Focus Storia 202 (Agosto 2023)

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE 21 LUGLIO 2023 AGOSTO 2023 Dell’esecuzione del Duce e di Claretta Petacci molti particolari sono noti. Ma altri aspetti di quei giorni concitati rimangono controversi, se non misteriosi. CHI HA UCCISO MUSSOLINI? MENSILEAUT 10,00 €BE 9,60 €D 12,00 €PTE CONT. 8,70 €E 8,70 €USA 13,80 $CH 11,50 ChfCH CT 11,30 Chf Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona � 4,90 IN ITALIA 202 ROBERT OPPENHEIMER La turbolenta vita scientifica e privata dell’inventore della bomba atomica CORPI AL SOLE Al mare si andava poco e vestiti. Fino all’arrivo del primo costume da bagno GIALLI & MISTERI RE GIORGIO III Sulle cause della sua follia medici e storici stanno ancora indagando

Storia

Ottant’anni fa il Gran consiglio del fascismo e un insolitamente risoluto Vittorio Emanuele III sancivano l’uscita di scena di Mussolini. Il consenso era finito, l’alleanza con i tedeschi quasi, la guerra invece no, stava anzi per entrare in casa più terribile che mai. L’Italia che, finalmente libera, nel 1945 dovette decidere cosa fare di Mussolini non ci pensò su troppo: ucciderlo, subito. Niente processi, niente interrogatori, niente dilazioni. Fu forse questa fretta, questa rapidissima chiusura del cerchio attorno al duce che alimentò da quel momento a oggi un’infinita serie di verità alternative sulle ultime ore del dittatore. Chi sparò veramente? Cosa disse Mussolini prima di morire? Che cosa c’era scritto nei suoi preziosi diari, spariti nel nulla? L’uccisione di Claretta Petacci fu un incidente di percorso? Davanti al luogo dell’esecuzione la coppia arrivò viva o morta? Nel nostro Primo piano abbiamo cercato di dipanare la matassa, separando teorie, memorie e ricordi da verità storiche accertate. Quando la Storia è troppo vicina e i testimoni sono ancora in vita, raccontarla è complicato, ma può dare agli addetti ai lavori qualche brivido non previsto: come sapere chi diede l’ordine di appuntare la spilla alla gonna di Claretta, appesa a testa in giù insieme al cadavere del suo amante. Un particolare, un niente di fronte all’enormità di quegli eventi, ma un gesto di umanità che solo da poco ha ritrovato i suoi protagonisti. Vi raccontiamo anche questo, fra le altre cose.

Mussolini nell’inverno del 1943-44.

GLI ULTIMI GIORNI DEL DUCE

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Chi ha ucciso Mussolini?

Alle 16:10 del 28 aprile 1945 Mussolini e Claretta Petacci vengono uccisi. A sparare fu Walter Audisio. O forse no? Le ipotesi e le ricostruzioni alternative.

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Ore contate

Nell’aprile del 1945 Mussolini fece un disperato tentativo di sfuggire ai partigiani che lo stavano braccando. La cronistoria dell’ultimo viaggio del capo del fascismo.

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L’enigma Petacci

Sull’ultima e più importante amante di Mussolini circolano tante voci e diverse ipotesi. Tutte smentiscono la semplicistica immagine di donna innamorata.

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Sfiducia al duce

25 luglio 1943: il Gran consiglio del fascismo mette ai voti l’uscita di scena di Mussolini. Vincono i sì.

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Si salvi chi può

Che cosa fece la famiglia Mussolini quando tutto ormai era perduto? Perché non riuscirono a fuggire in Svizzera? E dov’era Edda?

In copertina: Mussolini, Walter Audisio e Claretta.

IN PIÙ...

14 SOCIETÀ

Tutti al mare

La storia del costume da bagno: una battaglia a colpi di centimetri.

20 PROTAGONISTI

Una complicata ragazza inglese

Gwen John ha fatto parlare di sé per la sua relazione con lo scultore Rodin. Ma era una pittrice raffinata.

26 GIALLO STORICO

Una regale follia

Re Giorgio III fu un buon sovrano, fino a quando impazzì.

64 BATTAGLIE

La legione più temuta

La Legio XIV Martia Victrix fu una vera killing machine

70 SCIENZA

E l’uomo creò la bomba

Robert Oppenheimer, fra entusiasmo scientifico ed etica.

76 COSTUME

Il vento in poppa

La storia delle “puzzette” e di quando non erano tabù, anzi...

82 PERSONAGGI

Una Borbone ai Tropici

Teresa Cristina, l’ultima imperatrice del Brasile.

87 ANIMALI

Storia volatile

Quando gli uccelli hanno “messo il becco” nel corso degli eventi.

