naturellement des lignes et des couleurs agissant dans la simplicité de leur éloquence»; in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 86. 127. «C’est comme simple chapelle qu’elle a été conçue»; in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 84. 128. «C’est ainsi que des couleurs simples peuvent agir sur le sentiment intime avec d’autant plus de force qu’elles sont simples. Un bleu par exemple, accompagné du rayonnement de ses complémentaires, agit sur le sentiment comme un coup de gong énergique»; in Chapelle 1951; Écrits 1972, p. 258 (Scritti 1979, p. 221). 129. Le Silence habité des maisons, olio su tela, 1947, collezione privata. [ndr] 130. «En créant ces papiers découpés et colorés, il me semble que je vais avec bonheur au-devant de ce qui s’annonce. Jamais, je crois, je n’ai eu autant d’équilibre qu’en réalisant ces papiers découpés. Mais je sais que c’est bien plus tard qu’on se rendra compte combien ce que je fais aujourd’hui était en accord avec le futur»; in VERDET 1970, p. 115; Écrits 1972, p. 251 (Scritti 1979, pp. 214-215). 131. «Quand j’entre dans la chapelle, je sens que c’est moi tout entier qui suis là – enfin tout ce que j’ai eu de meilleur, quand j’étais un enfant»; in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 420; Écrits 1972, p. 273 (Scritti 1979, p. 236). 132. «Je dois jongler et tenir en équilibre expressif deux forces, la couleur du vitrail du côté droit et le blanc et noir sur tout le côté gauche». Lettera a Henri Laurens, 4 novembre 1949, in Parigi 1970, p. 58. 133. «[Le] manque de transparence du jaune arrête l’esprit du spectateur et le retient dans la chapelle, [lui permettant d’] aller se perdre à travers le bleu et le vert jusque dans les jardins environnants»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, pp. 222223). 134. Lettera di padre Couturier a Matisse, [15 aprile 1950], in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 327. 135. «Le jaune est dépoli et en devient seule-

ment translucide, tandis que le bleu et le vert restent transparents, donc tout à fait limpides»; MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, p. 222). 136. «J’ai tenté de réaliser cet équilibre de forces, les bleus, les verts, les jaunes des vitraux composent à l’intérieur une lumière qui n’est à proprement parler aucune des couleurs employées, mais le vivant produit par leur harmonie, de leurs rapports réciproques». Pensieri raccolti da Régine Pernoud, in PERNOUD 1953; Écrits 1972, p. 323 (Scritti 1979, p. 283). 137. Sulla divergenza di opinioni tra Matisse e frate Rayssiguier cfr. PERCHERON, BROUDER 2002, p. 132. 138. Pensiero di Matisse, in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, p. 222). 139. Studio per la vetrata de L’Albero della Vita, 1950, vetro colorato, trasparente e satinato, con inserti in piombo. Il modello in papier gouaché découpé dell’Albero della Vita è conservato nella Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. 140. Pensieri riportati da Rosamond Bernier, in BERNIER 1949 (testo originale in inglese); Écrits 1972, p. 262 (Scritti 1979, p. 226). 141. «C’est ainsi que lorsqu’on aperçoit de l’intérieur, à travers le vitrail, une personne allant et venant dans le jardin, placée seulement à un mètre du vitrail, elle semble appartenir à un tout autre monde que celui de la chapelle»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, p. 223). 142. «Le vitrail doit avoir l’expansion d’un chant d’orgue, sans qu’il soit besoin de paroles». Colloquio con Régine Pernoud, in PERNOUD 1950; Écrits 1972, p. 230 (Scritti 1979, p. 196). 143. Pensiero riportato da Rosamond Bernier, in BERNIER 1949 (testo originale in inglese); Écrits 1972, p. 262 (Scritti 1979, p. 226). 144. Riflessione di suor Jacques-Marie, in PERCHERON, BROUDER 2002, p. 163. 145. «Dans un figuier aucune feuille n’est pareille à une autre; elles sont toutes différentes de forme; cependant chacune crie: figuier»; in MATISSE 1947; Écrits 1972, p. 237 (Scritti 1979, p. 202). 146. Jack Cowart, nel catalogo Washington 1977, p. 154. 147. COUTURIER 1962; Écrits 1972, p. 269 (Scritti 1979, pp. 232-233). 148. Pensiero di Matisse, 8 settembre 1950, in COUTURIER 1984, p. 220. 149. «On peut dire que l’art imite la nature: par le caractère de vie que confère à l’œuvre d’art un travail de créateur. […] l’œuvre apparaîtra aussi féconde, et douée de ce même frémissement intérieur, de cette même beauté resplendissante, que possèdent aussi les œuvres de la nature»; pensieri raccolti da Régine Pernoud, in PERNOUD 1953; Écrits 1972, p. 323 (Scritti 1979, p. 283). 150. «Puis-je faire un vitrail blanc avec ces choses – en tête une étoile bleue porte au-dessous et derrière le sujet avec indication de filet devant un poisson. J’ai besoin du filet pour

