l'Unità Laburista - Il biglietto della morte - N° 3 del 23 luglio 2019

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Numero 3 del 23 luglio 2019

Il biglietto della morte


Sommario 

Il Rublogate, l’autonomia differenziata e il futuro del governo Conte - pag. 3 di Aldo AVALLONE INCHIESTA / Il biglietto della morte - pag. 5 di Umberto DE GIOVANNANGELI

L’umanità di Montalbano - pag. 11 di Antonella BUCCINI Di statica e dinamica (di cinematica ne parliamo poi) - pag. 13 di Antonella GOLINELLI La storia dell’Associazione Italiana Calciatori pag. 18 di Giuseppe MENNELLA INCHIESTA / Arma locale - Capitolo Due - pag. 22 di Fabio CHIAVOLINI

Decreto Concretezza - pag. 27 di Antonella BUCCINI

Evaporazione - pag. 30 di Fabio CHIAVOLINI

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Politica

Il Rublogate, l’autonomia differenziata e il futuro del governo Conte di Aldo AVALLONE

Il 20 luglio è trascorso e il governo è ancora in carica, anche se l’aria che tira dalle parti di palazzo Chigi è alquanto burrascosa. Per comprendere al meglio la questione va evidenziato che la data del 20 luglio rappresentava l’ultima finestra utile, nel caso di caduta dell’esecutivo, per poter votare entro settembre prossimo. A norma di legge nulla vieterebbe al Capo dello Stato di indire le elezioni anche oltre tale termine ma la necessità di approntare e approvare la manovra finanziaria 2020 fa pensare che Mattarella non sia disposto facilmente ad accondiscendere a una campagna elettorale che si prospetterebbe durissima e, visti i tempi necessari alla formazione del nuovo governo, porterebbe di filato all’applicazione della clausola di salvaguardia con relativo aumento dell’IVA. Un disastro per la Lega e il Movimento 5 Stelle che avrebbero grosse difficoltà a spiegare ai cittadini la conseguente crescita dei prezzi al consumo. Che Di Maio non auspichi il voto appare evidente: il Movimento è dato in calo da tutti i sondaggi i quali, al contrario, premiano la Lega nonostante la brutta vicenda del Rublogate. Nel partito di Salvini ormai c’è una forte componente, Giorgetti in primis, che spinge verso le elezioni convinta di poter raggiungere la maggioranza assoluta e governare in solitudine. Cosa farà il 3


leader leghista resta ancora oscuro. È probabile che premerà ancora più forte sull’acceleratore per ottenere subito autonomia differenziata e flat tax per poi andare a raccogliere i frutti elettorali in primavera.

Intanto in questa settimana si succederanno, in sequenza, due passaggi decisivi per il prosieguo dell’avventura governativa giallo – verde. Il primo è fissato per mercoledì in Senato dove sarà direttamente Conte a riferire sul caso dei presunti finanziamenti alla Lega da parte della Russia di Putin. Il caso, ormai, ha assunto toni internazionali visto che anche la Merkel ha chiesto chiarimenti al governo italiano e l’attesa delle dichiarazioni del primo ministro cresce a ogni ora. Il secondo, dopo una serie di incontri tecnici preliminari, dovrebbe essere fissato per giovedì a palazzo Chigi per la definizione dell’autonomia regionale differenziata, tema sul quale lo scontro che vede coinvolti il premier Conte da un lato e i governatori di Lombardia e Veneto, Fontana e Zaia, dall’altro ha raggiunto toni molto alti. Per il primo ministro trovare un compromesso accettabile sarà molto difficile. I cinquestelle proveranno ad allungare i tempi chiedendo un dibattito parlamentare come ha dichiarato ieri il presidente della Camera Fico. Solo a fine settimana, dopo questi due appuntamenti, sarà più chiaro il destino del governo e della legislatura.

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Inchiesta

Il biglietto della morte di Umberto DE GIOVANNANGELI

Il loro, è un biglietto di sola andata. Il ritorno non è previsto. Per molti è il “biglietto della morte”. Destinazione finale.

Il viaggio, nella nostra immaginazione frutto di frequentazioni letterarie o esperienze di vita, è legato alla conoscenza, all’avventura, alla scoperta di bellezze naturali o archeologiche che rimarranno impresse nella nostra memoria. Il viaggio come arricchimento interiore, come moltiplicatore di emozioni. Per noi occidentali, o comunque, per noi “fortunati”. Perché per milioni di esseri umani il viaggio è altro: è fuga disperata dall’inferno di guerre, pulizie etniche, povertà assoluta, disastri ambientali, fame, siccità... Il loro è un “viaggio nel deserto”. Non una metafora ma la tragica realtà. È attraverso i deserti, dal Sinai al Sahara, che una moltitudine di persone, come noi abitanti del pianeta, cercano di raggiungere l’Europa, finendo 5


