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Il principe dimenticato

che non passano i suoi pezzi e dei dirigenti che non vogliono nemmeno pronunciare il suo nome. Per i successivi cinque anni la cantante si barrica in casa e continua a cantare solo nelle piazze dei piccoli centri, lontano dal mondo patinato della telvisione. Un giorno però Bruno Lauzi ritrova un pezzo che aveva scritto per lei e la convince a partecipare a Sanremo. Quel pezzo è Almeno tu nell’universo.

MMolti hanno detto e scritto che questo film per la televisione dedicato a Mia Martini - uscito anche al cinema grazie a Nexo Digital - fosse un atto di scuse da parte di un intero establishment impegnato a buttar giù o innalzare, a seconda di chi più gli conviene, cantanti, showgirls, presentatrici, giornaliste, attrici, registe, sceneggiatrici come pedine di una partita a scacchi. Il punto non sono le scuse, ma un’intrinseca difficoltà a mutare le regole del gioco che perdura nel tempo. Se Mia Martini ha parlato fortissimo silenziando le meschine questioni untorie e attraverso la raffinatezza unica della sua arte canora, per molte la questione è tutt’altro che conclusa. Io sono Mia, fin dal titolo, sceglie di concentrarsi su un’appropriazione del corpo - e quindi della voce - che è propria delle lotte femministe fin dal loro apparire, e che la cantante ha come molte, non certo biasimevoli per questo, saputo soltanto sfiorare. La struttura in flashback del film è impostata sulle 48 ore prima dell’esibizione del 1989 della cantante e il punto di vista, inventato e forse nemmeno tanto verosimile, poco importa, è a ben vedere quello di un soggetto astratto, estrapolato dai documenti, dalle interviste, dai ricordi e dalle canzoni. La scrittura di Monica Rametta, sceneggiatrice unica del film, è empatica, poetica, strutturata su un livello interpretativo che non pasticcia, che lancia degli input di visione e non si ammanica coi pettegolezzi. Esattamente come il soggetto presentato. Semmai a non capire il gioco dei non detti e dell’appena accennato è la regia di Riccardo Donna che per quanto riesca nei costumi e nelle location a centrare il margine in cui la cantante ha di fatto vissuto e amato, non riesce fino in fondo a penetrare la centralità di chi il margine lo soffre e non lo coglie. Impegnato a rendere fruibile un prodotto che è comunque Rai e comunque fiction, il regista tralascia l’affondo interpretativo nell’anima della cantante - che pure la scrittura gli permetteva - e si accontenta di narrare qualche fatto, insieme a orpelli di dialogo ben orchestrati. Questa è la ragione per cui Mia sembra ‘mancare’ rendendo vistose alcune assenze come quella di Ivano Fossati o di un entourage familiare e amicale che evidentemente non era lecito o possibile inserire. Il film, che anche per questo avrebbe potuto esaltare l’impossibile agiografia anziché soccombere a essa da un punto di vista strettamente narrativo, si regge pertanto su tali barlumi di dialogo, che mancano di diventare luci centrifughe sul presente, e sulla maestosa e dolcissima interpretazione di Serena Rossi. La bravura canora dell’attrice è cosa nota, basti ricordare, tra le tante performance, quella di C’era una volta... Scugnizzi del 2002 piéce musicale di Claudio Mattone ed Enrico Vaime, Ammore e malavita dei Manetti Bros o i doppiaggi canori nello spin off animato Disney di Frozen, Le avventure di Olaf e in Il ritorno di Mary Poppins di Rob Marshall tanto per citarne alcuni. Meno intuitivo era immaginare il come la sua voce pulita e vivace avrebbe interpretato le struggenti, delicate, appassionanti raucedini di Mia Martini. Per fortuna, e forse questo è il vero merito della regia, non vi è alcuna imitatio Dei, e quindi alcuno scimmiottamento, quanto una parziale e rivisitata adesione al gesto della cantante che regala lampi di somiglianza; commoventi, quasi epifanie del ricordo di una delle voci più esaltanti della musica leggera italiana.

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carmEn zinno

di Michel Hazanavicius

Origine: Francia, 2019 Produzione: Jonathan Blumental, Philippe Rousselet per Pathé Regia: Michel Hazanavicius Soggetto e Sceneggiatura: Noé Debré, Michel Hazanavicius, Bruno Merle Interpreti: Omar Sy (Djibi), François Damiens, Bérénice Bejo Durata: 101’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 1 luglio 2020

DDopo la morte della moglie, Djibi ha dedicato la sua intera vita a sua figlia Sofia, a cui ogni sera racconta fiabe della buonanotte; durante la narrazione, il mondo fiabesco prende vita e Djibi assume le sembianze di un valoroso principe azzurro che deve salvare la principessa Sofia dal perfido Pritprout. Una volta che la bambina si è addormentata, la messa in scena si interrompe e gli attori possono uscire dal set e avventurarsi nell’universo fantastico di Storyland.

Anni dopo, Sofia sta per iniziare le scuole medie, dove si innamora

di Max, suo compagno di classe. Nel frattempo, nell’appartamento accanto si trasferisce una bizzarra ragazza, Clotilde, attratta immediatamente da Djibi, il quale però non intende dedicarsi a una relazione, nonostante la figlia lo inviti a conoscere più a fondo la vicina.