faire des carreaux. Puis-je symboliser le Christ par un poisson devant un filet – le filet peut-il symboliser les épreuves subies par le Christ?»; lettera a padre Couturier [inizi aprile 1950], accompagnata da uno schizzo, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 326. 151. Lettera a padre Couturier, 23 novembre 1950, ibid., p. 378. 152. «L’œuvre est l’émanation, la projection de soi-même. Mes dessins et mes toiles sont des morceaux de moi-même. Leur ensemble constitue Henri Matisse. L’œuvre représente, exprime, perpétue […]. Un artiste doit donc s’efforcer de s’exprimer dans sa totalité, dès le début. […] S’il est sincère, humain et constructeur, il trouvera toujours un écho dans les générations suivantes»; VERDET 1952; Écrits 1972, p. 304, nota 25 (Scritti 1979, p. 287, nota 25). 153. «J’ai besoin de vos conseils pour les vêtements liturgiques. Quelles sont les couleurs de chasubles?»; lettera a padre Couturier, 31 ottobre 1950, in MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 373. 154. Lettera di padre Couturier a Matisse, 4 novembre 1950, ibid., p. 375. 155. Lettera di padre Couturier a Matisse, 12 novembre 1951, ibid., p. 409. 156. Collezioni: Musée Matisse, Nizza; Musée Départemental Matisse, Le Cateau-Cambrésis; Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi; The Museum of Modern Art, New York; Musei Vaticani, Città del Vaticano. 157. «[…] sous forme d’images obsédantes: madrépores, coraux, poissons, oiseaux, méduses, éponges»; pensiero di Matisse, in BRASSAÏ 1997, p. 313. 158. «Il existe donc une vérité essentielle à dégager du spectacle des objets à représenter. C’est la seule vérité qui importe». H. Matisse, «L’exactitude n’est pas la vérité», prefazione al catalogo della mostra Liegi 1947; Écrits 1972, p. 173 (Scritti 1979, p. 133). 159. La collezione del Musée Matisse di Nizza comprende cinque modelli, progetti per le casule bianca, verde, viola, rosa e nera. Completano l’insieme uno studio preliminare su fondo bianco e una casula rosa con l’Agnello pasquale. 160. «Je crois qu’un jour la peinture de chevalet n’existera plus à cause des mœurs qui changent. Il y aura la peinture murale. Les couleurs viennent de plus en plus vous cueillir. Tel bleu vous rentre dans l’âme. Tel rouge agit sur votre tension. Telle couleur tonifie. C’est la concentration des timbres. Une ère nouvelle s’ouvre»; Matisse a André Verdet, in VERDET 1952, p. 43; Écrits 1972, p. 148, nota 9 (Scritti 1979, p. 120, nota 9). 161. 1948, Musée Matisse, Nizza. 162. Su richiesta di Ernest Gaillard, architetto della nuova scuola, l’artista acconsente alla realizzazione de Le Api. L’incarico è affidato al maestro vetraio Paul Bony. La vetrata è messa in opera alla fine di dicembre del 1954, poco dopo la morte di Matisse, e inau-