92 ARTE

I volti della giustizia

Il concetto di giustizia visto dai grandi artisti.

Emanuela Cruciano caporedattrice
Agosto 2023 202 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 10 CHI L’HA INVENTATO? 12 UNA GIORNATA DA... 60 CURIOSO PER CASO 62 PITTORACCONTI 98 AGENDA RUBRICHE focusstoria.it CI TROVI ANCHE SU:
IMMAGINI DI COPERTINA: M FOTOTECA GILARDI, ©VENEGONI-AMPI.IT, BRIDGEMAN IMAGES, MONDADORI PORTFOLIO
MONDADORI PORTFOLIO/ARCHIVIO GBB
3 S

Lostorico e giornalista

Gregory Alegi, docente presso l’Università LUISS

Guido Carli nel Dipartimento di Scienze Politiche di Storia delle Americhe, racconta in un podcast la storia dell’Aeronautica miliare italiana che, il 28 marzo, ha raggiunto il

traguardo dei 100 anni di vita. La Regia Aeronautica venne costituita negli anni Venti come Forza Armata autonoma. L’aereo, però, aveva già esordito in ambito bellico nel 1911, durante la guerra di Libia. E solo tre anni più tardi, durante la Grande guerra, ricoprì un

ruolo fondamentale per le azioni di osservazione e bombardamento. Le esigenze belliche della Seconda guerra mondiale hanno accelerato lo sviluppo della nuova arma e la produzione di macchine volanti sempre più efficienti. Buon ascolto! Per ascoltare i nostri podcast (dalle

sul Telegraph e scrisse: «Erano dispacci freschi, snelli, lucidi, che trasportavano il lettore in una volata attraverso mezzo mondo, dandogli ogni mattina emozioni e paesaggi sempre nuovi». Che tempi! Gli articoli di Barzini sono stati raccolti e raccolti nel libro La metà del mondo visto da una automobile. Da Pechino a Parigi in sessanta giorni, uscito nel 1908 contemporaneamente in 11 lingue. Oggi lo si trova ancora nel catalogo delle edizioni Hoepli, che furono le prime a pubblicarlo.

Mar d’Africa

partì l’inviato speciale del Corriere della Sera Luigi Barzini, oltre al suo chaffeur di fiducia. L’equipaggio italiano viaggiava su un’Itala della Fiat, con pneumatici Pirelli, che poteva raggiungere i 95 km/h. Gli articoli di Barzini venivano pubblicati sul Corriere e sull’inglese Daily Telegraph, ogni volta che il giornalista trovava una stazione telegrafica. Gli equipaggi in gara erano 5, ma quello italiano vinse con largo vantaggio: Borghese e Barzini arrivarono a Parigi 20 giorni prima degli altri, in appena 60 giorni. Non c’erano in palio premi: arrivare era già considerato un’impresa epica. Ma dopo la vittoria, l’inviato del Corriere della Sera entrò nel gotha del giornalismo internazionale. Mario Borsa, a Londra come corrispondente del Secolo, lesse tutte le mattine i dispacci di Barzini

In riferimento al vostro articolo “Mar d’Africa”, pubblicato su Focus Storia n° 200, in cui avete fatto cenno alla nostra conquista della Libia nella guerra italoturca del 1911-1912, vorrei mostrarvi una cartolina storica, che fa parte della mia collezione.

Nell’immagine i bersaglieri, durante la guerra, mostrano una bandiera strappata ai turchi. Purtroppo non posso mostrarvi il retro perché è danneggiato e ne manca un pezzo.

biografie di personaggi agli approfondimenti sui grandi eventi storici) basta collegarsi al sito della nostra audioteca storiainpodcast.focus.it Gli episodi – disponibili gratuitamente anche sulle principali piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.

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I NOSTRI ERRORI

Focus Storia n° 200 , pag. 87, abbiamo scritto erroneamente che la Marcia su Roma si svolse il 18 ottobre invece che il 28.

SPECIALE
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L’arrivo dell’Itala vincitrice del raid Pechino-Parigi.

Self portrait

Gwendolen Mary (Gwen) John (1876-1939) in un autoritratto conservato alla National Portrait Gallery di Londra (1900 circa). A destra, i due “Augusti” che condizionarono la sua vita: l’amante scultore Auguste Rodin e il fratello pittore Augustus John.

