Nicola Martinelli è assistente sociale e formatore. Membro della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Insegna nei percorsi formativi rivolti al personale di cura ed è docente di Etica e Metodologia del lavoro sociale e sanitario. Tiziana Mondin è assistente sociale, referente per la macroarea Triveneto della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative e membro del Consiglio Società Italiana Cure Palliative del Veneto (SICP). Maria Cristina Pomaro è assistente sociale, ha conseguito il diploma di mediatore sistemico presso il Centro padovano di terapia della famiglia ed è componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Monica Quanilli è assistente sociale, docente a contratto presso il corso di laurea in Servizio Sociale dell’Università di Verona e componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Silvia Rensi è assistente sociale, componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative e membro del gruppo Regione Veneto. Lavora presso un Centro Servizi residenziale dedicato agli anziani non autosufficienti di Verona. Maria Rosa Rizzi è assistente sociale e formatore, componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative, gruppo Regione Veneto, di cui ha fatto parte del Comitato di bioetica. Ha lavorato in hospice e nei servizi residenziali per non autosufficienti nel territorio veneziano. Anna Maria Russo è assistente sociale specialista presso il Dipartimento della fragilità dell’ASST Lecco, promotrice e referente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative.
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IL TERRITORIO COME LUOGO DI CURA
Le cure di fine vita non possono essere considerate come un’area specialistica di lavoro, avulsa dalle singole professioni coinvolte nel trattamento del fine vita. Molti operatori si trovano spesso a prestare supporto e assistenza a persone vicine alla morte, sia per malattia o per l’età avanzata, con una preparazione poco adeguata perché lontana dalle proprie competenze professionali. Se si trascurano gli aspetti sociali della malattia tutto il percorso di cura risulta inficiato. È fondamentale che tutti siano preparati a dare un contributo competente e positivo, inserendo all’interno dell’équipe di cura la dimensione sociale della malattia e della morte. Il termine medicina contiene al suo interno la radice “med-”, che rimanda alla capacità di trovare la giusta “mediazione” tra curing, attenzione alla malattia, e caring, attenzione al malato. È evidente che l’accompagnamento alla “morte” richiede competenze e conoscenze non solo clinico-sanitarie, ma anche sociali e relazionali. I contributi proposti dai membri della Rete Nazionale degli Assistenti Sociali Cure Palliative, nello specifico il Gruppo di Lavoro CROAS Veneto, approfondiscono le tematiche che rendono maggiormente qualificato l’intervento professionale degli assistenti sociali nelle Cure Palliative: Servizio Sociale; etica e politica; bioetica nella rete dei servizi; il senso del lavoro all’interno dell’hospice: dai principi normativi alla realtà professionale. Uno strumento utile per la formazione universitaria delle nuove generazioni di assistenti sociali e per la formazione continua delle diverse professionalità che lavorano nei setting di cura di fine vita presenti su tutto il territorio nazionale.
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IL TERRITORIO
COME LUOGO DI CURA PER IL FINE VITA
Il Servizio Sociale Professionale opera nell’interesse di individui, di gruppi, famiglie e comunità, per la prevenzione e il recupero di situazioni di bisogno, di disagio, di devianza. Esso agisce per lo sviluppo di reti di solidarietà e la promozione dei diritti di cittadinanza. Sia che presti il proprio servizio presso enti pubblici (Enti locali, ministeri, ASL), organismi privati (cooperative sociali, strutture socio-assistenziali, enti), ovvero nella libera professione (consulenza, mediazione, supervisione), per l’Assistente Sociale la formazione permanente è divenuta un requisito fondamentale. L’Ordine degli Assistenti Sociali di Puglia offre un contributo costante alla formazione dei suoi iscritti attraverso percorsi aperti anche a quanti operano a vario titolo nel sociale. Perché solo una riflessione allargata e inclusiva può generare il cambiamento necessario per contribuire a trasformare il disagio in benessere delle persone e delle comunità. Ordine Assistenti Sociali Regione Puglia Via Marcello Celentano, 16 70121 Bari www.croaspuglia.it
ISBN 978-88-6153-862-7
Euro 15,00 (I.i.)
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Indice Prefazione di Anna Maria Russo ............................................. 7 Introduzione di Tiziana Mondin ............................................ 9 Capitolo 1 – Servizio Sociale, religioni, spiritualità, bioetica: connessioni possibili? di Nicola Martinelli 1.1 L’accompagnamento spirituale ........................................ 17 1.2 La dimensione religiosa .................................................. 21 1.3 Un possibile paradigma antropologico nel lavoro di cura 23 1.4 Una prospettiva di sintesi ............................................... 27 Capitolo 2 – Il senso del lavoro dell’Assistente Sociale in hospice di Maria Rosa Rizzi 2.1 Dai principi normativi alla realtà professionale ............... 30 2.2 La dignità nell’accoglienza .............................................. 34 2.3 La dignità durante la degenza ......................................... 37 Capitolo 3 – Accogliere il paziente e la famiglia in hospice: pattern multi-parametrico per il colloquio di pre-ingresso di Silvia Rensi 3.1 Colloquio di pre-ingresso ............................................... 43 3.2 La parte sociale della Cartella Clinico-Assistenziale Multidisciplinare: ricerca e analisi di indicatori sociali .... 