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Due italiani oltre ogni confine

Storia

Due italiani oltre ogni confine

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Questa è la storia di due italiani, Cosma Manera e Andrea Compatangelo, uno del Nord e uno del Sud, uno militare e uno civile, che si lanciarono in una serie di avventure di attraversamento di guerre e confini per salvare e riportare a casa altri italiani, abitanti di regioni, il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia, la Dalmazia, contese per tutto il secolo XX tra vari Stati e attraversate da confini sempre variabili, tanto che alcune persone, nate in quei luoghi all’inizio del 900, hanno cambiato cinque o sei volte nazionalità.

Nella parte finale della Grande Guerra, a partire dagli ultimi mesi del 1916, il Regno d’Italia decise di concedere la cittadinanza italiana ai sudditi dell’Impero Austroungarico di lingua e etnia italiane, trentini, friulani, giuliani, dalmati, che erano stati spediti a combattere in Galizia austriaca contro l’esercito russo e che erano stati presi prigionieri su quel fronte.

Furono presi accordi con l’alleato russo e fu distaccata una missione militare ufficiale italiana, al comando del colonnello dell’Esercito Ernesto Bassignano, per rintracciare gli ormai ex prigionieri e riportarli a casa. Della missione faceva parte il Maggiore dei Reali Carabinieri Cosma Manera, un personaggio particolare, già e- sperto di operazioni di pacificazione all’estero a Creta, in Macedonia, in Grecia e che parlava il francese, l’inglese, il tedesco, il russo, il greco, il turco, il serbo, il bulgaro. La conoscenza delle lingue e l’innata capacità di cavarsela in ogni frangente già lo avevano salvato in Macedonia dove era sfuggito alla morte per la com-

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prensione della lingua e perché il capotribù che lo teneva prigioniero aveva scoperto che si chiamavano entrambi Cosma.

La missione di cui faceva parte Cosma Manera arrivò a Pietrogrado via mare e poi si diresse verso la zona del Mar Bianco dove, nei pressi del porto di Arkangelsk, furono rintracciati i primi quattromila ex prigionieri dell’esercito austroungarico, trentini, friulani, giuliani e dalmati.

Per difficoltà logistiche intervenute nel frattempo, la missione militare italiana fu depauperata di uomini e mezzi e Cosma Manera si trovò quasi da solo e in difficoltà. Senza perdersi d’animo, abituato dall’esperienza e dalle risorse del suo carattere, fece in modo di noleggiare dall’esercito inglese una nave ex austriaca catturata e fece imbarcare i primi 1700 ex prigionieri.

Altri 2300 uomini non riuscirono a partire perché non c’era posto e successivamente arrivarono tardi all’appuntamento con un’altra nave.

La situazione divenne ancora più difficile perché intanto era scoppiata la Rivoluzione bolscevica d’ottobre e la guerra civile. Cosma Manera era rimasto solo a cavarsela nel caos e nel pericolo degli avvenimenti epocali che si svolgevano di giorno in giorno. Infatti, i rivoluzionari cercavano l’appoggio della Germania e dell’Austria per concludere in qualunque modo la Guerra mondiale e dedicarsi con il massimo dell’intensità alla lotta contro le armate controrivoluzionarie bianche.

Intanto, nel luglio precedente alla Rivoluzione aveva trovato nel campo di concentramento di Kirsanov altri 57 ufficiali e 2600 soldati di lingua italiana ex prigionieri appartenuti all’esercito austriaco.

La via di ritirata del gruppo verso Occidente era bloccata dalla presenza delle armate austro-tedesche sulla linea del fronte e quindi si poteva fuggire solo verso O-

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riente. Manera prese accordi con il capostazione del nodo ferroviario di Celiabinsk e riuscì a far agganciare a ogni treno in transito sulla ferrovia Transiberiana un carro merci con cinquanta dei suoi ex prigionieri. Attraverso tutta la Siberia, tra tempeste di neve, cibo scarso e continui pericoli, nel dicembre 1917 4000 soldati arrivarono a Celiabinsk, dove riuscirono a usufruire di aiuti inviati da benefattori trentini e il gruppo fu riorganizzato militarmente in 4 compagnie.

A Vladivostok, nell’estremo oriente russo, trovarono altri 1700 ex prigionieri dell’esercito austriaco di etnia e lingua italiana, stanchi e malati, che si erano rifiutati di giurare fedeltà al Regno d’Italia.

Dopo il fallimento di un altro tentativo di rimpatrio diretto via mare, nel marzo 1918 la spedizione raggiunse via treno in Cina la concessione italiana di Tientsin. Gli uomini furono sistemati in accampamenti in Manciuria e a Pechino.