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gurata il 2 maggio 1955. Di colore caldo e intenso, è nell’insieme adatta alla vita scolastica. Dal 2001 l’opera è iscritta nell’inventario dei Monumenti storici di Francia. 163. «C’est lentement que je parvins à découvrir le secret de mon art. Il consiste en une méditation d’après la nature, en l’expression d’un rêve toujours inspiré par la réalité»; colloquio con Jacques Guenne, in GUENNE 1925; Scritti 1979, p. 46. 164. Suor Jacques-Marie è morta il 26 settembre 2005 a Bidart e riposa nella tomba delle suore domenicane del cimitero di Vence. 165. «[…] j’ai compris le noir et le blanc des costumes des sœurs comme un des éléments de la composition de la chapelle, et pour la musique, j’ai préféré aux sons bruyants – quoique savoureux, mais explosifs – des orgues la douceur des voix de femmes pouvant s’insinuer en chants grégoriens dans la lumière frémissante et colorée des vitraux»; in MATISSE 1951; Écrits 1972, p. 259 (Scritti 1979, p. 224). 166. «La flèche porte-cloche est lourde sur la chapelle – elle devra être comme une fumée s’élevant mince et légère dans la tranquillité du soir»; lettera a Henri Laurens, 22 ottobre 1949, in Parigi 1970, p. 21; Écrits 1972, p. 261 (Scritti 1979, pp. 224-225). 167. 1952, papier gouaché découpé, Musée Matisse, Nizza. 168. «J’ai fait cette chapelle avec le seul sentiment de m’exprimer à fond. J’ai eu là l’occasion de m’exprimer dans la totalité de la forme

et de la couleur. Ce travail a été pour moi un enseignement»; VERDET 1952, p. 53; Écrits 1972, p. 265 (Scritti 1979, p. 228). 169. Il Musée National Message Biblique Marc Chagall ha sede a Nizza-Cimiez e ospita dal 1973 le opere di Chagall sulla Bibbia donate dall’artista allo Stato francese. [ndr] 170. Il Musée National Picasso La Guerre et la Paix ha sede dal 1959 nella cappella del castello di Vallauris. [ndr] 171. Si veda C. Gavinelli (a cura di), I luoghi della pace. Arte e architettura dopo Hiroshima, con la collaborazione di S. Forestier, Milano, Jaca Book, 2010. [ndr] 172. «[…] pour la grande famille humaine, à laquelle devait être révélée un peu de la fraîche beauté du monde par mon intermédiaire»; messaggio di Matisse alla città natale, 8 novembre 1952; Écrits 1972, p. 320 (Scritti 1979, p. 280). 173. «Comme si j’allais faire de la grande composition […]. Comme si j’avais toute la vie devant moi, enfin toute une autre vie… […] dans quelque paradis où je ferai des fresques»; L. Aragon, «Matisse-en-France», in ARAGON 1971, I, p. 111 (rist. 1998, p. 139); trad. it. 1971, I, p. 111. 174. «Un artiste, c’est un explorateur. Qu’il commence par se chercher, se voir agir. Ensuite ne pas se contraindre. Surtout ne pas se satisfaire facilement»; colloquio con Léon Degand, in DEGAND 1945; Écrits 1972, p. 304 (Scritti 1979, p. 267).

175. «C’est avec le sentiment constant de l’importance de ma détermination, malgré la certitude de me trouver dans ma vraie voie, où je me sentais vraiment dans mon climat et non devant un horizon bouché comme dans ma vie précédente»; messaggio di Matisse alla città natale, 8 novembre 1952; Écrits 1972, p. 320 (Scritti 1979, p. 280). 176. «Henri Matisse on Modernism and tradition», The Studio, IX, n. 50, maggio 1935 (testo originale in inglese); Écrits 1972, p. 133 (Scritti 1979, p. 79). 177. «En art la vérité, le réel commence quant on ne comprend plus rien à ce qu’on fait, à ce qu’on sait, et qu’il reste en vous une énergie d’autant plus forte qu’elle est contrariée, compressée, comprimée»; MATISSE 1947; Écrits 1972, p. 238 (Scritti 1979, p. 203). 178. Chiesa di Notre-Dame-de-Toute-Grâce, altopiano di Assy, Passy, Alta Savoia (architetto Maurice Novarini), aperta al culto nel 1941. 179. Chiesa di Saint-Michel, Les Bréseux, HautDoubs, XVIII secolo. Le prime opere d’arte contemporanea collocate nella chiesa furono le vetrate di Alfred Manessier, 1948-1950. 180. Chiesa del Sacré-Cœur, Audincourt (architetto Maurice Novarini), 1949-1951. 181. Cappella di pellegrinaggio della Vierge de Notre-Dame-du-Haut, Ronchamp (architetto Le Corbusier), inaugurata il 25 giugno 1955. 182. Lettera di Le Corbusier a Matisse, Roquebrune-Cap-Martin, 24 agosto 1951.