RAGAZZA INGLESE Una complicata

la mostra

I quadri dell’artista britannica sono in mostra alla Pallant House Gallery di Chichester (Regno Unito) nell’esposizione Gwen John: Art and Life in London and Paris, curata da Alicia Foster, autrice della biografia a lei dedicata. Aperta fino all’8 ottobre (https://pallant.org.uk/).

di Lidia Di Simone

PROTAGONISTI

Rodin’s stalker”, titolava un paio di decenni fa un quotidiano britannico. Inquietante definizione per quella che oggi viene considerata una grande artista di cui si era saputo poco e nulla nell’ultimo secolo. Ignorata dalla critica e dai collezionisti, Gwen John (1876-1939) ha lasciato una flebile traccia di sé nel mondo dell’arte solo dagli anni Cinquanta, amplificata da una mostra alla Tate datata 2004 e dagli articoli conditi di retroscena e titoli a effetto. Non era “la stalker di Rodin”, o non solo, ma purché se ne parli, va bene così, visto che la ragazza merita.

I DUE AUGUSTI. Quando le pagine culturali hanno cominciato a occuparsi di lei è emersa una figura sfaccettata di donna divisa tra due nazioni, la natia Gran Bretagna e la Francia, ma soprattutto pesantemente condizionata da due artisti famosi, il fratello Augustus e un altro Augusto, o meglio Auguste: Rodin, suo mentore e amante. Di lei ha colpito molto anche la discussa ambiguità sessuale: Gwen viveva passioni travolgenti, indirizzate

a entrambi i sessi, da un lato la figura incombente del celeberrimo scultore francese, dall’altro le figurine efebiche che ritraeva nelle stanze chiuse, muse per cui a volte nutriva amori non corrisposti. Era una pittrice di grande talento che usava le tinte tenui, una gamma infinita di grigi con i quali ritraeva il mondo. Ma dentro doveva avere un vulcano di colori più audaci. Almeno possiamo supporlo, visto che posando per uno dei suoi tanti autoritratti, severo come quello di un’istitutrice vittoriana, indossò una blusa color sanguigna (o ceralacca rossa, come dice John Rothenstein nel classico Modern English Painters, 1956).

Il contrasto dà l’idea di una persona inquieta. Lo era di certo, combattuta tra la voglia disperata di apprendere e farsi conoscere e la paura di confrontarsi col mondo, che la spingeva a seppellirsi nella provincia francese, in un esilio simile a una tomba. C’è da pensare però che la fiducia nei propri mezzi non le mancasse. In un altro autoritratto (a sinistra), realizzato a 24 anni, sembra riempire la tela con la mano sul fianco, una camicia dalle maniche a sbuffo, e lo sguardo sfrontato,

imperioso: “Eccomi, sono qui!”. Gwen John, insomma, era questo e quello. Ambigua, o forse incredibilmente avanti, e non solo per la sua pittura fatta di luce e tristezza, di piccoli tratti a olio e simbolismi, ma anche per quel suo essere queer, sessualmente ondivaga, o forse solo complessa ed eccentrica, nella pura accezione del termine inglese. Era comunque una ragazza che sperimentava, affacciandosi alla vita in un secolo pieno di cambiamenti.

PASSIONE DI FAMIGLIA. Figlia di un avvocato gallese e di una discreta acquarellista, seconda di quattro fratelli, orfana a otto anni, venne cresciuta dalle governanti a Tenby, nel Galles. Aveva fatto in tempo, però, a raccogliere il testimone della passione materna per la pittura.

Nel 1895 raggiunse il terzogenito Augustus, minore di lei di diciotto mesi, alla Slade School di Londra, un’accademia di belle arti che divenne famosa per aver dato la formazione e i mezzi espressivi al gruppo di Camden Town, i postimpressionisti di cui avrebbe fatto parte anche il promettente

Quasi sconosciuta ai più, la pittrice Gwen John ha fatto parlare di sé solo per la sua relazione con lo scultore Rodin e oggi fa tendenza per gli amori queer. Eppure era un’artista raffinata.
augustus john auguste rodin BETTMANN ARCHIVE/GETTY IMAGES
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DARCHIVIO/OPALE.PHOTO/MONDADORI PORTFOLIO

Un gitano a Chelsea

La scrittrice Virginia Woolf scrisse nel 1908 che l’era di Sargent (celebre ritrattista dell’800) era tramontata e “stava sorgendo l’era di Augustus John”. L’abilità di Augustus nel disegno, già leggendaria quando lasciò la Slade, negli Anni ’20 ne fece il più ricercato autori di ritratti: davanti a lui posarono George Bernard Shaw e Lawrence d’Arabia. Sulle sue stramberie giravano strani aneddoti: pare che da piccolo fosse un vero discolo e un maestro lo avesse colpito così forte alla testa da lasciarlo mezzo sordo. E sembra che nel 1897, tuffandosi in mare a Tenby, avesse sbattuto la testa sugli scogli. Riemerse dalle acque che non era più quello di prima, “una personalità ordinata, timida, insignificante” seppur tecnicamente precoce, diceva il suo tutor; il grave trauma cranico avrebbe contribuito ad accelerare la sua maturazione artistica e durante la convalescenza Augustus divenne un artista selvaggio, pieno di fuoco. Il pittorescrittore Wyndham Lewis lo descrisse come “un grande uomo d’azione nelle cui mani le fate avevano messo un pennello invece di una spada” .