46 3.3 Setting di provenienza della domanda e del paziente (ospedale o domicilio) .................................................... 49 3.4 Conviventi e caregiver .................................................... 50 3.5 Tempo di attesa per ingresso e durata del ricovero .......... 51 3.6 Indicatori sociali ............................................................. 53 3.7 Grado di complessità per singolo caso ............................ 55 3.8 Conclusioni e proposte future ........................................ 59 Capitolo 4 – Bioetica nella rete dei servizi: i centri servizi per la non autosufficienza di Maria Cristina Pomaro 4.1 Progettazione territoriale integrata e questioni etiche nella non autosufficienza ................................................ 61 4.2 I centri servizi nella rete territoriale: continuità della progettazione ........................................ 64 4.3 I centri servizi: luoghi di vita .......................................... 66
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4.4 I centri servizi: uno sguardo urgente sulla pratica dei diritti .............................................................................. 67 4.5 Conclusioni .................................................................... 70 Capitolo 5 – Inguaribilità e territorio: un approccio etico di Monica Quanilli 5.1 Quale autodeterminazione nella non autosufficienza? ..... 75 5.2 Ma tu mi ascolti? ............................................................ 77 5.3 Progetti di vita e non autosufficienza .............................. 78 5.4 Il territorio tra complessità e opportunità ....................... 80 5.5 Territorio e ricomposizione delle istanze ......................... 82 5.6 Costruire alleanze nell’inguaribilità ................................. 84 5.7 Il Servizio Sociale nella sfida di un welfare 2.0 ................ 86 Conclusioni finali .................................................................. 91 Bibliografia ............................................................................ 95
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Prefazione di Anna Maria Russo1
La necessità di produrre riflessioni che arricchiscano la letteratura di Servizio Sociale e che concorrano alla definizione e alla declinazione delle competenze dell’Assistente Sociale nell’ambito delle Cure Palliative è considerata non solo tra gli obiettivi prioritari della Rete Nazionale Assistenti Sociali in Cure Palliative2, ma è anche ampiamente prevista nel Documento della Società Italiana Cure Palliative (SICP) “Core Curriculum dell’Assistente Sociale in Cure Palliative”3. A tal proposito negli ultimi dieci anni, i diversi gruppi di lavoro regionali che afferiscono alle Rete Nazionale hanno realizzato diversi contributi con l’intento di offrire un ulteriore approfondimento alla tematica del Servizio Sociale nei percorsi di Cure Palliative. Il testo Il territorio come luogo di cura per il fine vita, realizzato dal Gruppo di Lavoro Cure Palliative del Veneto, rappresenta una sintesi delle riflessioni presentate attorno alle tematiche di fine vita. Come è noto, negli ultimi anni stiamo assistendo a una evoluzione che sta investendo la società occidentale: i cambiamenti demografici, il progressivo invecchiamento della popolazione, i mutamenti degli scenari epidemiologici, l’aumento delle malattie cronico-degenerative, i cambiamenti culturali e sociali in relazione alla tematica della morte, infine la pandemia da covid-19 che da alcuni mesi si è abbattuta anche sul nostro Paese, sono fattori che hanno ulteriormente individuato nelle Cure Palliative le risposte più adeguate ai bisogni del morente e della sua famiglia. Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito le Cure Palliative come un approccio integrato in grado di migliorare la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie che debbono affrontare le problematiche determinate da malattie inguaribili.
È evidente che l’accompagnamento alla “morte” richiede competenze e conoscenze non solo clinico-sanitarie, ma anche sociali
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e relazionali. Nei diversi contributi che compongono la pubblicazione trovano spazio tematiche che rendono maggiormente qualificato l’intervento professionale degli Assistenti Sociali nelle Cure Palliative: Servizio Sociale, etica e politica; bioetica nella rete dei servizi; il senso del lavoro dell’Assistente Sociale in hospice: dai principi normativi alla realtà professionale. Infine la Rete Nazionale degli Assistenti Sociali Cure Palliative e nello specifico il Gruppo di Lavoro del Veneto, sosterranno con impegno la diffusione e l’utilizzo della presente pubblicazione sia nei percorsi di formazione universitaria degli Assistenti Sociali sia nei percorsi di formazione continua per i colleghi che lavorano nei diversi setting di cura nelle reti di Cure Palliative presenti su tutto il territorio nazionale.
Note 1. Anna Maria Russo è Assistente Sociale specialista presso il Dipartimento della fragilità dell’ASST Lecco, promotrice e referente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative; già coordinatrice della Commissione assistenti sociali della Società Italiana Cure Palliative (SICP); già membro del consiglio della SICP della Lombardia; co-autrice del Core Curriculum dell’Assistente Sociale in Cure Palliative e di diverse altre pubblicazioni della SICP. È stata docente a contratto all’Università Bicocca di Milano. 2. Progetto che si ispira al modello della “Progettazione partecipata”, promosso nell’aprile del 2009 e riconosciuto dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali (CNOAS). Per favorire la partecipazione degli Assistenti Sociali della Rete sono stati attivati dei Gruppi di Lavoro accreditati dagli Ordini Professionali di competenza territoriale. 3. Cfr.: www.sicp.it.