BIBLIOGRAFIA

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE ARAGON 1971 L. Aragon, Henri Matisse, roman, I-II, Paris, Gallimard, 1971 (rist. 1998); trad. it. Henri Matisse. Romanzo, Milano, Rizzoli, 1971; BARR 1951 A.H. Barr, Matisse. His Art and his Public, New York, The Museum of Modern Art, 1951 (rist. 1974); BERNIER 1949 R. Bernier, «Matisse designs a new Church», Vogue, nn. 131-132, 15 febbraio 1949; BILLOT 1993 M. Billot, «Matisse et le sacré», introduzione a MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993, p. 10; BRASSAÏ 1997 Brassaï, Conversations avec Picasso, Paris, Gallimard, 1997; trad. it. Conversazioni con Picasso, Torino, Allemandi, 1996; Champlitte 2005 Du génie à la spiritualité, catalogo della mostra (Musée Départemental Albert et Félicie Demard, 28 maggio-28 agosto 2005), Champlitte (HauteSaône) 2005; Chapelle 1951 [H. Matisse], Chapelle du Rosaire des Dominicaines de Vence, Vence, s.n.t., 1951; CHARBONNIER 1960 G. Charbonnier, «Entretien avec Henri Matisse», in Le Monologue du peintre, vol. 2, Paris, Julliard, 1960; COUTOURIER 1962 M.-A. Couturier, Se garder libre, Paris, Les Éditions du Cerf, 1962; COUTOURIER 1984 M.-A. Couturier, La Vérité blessée, Paris, Plon, 1984; DEGAND 1945 L. Degand, «Matisse à Paris», Les Lettres Françaises, n. 76, 6 octobre 1945; DIEHL 1954 G. Diehl, Henri Matisse, Paris, Pierre Tisné, 1954; Écrits 1972 H. Matisse, Écrits et propos sur l’art, texte, notes et index établis par D. Fourcade, Paris, Hermann, 1972 (cfr. Scritti 1979); ESCHOLIER 1956 R. Escholier, Matisse, ce vivant, Paris, Fayard, 1956;

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FINSEN 2001 Matisse-Rouveyre. Correspondance, établie, présentée et annotée par H. Finsen, Paris, Flammarion, 2001; GILLET 1943 L. Gillet, «L’Allongé. Une visite à Henri Matisse», Candide, 24 février 1943; GUENNE 1925 J. Guenne, «Entretien avec Henri Matisse», L’Art Vivant, n. 18, 15 septembre 1925; JACQUES-MARIE 1993 Sœur Jacques-Marie, Henri Matisse. La Chapelle de Vence, Nice, Grégoire Gardette, 1993; LEJARD 1951 A. Lejard, «Propos de Henri Matisse», Amis de l’Art, n. 2, octobre 1951; Liegi 1947 Henri Matisse, dessins, catalogo della mostra, Liège, APIAW, 1947; MARTIN 1955 P. Martin, «Il mio maestro Henri Matisse», La Biennale di Venezia, n. 26, dicembre 1955; MATISSE 1939 H. Matisse, «Notes d’un peintre sur son dessin», Le Point, n. 21, juillet 1939; MATISSE 1943 H. Matisse, Dessins. Thèmes et Variations, précédés de Matisse-en-France, par L. Aragon, Paris, Martin Fabiani Éditeur, 1943; MATISSE 1947 H. Matisse, Jazz, Paris, Tériade, 1947; MATISSE 1948 Florilège des Amours de Ronsard, Paris, Albert Skira, [1948]; MATISSE 1950 Poèmes de Charles d’Orléans, manuscrits et illustrés par H. Matisse, Paris, Tériade, [1950]; MATISSE 1951 H. Matisse, «La chapelle de Vence», France-Illustration, Noël 1951; MATISSE, COUTURIER, RAYSSIGUIER 1993 H. Matisse, M.-A. Couturier, L.-B. Rayssiguier, La Chapelle de Vence. Journal d’une création, Paris, Les Éditions du Cerf, 1993; MONTHERLANT 1944 H. de Montherlant, Pasiphaé, Chant de Minos (Les Crétois), gravures originales par H. Matisse, Paris, Martin Fabiani Éditeur, [1944];

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MOURAILLE 1988 J. Mouraille, Andrée Diesnis, sculpteur-céramiste, Nice, s.n.t., 1988;

organized in collaboration with the artist, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art, 1948;

Parigi 1961 Henri Matisse, les grandes gouaches découpées, Musée des Arts Décoratifs, Paris 1961;