il più delle volte nelle mani, intrise di sangue, di trafficanti di esseri umani, tribù e milizie jihadiste che nei deserti agiscono impunemente, rapiscono, stuprano, uccidono, spesso in combutta con corrotte autorità locali. Non esistono foto di queste persone, delle fosse comuni nelle quali vengono sepolti corpi che non hanno un nome, dimenticati da una comunità internazionale imbelle e da una opinione pubblica mondiale che si commuove solo di fronte alla foto del corpo senza vita di un bimbo ritrovato sulle rive di una spiaggia, turca, italiana, spagnola, alla fine di un viaggio della morte. È una commozione di breve durata, ma almeno c’è. Per i morti nel deserto neanche una lacrima. Eppure esistono centinaia di testimonianze di persone che dalla traversata dei deserti sono riuscite a sopravvivere, potendo così raccontare una tragedia immane. Migranti e rifugiati intervistati da Amnesty International , ad esempio, hanno riferito di essere stati trattati come "schiavi" e "animali" dai trafficanti. Uno ha raccontato di essere stati tenuto, insieme a molti altri, in una stanza sporca e sovraffollata, senza servizi igienici, coperte e materassi, con pezzi di pane secco come unico cibo a disposizione. "È un'attività commerciale a tutti gli effetti. Ti rapiscono per farti pagare. Se non rispondi alle loro domande, ti picchiano coi tubi di gomma" - ha raccontato una delle persone intervistate da Amnesty International. Le donne, soprattutto quelle che viaggiano sole o senza parenti maschi, rischiano più di ogni altra persona di essere stuprate dai trafficanti o dalle bande criminali. Le donne rapite durante il viaggio e non in grado di pagare il riscatto vengono obbligare a fare sesso in cambio del rilascio o del permesso di proseguire. "Il trafficante aveva tre donne eritree. Le ha violentate, loro piangevano. È successo almeno due volte" - ha raccontato una testimone oculare. Un'altra donna, proveniente dalla Nigeria, ha raccontato di essere stata vittima di uno stupro di massa da parte di 11 uomini appartenenti a un gruppo armato appena arrivata nella città di Sabha: "Ci hanno portato fuori città, nel deserto. Hanno legato mio marito a un palo per le mani e le caviglie e mi hanno stuprato davanti ai suoi occhi. Erano in tutto 11". “La Libia sta diventando sempre più off limits anche per i migranti stessi, in particolare chi proviene dall’Africa occidentale”. A rivelarlo in un colloquio con “Vita.it” è don Mussie Zerai, sacerdote eritreo candidato al Nobel per la pace 2015 per il suo impegno per i diritti umani e presidente dell’ong Habeshia “Da ovest, il grande lager a cielo aperto di smistamento illegale rimane il Niger, ma il centro delle rotte di oggi è il Sudan, in cui arrivano anche le persone da Eritrea e Somalia. Da qui, la nuova meta è l’Egitto, nonostante si sappia l’ostilità di quel paese verso i migranti e la comunque elevata efferatezza dei trafficanti”, sottolinea Zerai. “I migranti cercano di seguire il meno peggio tra gli inferni che sanno di avere davanti a 6


sé, e vanno verso l’Egitto anche se sono coscienti che la tratta da compiere nel Mar Mediterraneo sarà più lunga”.

Cifre spietate: dal 2009, al 2018, quasi 28mila africani sarebbero stati rapiti nel deserto del Sinai e almeno 4mila sarebbero morti di stenti, violenze e torture. Sudanesi, eritrei e somali in fuga da guerre, pulizie etniche, miseria. Una fuga finita nella tragedia. I migranti che provano a fuggire da guerre, povertà assoluta, pulizia etnica, disastri ambientali, regimi sanguinari, mettendo a rischio la loro vita nei viaggi nel deserto provengono da diverse zone del continente africano: la maggior parte provengono da Sud-Ovest, dalla rotta del Sahel (fascia di territorio africano che comprende Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea), ma l’80% di questi migranti sceglie di restare in territorio libico. Da Sud -Est, invece, arrivano i flussi provenienti principalmente dal Corno d’Africa, Somalia ed Eritrea, che vengono smistati poi verso la costa del paese e poi verso l’Italia e il continente europeo. Da Est, invece, arrivano i flussi provenienti dall’Egitto, il secondo punto di snodo dei flussi migratori verso l’Italia. Uno dei più grandi “produttori” di rifugiati al mondo è il Sud Sudan: questo Paese ha distribuito fuggiaschi in tutti i Paesi vicini: in Etiopia, in Kenya, soprattutto nel già martoriato Congo e anche nel vecchio nemico del nord, il Sudan. In totale, tra 7