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Introduzione di Tiziana Mondin1
Tradizionalmente nel nostro Paese le cure di fine vita sono considerate come un’area specialistica di lavoro, un settore di nicchia al di là dello scopo primario della singola professione. In realtà le cure di fine vita sono molto di più di un settore specialistico. Esse comprendono tutti gli aspetti della vita di quelle persone che si approcciano alla fine della loro vita o per malattia o per l’età avanzata. Ciò significa che un ben più ampio numero di professionisti ne è coinvolto. Durante la vita lavorativa molti professionisti si trovano a un certo punto a prestare la loro opera nell’assistenza/supporto a persone vicine alla morte, anche se non sempre questo fa parte del ruolo principale del loro lavoro ed è importante che tutti siano preparati a dare un contributo competente e positivo. Ecco perché nel 2009 è nata la Rete Nazionale degli Assistenti Sociali dedicati alle équipe di Cure Palliative che da tempo ravvisavano la necessità di costituire a livello nazionale e regionale spazi di confronto professionale ed esperienziale. Presso gli Ordini degli Assistenti Sociali, da più di un decennio oramai, è presente la Rete Nazionale con gruppi che operano in molteplici sedi regionali, i cui componenti sono stati fin dall’inizio i colleghi che operano negli hospice e dei Nuclei Cure Palliative territoriali qualora esistenti. Dal 2016 il Gruppo Veneto Cure Palliative ha integrato nei lavori i colleghi che si occupano di non autosufficienza e di decadimento cognitivo nel territorio e nelle strutture; il gruppo rimane tutt’ora aperto e si arricchisce dei professionisti che desiderano collaborare e portare il proprio contributo per l’approfondimento della tematica. È nata così un’occasione di riflessione e approfondimento che, partendo dal vasto bagaglio metodologico e dall’esperienza dei colleghi impegnati nelle Cure Palliative, ha creato connessioni con il modello di presa in carico multidimensionale bio-psico-sociale delle reti territoriali nelle situazioni di non autosufficienza, cronicità e decadimento cognitivo. È il lavoro e il costante impegno di questo gruppo
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che si è via via rappresentato e concretizzato nei seguenti eventi di formazione continua: • convegno del 16 marzo 2017: “Assistenti Sociali nella non autosufficienza. Percorsi assistenziali nelle cure di fine vita” tenutosi a Treviso; • convegno del 15 maggio 2017: “Assistenti Sociali nelle Cure Palliative: nuovi modelli e il Codice Deontologico” tenutosi a Vicenza; • convegno del 17 maggio 2019: “Intervento Sociale, bioetica, cura del fine vita” svoltosi presso l’Università di Verona. Il gruppo del Veneto a oggi si è focalizzato prevalentemente sulle Cure Palliative per adulti in quanto le reti di Cure Palliative a essi dedicate sono maggiormente presenti sul territorio regionale. Le Cure Palliative pediatriche, pur oggetto di intervento, sono al di là dello scopo di questo documento, semplicemente perché esse richiederebbero ulteriori conoscenze e competenze, requisiti e valutazioni specifici. Mi addentro nel testo citando il primo intervento del collega Nicola Martinelli Servizio Sociale, religioni, spiritualità, bioetica: connessioni possibili? Delle questioni bioetiche e dei temi eticamente sensibili quali eutanasia, suicidio assistito, DAT, Cure Palliative, accanimento terapeutico… oltre a occuparsene la medicina, la bioetica, il diritto, la sociologia, la filosofia, la politica, l’etica, l’antropologia, se ne occupa anche la religione, anzi le religioni e la teologia. Ma il tema della morte va affrontato uscendo dallo scontro ideologico ed entrando nella dimensione interiore delle persone che si avvicinano alla fase ultima della vita. I mass media si occupano di queste questioni solo quando fanno notizia, riducendole a una sterile polemica tra credenti e laici, partito della vita, partito della morte con un dibattito a volte acceso e spesso aspro con i due schieramenti della difesa della vita a tutti i costi oppure con la salvaguardia della dignità umana e diritto all’autodeterminazione. Anche il Core Curriculum degli Assistenti Sociali che operano in Cure Palliative, redatto dalla Commissione Sociale SICP, mette in guardia dall’imporre agli assistiti la propria gerarchia di principi etici, valoriali, religiosi e spirituali.
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Proseguendo con i diversi contributi dei colleghi centrati sulla bioetica applicata ai servizi sociali residenziali e domiciliari troviamo le riflessioni di Maria Rosa Rizzi con Il senso del lavoro dell’Assistente Sociale in hospice. Nel primo Paragrafo “Dai prin-
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cipi normativi alla realtà professionale” Rizzi parte dalla legge 38/2010 con il diritto delle persone ad accedere alle Cure Palliative che sono inserite nei LEA, Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18/03/2017, fino ai punti n. 23 “Cure palliative domiciliari” e n. 31 “Assistenza sociosanitaria residenziale alle persone nella fase terminale della vita”. Non nego che nei primi tempi di lavoro nell’hospice mi sono chiesta spesso: io che ci faccio qui? Io mi occupo di futuro. E avvicinarmi al grande tema del morire non è stato semplice. Piano piano aiutata dai colleghi dell’équipe ho capito che noi ci occupiamo di vita, di un tratto finale di vita, di qualità di vita per il tempo che rimane.
Il Servizio Sociale gode di una lunga storia nell’ambito delle persone sofferenti eppure nonostante ciò ci si è focalizzati nel rappresentarlo su relazioni aneddotiche, basate più su osservazioni casuali che di rigore scientifico e di questo ne risente anche la definizione del ruolo e le sue funzioni. A confutazione di ciò la collega Silvia Rensi si è focalizzata in una ricerca basata sullo studio di indicatori sociali in hospice, creati analizzando i dati raccolti durante i colloqui di pre-ingresso ed elaborati con rigore statistico. Grazie allo studio di tutte le possibili combinazioni e modalità di interrelazione degli indicatori analizzati si è giunti a formulare alcune ipotesi volte a spiegare, motivare la scelta del ricorso all’ambiente protetto piuttosto che alla prosecuzione di cure domiciliari. La sfida per il futuro è basata sul proseguo della raccolta di ulteriori dati necessari per poter verificare i risultati emersi e la correlazione degli indicatori a livello nazionale con il supporto dei colleghi della Rete Nazionale. Monica Quanilli affronta invece il tema Inguaribilità e territorio: un approccio etico. Tema alquanto attuale dopo l’esplosione dell’epidemia da sars-cov2, durante la quale è ritornata in primo piano l’esigenza di presidiare il territorio. Un “controllo” senza il quale si vanificano tutti gli altri sforzi dei professionisti di garantire cure efficienti ed efficaci. Ma è soprattutto la tempestività degli interventi che deve essere privilegiata, perché le persone trovino con immediatezza risposte ai loro bisogni, nello specifico in contesti di grave non autosufficienza o di long term care. Ciò che la società chiede al sistema dei servizi è la capacità di strutturare sistemi
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plurali e flessibili, dei quali anche le strutture sanitarie o socioassistenziali possano essere considerate effettivamente una parte. In tutto questo prende forma l’impellenza di pensare a un ruolo di regia professionale, nella quale il Servizio Sociale troverebbe una sua collocazione connaturata per la capacità di fare sintesi tra il care e il cure, tra il formale e l’informale, con percorsi progettuali fondati sul principio di sussidiarietà ma, soprattutto, eticamente fondati a sostegno dell’autodeterminazione di ogni individuo.