Scritti 1979 H. Matisse, Scritti e pensieri sull’arte, raccolti e annotati da D. Fourcade, trad. di M.M. Lamberti, Torino, Einaudi, 1979 (rist. 1988);

Parigi 1970 Henri Matisse. Exposition du Centenaire, catalogo della mostra (Parigi, Grand Palais, aprile-settembre 1970), a cura di P. Schneider, Paris, Ministère d’État des Affaires Culturelles-RMN, 1970;

TÉRIADE 1929 Tériade [S. Eleftheriades], «Visite à Henri Matisse», L’Intransigeant, n. 14, 22 janvier 1929;

Parigi 2001 Henri Matisse, le Chemin de croix, Chapelle du Rosaire des dominicaines de Vence, Paris, RMN, 2001;

TÉRIADE 1930 Tériade [S. Eleftheriades], «Entretien [de Matisse] avec Tériade», L’Intransigeant, nn. 19-20, 27 octobre 1930;

PERCHERON, BROUDER 2002 R. Percheron, Ch. Brouder, Matisse, de la couleur à l’architecture, Paris, Citadelle et Mazenod, 2002;

VERDET 1952 A. Verdet, Prestiges de Matisse, Paris, Émile-Paul, 1952;

PERNOUD 1950 R. Pernoud, «Nous manquions d’un portrait de Charles d’Orléans… Henri Matisse vient d’en composer un», Le Figaro Littéraire, 14 octobre 1950; PERNOUD 1953 R. Pernoud, in Le Courrier de l’UNESCO, VI, n. 10, octobre 1953; Philadelphia 1948 Henri Matisse, retrospective exhibition of paintings, drawings and sculpture

BIBLIOGRAFIA ORIENTATIVA a cura di Roberto Cassanelli L’inquadramento della cappella del Rosario non può prescindere da un più generale approccio bibliografico all’opera di Matisse, favorito, in una produzione ormai vastissima, da alcune opere di riferimento. Fondamentali punti di partenza sono costituiti dai repertori bibliografici di Russell Clement (Henri Matisse. A bio-bibliography, Westport, Greenwood Press, 1993) e Catherine Bock-Weiss (Henry Matisse. A guide to research, New York-London, Garland, 1996). Indispensabili sono tuttora gli studi monografici di A.H. Barr jr (BARR 1951), Pierre Schneider, curatore della mostra del centenario al Grand Palais (Matisse, Paris, Flammarion, 1984, 20022; Milano, Mondadori, 1984) e Jack Flam (Matisse. The man and his art 1869-1918, Ithaca-London, Cornell University Press, 1986), cui si deve anche l’utile Matisse. A retrospective, New York, Park Lane, 1988. A questi studi si è aggiunta l’ampia biografia di Hilary Spurling in due volumi (The Unknown Matisse e Matisse the Master, New York, Knopf, 1998-2005). Tra i cataloghi di mostre vanno ricordati almeno J. Elderfield, Henri Matisse. A retrospective, New York, The Museum of Modern Art, 1994, e Henri Matisse 1904-1917, a cura di D. Fourcade, I. Monod-Fontaine et al., Paris, Centre Georges Pompidou, 1993. Opere generali E. Bonnet, D. Szymusiak (a cura di), Henri Matisse et la sensation d’espace, atti del colloquio (Le Cateau-Cambrésis, Musée Matisse, 10-11 ottobre 2003), Valenciennes, Presses Universitaires, 2005; M.-A. Couturier, Un’avventura per l’arte sacra. Testi in L’Art Sacré scelti da P.-R. Régamey, a cura di M.A. Crippa, trad. di R. Orlandi, Milano, Jaca Book, 2011; J.-P. Dubois-Dumée, Chemin de la croix, Paris, Desclée de Brouwer, 1996; S. Forestier, M.-Th. Pulvenis de Séligny, Matisse. Genesi, Milano, Jaca Book, 2012;

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VERDET 1970 A. Verdet, «Les heures azuréennes», XXe Siècle, numéro spécial Hommage à Matisse, Paris, Société Internationale d’Art XXe Siècle, 1970, pp. 114-115; Washington 1977 Henri Matisse. Paper Cut-Outs, catalogo della mostra (National Gallery of Art, Washington D.C., 10 settembre-23 ottobre 1977; The Detroit Institute of Arts, 23 novembre 1977-8 gennaio 1978; The St. Louis Art Museum, 29 gennaio-12 marzo 1978), New York, Abrams, 1977.