quelli in Uganda e quelli negli altri Paesi il Sud Sudan ha prodotto abbondantemente più di tre milioni di profughi. E ora, una parte considerevole di essi cerca di restare in vita sfidando la morte sulle rotte della disperazione. Intorno a questo traffico di esseri umani gira una montagna di denaro che alimenta un'organizzazione criminale imponente: ci sono almeno 15 centri di smistamento nel deserto del Sinai. Veri e propri lager. Chi tenta la fuga viene raggiunto e fatto fuori. Con una pallottola in testa, o con la gola squarciata. O lasciato morire di fame nel deserto. Questa storia dà conto di un'amara, vergognosa, verità politica: sempre dal 2009 ad oggi si stima che siano stati pagati riscatti per 42mila persone, per un valore di circa 1,3 miliardi i di dollari. In molti casi, i predoni si sbarazzano dei prigionieri più poveri anche rivendendoli ad altre bande. Alcuni migranti, sopravvissuti ad uno dei tre naufragi dell’ultimo mese, hanno riferito che gli scafisti avrebbero marchiato con i coltelli la testa di coloro che non obbedivano agli ordini, specie quelli di etnia africana; gli arabi, invece, sarebbero stati picchiati con cinture e gli uomini sposati con calci e pugni. Il costo del viaggio, dicono i sopravvissuti, va da 1.200 a 1.800 dollari a persona. Per avere un giubbotto di salvataggio si pagherebbe una cifra supplementare che varia da 35 a 70 dinari libici, cioè da 25 a 50 euro circa. Le testimonianze dei sopravvissuti descrivono torture, stupri, estorsioni e uccisioni nella regione desertica del Sinai egiziano. I migranti che tentano di attraversare il Sinai e che lì cadono nelle mani di una rete organizzata di trafficanti umani provengono dal Sudan, dall’Etiopia ma in maggioranza sono eritrei. Le mete iniziali per gli eritrei che fuggono dal paese sono l’Etiopia e il Sudan. Da qui, gran parte dei migranti eritrei erano soliti seguire il percorso verso la Libia, per poi tentare di attraversare il Mediterraneo. Però, durante gli ultimi anni, in seguito all’accordo bilaterale tra l’Italia e la Libia e anche in seguito agli sconvolgimenti politici in gran parte del nord Africa, questo percorso è diventato più difficile. Pertanto, in alternativa, parte del flusso di migranti che, attraverso il Sinai, si dirige verso Israele si è intensificato. Inizialmente, molti migranti concordano un prezzo con dei trafficanti per attraversare la frontiera o per proseguire il viaggio. Ma spesso, appena attraversato in territorio sudanese, vengono fatti prigionieri e venduti ad altri trafficanti. Oltre a questo, negli ultimi anni si sono intensificati i casi di giovani che vengono rapiti direttamente dai campi profughi nel Sudan, per essere anche loro venduti insieme agli altri. Incatenati e ammassati su camionette, i profughi vengono trasportati nel Sinai egiziano, dove vengono ancora una volta venduti a altri trafficanti beduini. Tenuti prigionieri nei campi dei beduini del Sinai e trattati come merce da riscatto, i migranti vengono sottoposti a torture indicibili e le donne vengono stuprate ripetutamente. I familiari dei prigionieri vengono contattati telefonicamente e le torture e stupri vengono effettuati in diretta telefonica, con lo scopo di estorcere ingenti 8


somme per il riscatto. Molti muoiono a causa delle torture e fame, ma molti corpi di persone decedute nel Sinai sono stati trovati con vari organi asportati. Questo pare confermi che il traffico di esseri umani nel Sinai abbia anche lo scopo di asporto e vendita di organi umani. I migranti che dall’Africa Occidentale cercano di raggiungere l’Europa stanno morendo nel Sahara in un numero molto maggiore rispetto a quanti perdono la vita nel Mediterraneo.

Tuttavia, gli sforzi tesi a dissuaderli dal mettersi in viaggio potrebbero causare l’apertura di nuove rotte, stando a quanto riferito dall’Agenzia Onu per le Migrazioni in un report del 20 gennaio 2019. Fino a quella data, in mare avevano perso la vita 2.569 persone “Ancora non disponiamo di una stima del numero dei morti nel deserto” ha rivelato Richard Danziger, direttore dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per l’Africa centro-occidentale. “Supponiamo, come abbiamo già detto in passato, che i morti siano almeno il doppio di quelli registrati nel Mediterraneo. Tuttavia non siamo in possesso di alcuna evidenza che lo attesti, è solo una supposizione. Semplicemente, non lo sappiamo con certezza“. Niger, una delle principali rotte, le autorità locali stanno creando continui ostacoli ai trafficanti di esseri umani, il che potrebbe renderli ancora più inclini ad abbandonare i migranti nel mezzo del deserto, afferma. Molti migranti hanno raccontato delle morti nel deserto, e alcuni hanno riferito che i trafficanti erano convinti che guidando più velocemente attraverso i campi minati sarebbero stati al sicuro, afferma Giuseppe Loprete, responsabile dell’OIM per la missione in Niger. Egli riferisce, inoltre, che a seguito della decisa azione del governo - volta a far chiudere i “ghetti” e ad arrestare i trafficanti - il numero dei migranti che attraversano il Niger 9


è diminuito sensibilmente. L’OIM ha cercato inoltre di diffondere lo slogan “Tu non vuoi essere catturato in Libia”, afferma Danziger. “Ciò che accade in Libia, le storie di orrore che racconta chi torna indietro, spaventa le persone molto più della morte”. Molti trafficanti non si considerano criminali. Spesso si tratta di ex-guide del deserto in cerca di denaro. In tanti hanno rinunciato, mentre la criminalità organizzata che ha contatti in Libia continua ad operare, sostiene Loprete. “In questo momento stanno cercando di trovare delle rotte alternative, altrettanto pericolose”, aggiunge. “Quando tappi un buco, altri sono destinati ad aprirsi”, afferma Danziger. Dal Niger partono due rotte per la Libia: una più vicina al Ciad, abitualmente usata dai trafficanti di esseri umani; l’altra, nelle immediate vicinanze del confine algerino, molto più pericolosa poiché battuta da gruppi estremisti e utilizzata per il traffico di droga ed armi. Un’alternativa è costituita da un passaggio nel Mali settentrionale, una regione tormentata da conflitti tribali, tuttavia lì non sembrano essersi registrati degli aumenti nei flussi migratori, asserisce Danziger. La rotta considerata più sicura è quella che corre lungo la costa occidentale dell’Africa, attraverso Senegal, Mauritania e Marocco, fino allo Stretto di Gibilterra, in cui non a caso il flusso migratorio è aumentato, ha aggiunto. Un esodo biblico, una traversata dei deserti che non possono essere affrontati e risolti solo sul terreno militare, anche perché mettere in sicurezza quell’enorme “terra di nessuno” comporterebbe un impiego di uomini e mezzi oggi impensabile. Ecco allora tornare al centro dell’agire internazionale, come scelta strategica obbligata, l’intervento sulle cause che stanno alla base di questo esodo disperato: cause sociali, ambientali, di lotta alla povertà e una pace che contempli il rispetto dei diritti umani, civili, sociali, e un effettivo pluralismo. “Aiutarli a casa loro” significa anche questo: scongiurare le “traversate dei deserti”. I viaggi della morte.