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Maria Cristina Pomaro opera da lungo tempo presso il Centro Servizi Casa Madre Teresa di Calcutta – OPSA di Padova e da questo osservatorio privilegiato si è approcciata con l’esigenza di considerare la tematica del fine vita per le persone inserite nei centri servizi, sia diurni che residenziali, per non autosufficienti, considerati come luoghi di vita e nodi territoriali della più estesa rete dei servizi. La prospettiva considerata vede il transito dal territorio ai centri servizi sostenuto da necessari progetti multidimensionali di continuità, capaci di garantire percorsi di presa in carico dei bisogni che mantengano elevata l’attenzione ai principi bioetici e in grado di custodire e favorire le relazioni della persona e della famiglia nella condivisione delle scelte e delle cure, fino al fine vita e oltre. È necessario scrivere e parlare della vita nei centri servizi per contrastare la tendenza a rendere “invisibili” le persone non autosufficienti o con malattie inguaribili, restituendo la medesima visibilità ai tanti professionisti che si impegnano quotidianamente per dare un’assistenza inclusiva e competente, migliorando la qualità dei servizi. Il contributo è stato scritto prima della pandemia in corso: siamo certi che i nuovi scenari impongano ulteriori riflessioni e sviluppi a partire anche dalle conclusioni proposte, pur consapevoli che le attuali organizzazioni sono frutto della risposta a un momento emergenziale. Il Servizio Sociale ha dovuto pesantemente abdicare al suo ruolo di costruzione di relazioni, di accompagnamento nei percorsi, anche del fine vita, e di sostegno delle scelte libere e consapevoli delle persone. Ha dovuto accogliere e dare un senso soprattutto al profondo dolore che il distanziamento fisico ha portato con sé. Il ritorno a ciò che era il “prima” sarà possibile? Questo interrogativo pervade la coscienza di ognuno, ma per i professionisti il vero interrogativo è come poter creare nuovi modelli organizzativi, efficaci ed efficienti che, a partire da quel “prima” riescano a
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rivendicare per i centri servizi un ruolo pieno e riconosciuto nella rete dei servizi, per un agire integrato ed eticamente orientato. Il testo rispecchia il lavoro intrapreso per sviluppare conoscenze, competenze e principi specifici relativi alle cure di fine vita. In futuro una formazione dedicata potrebbe aiutare ad anticipare le difficoltà del “lavorare in Cure Palliative”. L’acquisizione di appropriati saperi, capacità e competenze, entro i propri limiti professionali, permetterà di accrescere il profilo professionale in un campo prevalentemente inserito nell’ambito sanitario.
Note 1. Tiziana Mondin è Assistente Sociale, referente per la macroarea Triveneto della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative e membro del Consiglio Società Italiana Cure Palliative del Veneto (SICP). Ha operato in servizi per non autosufficienti e hospice territoriali; già membro della Commissione assistenti sociali SICP; co-autrice del Core Curriculum dell’Assistente Sociale in Cure Palliative e di diverse altre pubblicazioni della SICP. Ha collaborato con le università di Verona, Trento e Padova in seminari in Cure Palliative per gli assistenti sociali in formazione.
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1. Servizio Sociale, religioni, spiritualità, bioetica: connessioni possibili? di Nicola Martinelli1
Delle questioni bioetiche e dei temi eticamente sensibili (eutanasia, suicidio assistito, DAT, Cure Palliative, accanimento terapeutico…) oltre ad occuparsene la medicina, la bioetica, il diritto, la sociologia, la filosofia, la politica, l’etica, l’antropologia, se ne occupa anche la religione, anzi le religioni e la teologia. Il tema della morte va affrontato uscendo dallo scontro ideologico ed entrando nella dimensione profonda delle persone che si avvicinano alla fase ultima della vita. Ci chiediamo: quali sono i bisogni di colui che si appresta a varcare le frontiere della vita? L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla della salute non come assenza di malattia ma come stato di totale benessere: mentale, emotivo, sociale, spirituale. Garantire il maggior benessere possibile a una persona che si appresta a varcare le frontiere della vita significa allora guardare alla persona da una prospettiva olistica e con un approccio multidisciplinare. I mass media, di solito, si occupano di tali questioni solo quando fanno notizia, quando toccano corde emotive profonde – come è avvenuto per il caso di Fabiano Antoniani, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Eluana Englaro, Paolo Ravasin – e anche in questi casi, sul piano etico-religioso, dando spazio prevalentemente solo alla voce di alcune confessioni religiose, trascurando il punto di vista delle altre che hanno un originalissimo e poco conosciuto pensiero al riguardo, riducendo a una sterile polemica tra credenti e laici, partito della vita, partito della morte, quello che dovrebbe essere, con vantaggio di tutti, un serio e rispettoso
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confronto fra concezioni ed esperienze diverse, tutte legittime, della realtà umana. Purtroppo il dibattito, a volte acceso e spesso aspro, vede schierati da una parte il vessillo della difesa della vita, prospettata come bene assoluto, da difendere costi quel che costi, per se stessa, sempre e comunque inviolabile. Dall’altra il motivo della salvaguardia della dignità umana intesa come diritto all’autodeterminazione dell’individuo che si sostanzia nel rifiuto di ogni accanimento terapeutico. L’accento è posto sulla qualità effettiva dell’esistere, misurata e valutata giorno per giorno. I sostenitori della sacralità della vita, della sua inviolabilità ritengono che la vita sia un dono di Dio e che nessuna autorità umana può avocare a sé il potere di sopprimerla, consapevolmente e volontariamente, neppure se sia il titolare a farne richiesta. L’altro fonte ribatte che simili posizioni possono valere per chi condivide queste premesse ideali, non per tutti i cittadini. Uno stato laico e liberale non dovrebbe patteggiare per nessuna posizione di parte, anzi, dovrebbe garantire la convivenza e la possibilità di espressione delle differenti concezioni. Il leitmotiv trasversale a entrambe le posizioni, almeno nelle dichiarazioni di principio, è il rifiuto di ogni forma di accanimento terapeutico e della salvaguardia della dignità umana. Le religioni hanno prospettive peculiari a questi temi; anche in nome dello stesso Dio e nel segno di una salda fede religiosa, ci sono prospettive molto diverse alle tematiche di fine vita. Rimane valido il presupposto che se contraddittorio e scandaloso è imporre ad altri la propria “felicità di credere”, altrettanto deplorevole è mortificare il sentimento della fede in chi crede2.