X. Girard, La Chapelle du Rosaire 1948-1951, Paris, RMN, 1992; J. Guichard-Meili, Les Gouaches découpées de Henri Matisse, Paris, Hazan, 1983; H. Matisse, Chapelle du Rosaire des dominicaines de Vence, Vence, s.n.t., 1951; H. Matisse, «Chapelle du Rosaire des dominicaines de Vence», France-Illustration, numéro de Noël, 1951; H. Matisse, M.-A. Couturier, L.-B. Rayssiguier, La Chapelle de Vence. Journal d’une création, Paris, Les Éditions du Cerf, 1993; Musée Matisse Nice, Henri Matisse, «le Chemin de Croix», chapelle du Rosaire des dominicaines de Vence, Paris, RMN, 2001; R. Percheron, Matisse, de la couleur à l’architecture, Paris, Citadelles & Mazenod, 2002; Sœur Jacques-Marie, Henri Matisse. La Chapelle de Vence, Nice, Grégoire Gardette, 1993. Cataloghi di mostre (in ordine cronologico) Henri Matisse. Chapelle, peintures, dessins, sculptures, livret-expo, Paris, Maison de la Pensée Française, 1950; Henri Matisse. Thèmes et Variations, le rêve, la chapelle, Stockholm, Samlaren, 1951; Autour d’un chef-d’œuvre de Matisse. Les trois versions de La Danse Barnes (1930-1933), testi di S. Pagé, Richard H. Glandon, Jack Flam et al., Paris, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 1993; Matisse, la période niçoise, Musée des Beaux-Arts de Nantes, Paris, RMN, 2003; Matisse. «Une fête en Cimmérie». Représentation du visage dans l’œuvre de Matisse, testi di C. Duthuit, C. Grammont, M.-Th. Pulvenis de Séligny et al., Paris, RMN, 2003; Du génie à la spiritualité, testi di F. Caussé e H. Bischof, Vesoul, Conseil Général de Haute-Saône, 2005.

INDICE DEI NOMI I numeri tra parentesi si riferiscono alle note, quelli in corsivo alle illustrazioni

Adant, Hélène 209, 211, 215 Alcaforado, Mariana 209 Aragon, Louis 21, 65, 208, 216 (n. 28), 217 (n. 44), 218 (n. 78), 220 (n. 173) Barnes, Alfred C. 31, 33, 206, 207, 217 (nn. 32, 57) Barr, Alfred Hamilton jr 46, 217 (nn. 62, 66), 218 (n. 109) Baudelaire, Charles 209 Bernier, Rosamond 217 (n. 67), 219 (nn. 140, 143) Billot, Marcel 217 (nn. 51, 53, 64) Bonnard, Pierre 29 Bony, Paul 32, 169, 219 (n. 162) Bourgeois, Monique, v. Jacques-Marie, suor Braque, Georges 29 Brassaï, Gyula Halász, detto 219 (n. 157) Brouder, Christian 216 (n. 16), 217 (nn. 55, 56, 70), 218 (n. 122, 123), 219 (nn. 137, 144) Camoin, Charles 22, 217 (n. 31) Campaux, François 22, 209 Cassou, Jean 217 (n. 32) Chagall, Marc 29, 189, 220 (n. 169) Champaigne, Philippe de 86 Charbonnier, Georges 217 (n. 40), 218 (nn. 81, 108, 120), 219 (n. 125) Clifford, Henry 216 (n. 3) Courthion, Pierre 208 Couturier, Marie-Alain 29, 31, 32, 76, 139, 163, 169, 172, 216 (n. 21), 217 (nn. 47, 52, 63), 218 (nn. 79, 85, 86, 89, 91, 112, 113, 118, 121), 219 (nn. 126, 127, 131, 134, 147, 148, 150, 151, 153, 154, 155) Cowart, Jack 219 (n. 146) Crippa, Maria Antonietta 217 (n. 47) Cros, Charles 69, 218 (n. 78) Degand, Léon 220 (n. 174) Delectorskaya, Lydia 20, 180, 206, 208, 209, 216 (nn. 14, 16) Derain, André 21 Devémy, Jean 29 Diehl, Gaston 217 (n. 43), 218 (n. 75) Diesnis, Andrée 128, 218 (n. 124) Domenico di Guzmán 10, 20, 22, 28, 29, 65, 70, 76, 128, 154, 180, 212, 23, 34, 73, 76, 140, 211 Duthuit-Matisse, Marguerite 22, 209, 215, 216 (n. 31) Escholier, Raymond 207, 216 (nn. 2, 26) Finsen, Hanne 217 (nn. 41, 45, 72) Forestier, Sylvie 220 (n. 171) Freed, Barbara 216 (n. 22) Gabriele, arcangelo 69 Gaillard, Ernest 219 (n. 162) Gavinelli, Corrado 220 (n. 171)