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Cultura e Società

L’umanità di Montalbano di Antonella BUCCINI

In questi giorni di celebrazioni la potente e autorevole testimonianza civile di Camilleri sembra solo vagamente riferita nella specificità e grandezza dell’artista. La sua ferma e coraggiosa ribellione alla brutalità di questi tempi trova flebile eco in quanto si è detto, scritto e soprattutto visto in tv. Eppure Montalbano, l’eroe popolare che sarà amato da tutti, è da subito uomo integro. “Il cane di terracotta”, “La forma dell’acqua”, primi racconti di Camilleri ancora sconosciuto al grande pubblico, trascendono il genere proponendo un’umanità composita e toccante. Poco importa se nella successiva prolifica produzione sarà privilegiata l’immediatezza dell’intreccio e nella trasposizione televisiva taluni personaggi risulteranno deformati da eccessi bizzarri. 11


L’integrità è impressa nell’anima del commissario e non riguarda solo la sua profonda onestà e la fedeltà alle istituzioni ma la compassione e la comprensione degli esseri umani. La sua insofferenza al potere ottuso o la protezione che assicura come un pudico velo sulle tragedie che incontra sono segni evidenti di quella pietas che non può che violare le regole, quelle che separano con una linea retta e sciocca i buoni dai cattivi. È a questa umanità che l’uomo Camilleri ha fatto ripetutamente appello senza mezzi termini, ascrivendo alla politica il tentativo di alterare i tratti naturali dell’essere umano, di contrarne la dimensione a un animale ferito ripiegato su stesso pronto ad azzannare il proprio simile, incredulo fino alla fine di come gli italiani le tengano il gioco. È indiscutibilmente laica la compassione in Montalbano come carnali, senza reticenze o ritrosie, sono i suoi desideri, il cibo, il mare, l’amore. Un personaggio che, ben oltre il perfetto meccanismo narrativo del giallo d’autore, si confonde con tutti noi perché di ossa e sangue. Camilleri ci ha raccontato come è fatto un uomo. Teniamolo a mente.

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Politica

Di statica e dinamica (di cinematica ne parliamo poi) di Antonella GOLINELLI

Tranquilli. Non si parla di fisica. Potrei anche farlo, ma parlo di politica. Dipingerò un quadretto a pennellate larghe.

Allora, il segretario del PD Zingaretti, in accordo con la segreteria, elabora un “piano” per costringere Salvini a riferire in parlamento sugli affarucci russi. Più che legittimo. Non fa un plissé. Non fosse che, nel frattempo, la corrente del senatore semplice invoca la mozione di sfiducia al ministro per bocca della Mary Ellen Woods. Alcune 13


considerazioni: quando una componente correntizia si fionda in prima fila strepitante un motivo ce l'avrà. Oltre a quello di porsi in polemica diretta col ministro (figurati se non twitta) beccandosi tutti gli insulti sessisti dell'universo mondo (il loro). Esprimo la mia solidarietà di genere nel caso. Niente di più; ipotizzo che il tentativo di scavalcamento abbia come obiettivo indebolire il segretario (il loro segretario) cercando forzature che non hanno motivo di essere; ipotizzo anche che la mozione di sfiducia avesse come obiettivo primario il ricompattamento della maggioranza. Non si spiega in altro modo. Lei dovrebbe saperlo bene. È stata oggetto dello stesso trattamento e il risultato è stato nullo.

Nel frattempo mentre si scambiavano gentilezze e delicatezze tra tutti i fronti, arriva la notizia che la Commissione nazionale di garanzia non ha riconosciuta valida l'elezione di Faraone a segretario regionale della Sicilia. Apriti cielo. Tweet disperati e accusatori da parte di Ramsete, autosospensioni (da che? Immagino significhi che non paga più le quote). Dice Ram14


sete che si tratta di vendetta politica e chiede a Zingaretti di intervenire. Facciamo un passo indietro. L'elezione di costui a segretario regionale fu costellata durante tutto il percorso da fatterelli a dir poco opachi. Tant'è che si ritirarono i candidati, lasciandolo in beata solitudine ad essere acclamato dall'Assemblea regionale segretario, senza che fossero svolte quelle primarie che tutti invocano sempre, per gli altri. E non sarebbe nemmeno un problema questo se non fosse per il fatto che il 40% degli eletti in assemblea viene dai congressi locali, che in parte consistente non si sono svolti. Quindi, chi c'è in assemblea? Di cosa stiamo parlando esattamente? Ma non è questo il punto che vorrei commentare. Vorrei piuttosto far notare che: Ramsete invoca l'intervento del segretario per interdire la Commissione di garanzia, organo terzo e indipendente che non è soggetto agli ordini del segretario; Marcucci, il farmacista capogruppo al Senato, rilascia dichiarazioni pubbliche nello stesso senso, tirando per la giacca il segretario; il tentativo di interlocuzione “superiore” è palese. Del resto loro hanno sempre fatto cosi, addomesticando le sentenze di un organo nei fatti non riconosciuto, disintermediando anche le strutture interne del partito che hanno condotto. Contro un muro – ma lo hanno condotto.