Nel frattempo, nel 1901 John aveva sposato una compagna di studi alla Slade, la londinese Ida Nettleship, e aveva preso un incarico come professore all’università di Liverpool. Gli sposini rimasero lì meno di due anni, mentre Ida affrontava la prima gravidanza. Nel 1903 erano già a Londra alle prese col secondo figlio. Moglie doppia. Fu Gwen a portare nelle loro vite una novità: l’amica Dorelia McNeill, con la quale aveva condiviso un secondo viaggio in Francia, lungo il fiume Garonna, e poi una stanzetta a Parigi. Anche Augustus la volle come modella, ma Dorelia si trasformò presto nel fulcro stesso della sua vita. Da amante divenne una seconda moglie: con Ida convivevano in un ménage à trois senza gelosie e convenzioni, una moderna famiglia allargata di ampissime vedute. Prima in una casa nell’Essex, poi a Parigi, dove nel 1905 e nel 1906 Dorelia ebbe da Augustus due figli, finendo ritratta da lui come l’emblema eterno della madre con bambino. Questo non mise in crisi il rapporto con Gwen. Quando Dorelia fuggì a Bruges da un artista belga, fu Gwen a scriverle di

ritornare da Augustus perché era “necessaria per il suo sviluppo emotivo e per quello di Ida”. Gitano. Fra le tante dicerie su Augustus, c’è quella secondo cui avrebbe avuto un centinaio di figli. Vero? Forse, in parte. Di certo aveva preso casa in Provenza, a Martigues, per essere più vicino alle comunità dei gitani, che amava profondamente e che immortalava nelle sue tele. Fu presidente della Gipsy Lore Society, associazione che studiava le tradizioni gitane. Inoltre si fece crescere i capelli e indossò a lungo orecchini d’ottone, giacche di velluto e sandali: un look gipsy che nei ristoranti di Chelsea destava un certo stupore.

fratellino (v. riquadro qui sopra). Gwen era brava, ma il giudizio che veniva dato di Augustus, già prima del diploma, era impressionante: “il miglior disegnatore della sua generazione”. Questo per dire come non dovesse essere facile per la sorella maggiore ritrovarsi un genio in famiglia. Il ragazzo vinse lo Slade Prize e si aggiudicò una borsa di studio che lo indirizzò verso Parigi e soprattutto verso l’amata vita da zingaro.

COPPIA ECCENTRICA. Vinse un premio anche Gwen: aveva seguito i corsi per tre anni, poi nel 1898 lasciò la Slade. I due fratelli erano noti per il loro stile di vita bohemien, lei con la sua aria ascetica, fragile, vestita di scuro, lui con l’aspetto selvaggio per via di barba e capelli rossi arruffati, il fisico atletico e quell’aria da seduttore nato. Vivevano in uno squat, un magazzino senza luce e acqua, e prendevano decisioni bizzarre, come quella di andare a

piedi a Roma. Fu un’avventura: lungo la strada dormirono nei campi dove capitava e si finanziarono il viaggio vendendo schizzi di ritratti. Alla fine arrivarono solo a Tolosa, e poi risalirono a Parigi, dove era più facile trovarsi un lavoro.

Gwen approdò all’Académie Carmen dove teneva lezione James McNeill Whistler, americano cresciuto in Russia, un dandy amico di Degas e degli impressionisti, molto apprezzato per

augustus john
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A lezione Augustus John ritrae in questo schizzo sua sorella Gwen con uno dei maestri della Slade School, il pittore vittoriano Frederick Brown (1890 circa).

La mostra racconta 40 anni di carriera dell’artista gallese e la sua vita tra Londra e Parigi

la tela dedicata a sua madre, ritratta di profilo in grigio e nero. Qualcosa di quel dipinto forse influenzò lo stile della giovane inglese. In ogni caso la parentesi parigina durò un paio d’anni, poi Gwen tornò a Londra. Qui diede la sua prima mostra, nel 1900, al Neac, il The New English Art Club fondato pochi anni prima da un gruppo di artisti ribelli rifiutati dalla Royal Academy.