Ci viene incontro la visione umanistica del Servizio Sociale che coniuga in modo formidabile la tradizione liberal-democratica con quella cristiana. Questa sintesi ruota attorno ai principi quali: • l’individualizzazione e l’accettazione della persona unica e irripetibile; • la fiducia nelle capacità e potenzialità dell’essere umano; • il rispetto dell’autodeterminazione e del segreto professionale3.
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Riconoscere l’unicità di un soggetto, accoglierne le caratteristiche personali ed esistenziali, nutrire fiducia nelle capacità di scelta e di gestione di sé, significa riconoscere a un soggetto la capacità di
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scegliere qual è il meglio per lui in una fase della vita senza ritorno, e valorizzarne la propria soggettività. Credo che il diritto di decidere della propria vita faccia parte del corpus fondamentale dei diritti individuali: il diritto di formarsi o non formarsi una famiglia, il diritto alla salute, il diritto a una giustizia equa, il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla procreazione responsabile, il diritto all’esercizio del voto, il diritto di scegliere il proprio domicilio. L’autonomia rappresenta un elemento necessario, deve connettersi però agli altri principi etici fondamentali, ossia: • la beneficenza: occorre dare risposta alla richiesta di eutanasia e di suicidio assistito di coloro che soffrono in maniera intollerabile; • la non maleficenza: è necessario evitare abusi sociali nell’accesso ai programmi; • l’equità: la morte priva di sofferenza non dovrebbe essere privilegio di chi possiede maggiori risorse. Tenteremo di mettere in relazione Servizio Sociale, religioni, spiritualità, bioetica, con alcune precisazioni da tradurre nell’operatività spesso perturbata dei servizi nei quali gli Assistenti Sociali e tutti i professionisti dell’aiuto sono impegnati.
L’accompagnamento spirituale La dimensione spirituale è una dimensione profonda, costitutiva dell’essere umano che può esistere dentro o fuori le religioni. Spirituale è anche religioso. La spiritualità può essere definita come uno spazio interiore libero, in cui ogni individuo si interroga sul senso della sua vita, del suo stare al mondo. La domanda di senso permane durante tutta la vita, ma si accentua nei momenti di crisi, specialmente nell’ultima tappa della vita. Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 1995 – “Questioni bioetiche relative alla fine della vita” – sostiene che l’accompagnamento spirituale del morente può essere descritto come un processo interpersonale in cui vi è un impegno nell’aiutare una persona a concludere il suo ciclo vitale in modo costruttivo, cercando di mantenere nel più alto grado possibile il
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livello di comunicazione, di ascolto, di accoglienza, nella consapevolezza lucida dei dati socioculturali e dei valori in cui questo processo si colloca. Questa affermazione del Comitato Nazionale di Bioetica ci aiuta a comprendere che il rispetto profondo dei valori e della cultura della persona che sta per morire comporta la capacità di accompagnarla dando spazio, forza e continuità ai significati della vita che quella persona ha maturato nel corso della sua esistenza. L’accompagnamento spirituale del morente comporta quindi la capacità di valorizzare il significato che egli può dare al suo passato, al suo presente e al suo futuro; questa funzione la si può svolgere a partire dal ruolo professionale esercitato, nel rispetto delle proprie competenze e nel rispetto dei valori della persona e della sua capacità di autodeterminazione. Il codice deontologico dell’Assistente Sociale pone tra i principi della professione l’autodeterminazione delle persone; così recita l’articolo 26: “L’Assistente Sociale riconosce la persona come soggetto capace di autodeterminarsi e di agire attivamente”. Il principio dell’autodeterminazione consiste nel riconoscere e valorizzare il diritto di ogni persona ad assumere un ruolo centrale nelle decisioni che riguardano la propria vita, quindi non può non essere preso in considerazione nella cura delle fasi avanzate e terminali delle patologie cronico-degenerative che richiede l’adozione di scelte da parte di tutti gli attori del percorso di cura (artt. 13; 32 della Costituzione; legge 833/78; Convenzione di Oviedo). Il Core Curriculum degli Assistenti Sociali che operano in Cure Palliative e contesti lavorativi di fine vita mette in guardia dall’imporre agli assistiti la propria gerarchia di principi etici, valoriali, religiosi e spirituali. In questo senso la dimensione spirituale è una dimensione laica. La Società Europea di Cure Palliative (EAPC) e la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) hanno posto nel Core Curriculum degli operatori in Cure Palliative la necessità di acquisire una competenza spirituale. Lo stesso Core Curriculum invita ad assimilare gli elementi di una spiritualità laica. La dimensione spirituale esprime le relazioni dell’uomo rispetto ai valori ultimi e alle domande sul senso della vita. I bisogni spirituali/esistenziali delle persone alla fine della vita esistono e sono testimoniati dalle molte domande di senso che la malattia e la morte portano con sé in tutti gli uomini. Fondamentale è la riflessione su di sé, l’ascolto della propria
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interiorità spirituale. Lo sviluppo di tali attitudini migliora il clima in équipe, la relazione col malato e riduce i rischi di burnout nella cura. È dimostrato che prendersi cura di sé aiuta a mantenere una più alta abilità nella cura, nell’affrontare lo stress e riduce il rischio di burnout, sostiene il professionista dell’aiuto nel consolidare l’abilità nell’essere presente alla sofferenza dell’altro senza esserne travolti. L’uomo è di per sé un essere spirituale. Le operazioni del pensiero, della volontà sono di natura spirituale. Vecchiato trattando del rapporto tra spirituale e professionale sostiene che la dimensione spirituale è una dimensione umana4. Il connubio professionale-spirituale non è semplice, l’incontro è difficile e complesso. È indubbio che la dimensione spirituale caratterizzi la vita umana e l’esperienza di ogni persona. Per impostare in modo adeguato questa tematica, risulta molto pertinente la distinzione proposta da Brusco tra “spirituale” e “religioso”. Mentre la dimensione spirituale dell’uomo esprime le sue relazioni ai valori ultimi e le conseguenti risposte alle domande sul senso della vita, la dimensione religiosa indica il configurarsi delle prime secondo forme tipiche (credenze, principi, comportamenti, ecc.) di una determinata religione5.