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Che uno dice: è già abbastanza. Macché. Non è mica finita. Nel frattempo il senatore semplice va in Montana, a Yellowstone. Per vacanza? Alla ricerca di Yogi, Bubu e del ranger? Lo avranno invitato per la sua attività di conferenziere? Ma assolutamente no. Va ad una “riunione informale” del Gruppo Bilderberg. A decidere I destini del mondo. A che titolo non si sa. E twitta. Su tutto tranne su quello che sta facendo. Basterebbe ma non è finita. Gasparri cinguetta affermando che bisognerebbe zittire Anzaldi, un direttore RAI mette il like. Orrore! Anzaldi twitta orripilato appellandosi a Zingaretti (again). Che uno dice: che è Zingaretti? La pila dell'acqua santa? Il segretario risponde ringraziando l'invocante per averlo riconosciuto come segretario. Geniale. Nota a margine: anche Anzaldi minaccia la restituzione della tessera. Un altro che non paga più le quote evidentemente. I giornali sguazzano in un mare di tuit, esibizione di un attacco concentrico al fine di? Bella domanda. Perchè nel frattempo si scopre, tramite intervista stavolta, che esiste una scuola politica correntizia per i giovani, finanziata anche personalmente, udite udite, dal senatore semplice col corrispondente di uno stipendio mensile. La corrente si finanzia da sempre per i fatti suoi, oltre ad utilizzare i fondi a bilancio del partito appellandosi alla privacy. Del resto stanno creando la classe dirigente prossima futura e vanno a “chiedere lumi” in Montana. Devono arginare gli smottamenti locali e hanno necessità di tempo. Mettendola in quest'ottica forse si riescono a spiegare un po' di eventi. Parrebbe quasi avessero voglia di un partito nuovo e loro, forse nell'impossibilità di tornare a dominare quello in cui sono. Non #Adesso (perdonate il vezzo), almeno.

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Calcio e Politica

La storia dell’Associazione Italiana Calciatori. di Giovan Giuseppe MENNELLA

“La partita di calcio è rimasta l’ultima Sacra Rappresentazione del nostro tempo” - Pier Paolo Pasolini Era il 31 dicembre del 1964 quando al Teatro Sistina si organizzò una colletta tra i tifosi della Roma calcio per aiutare la società capitolina, oppressa da debiti per circa 2 miliardi di lire di allora. L’idea era stata lanciata il giorno precedente dall’allenatore Juan Carlos Lorenzo e lo stesso capitano dei giallorossi Giacomo Losi, “er core de Roma”, girò materialmente nel teatro per raccogliere le offerte in denaro dei tifosi romanisti. Furono raccolte 700.000 lire che, però, il presidente Marini Dettina rifiutò di accettare.

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Il problema più urgente da risolvere era il pagamento degli stipendi arretrati ai calciatori, tra i quali ovviamente non c’erano solo campioni affermati, ma anche onesti lavoratori del pallone e giovani alle prime esperienze calcistiche. In quel momento, in quella platea, fu piantato il seme, germogliato di lì a poco tra alcuni dei calciatori presenti e altri tra i più informati e avveduti, dell’idea di costituire una associazione dei calciatori, col compito di tutelare i diritti dei lavoratori del pallone, soprattutto di quelli meno ricchi e famosi e di chi, lontano dall’interesse mediatico, giocava nelle serie professionistiche inferiori. La società italiana, in quegli anni, stava attraversando una vera e propria mutazione antropologia, conseguenza diretta del miracolo economico e dall’apertura a quei valori democratici e progressisti che si diffondevano rapidamente nel mondo. Il movimento per la tutela dei diritti dei lavoratori del pallone fu contemporaneo ad altri movimenti di opinione e di lotta che si andavano sviluppando in tutti gli altri ambiti per ottenere più libertà e più diritti individuali. Di lì a pochi anni, si sarebbero ottenuti lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, quella sull’interruzione volontaria della gravidanza, il nuovo diritto di famiglia, la riforma sanitaria e così via. Per ottenere maggiore visibilità al progetto, Losi, De Sisti, Corelli. Mupo e gli altri promotori pensarono di coinvolgere i calciatori più famosi, Rivera, Mazzola, Bulgarelli, i quali diedero subito un entusiastico appoggio. Un passaggio decisivo e non facile da decidere era la scelta della persona che doveva fungere da Segretario generale del costituendo Sindacato calciatori. Losi si ricordò di un suo conoscente Sergio Campana, da poco passato dal Vicenza al Bologna, che nella città felsinea si era da poco iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza. Sarebbe stato lui il Segretario dell’AIC dalla sua fondazione fino al maggio 2011 quando gli subentrò Damiano Tommasi. Fu così che il 3 Luglio 1968 a Milano, nello studio del notaio Barassi, nacque ufficialmente l’Associazione italiana calciatori. I fondatori furono Bulgarelli, Rivera, Mazzola, Castano, De Sisti, Losi, Mupo, Sereni, Corelli e Sergio Campana. Inizialmente raccoglieva solo i calciatori di serie A e B, ma poi fu integrata anche dalla serie C nel 1971 e dalla serie D nel 1973. Uno dei principali obiettivi dell’AIC fu proprio il riordino del settore di serie C e D, i cui calciatori erano etichettati come “semiprofessionisti”, vale a dire atleti con tutti gli obblighi dei professionisti, ma con lo status giuridico dei dilettanti. Si arrivò, dopo anni di scontri, ad una ristrutturazione dei campionati, alla suddivisione in C1 e C2, con la serie D che, passando nei dilettanti nel 1981, uscì dall’Associazione.