Il circolo aveva l’obiettivo di mostrare solo “buona pittura moderna”. Secondo la critica, in quella piccola galleria c’era in effetti “il movimento artistico più vitale nella pittura inglese dell’ultimo mezzo secolo”. La giovane finì per esporvi i suoi lavori fino al 1913. Suo fratello, che non la sottovalutava affatto, diceva di lei che era “la più grande artista donna della sua età”. E aggiungeva, come riporta il biografo Michael Holroyd: “Cinquant’anni dopo la mia morte sarò ricordato come il fratello di Gwen John”

Oltre all’arte divisero forse anche un amore, quello per Dorelia McNeill, amica comune, ritratta magistralmente da Gwen. La pittrice nei mesi a Parigi

l’aveva immortalata in più occasioni, mostrando l’abilità raggiunta e una certa attrazione per lei (a destra Le innumerevoli lettere di Gwen John ad amici e amanti conservate alla Biblioteca nazionale del Galles fanno supporre che vivesse legami fortemente emotivi sia con gli uomini sia con le donne. Quanto corrisposti è meno chiaro. Ma una presenza su tutte ha messo in ombra le altre.

MODELLA. Nel 1904 anche Gwen tornò in Francia. Lì sarebbe rimasta per 35 anni, fino alla sua morte. A Parigi, nei primi anni, soggiornò in stanze modeste a Montparnasse. Passeggiava, si godeva la sua autonomia e si guadagnava da vivere facendo la modella. Ebbe la ventura di posare per colui che stava diventando il più importante degli scultori francesi: all’inizio del Novecento il sessantenne Auguste Rodin stava disseminando Parigi di statue possenti, creando la scultura moderna e insieme il proprio stesso mito. Nel 1905 Rodin fu incaricato di realizzare un monumento

A casa

Paesaggio a Tenby (1896), uno dei primi dipinti a olio di Gwen John, che vi mise mano intorno ai 20 anni. L’artista era nata ad Haverfordwest, nel Galles, ma era cresciuta qui. Il quadro mostra il porto da North Sands.

Amata cognata Dorelia in abito nero (1903-1904). L’artista cattura nel dipinto la bellezza dell’amica, poi compagna del fratello e madre dei suoi nipoti.

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Genio e voracità (sessuale)

L’attrice Isabelle Adjani è divenuta nota al grande pubblico nel 1988 con il film dedicato a Camille Claudel (1864-1943): è con il suo volto che il mondo ha conosciuto il lavoro della scultrice, sorella del poeta Paul Claudel e musa di Auguste Rodin. Musa e vittima. Camille era diventata allieva dello scultore nel 1883 e gli era divenuta

indispensabile, tanto da contribuire al suo lavoro. Lei ispirava il maestro e ne era influenzata. In breve si innamorò di lui. Professione musa. Una passione durata una decina d’anni, a dispetto del lungo legame che Rodin aveva con la compagna Rose Beuret, che gli era al fianco dal 1864 e che gli aveva dato un figlio,

Auguste-Eugène, mai riconosciuto dal grande scultore. Rodin mise in posa Camille come prima aveva modellato il viso di Rose, come dopo avrebbe scolpito il corpo magro di Gwen John, le forme floride di due sorelle ciociare, Anna e Adele Abbruzzese, la raffinata duchessa di Choisel e tante altre. Tutte muse e amanti.

Nel 1992 il rapporto con Camille finì. Qualcuno raccontò che lei aveva avuto quattro figli da Rodin. Di certo per lui perse la ragione. Anche se fu aiutata dall’artista a vendere qualche scultura, lo riteneva responsabile del suo mancato successo. La sua personalità paranoide fece il resto: fu internata in manicomio nel 1913.

Rodin, all’inizio del 1917 sposò Rose, appena un paio di settimane prima che lei morisse. Nove mesi dopo era finito al creatore anche lui. Camille Claudel morì di stenti in manicomio nel 1943, mentre la guerra infuriava e nessuno pensava a dar da mangiare ai poveri pazzi rinchiusi in quelle stanze, senza alcuna assistenza.

Amava le sue giornate parigine, l’indipendenza di cui poteva godere nella piccola mansarda vicina al cielo

in memoria di Whistler, che aveva fondato la società internazionale degli scultori di cui Rodin era divenuto presidente. Usò Gwen come modella. La mise in piedi, una gamba sollevata su un ceppo, e ne plasmò la posa audace nei panni della Musa nuda, senza braccia (questo il titolo dell’opera, oggi esposta di fronte al Musée Rodin di Parigi). E come avveniva con implacabile monotonia, lo scultore trasformò la modella in amante. Non

era la prima, non sarebbe stata l’ultima (v. riquadro sopra). Ma Gwen forse non lo sapeva.

L’opera, che rappresentava l’arte protesa a scalare la montagna della fama, avrebbe dovuto essere esposta a Londra, lungo il Tamigi, ma fu bocciata dalla commissione, che gli preferì la copia di un gruppo scultoreo, I borghesi di Calais (oggi nel parchetto vicino alla Westminster Abbey). Intanto il gabinetto di posa era diventato la loro alcova.