Gesù Cristo 22, 54, 70, 76, 83, 84, 85, 86, 118, 169, 218 (nn. 90, 96, 99, 104), 94, 96, 98, 100, 108, 110, 112, 117 Gillet, Louis 11, 216 (n. 7) Giovanni, evangelista 85 Grünewald, Matthias 76, 118 Guenne, Jacques 216 (n. 25), 220 (n. 163) Jacques-Marie, suor (Monique Bourgeois) 10, 19, 20, 22, 31, 35, 65, 180, 189, 208, 216 (nn. 4, 9, 19, 22), 217 (n. 42), 219 (n. 144), 220 (n. 163), 35, 215 Jeanne del Santo Sacramento, suor 20 Lacordaire, Henri 28 Laurens, Henri 212, 219 (n. 132), 220 (n. 166) Le Corbusier, Charles-Édouard Jeanneret-Gris, detto 32, 191, 217 (n. 54), 220 (n. 181, 182) Léger, Fernand 29 Lejard, André 217 (n. 34) Lurçat, Jean 29 Luz, Maria 217 (n. 49) Maeght, Aimé 209 Maeght, famiglia 180 Mallarmé, Stéphane 9, 206 Manessier, Alfred 220 (n. 179) Mantegna, Andrea 86 Maria Vergine 10, 20, 22, 28, 29, 54, 65, 68, 69, 70, 83, 84, 85, 86, 154, 180, 23, 34, 54, 66, 70, 72, 73, 140 Martin, P. 218 (n. 88) Massine, Léonide 207 Matisse, Amélie, v. Parayre-Matisse, Amélie Matisse, Marguerite, v. Duthuit-Matisse, Marguerite Matisse, Pierre 65, 169, 211, 217 (n. 73), 218 (nn. 74, 83) Metthey, André 65 Milon de Peillon, Louis 32 Montherlant, Henry de 19, 208, 209, 216 (n. 13) Moreau, Gustave 21, 216 (n. 24) Mouraille, Jean 218 (n. 124) Novarini, Maurice 220 (n. 180) Orléans, Charles d’ 22, 212 Parayre-Matisse, Amélie 22, 209 Percheron, René 216 (n. 16), 217 (nn. 55, 56, 70), 218 (nn. 122, 123), 219 (nn. 137, 144) Pernoud, Régine 217 (n. 39), 219 (nn. 136, 142, 149) Perret, Auguste 32, 35, 217 (n. 63) Picasso, Pablo 29, 189, 206, 220 (n. 170) Pichard, Joseph 217 (n. 52) Ponzio Pilato 84, 86, 94 Rayssiguier, Louis-Bertrand 31, 32, 35, 69, 128, 139, 217 (n. 63), 218

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(nn. 79, 85, 86, 89, 91, 112, 113, 118, 121), 219 (nn. 126, 127, 131, 134, 137, 150, 153) Régamey, Pie-Raymond 29, 217 (nn. 47, 52) Rémond, Paul 20, 216 (n. 21), 217 (nn. 36, 65) Reverdy, Pierre 209 Richier, Germaine 29 Rouault, Georges 29, 32 Rouveyre, André 28, 65, 216 (n. 16), 217 (nn. 41, 45, 72) Rubens, Pieter Paul 86, 114

Simone di Cirene 84, 218 (n. 99), 100 Skira, Albert 206

Signac, Paul 21

Wery, Émile-Auguste 21, 216 (n. 25)

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Tériade, Stratis Eleftheriades, detto 22, 169, 210, 212, 216 (n. 6), 217 (n. 61), 209, 210 Turner, William 21 Verdet, André 216 (nn. 2, 8), 217 (n. 37), 218 (nn. 76, 107), 219 (nn. 130, 152, 160), 220 (n. 168)


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