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Il 1981 rappresentò una data determinante per tutto lo sport italiano, soprattutto per l’emanazione della legge 91 che regolò i rapporti tra società e sportivi professionisti e che riconobbe lo status di lavoratore dipendente ai calciatori. Quasi 3.000 calciatori professionisti da allora furono riconosciuti dalla legge come veri e propri lavoratori subordinati L’AIC, negli anni, riuscì ad ottenere altri importanti risultati, come il riconoscimento del diritto di immagine, l’abolizione del vincolo, la previdenza, la creazione del Fondo di fine carriera, la firma contestuale, l’Accordo collettivo, l’indennità di mancata occupazione, il Fondo di garanzia. La nostra storia sembra finita qui, ma in realtà si tratta solo di un sottofinale. C’è un’altra scena che merita di essere raccontata: si svolge nel 1995 e ha per protagonista la Corte di Giustizia dell’Unione europea. In quell’anno la Corte emana una sentenza, su ricorso del calciatore Bosman, che da allora ha regolamentato il trasferimento dei calciatori tra le Federazioni dei Paesi appartenenti all’Ue. Secondo la sentenza Bosman, i calciatori, in base all’art. 39 del Trattato di Roma, possono trasferirsi gratuitamente, alla fine del contratto, a un altro club, purché facente parte di uno Stato dell’UE; inoltre, se il contratto in vigore ha una durata residua non superiore al semestre, il calciatore può firmare un precontratto gratuito. Inoltre dalla sentenza Bosman in poi le leghe sportive non hanno potuto più imporre alle società limiti al tesseramento di atleti provenienti dall’Unione. 20


In pratica, la sentenza Bosman ha trasferito, nel mondo del calcio, la politica ultraliberista inaugurata negli anni ’80 da Reagan e Thatcher e ancor più gli accordi sulla libera circolazione del WTO (World Trade Organization), sponsorizzati entusiasticamente e acriticamente da chi, almeno a parole, si dichiarava socialista, come Clinton, Blair, Giuliano Amato, per tacere di Prodi e Berlusconi che, se non altro, socialisti non lo erano mai stati. La conseguenza della sentenza Bosman è stato l’attuale gigantismo economico quasi incontrollabile dei bilanci di molte società, alcune quotate in borsa, causato dall’enorme potere contrattuale assunto dai calciatori e dai loro procuratori. La commistione perversa tra esigenze della finanza e competizione sportiva ha creato evidenti pericoli di aggiotaggio e minato l’uguaglianza competitiva che dovrebbe essere alla base del fatto sportivo. E’ trascorso oltre mezzo secolo dalla famosa sera al teatro Sistina e il calcio, e tutto ciò che ruota intorno a esso, è profondamente cambiato adeguandosi pienamente ai tempi. Gli enormi interessi economici (ma non solo quelli, ricordiamo la presidenza Berlusconi al Milan che fu anche veicolo di propaganda politica) impongono una nuova disciplina del settore intesa a garantire maggiore trasparenza. Le regole del mercato vanno accettate ma, atteso che lo sport ha una valenza sociale importantissima, vanno altresì necessariamente regolamentate nel senso di una sempre più ampia giustizia, a vantaggio della collettività. 21


Inchiesta

Arma locale – capitolo due di Fabio CHIAVOLINI

Continua l’inchiesta sullo stato della nostra economia che intende individuare una via laburista alla governance dell’economia, partendo dai territori e ponendo il Paese in grado di colmare il gap con l’Unione Europea, salvaguardare le specificità territoriali, tutelare i Lavoratori e combattere il liberismo globale, senza scadere nel “sovranismo di sinistra”.

La business community: valori e dinamiche – “Essere” ed “esistere” Il fatto che un attore economico o sociale sia “in essere” non significa che possieda, automaticamente, valore all'interno della comunità locale – ossia “esista”. Un esempio, più sociologico che economico, riguarda il diverso impatto che un centro sociale può avere in una città di provincia rispetto ad una metropoli: è difficile che il centro sociale di una piccola città riesca ad influenzarla (vale a dire: è “in essere” ma “non esiste” all’interno dei flussi e delle dinamiche della comunità, 22


dalla quale è escluso) mentre, in una metropoli, un centro sociale ha spesso massa critica e capacità d’impatto e, pertanto, è in essere ed esiste. Passando dalla logica fattiva alla rappresentazione grafica della realtà, il centro sociale della piccola città è un punto non rappresentabile di una rete, mentre quello della grande città ha una collocazione ben precisa nella rete di relazioni (e ne possiede una propria). Per “dirla in soldoni”, se qualcuno “che ha credibilità” non si fa portatore di un valore espresso dal capitale sociale, questo valore ha “impatto zero” sulla comunità.