In posa

Monumento a Whistler. Musa nuda, braccia tagliate (1908), di Auguste Rodin, che per l’opera usò come modella proprio Gwen John.

GRAFOMANE. Nonostante avesse 40 anni più di lei, Rodin divenne l’oggetto esclusivo degli interessi di Gwen. Era il suo maestro e mentore e contribuiva alle spese dell’affitto. La gallese dipingeva, posava, e intanto apprendeva dal migliore. E scriveva, scriveva, scriveva. Gli indirizzava le sue lettere appassionate... Duemila, pare! Era ossessionata da Rodin e lui ne fu sopraffatto, ponendo fine alla loro relazione. Lei continuò a scrivergli ancora, ogni giorno, per il decennio successivo. Dormiva poco, dipingeva e lo andava a cercare, nel giardino della casa di famiglia, alla stazione, nelle strade di Meudon, dove lui si era ritirato con la famiglia. Mentre lo scultore era ancora vivo, Gwen trovò un altro ammiratore: nel 1909 John Quinn, facoltoso avvocato di New York, aveva avuto modo di ammirare i suoi quadri a Londra. Si offrì da allora di acquistare qualsiasi suo lavoro. Per la pittrice

gallese, che a Parigi viveva quasi di stenti, era la svolta. Non doveva più fare la modella e riuscì persino a comprarsi una piccola casa. Dove? A Meudon, a due passi dalla magione dove Rodin viveva con la moglie, e dove oggi c’è una sede del museo a lui dedicato.

Mentre lo scultore si sposava, Gwen si ritirò dalla vita sociale, chiudendosi nella sua piccola stanza-atelier (in alto, a destra). Il suo studio vuoto, ma pieno di oggetti che la raccontavano, viene oggi considerato un piccolo capolavoro. La curatrice Katie Hessel, autrice del volume La storia dell’arte senza gli uomini (Einaudi) spiega che in quella tela Gwen John mostra cos’è il modernismo. «Sta dicendo: queste sono le mie cose, sono una donna, posso fare i miei soldi, posso vivere da sola e posso essere un’artista, posso finanziare la mia carriera professionale. Se non fosse per donne come lei non avremmo i lavori che abbiamo. Hanno dipinto la loro storia».

Eppure, lei che a Londra aveva vissuto appieno l’ambiente artistico, sebbene al centro della scena ci fosse sempre suo fratello, a Meudon si chiuse in casa e si rivolse alla religione. Dipingeva ragazze e suorine (a destra), gatti e stanze vuote. “Dipingo finché è buio”, scriveva, “poi ceno e leggo per circa un’ora e penso alla mia pittura e poi vado a letto. Ogni giorno è lo stesso. Mi piace molto questa vita”. Chi lo sa se parlava sul serio o se cercava di

auguste rodin
ALBUM / PRISMA / MONDADORI PORTFOLIO 24 S

dissimulare un disagio profondo. Gwen divenne comunque quello che oggi la critica definisce una grande pittrice spirituale.

PASSIONI RESPINTE. Si innamorò di nuovo, della sua vicina di casa, la russa Vera Oumançoff che con la sorella Raissa e il marito di lei, il filosofo Jacques Maritain, animava un importante cenacolo intellettuale. Di nuovo, Gwen non fu ricambiata. A testimoniarlo ci sono le lettere. Dopo una breve malattia fece un viaggio al mare. Gwen John morì a 63 anni a Dieppe, sulla costa della Normandia. I suoi lavori, spesso tenuti per sé senza interesse a venderli, sono oggi oggetto di culto. •

Il suo studio

Un dipinto fra i più emblematici di Gwen John, Un angolo della stanza dell’artista a Parigi (19071909), all’87 di Rue du Cherche-Midi. In bella vista, il suo parasole.

Le suore Augustus John posa nel suo studio a Fordingbridge (Inghilterra). Dietro di lui, un dipinto della sorella: è del 1915 ed è dedicato a una suora del convento di Meudon (qui sopra).

CORBIS VIA GETTY IMAGES

L’ENIGMA

Sull’ultima e più importante AMANTE DI MUSSOLINI circolano tante voci e diverse ipotesi. Tutte smentiscono la semplicistica immagine di donna innamorata.

di Federica Campanelli

13 anni insieme I ritratti dei due amanti: Benito Mussolini, in una foto del 1935, e Claretta Petacci con velo alla spagnola nel 1937. I due si conobbero nel 1932 e diventarono subito intimi.