Non più una bambina, Sofia non vuole ascoltare la fiaba serale, per cui, nel mondo di Storyland, il set viene chiuso e Djibi viene rimpiazzato da Max, il nuovo attore chiamato per il ruolo del principe. A Storyland, Djibi incontra una donna dalle sembianze di Clotilde che sta per diventare invisibile, ricercata dalle autorità per essere spedita nell’oblimondo, in cui vengono rinchiusi i personaggi dimenticati; nonostante tenti di nascondersi, la giovane viene arrestata.

Nel mondo reale, Sofia si allontana sempre di più dal padre e inizia a frequentare Max, che la invita a una festa a casa sua; la ragazza, per convincere il genitore, afferma che il party si svolgerà a casa di un’amica, dove ci saranno anche i genitori. Scoperta la bugia, Djibi mette in punizione la figlia, impedendole di andare alla festa.

Pritprout e Djibi rapiscono Max e, senza farsi vedere dalle guardie, tentano di attraversare Storyland per raggiungere l’oblimondo e rinchiuderlo per sempre.

Djibi va a trovare Clotilde, che gli confida di aver avuto un rapporto conflittuale con il padre che, dopo il divorzio, si è dedicato interamente a lei, senza curarsi dei propri bisogni, vivendo come devastante il distacco e la crescita della figlia. La donna lo invita a parlare con Sofia, la quale fugge di nascosto per dirigersi alla festa; la sua rabbia assume le sembianze di una nuvola nera che invade Storyland, che viene devastata da un terremoto una volta che Djibi si accorge che la figlia è fuggita. Pritprout e il principe raggiungono l’ingresso dell’oblimondo e vi gettano Max ma, con l’inganno, il perfido antagonista spinge Djibi al suo interno, dove si ritrova con i tanti personaggi infantili di Sofia, ormai dimenticati. Per poter uscire da lì, devono retrocedere nel passato e incontrare la regina, che altri non è che la madre di Sofia; sebbene la donna inviti il marito a restare perché la principessa ha bisogno di crescere, Djibi non si arrende e riesce a fuggire insieme a Max grazie all’aiuto di Clotilde.

Djibi e la vicina si mettono sulle tracce di Sofia che, alla festa, viene derisa dagli amici di Max per il disegno che ha realizzato per lui, per cui chiama suo padre per farsi portare a casa. A Storyland, il protagonista si riappacifica con Pritprout nonostante il tradimento e, insieme a Max, si mettono sulle tracce della principessa in pericolo, ma il giovane inizia a obliarsi.

Sofia racconta al padre e a Clotilde l’accaduto ma sceglie di tornare per chiarire con Max che, nel frattempo, ha abbandonato il party per scusarsi. Mentre Max tenta di raggiungere Sofia per chiarire, nel mondo fiabesco il principe Max ricomincia a riacquisire il proprio corpo, mentre Pritprout e Djibi iniziano a obliarsi, per cui quest’ultimo accetta che sia il giovane a salvare la principessa. Max e Sofia si riappacificano e si baciano, mentre il giovane principe salva la principessa; di conseguenza il mondo di Storyland si spegne definitivamente.

Anni dopo, Djibi e Clotilde, divenuti una coppia, corrono in ospedale, dove Sofia sta partorendo. Djibi inizia a raccontare le sue fiabe alla nipote e il mondo di Storyland riprende vita.

GGioia e dolore, tristezza e nostalgia si fondono in un racconto che indaga le struggenti meraviglie della fiaba della vita, preda di sentimenti ossimorici ben restituiti dal pastiche di registri narrativi e visivi che strutturano il nuovo film di Michel Hazanavicius, commedia per famiglie, dilettevole e commovente, nonostante un’attendibile retorica tipica dei racconti di crescita alla Inside Out, impossibile da non citare, soprattutto per l’antro oscuro dell’oblimondo in cui i personaggi dell’infanzia vengono dimenticati.

A otto anni dalla vittoria agli Oscar, Hazanavicius torna a indagare il senso di abbandono e di inutilità di fronte allo scorrere inesorabile della vita e delle sue inevitabili novità, che sia l’avvento del cinema sonoro o il lasciare liberi i propri figli di emanciparsi e spiccare il volo; come sottolineato da Bérénice Bejo, musa del regista e interprete della stravagante Clotilde, Il principe dimenticato appare una rilettura di The Artist (si pensi alle diverse dissolvenze a iris, tipiche del cinema muto, o alle scenografie da set hollywoodiani di Storyland), in cui il bianco e nero è sostituito dai colori accecanti del mondo immaginario, il cinema vive solo nella testa del protagonista come necessità di accogliere il fantastico come compagno della vita reale, in accordo con una riflessione sulla capacità di reinventarsi di fronte agli imprevisti quotidiani e di riarticolare il proprio ruolo, professionale o genitoriale che sia.

Questa nuova commedia si dimostra capace di intrattenere il suo pubblico, grazie soprattutto alla simpatia di Omar Sy e alla stravaganza della Bejo, nonché

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