Le relazioni comunitarie e le dinamiche conflittuali Le relazioni comunitarie di tipo sociologico si trasformano, in una società come la nostra, in relazioni economiche. La comunità locale ha coscienza di se proprio in quanto comunità e se composta da entità che sono “in essere” ed “esistono”. Cosa accade quando all’interno di un sistema territoriale si generano delle dinamiche conflittuali? Si è osservato che, dove esistono situazioni di crisi, appare subito evidente la frammentazione della comunità locale (vale a dire la divisione del sistema territoriale in più comunità che si comportano come se fossero attive su piani di realtà diversi). 23


Ciò che dobbiamo analizzare con attenzione, oltre al territorio, è la comunità locale composta di tutti gli attori del territorio che “sono in essere ed esistono”, ovvero da tutti coloro in grado di esprimere il capitale sociale del territorio e di farsi latori delle istanze e delle necessità del territorio stesso.

Tra autogoverno e crisi: confronto tra sistemi territoriali e comunità locali – Fattori di competitività territoriale La competitività territoriale dipende da vari fattori: l’ambiente macroeconomico, nazionale ed europeo; i retaggi del passato; gli assets tangibili ed intangibili; la governance. I distretti industriali Il distretto industriale, partendo da una aggregazione d’imprese sul territorio dedicate ad una monocultura produttiva (es. mobili, occhiali, oreficeria, meccanica), generava sino agli anni ‘90 (e continua parzialmente a generare) un indotto di territorio sia verticale (fornitori di servizi dedicati o di materie prime), sia orizzontale 24


(es. servizi contabili e fiscali, mense, cancelleria), dando vita a produzioni verticali di filiera ed orizzontali di terzisti. La ricaduta sul territorio era essenzialmente occupazionale: il distretto industriale saturava la forza lavoro del territorio tanto che, fino dagli anni ‘50, iniziò la ricerca di manodopera nel Sud Italia. Da notarsi che nel momento in cui nacquero i distretti industriali non sussisteva nel Sud una situazione di disoccupazione diffusa, per lo meno in senso moderno. Il Sud era allora precipuamente rurale, con un basso indice di ricaduta economica territoriale: la spinta all’emigrazione originava non dall’assenza di lavoro, bensì dalla spinta al miglioramento delle condizioni di vita personali (anni '60). I territori d’immigrazione, al contrario, attiravano proprio perché in grado di creare ricadute di valore sul territorio, con conseguenti migliori prospettive di vita per la forza lavoro. L’autoreferenzialità del territorio, quindi, ha reso forti i distretti industriali negli anni ’60/’80. Oggi, il modello di sviluppo dei distretti industriali non risulta più adeguato in presenza d’imprese “leader” che delocalizzano internazionalmente (Europa dell’Est e Asia), “aprendo” la filiera. Ancora, i distretti industriali, in quanto espressione di una monocultura produttiva, sono esposti alle congiunture sfavorevoli del mercato e crescono meno dei sistemi territoriali non distrettuali da almeno un ventennio.

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Il “modello distretto” non riesce più a far fronte alla concorrenza internazionale, che può essere affrontata solo diversificando le produzioni in modo sostenibile e non agevolmente replicabile dai mercati concorrenti. Se recuperiamo la categoria marxiana per la quale il capitalista è colui la cui qualità della vita non dipende dalle evoluzioni del mercato, possiamo parlare, nel caso dei distretti, di capitalismo inapplicato o di capitalismo “in essere” ma “inesistente”, nel momento in cui il sistema economico di uno specifico territorio è parzialmente o del tutto non funzionale, in termini di produzione e ripartizione del valore, alla qualità della vita dei cittadini. Intendendo il territorio come il luogo del capitale economico e sociale – e sempre recuperando Marx – quando accettiamo la definizione di “proletariato” come quella parte di popolazione la cui qualità della vita è legata agli andamenti dei cicli del mercato, potremmo affermare che oggi il distretto industriale, per assurdo, non è il luogo del micro-capitalismo italiano ma il rischioso fattore di esposizione della propria intera struttura economica e sociale (e di quella di tutto il Paese) alla proletarizzazione (fenomeno già in atto e crudelmente visibile). In sintesi, l’economia distrettuale deve imparare a diversificare il rischio, a sfruttare i centri di eccellenza, le competenze, le buone pratiche sviluppate nel distretto industriale per costruire economie non monoculturali, strategicamente inserite in contesti internazionali: deve diventare “economia territoriale”. continua nel prossimo numero