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PRIMO PIANO

CLARETTA

La sua unica colpa è di aver amato un uomo”. Queste le parole pronunciate nel 1983 dall’allora presidente della Repubblica italiana ed ex partigiano Sandro Pertini a proposito di Clarice Petacci, detta Claretta, l’ultima, fedelissima amante di Benito Mussolini, colei che preferì andare incontro alla morte pur di stare vicino al proprio uomo. Così almeno vuole la “vulgata” comune: secondo le ricostruzioni ritenute ufficiali, Petacci sarebbe stata uccisa accidentalmente il 28 aprile 1945 a Giulino Mezzegra (Tremezzina, Como), durante l’esecuzione del duce. Pare che l’autore del gesto, Walter Audisio, nome di battaglia “colonnello Valerio”, abbia raccomandato alla donna di “togliersi di lì” prima di puntare il mitra contro Mussolini, ma lei non lo fece e venne colpita (per la ricostruzione dell’uccisione della coppia, v. articolo nelle pagine precedenti). Attorno a questo tragico epilogo è stata ricamata la leggenda di Claretta martire coraggiosa, travolta suo malgrado dalle sorti del regime fascista. Ma davvero la sua sola colpa fu quella d’aver amato l’uomo sbagliato? O dietro al suo omicidio, seguito dal vilipendio del cadavere in piazzale Loreto, si cela dell’altro?

GRAFOMANE SOSPETTA. Claretta Petacci, classe 1912, conobbe Mussolini “per caso”, sul lungomare di Ostia, all’età di vent’anni (lui ne aveva 49), divenendone ben presto l’amante prediletta malgrado il considerevole divario anagrafico. Devota al duce in modo quasi maniacale, a partire da quell’incontro la ragazza iniziò a trascrivere scrupolosamente in diari i dettagli di ogni singolo appuntamento con lui (dai colloqui a palazzo Venezia alle romantiche gite fuori porta, agli incontri sessuali), l’orario e il contenuto delle loro frequenti telefonate e persino qualche intima confidenza. I diari di Claretta (pubblicati nel corso degli anni Duemila) rappresentano insomma un corpus di documenti straordinario, tanto

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che Emilio Re, ispettore generale degli Archivi di Stato negli anni Cinquanta, li reputò di gran lunga più importanti delle memorie dello stesso Mussolini. «Quelle carte entrano nella quotidianità del dittatore, sia nella dimensione pubblica sia nella sfera privata», commenta lo storico Mimmo Franzinelli in Verso il disastro. Mussolini in guerra. Diari 1939-1940 (Rizzoli). «Assistiamo da dietro le quinte ai discorsi di piazza Venezia, apprendiamo gli antefatti di strategie politiche interne e/o estere, assistiamo allo scorrere dei giorni radiosi e a quelli tempestosi di un amore tenacissimo». Eppure, tanta accuratezza nell’annotare mosse e parole del suo “gattone” (così Claretta chiamava il duce, e a lui piaceva moltissimo) potrebbe apparire alquanto sospetta a un occhio diffidente. Qualcuno ritiene infatti che Claretta non fosse semplicemente una grafomane innamorata.

SPIA PER GLI INGLESI... Tra coloro che hanno sempre nutrito forti dubbi sulla verità tramandata dalla storiografia spicca il nome di Ferdinando Petacci (figlio di Marcello Petacci, fratello maggiore di Clara, anch’egli giustiziato il 28 aprile 1945), ultimo erede della famiglia. A suo dire, la zia era stata un’informatrice al servizio degli inglesi (quindi implicitamente antifascista) e a ucciderla sarebbero stati propri loro, poiché “sapeva troppo”.

L’ipotesi nasce nel 1956, a seguito della causa intentata dai Petacci contro lo Stato italiano per riavere i diari di Claretta, allorché il pubblico ministero dichiarò che la diffusione di quei documenti poteva “nuocere” ai buoni rapporti con altre nazioni. Si alludeva, naturalmente, alle potenze vincitrici del conflitto, tra cui il Regno Unito. «Se Clara fosse stata solo un’amante, l’affermazione del pubblico ministero non avrebbe alcun senso», spiega Fernando Petacci nella prefazione al volume curato da Mauro Suttora

Diari 1932-1938 2009). «Ma la situazione cambia completamente se mia zia fosse stata una spia al servizio degli inglesi, o un canale segreto di comunicazione

fra Churchill e Mussolini [...]. Tuttavia, nelle carte rilasciate sinora non si è trovato nulla del genere. Il che vuol dire che esiste del materiale non ancora accessibile, o che alcuni documenti sono spariti». In breve, con questa scottante dichiarazione il nipote di Claretta sostiene che i diari contenessero dettagli scomodi (tempestivamente cancellati) che avrebbero confermato l’esistenza di un carteggio Churchill-Mussolini v. riquadro a destra).