La distinzione fa capire che, anche se non sempre il paziente chiede un’assistenza religiosa confessionale, sempre il paziente terminale manifesta un bisogno di carattere spirituale che deve essere accolto. Non si tratta allora di travasare una religione, ma di aiutare il paziente ad attingere alla propria spiritualità. Curare i morenti – afferma Jomain – significa sapere che un certo numero di essi sente la necessità di trovare al di là di se stessi una sorgente a cui dissetarsi6.
Le domande più comuni del morente in alcuni casi riguardano l’aldilà, le ragioni della propria sofferenza, gli scopi della vita, la possibilità del perdono. Sebbene siano domande che non pretendono da chi assiste il paziente una risposta di contenuto, tuttavia la presenza di chi assiste è molto importante perché, a quanto sembra, il travaglio spirituale bisogna di un testimone. L’esperienza dimostra che, quando un reale rapporto favorisce l’espri-
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mersi del paziente, l’angoscia diventa meno grave da sopportare e questa presenza permette a molti di crescere e di raggiungere una reale accettazione. Così capita che la fase terminale diventi in molti casi un momento di reale crescita. Certi si riconciliano con i propri familiari dopo anni di disaccordo e di separazione; altri prendono congedo da quelli che amano nel dolore e nelle lacrime, ma non senza una certa gioia di essere circondati da persone care e giungere – forse per la prima volta – a comunicare in modo profondo. Altri superano il senso di sconfitta e di colpa e scoprono che la loro vita passata aveva un senso che fino ad allora non avevano percepito; altri attuano un vero cammino spirituale7.
Da tutto questo la conclusione che se ne può trarre è l’esigenza di valorizzare la fase terminale. La spiritualità diventa quindi un’energia potente: • • • •
facilita i percorsi di cura; attiva la persona; alimenta la speranza; contrasta la tentazione della rassegnazione e della depressione, dell’incapacità di reagire a situazioni difficili, di sofferenza e di non senso; • supporta i familiari a integrare la persona cara defunta come parte di loro stessi, facendola rinascere nella loro nuova vita.
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Soprattutto nell’età anziana aumentano i rischi di malattia, cronicità, disabilità. La persona, quindi, trovandosi in una situazione di dipendenza, esprime più facilmente che in altre fasi della vita questa domanda, chiedendo che i bisogni spirituali vengano ascoltati e abbiano dignità di considerazione, non solo sul piano etico ma anche su quello della relazione d’aiuto. Il problema quindi non può essere delegato unicamente ai ministri del culto, ma è necessario assumerlo in quanto tale, anche all’interno delle scelte e delle responsabilità proprie delle professioni d’aiuto e di cura. Anche i paradigmi scientifici sono passati dalla centratura sull’oggetto (malattia) alla centratura sulla persona, portatore di istanze, bisogni, potenzialità anche di natura spirituale. La spiritualità, grande risorsa di senso ed energia della persona, è poco studiata e poco valorizzata nei percorsi di cura. Il fatto che questo campo di conoscenza e azione sia omesso, censurato e delegato ad
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altri (ministri del culto, stregoni e altri facenti funzioni di curanti dello spirito), non significa che non sia parte costitutiva della persona. Anzi evidenza il mancato sviluppo della ricerca scientifica e professionale, finalizzato all’esplorazione di queste dimensioni e di quanto possono contribuire all’aiuto e alla cura. In questo senso quindi la dimensione spirituale non è un valore aggiunto, un complemento ma un fattore costitutivo dell’azione umana e della relazione d’aiuto in primis8. Ogni accadimento della vita, la malattia in particolare o ancor più l’avvicinarsi della morte modificano l’esperienza di senso, interrogano sui propri valori e fondamenti. La presenza della malattia grave o mortale mette tutti, pazienti e curanti, nella stessa barca, a contatto con la finitezza della vita umana, con quel limite con il quale è inevitabile confrontarsi prima o poi. Dunque la malattia non è un’esperienza puramente biologica così come la morte non è un evento medico. A qualsiasi operatore potrà essere chiesto “cosa accadrà di me adesso che sto per morire?”.
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2. Il senso del lavoro dell’Assistente Sociale in hospice di Maria Rosa Rizzi1
Il lavoro dell’Assistente Sociale nel mondo sanitario è sempre stato caratterizzato da una ricerca continua di senso, di confini, di fronte alla dominanza sanitaria, alla sua scientificità e dimostrabilità. A distanza di più di quarant’anni dalla legge n. 833/78 di riforma sanitaria, che introduce il principio di salute come presa in carico globale della persona, ancora è difficile realizzare pienamente nei servizi sanitari e socio-sanitari questo concetto di visione integrata. La legge 38 del 15 marzo 2010 ribadisce con forza che nella fase finale di vita l’intervento di aiuto alla persona non può essere solo di carattere sanitario, ma rimarca con determinazione il concetto di qualità di vita, fatto di presa incarico sanitaria, psicologica, sociale, relazionale, quindi globale e integrata, concetti espressi in molte normative a partire dalle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli sforzi per concretizzare questi principi sono costanti e preziosi e a questo riguardo un ringraziamento va all’importante contributo della Rete Nazionale Assistenti Sociali in Cure Palliative per il lavoro di realizzazione del Core Curriculum e del documento “Suggerimenti operativi per Assistenti Sociali nelle Cure Palliative”. Tuttavia a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della legge 38/2010, non c’è ancora la sua piena attuazione: non tutti i servizi della Rete di Cure Palliative hanno all’interno dell’équipe psicologo e Assistente Sociale, e spesso troviamo solo infermieri e medici; ancora oggi il lavoro di presa in carico globale della persona viene parcellizzata, frammentata senza che ci sia la piena realizzazione ad esempio dei percorsi integrati di cura.
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Lavorare in un hospice quindi ha impattato necessariamente nella ricerca di senso, del ruolo, delle funzioni, della mia professione non solo nel mondo sanitario, ma del significato del mio lavoro nel fine vita. Ho sentito, non molto tempo fa, un medico palliativista che diceva “cosa me ne faccio di una Assistente Sociale in hospice, l’invalidità civile la faccio io e l’amministratore di sostegno non c’è il tempo per farlo…”. Ne deriva che la professione dell’Assistente Sociale è spesso poco conosciuta e compresa nelle sue potenzialità da parte degli altri professionisti dell’aiuto.