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Manera organizzò così la cosiddetta Legione Redenta di Siberia. Redenta perché formata da quegli italiani ex sudditi dell’Impero Austroungarico, già definiti irredenti dai nazionalisti italiani, che ora redenti lo erano per davvero perché potevano avere la cittadinanza del Regno d’Italia, anche se a quel punto delle confuse vicende della Guerra mondiale e delle connesse guerre civili, non potevano sapere che situazione politica, militare e sociale avrebbero trovato nei territori di nascita, se e quando fossero riusciti a tornarvi.

Così fu fatta loro la proposta di continuare a combattere per l’Intesa, ma molti si ribellarono.

Comunque presto fu chiarito che si trattava di svolgere soltanto compiti di polizia militare dietro le linee dei combattimenti che si accendevano, quasi in un tutti contro tutti, nell’ambito della Guerra Civile russa tra rivoluzionari e controrivoluzionari russi e che impegnava insieme anche cinesi, giapponesi, siberiani, ex prigionieri cecoslovacchi, truppe dell’Intesa, tedeschi, austriaci etc.

Il 6 settembre 1918 la Legione Redenta fu consegnata da Manera al Corpo di spedizione italiano inviato in Estremo Oriente, nell’ambito del quale continuò per qualche tempo l’attività di polizia militare in Siberia dietro le linee delle armate controrivoluzionarie bianche.

L’odissea della Legione Redenta di Manera si avviò finalmente a conclusione a partire dal febbraio 1920, con l’imbarco definitivo a Vladivostok su tre navi messe a disposizione dagli Stati Uniti.

Dopo soste più o meno lunghe, attraverso l’Oceano Indiano, in Mar Rosso e in Egitto, giunsero in vista del porto di Trieste nell’aprile 1920.

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Qui furono sbarcati non solo senza festeggiamenti e onori, ma addirittura di notte, per non dare nell’occhio.

La situazione politica si era già ingarbugliata nelle loro terre di origine, con il tentativo insurrezionale di D’Annunzio a Fiume ancora in atto e con il dissidio in atto tra nazionalisti italiani e jugoslavi su quello che, per tutto il 900, doveva essere definito il tormentato confine orientale dell’Italia, che doveva ancora assistere a guerre, stragi, dissidi etc. Inoltre, con le forze socialiste rivoluzionarie anora infatuate della Rivoluzione russa e che volevano rifarla anche in Europa occidentale e in Italia, non era considerato salutare dare troppi onori a corpi di truppe italiane che avevano scambiato più di una schioppettata con i rivoluzionari rossi in Siberia.

Però Cosma Manera fu sempre considerato dai propri uomini il “Padre degli Irredenti”.

Una storia simile e, per certi versi, ancora più incredibile è quella di Andrea Compatangelo.

Costui era un commerciante italiano, originario di Benevento, che praticava il commercio nella città russa di Samara, ai piedi degli Urali.

Nell’estate del 1918, quando era in svolgimento la guerra civile tra rossi e bianchi e Manera aveva già portato i suoi in Estremo Oriente, Compatangelo prese a cuore e tentò di cambiare la sorte dei tanti prigionieri dell’ex esercito austriaco, di etnia e lingua italiana, presenti nei dintorni di Samara, sbandati, affamati, senza punti di riferimento ed esposti a tutti i pericoli che potevano correre in una terra straniera in preda all’anarchia e a lotte tanto feroci quanto confuse.

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Così Compatangelo, con intraprendenza e improntitudine, decise di conferirsi i gradi di Capitano del regio Esercito italiano e di fondare con gli ex prigionieri trentini, friulani, giuliani e dalmati un’improvvisata Brigata Savoia.

La Brigata, per aprirsi la strada verso il ritorno in Italia, partecipò alla guerra civile tra bianchi e rossi, combattendo con i bianchi, appoggiati dall’Intesa, a fianco di altri ex prigionieri di nazionalità cecoslovacca.

Ripiegando verso Oriente, unica via di fuga aperta, percorrendo migliaia di chilometri lungo la ferrovia Transiberiana con temperature polari, anche gli uomini di Compatangelo raggiunsero Vladivostok unendosi alla Missione militare italiana nell’Estremo Oriente.

Il loro rimpatrio fu ancora più avventuroso di quello degli uomini di Manera, in quanto fecero il giro del mondo, in nave nel Pacifico fino San Francisco, in ferrovia attraverso gli USA fino a New York e di qui in nave fino a Trieste, attraverso l’Atlantico e il Mediterraneo.

Anche a Compatangelo e ai suoi uomini non fu riconosciuto alcun merito, come a Manera e ai suoi, per la situazione estremamente complessa manifestatasi sul confine orientale dell’Italia e per non dare ulteriore spazio ai progetti rivoluzionari e ai rancori dei socialisti massimalisti italiani ed europei.

Fu un peccato, perché queste due storie romanzesche avrebbero meritato un miglior ricordo, anche se, di recente, su Compatangelo è uscito nel 2014, per i tipi Aracne, il libro di Andrea Mendoza “Andrea Compatangelo un Capitano dimenticato”.

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