...O DI HITLER? Le speculazioni sul ruolo di Clara Petacci non finiscono qui. Una biografia del 2021 a firma della giornalista

Mirella Serri, Claretta l’hitleriana: storia di una donna che non morì per amore

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Claretta sfruttò la sua posizione per favorire la famiglia. Ma rimase vicino al duce fino all’ultimo
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I Petacci Miriam, sorella di Clara, nel 1943. Sopra, Claretta nel ’42 col padre Francesco Saverio; La Camilluccia, dono di Mussolini.

di Mussolini (Longanesi), sostiene infatti la controversa tesi per cui l’amante numero uno del duce fosse invischiata fino al collo con i tedeschi. Durante il periodo della Repubblica di Salò, mentre Mussolini, di fatto ostaggio dei tedeschi, si autodefiniva malinconicamente un “sognatore naufragato” (così in una lettera del 10 febbraio 1944), Claretta appariva più agguerrita che mai e oltre a proporsi come consigliera politica, si diceva pronta a trattare in prima persona con Hitler, forte degli stretti rapporti con i più influenti uomini del Führer: il generale delle Waffen-SS Josef “Sepp” Dietrich, l’agente segreto Eugen Dollman e l’ambasciatore Rudolf Rahn. «La sua intensa collaborazione con i politici e i militari del Reich fu uno dei capi d’imputazione formulati dai partigiani quando le ordinarono di mettersi vicino al muro di Villa Belmonte, di fianco a Mussolini (dove avvenne la fucilazione, n.d.r.)», commenta Serri. «Non fu

Il carteggio ChurchillMussolini Con

Le nozze Il matrimonio di Claretta con l’ufficiale Riccardo Federici (1934). Si separarono due anni dopo.

né vittima né martire [...] Bisogna restituire a Clara la sua vera identità di condannata a morte dai partigiani in quanto spia e avventuriera al servizio di Hitler».

MI MANDA BENITO. Ma cosa voleva davvero Claretta? Che abbia tentato di sfruttare il proprio ascendente sul duce per ottenere favori personali e facilitare la carriera dei familiari non è un segreto: la sorella Miriam, per esempio, cercò di affermarsi come attrice con l’aiuto delle autorità fasciste.

Quando nel 1932 il padre Francesco Saverio ebbe problemi giudiziari con una clinica romana, Claretta chiese a Mussolini di risolvere la situazione, ma lui oppose un rifiuto perentorio: “In dieci anni non mi sono mai occupato di giustizia, per un sentimento mio di coscienza” (questa la risposta annotata nei diari della ragazza). Claretta ebbe persino l’ardire di chiedere agevolazioni

“carteggio ChurchillMussolini” s’intende la presunta corrispondenza segreta intercorsa tra i due leader alla vigilia della Seconda guerra mondiale e nel corso del primo anno di conflitto. Mussolini avrebbe conservato tali documenti fino al momento della sua cattura, avvenuta a Dongo il 27 aprile 1945. Dopodiché le carte sarebbero sparite. Lettere scomparse. Secondo alcune congetture, l’assassinio dello stesso Mussolini e di Clara Petacci sarebbe stato voluto da Churchill per distruggere tali missive contenenti informazioni troppo compromettenti (di cui l’amante del duce sarebbe stata al corrente in quanto presunta informatrice degli inglesi). Ma qual era il contenuto dei documenti? Due le ipotesi: un’improbabile offerta da parte del governo britannico all’Italia, che in cambio della sua neutralità avrebbe ricevuto svariati territori (tra cui la Tunisia, la Corsica e Nizza); oppure un’esplicita richiesta d’intervento bellico dell’Italia (seppure come nemica) affinché operasse da “elemento moderatore” con i tedeschi (in cambio di una pace imminente e di un “trattamento di riguardo” durante il conflitto).

per il marito, il tenente Riccardo Federici, che aveva sposato nel 1934. Ma secondo Mirella Serri, i fratelli Petacci (Clara e Marcello in particolare) si sarebbero spinti oltre, facendo affari poco chiari con i beni confiscati agli ebrei dopo le leggi razziali del ’38. Dopotutto, anche Adelchi Serena, segretario del Partito fascista, si era espresso sui movimenti sospetti del clan Petacci: “Intorno al duce si è formata una banda di tinta petacciana [...]”

E ancora, dai diari di Galeazzo Ciano, genero del duce: “La solita famiglia Petacci, interviene a destra, protegge a sinistra, minaccia in alto, protegge in basso e mangia in tutti e quattro i punti cardinali”.

Claretta e il mondo a cui apparteneva rappresentano, insomma, una matassa ancora tutto da sciogliere. Rimane solo la certezza dei suoi diari manoscritti, preziosa testimonianza di uno dei periodi più difficili della storia italiana. •

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