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Satira

Decreto Concretezza di Antonella BUCCINI

La dottoressa Carolina De Michelis sembrava affondare non solo lo sguardo ma la testa tutta nel pc. Faceva scorrere il mouse su colonne di numeri, su e giù, su e giù. Programmi… Missioni… quelle formule del bilancio tradivano, secondo la dottoressa De Michelis, ambizioni, come dire, velleitarie. Facevano presupporre dei programmi, cioè le idee chiare, ma ancor più le missioni con evidenti assonanze a Bond, James Bond o addirittura a Tom Cruise. E, in effetti, davvero si trattava di una mission impossible per la dottoressa: doveva assolutamente trovare le somme necessarie per garantire la refezione scolastica. La porta si spalancò come per un colpo di vento o una scossa ondulatoria ma la dottoressa appena appena girò la testa. «C O N C R E T E Z Z A!», urlò l’uomo entrando e la risma di carte con una perfetta piroetta atterrò sulla scrivania. «Buongiorno dottore» sussurrò lei liberandosi degli occhiali. «Dottoressa, finalmente…. finalmente - disse lui - concretezza. Sa cos’è?» e indicò il pacchetto di A4 lì a portata di mano. La dottoressa inforcò di nuovo gli occhiali e gettò uno sguardo. «Il decreto concretezza - scandì l’uomo con un sorriso pieno - guardi, guardi pure. Siamo in una botte di ferro. Ah… questo governo del cambiamento …» e sorrise da leader. «Davvero? - chiese lei - Ci sono i soldi per la refezione?» «Ma no, ma no Carolina - la chiamava per nome quando era di buon umore e non aveva richieste speciali - Legga, legga bene stavolta, disse, calcando un po’ su “bene”». Si riferiva a quando lei si era rifiutata di pagare 1000 euro di caffè per i saluti di fine anno nella sede del partito. 27


…è istituito il Nucleo delle azioni concrete di miglioramento dell'efficienza amministrativa, denominato "Nucleo della Concretezza"… «Ah…» sussurrò lei «Vada avanti» è approvato il Piano triennale delle azioni concrete per l'efficienza delle pubbliche amministrazioni… «Quindi…» aspettava lui ...il Nucleo della Concretezza assicura la concreta realizzazione delle misure indicate nel Piano… Carolina si legò i capelli con l’elastico di gomma e continuò a leggere: ...effettua sopralluoghi e visite finalizzati a rilevare lo stato di attuazione delle disposizioni da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché le modalità di organizzazione e di gestione dell'attività amministrativa alla luce dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità… si avvale di cinquantatre unità… gli oneri derivanti sono pari a euro 4.153.160 annui

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Carolina sollevò lo sguardo e si tolse gli occhiali. «Quindi? » chiese anche lei «Ma come, non capisce? Rispose spazientito. Un nucleo di gente preparata…» «alla luce dei criteri di efficienza efficacia ed economicità» rilesse lei. «Si proprio quelle… Vede anche lei che… Ne avevamo bisogno… gente che va al sodo». «Ma non ci sono già le ispezioni? ». «Ma no, che c’entrano le ispezioni… Questi vengono a controllare… cioè a verificare che…» «Mi perdoni dottore cinquantatre, tutti qui e…». «Aspetti mica 53 tutti insieme, magari 3, 4, 10 va…». «Va bene, vengono qui e cosa verificano se noi…». «Abbiamo fatto buone azioni» affermò lui con una certa soddisfazione. «Beneficenza?». «Ma no… Carolina… Se abbiamo operato bene… se siamo organizzati». «Alla luce dei criteri di efficienza». «Si si proprio quelli». «Lei pensa dottore che magari…». «Dica, dica pure». «Che magari ci daranno una mano per la refezione scolastica? Dai 4 milioni di spesa una cosetta per noi… oppure… che so… se arrivassero tutti e 53… come si dice ora… un crowdfunding?» 29


Politica

Evaporazione di Fabio CHIAVOLINI

Da due giorni sto leggendo una litigata tra Compagni, su Facebook. Il litigio è uno delle migliaia, identici, che riempiono la Rete ogni giorno – ma lo spettacolo mi lascia sempre allibito. È palese come, ormai, l’odio tra le microcomponenti della Sinistra superi quello verso la destra. Il nemico è alle porte ma, per un nostro difetto, per molti porta uniformi di colore e forme simili alle nostre. Non è una novità: il morbo dello “scissionismo atomico” colpisce sempre la Sinistra, in tempi di destra imperante. Fu così nel ‘21-’25 in Italia, nella Guerra Civile di Spagna, ai tempi della vittoria democristiana del ‘48, all’affermazione di Berlusconi nel ‘94 così è ora. Ma, oggi, è più grave: avremmo gli strumenti per capire cosa accade. E reagiamo mordendoci a vicenda che “manco tra li cani”, as usual. Labour Italia è nata per unire: in noi convivono l’anima “lib-lab” che ancora abita parte del #PD, quella “socialdemocratica” di quella che fu #LeU e - maggioritaria quella “Socialista Democratica” più corbynian-sandersiana. Discutiamo – ma senza litigare mai. La forza di Labour Italia è proprio qui: lavoriamo ad una piattaforma ideologica comune, apportando ognuno un pezzettino e smussando gli angoli. Certo: ci aiutano sia la natura di Ente del Terzo Settore - incompatibile con la “forma-Partito” - sia la volontà di essere la “Fabian Society” del futuro Partito Laburista e non il Partito in sé, sia il non aver nessun “solito noto” da spingere. Se possiamo farlo noi - gli ultimi arrivati - possono farlo tutti. È comprensibile come, nel disastro politico e morale, parecchi cerchino di darsi una collocazione il più “pura” possibile, che potrà permettere di dire: “non fu colpa nostra”. Noi abbiamo ben chiaro che ciò non può essere sufficiente e - soprattutto che il nemico è un altro. Quindi, citando Faber, “verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. 30


Opinioni

INVIATECI I VOSTRI CONTRIBUTI! VERRANNO PUBBLICATI NELLA SEZIONE “OPINIONI”, LIBERAMENTE E SENZA ALCUN TIPO DI LIMITAZIONE DELLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

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