2.1
I principi normativi e la realtà professionale Nel riflettere sulle funzioni dell’Assistente Sociale ho considerato alcuni punti di analisi. La prima riflessione su cui mi soffermo è il termine diritto: viviamo in uno stato di diritto e le persone hanno dei diritti. Le Cure Palliative sono state inserite nei LEA nel 2001. La legge n. 38 del 15 marzo 2010 all’art. 1 recita: “La presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle Cure Palliative”. L’Oms nel 1990 definisce che “l’obiettivo delle Cure Palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per il paziente e per la famiglia”. Credo che il nostro compito fondamentale come Assistenti Sociali sia di trasformare, declinare i diritti in possibilità concrete per le persone. Nelle nostre quotidiane attività dobbiamo avere l’obiettivo di accorciare il gap di distanza tra i diritti delle persone e la realtà concreta fatta di disponibilità di risorse, purtroppo sempre più ridotte. Quindi avere chiaro che il cittadino, la persona, ha un diritto ci aiuta a condurre le nostre azioni, le nostre comunicazioni con le persone in situazione di bisogno: è un loro diritto, io sono un professionista che svolge una funzione di tramite, di accompagnamento verso l’acquisizione di un diritto. Tutto ciò è ben individuato nel nostro Codice Deontologico al Titolo V, art. 41: L’Assistente Sociale favorisce l’accesso alle risorse, concorre al loro uso
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responsabile e contribuisce a ridurre lo svantaggio legato alla loro scarsa
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o mancata conoscenza. Parimenti favorisce la corretta e diffusa informazione sui servizi e sulle prestazioni erogate dal sistema in cui opera e, più in generale, dal sistema di welfare locale, regionale e nazionale, comunque articolato.
Le funzioni e le azioni che concretizzano il diritto dei cittadini ad accedere e a utilizzare il servizio di un hospice passano attraverso alcuni interventi dell’Assistente Sociale, quali: • fornire informazioni e aiutare le persone nell’accesso ai servizi, quello che noi chiamiamo il segretariato sociale. Il termine “segretariato” potrebbe richiamare una idea di banale informazione su moduli e servizi, ma in realtà è già una lettura del bisogno, e la modalità con cui si attua questo primo intervento può già essere un sostegno per aiutare le persone a scegliere. A distanza di dieci anni dall’emanazione della legge 38/2010 ci sono ancora medici di medicina generale che non hanno i moduli per la richiesta di hospice, ancora le persone non sanno che esistono le Cure Palliative, ancora si pensa che le Cure Palliative siano basate sull’uso di farmaci placebo. Pertanto questo diritto alla conoscenza e all’utilizzo del servizio si concretizza nel ricevere familiari e persone che chiedono informazioni, nel ricevere richieste di informazioni sul servizio da colleghi, da altri medici, e questo lavoro contemporaneamente favorisce una cultura e conoscenza delle Cure Palliative; • accompagnare il paziente e la famiglia a una conoscenza del servizio in modo che la scelta di questo loro diritto, sempre estremamente difficile e complessa, sia più consapevole possibile. Ciò si traduce in colloqui con le persone, familiari, amici dei pazienti prima di un eventuale accoglienza in hospice, che con apprensione, timori, preoccupazioni, paure chiedono spiegazioni: “Ma è eutanasia? Ma lo farete morire senza curarlo? Ma i medici ci informeranno? Ma soffrirà? Ma dobbiamo pagare la retta? Ma gli direte che sta morendo?” sono solo alcune delle domande più frequenti; • costruire con l’équipe e con la famiglia, a volte con il paziente stesso, il progetto “socio-assistenziale”, per il tempo che rimane, e nel dopo, con la famiglia se chiede un sostegno. Questo intervento si concretizza nel collegamento con la rete dei servizi territoriali, con informazioni alla famiglia su aiuti economici, domiciliari, servizi per figli minori, per sostegno
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personale, il “dopo di noi”, i servizi di volontariato e l’associazionismo, ecc.; • costruire con l’équipe e la famiglia progetti alternativi al ricovero se l’hospice non è più il ricovero adatto (rientro al domicilio, servizi domiciliari, rete Cure Palliative, collegamento con i servizi del territorio per la co-costruzione del progetto, ecc.); • promuovere una cultura delle Cure Palliative, in qualsiasi occasione e momento, attraverso un linguaggio appropriato e una divulgazione sul concetto di care globale, insito nell’accompagnamento al fine vita. Questo tipo di operatività – e possiamo metterci dentro molto altro del nostro lavoro – è rendere possibile il diritto alla persona di utilizzare i servizi. Non nego che nei primi tempi di lavoro nell’hospice mi sono chiesta spesso “io che ci faccio qui? Io mi occupo di futuro” e avvicinarmi al grande tema del morire non è stato semplice, ma gradualmente ho sentito la profondità del messaggio, del valore delle Cure Palliative: noi ci occupiamo di vita, di un tratto finale di vita, e ci occupiamo di qualità di vita, valore professionale che rientra pienamente nella professionalità di un Assistente Sociale. E la qualità di vita è solo la traduzione un po’ più concreta del fondamentale principio etico della dignità umana. Introduco il secondo punto di analisi citando una frase che ho ascoltato a un convegno lo scorso anno da Ines Testoni che ho fatto mia: “L’intervento di Assistente Sociale e psicologo nelle Cure Palliative declina la dignità del fine vita”. La riflessione che svolgerò riguarda la qualità di vita e la dignità come diritto di legge. La qualità di vita è dignità; è un diritto del cittadino che nei servizi sia garantita una buona qualità di vita attraverso il rispetto della dignità della persona e della sua famiglia. La legge n. 38/2010 all’art. 1, comma 2 recita: È tutelato e garantito l’accesso alle Cure Palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza […] al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze. 32
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Il termine dignità, che considero come uno dei fondamentali va-
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lori umani, rischia di essere un concetto e un termine vago, che rimane sullo sfondo, rischia di essere un riferimento astratto, generico, impersonale: non è misurabile, è di interpretazione molto soggettiva ed è molto difficile concretizzarlo in un settore come quello della salute, che si sta orientando sempre più a tecnicismi e misurazioni oggettive. Luhmann afferma che la dignità non è una condizione originaria dell’essere umano, ma è un concetto che si forma nelle relazioni sociali ed è un processo dinamico che si modifica in continuo2. Pertanto la dignità si concretizza nelle relazioni. Sebbene noi esseri umani non sappiamo definire bene la dignità, abbiamo però una buona capacità di sentire la mancanza di dignità, che nella vita quotidiana viene immediatamente percepita da chi se ne sente privato3. Ho analizzato, con estrema soddisfazione e allo stesso tempo con amarezza, come il termine dignità sia indicato, e reso un valore obbligatorio da rispettare, in moltissime normative: • Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (New York 1948); • Costituzione italiana (1948); • Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000, Lisbona 2007); • Convenzione del Consiglio d’Europa (Oviedo 1997) ratificata dallo Stato italiano con la legge n. 145/2001; • legge n. 833/1978 di riforma sanitaria; • legge n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”; • legge n. 38/2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle Cure Palliative e alla terapia del dolore”; • legge n. 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento; • World Health Organization (1990; 2002; 2014); • codici deontologici di medici, Assistenti Sociali, psicologi, infermieri; • i Piani socio-sanitari nazionali; • i Piani socio-sanitari Regione Veneto. Tutte le normative elencate declamano il valore della dignità, che si deve tradurre nel prendersi cura della persona nella sua “globalità”, altrimenti non è cura, non è salute. Sebbene sia evidente
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che le norme prescrivano come tutte le professioni di aiuto siano obbligate a garantire dignità, come professionisti non possiamo esimerci dal farlo, tuttavia quotidianamente ci troviamo di fronte a situazioni in cui tale principio fondamentale dell’essere umano è violato o quantomeno sottovalutato.
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Nicola Martinelli è assistente sociale e formatore. Membro della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Insegna nei percorsi formativi rivolti al personale di cura ed è docente di Etica e Metodologia del lavoro sociale e sanitario. Tiziana Mondin è assistente sociale, referente per la macroarea Triveneto della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative e membro del Consiglio Società Italiana Cure Palliative del Veneto (SICP). Maria Cristina Pomaro è assistente sociale, ha conseguito il diploma di mediatore sistemico presso il Centro padovano di terapia della famiglia ed è componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Monica Quanilli è assistente sociale, docente a contratto presso il corso di laurea in Servizio Sociale dell’Università di Verona e componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative. Silvia Rensi è assistente sociale, componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative e membro del gruppo Regione Veneto. Lavora presso un Centro Servizi residenziale dedicato agli anziani non autosufficienti di Verona. Maria Rosa Rizzi è assistente sociale e formatore, componente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative, gruppo Regione Veneto, di cui ha fatto parte del Comitato di bioetica. Ha lavorato in hospice e nei servizi residenziali per non autosufficienti nel territorio veneziano. Anna Maria Russo è assistente sociale specialista presso il Dipartimento della fragilità dell’ASST Lecco, promotrice e referente della Rete nazionale assistenti sociali in Cure Palliative.
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IL TERRITORIO COME LUOGO DI CURA
Le cure di fine vita non possono essere considerate come un’area specialistica di lavoro, avulsa dalle singole professioni coinvolte nel trattamento del fine vita. Molti operatori si trovano spesso a prestare supporto e assistenza a persone vicine alla morte, sia per malattia o per l’età avanzata, con una preparazione poco adeguata perché lontana dalle proprie competenze professionali. Se si trascurano gli aspetti sociali della malattia tutto il percorso di cura risulta inficiato. È fondamentale che tutti siano preparati a dare un contributo competente e positivo, inserendo all’interno dell’équipe di cura la dimensione sociale della malattia e della morte. Il termine medicina contiene al suo interno la radice “med-”, che rimanda alla capacità di trovare la giusta “mediazione” tra curing, attenzione alla malattia, e caring, attenzione al malato. È evidente che l’accompagnamento alla “morte” richiede competenze e conoscenze non solo clinico-sanitarie, ma anche sociali e relazionali. I contributi proposti dai membri della Rete Nazionale degli Assistenti Sociali Cure Palliative, nello specifico il Gruppo di Lavoro CROAS Veneto, approfondiscono le tematiche che rendono maggiormente qualificato l’intervento professionale degli assistenti sociali nelle Cure Palliative: Servizio Sociale; etica e politica; bioetica nella rete dei servizi; il senso del lavoro all’interno dell’hospice: dai principi normativi alla realtà professionale. Uno strumento utile per la formazione universitaria delle nuove generazioni di assistenti sociali e per la formazione continua delle diverse professionalità che lavorano nei setting di cura di fine vita presenti su tutto il territorio nazionale.
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IL TERRITORIO
COME LUOGO DI CURA PER IL FINE VITA
Il Servizio Sociale Professionale opera nell’interesse di individui, di gruppi, famiglie e comunità, per la prevenzione e il recupero di situazioni di bisogno, di disagio, di devianza. Esso agisce per lo sviluppo di reti di solidarietà e la promozione dei diritti di cittadinanza. Sia che presti il proprio servizio presso enti pubblici (Enti locali, ministeri, ASL), organismi privati (cooperative sociali, strutture socio-assistenziali, enti), ovvero nella libera professione (consulenza, mediazione, supervisione), per l’Assistente Sociale la formazione permanente è divenuta un requisito fondamentale. L’Ordine degli Assistenti Sociali di Puglia offre un contributo costante alla formazione dei suoi iscritti attraverso percorsi aperti anche a quanti operano a vario titolo nel sociale. Perché solo una riflessione allargata e inclusiva può generare il cambiamento necessario per contribuire a trasformare il disagio in benessere delle persone e delle comunità. Ordine Assistenti Sociali Regione Puglia Via Marcello Celentano, 16 70121 Bari www.croaspuglia.it
ISBN 978-88-6153-862-7
Euro 15,00 (I.i.)
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